Ci sono stati dei feriti a causa di un attacco delle forze israeliane a palestinesi che stavano seguendo il funerale di un bimbo ucciso

Redazione di Palestine Chronicle (WAFA, PC)

6 giugno 2023 – Palestine Chronicle

Due giovani palestinesi sono stati trasferiti all’ospedale dopo essere stati colpiti e feriti dalle forze israeliane nel villaggio. Le loro condizioni di salute sono state definite moderatamente gravi.

L’agenzia di notizie ufficiale palestinese WAFA ha riferito che martedì un giovane palestinese è stato colpito e ferito a un piede e un altro è stato colpito in faccia da una pallottola di acciaio ricoperta di gomma nel villaggio di Nabi Saleh, vicino Ramallah, in seguito al corteo funebre di un bambino ucciso, Mohammed Tamimi.

Centinaia di persone hanno partecipato al funerale di Mohammad Haitham Tamimi di due anni, morto lunedì, quattro giorni dopo essere stato colpito alla testa da soldati israeliani nel villaggio di Nabi Saleh.

Un attivista locale contro le colonie e contro il muro ha affermato che due giovani sono stati trasferiti all’ospedale dopo essere stati colpiti e feriti dalle forze israeliane nel villaggio. Le loro condizioni di salute sono state definite moderatamente gravi.

Le forze israeliane hanno anche attaccato gli abitanti del villaggio con una raffica di candelotti di gas lacrimogeni e granate stordenti, causando problemi respiratori a decine di persone.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Un bambino palestinese di due anni muore dopo essere stato colpito dal fuoco dei soldati

Maureen Clare Murphy

6 giugno 2023 – The Electronic Intifada

Un bambino palestinese è morto per le ferite riportate quattro giorni dopo essere stato colpito dalle truppe israeliane, lunedì, a Nabi Saleh, un villaggio vicino a Ramallah nella Cisgiordania centrale occupata.

Defence for Children International-Palestine ha affermato che Muhammad Haitham Ibrahim Tamimi, di 2 anni, era nel retro dell’auto di suo padre fuori dalla loro casa giovedì sera “quando le forze israeliane hanno aperto il fuoco indiscriminatamente”.

L’organizazione per i diritti umani ha aggiunto che il bambino è stato colpito alla testa e suo padre alla spalla. Muhammad è stato trasportato in aereo in un ospedale vicino a Tel Aviv, dove in seguito è morto.

L’esercito israeliano afferma che uomini armati palestinesi avevano aperto il fuoco su un insediamento vicino da Nabi Saleh e che le truppe di stanza in una postazione dell’esercito hanno risposto al fuoco.

Il Times of Israel ha affermato in un titolo che Muhammad sarebbe stato “colpito per errore”.

Ma anche se il soldato non intendeva ferire il bambino, l’uso indiscriminato delle armi da fuoco in una comunità palestinese dimostra uno scellerato disprezzo per le vite dei palestinesi.

Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma per Defence for Children International-Palestina, ha affermato: “Sparare indiscriminatamente proiettili veri in un quartiere residenziale dove non vi è alcuna minaccia per la vita di un soldato israeliano è una chiara violazione delle stesse politiche dell’esercito israeliano”,

“Le uccisioni illegali di minori palestinesi sono diventate la norma poiché le forze israeliane sono sempre più autorizzate a usare la forza letale intenzionale in situazioni che non sono giustificate”, aggiunge Abu Eqtaish.

“Questo è un crimine di guerra senza conseguenze”.

L’agenzia di stampa ufficiale palestinese WAFA ha riferito lunedì che Hassan al-Tamimi, lo zio del bambino ucciso, ha dichiarato che la famiglia intende portare il caso di Muhammad alla Corte penale internazionale.

Diverse persone nel villaggio sono state uccise negli ultimi anni, di cui due in incidenti distinti nel 2022. Altre sono state gravemente ferite e imprigionate dalle forze israeliane in quanto gli abitanti resistono all’occupazione e agli insediamenti coloniali, in particolare Halamish, che è costruito sulla terra di Nabi Saleh.

Dall’inizio dell’anno le forze israeliane hanno ucciso almeno due dozzine di minori palestinesi, 20 dei quali in Cisgiordania.

Sei minori palestinesi sono stati uccisi durante l’offensiva militare israeliana a Gaza nel mese di maggio; i rapporti iniziali indicano che due di quei ragazzi e ragazze potrebbero essere morti a causa di un razzo che non ha raggiunto il suo obiettivo in Israele.

Inoltre un bambino di 10 anni è morto a causa delle ferite alla testa subite durante un attacco israeliano a Gaza nell’agosto 2022.

Dall’inizio dell’anno ventiquattro israeliani e persone di altre nazionalità sono stati uccisi dai palestinesi nel contesto dell’occupazione, o sono morti per ferite riportate in precedenza. Quattro di loro erano minori.

Sabato, inoltre, tre soldati israeliani sono stati colpiti e uccisi da un ufficiale egiziano lungo il confine tra i due paesi. L’ufficiale egiziano è stato ucciso in una sparatoria in seguito alla sua scoperta da parte delle truppe che setacciavano la zona.

Nel frattempo, domenica, i coloni israeliani hanno attaccato Burqa, una città nel nord della Cisgiordania, lanciando pietre contro gli abitanti e le loro case.

Alla fine del mese scorso i coloni hanno iniziato a spianare la terra a Homesh, un avamposto di coloni costruito su un terreno appartenente ai palestinesi di Burqa.

I coloni hanno invaso Burqa e dato fuoco a diverse strutture nel villaggio dopo che una delegazione di diplomatici a guida europea ha visitato la comunità.

Il gruppo di monitoraggio delle Nazioni Unite OCHA ha registrato quest’anno circa 300 attacchi di coloni in Cisgiordania che hanno provocato danni alla proprietà e più di 100 che hanno provocato feriti o morti.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Due adolescenti palestinesi uccisi da Israele fanno salire a 77 il numero delle giovani vittime nel 2021

Yumna Patel

26 luglio 2021 – Mondoweiss

Le uccisioni di Muhammad Munir al-Tamimi e Yousef Nawaf Mhareb portano a 11 il bilancio dei giovani palestinesi uccisi dal fuoco israeliano in Cisgiordania dal gennaio 2021.

Due adolescenti palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano nell’arco di soli pochi giorni nella Cisgiordania occupata, portando il totale dei giovani palestinesi uccisi da Israele nel 2021 a 77.

Lunedì il diciassettenne Yousef Nawaf Mhareb, abitante del villaggio di Abwein nella zona di Ramallah, è morto in seguito alle ferite subite due mesi prima, quando era stato colpito al collo dalle forze israeliane.

Secondo WAFA, l’agenzia di notizie ufficiale dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), Mhareb è stato in terapia intensiva per 74 giorni prima di morire lunedì per le ferite. Secondo le informazioni dei media arabi, è stato colpito dalle forze israeliane durante le proteste di maggio contro l’aggressione israeliana a Sheikh Jarrah e alla moschea di Al Aqsa – proteste che hanno scatenato le “rivolte unitarie” e l’ultima guerra contro Gaza.

Solo pochi giorni prima le forze israeliane avevano colpito un altro diciassettenne palestinese durante le proteste del venerdì nel villaggio di Nabi Saleh fuori Ramallah.

Secondo ‘Defense for Children International – Palestina’ (DCIP) [organizzazione non governativa indipendente per la protezione dei bambini, ndtr.], le forze israeliane hanno sparato alla schiena di Muhammad Munir al-Tamimi con pallottole vere. Il proiettile è uscito attraverso l’addome, “causando un’ampia lacerazione e facendo fuoruscire gli intestini”, ha affermato la DCIP, aggiungendo che al-Tamimi è stato sottoposto a quattro ore di intervento chirurgico prima di essere trasferito in terapia intensiva.

E’ morto in seguito alle ferite diverse ore dopo e ne è stata dichiarata la morte circa a mezzanotte.

Al-Tamimi, abitante della cittadina limitrofa di Deir Nitham, stava presumibilmente partecipando alle proteste del venerdì a Nabi Saleh, un’iniziativa che si tiene nel villaggio ogni settimana dal 2009, dopo che coloni israeliani della vicina colonia illegale di Halamish presero il controllo della sorgente d’acqua del villaggio.

Le forze israeliane utilizzano abitualmente armi letali durante le proteste a Nabi Saleh, nonostante siano manifestazioni decisamente pacifiche.

La madre di Al-Tamimi ha detto all’Associated Press che le forze israeliane hanno sparato a suo figlio “a bruciapelo”, aggiungendo che c’è un video che mostra un soldato israeliano che apre la porta della jeep militare, uccide suo figlio e se ne va.

Le sue accuse sembrano essere confermate dalle conclusioni della DCIP, che affermano che Al-Tamimi è stato colpito da una distanza di circa 3 metri al massimo da un soldato su una jeep militare.

L’esercito israeliano ha detto a Haaretz [quotidiano israeliano, ndtr.] che i soldati “hanno individuato un palestinese sospetto che stava lanciando pietre e minacciando la vita di uno dei soldati. Il soldato ha applicato le regole d’ingaggio ed ha sparato al sospettato.”

Le forze israeliane uccidono abitualmente in modo illegale minori israeliani impunemente, ricorrendo intenzionalmente ad armi letali in circostanze non giustificate dal diritto internazionale”, ha detto Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma di responsabilizzazione della DCIP, in risposta all’uccisione di al-Tamimi.

L’uso eccessivo della forza è la norma e la sistematica impunità garantisce che i minori palestinesi che vivono sotto occupazione israeliana possano essere uccisi in qualunque momento senza che vi siano ricorsi o attribuzioni di responsabilità.”

L’uccisione di al-Tamimi e Mhareb hanno portato a 11 il totale dei giovani palestinesi morti per il fuoco israeliano in Cisgiordania da gennaio. Includendo i 66 minori uccisi durante l’attacco israeliano a Gaza di maggio, il numero totale dei giovani palestinesi uccisi dalle forze israeliane nel 2021 è ad oggi di 77.

Il terzo palestinese ucciso in una settimana

All’inizio della settimana scorsa un uomo palestinese è stato dichiarato morto mentre si trovava sotto custodia israeliana nel centro di detenzione di Moscovia a Gerusalemme est – un centro famigerato tra i palestinesi per le crudeli modalità israeliane di interrogatorio e tortura.

Il 43enne Abd Yusuf al-Khatib al-Tamimi, di Gerusalemme est, è stato trovato morto mercoledì nella sua cella. Secondo il Servizio Carcerario Israeliano (IPS) è stato trovato senza coscienza nella sua cella dagli agenti, che poi hanno tentato inutilmente di rianimarlo.

Secondo Haaretz, al-Tamimi era stato arrestato tre giorni prima dalle forze israeliane per “infrazioni stradali”.

Haaretz ha riferito che l’IPS ha detto che indagherà sulla morte di al-Tamimi, ma ha suggerito che la sua morte potrebbe essere la conseguenza di preesistenti condizioni di salute.

La famiglia di al-Tamimi pare abbia negato che avesse malattie pregresse ed ha rifiutato la versione degli avvenimenti dell’IPS, citando “testimonianze di altri prigionieri, secondo cui al-Tamimi è stato aggredito o sottoposto a pressioni fisiche o mentali”, ha detto Haaretz.

Non sappiamo esattamente come sia morto…ma dei detenuti hanno chiamato i familiari dal carcere e hanno detto loro che era stato picchiato e vi erano state delle grida”, ha detto a Times of Israel Khaldoun Najm, legale della famiglia.

La famiglia pare abbia chiesto che un medico fosse presente all’autopsia di al-Tamimi. I risultati dell’autopsia non sono stati resi pubblici.

Yumna Patel è la corrispondente per la Palestina di Mondoweiss

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




L’attivista israeliana che ha schiaffeggiato l’accusatore di Ahed Tamimi vuole un processo politico

Oren Ziv

14 gennaio 2019, +972

Yifat Doron afferma di aver schiaffeggiato il procuratore militare israeliano per difendere la sua amica. “Noi non veniamo puniti nello stesso modo dei palestinesi per aver commesso le stesse azioni.”

Pochi minuti prima che un tribunale militare israeliano condannasse la giovane Ahed Tamimi a otto mesi di carcere, un’attivista israeliana, Yifat Doron, si è avvicinata al procuratore militare, gli ha gridato: “Chi sei tu per giudicarla?” e ha dato uno schiaffo in testa al tenente colonnello.

Doron è stata rilasciata sulla parola solo due giorni dopo essere stata arrestata per aver schiaffeggiato il procuratore nel marzo dello scorso anno. A Tamimi non è stata concessa la libertà su cauzione per quattro mesi in attesa del processo, avendo anche lei schiaffeggiato un soldato israeliano qualche mese prima.

Ahed è palestinese. Yifat è israeliana. Ahed è stata giudicata dal sistema giudiziario militare israeliano. Yifat – nonostante avesse preso a schiaffi un ufficiale militare nella Cisgiordania occupata, proprio come Ahed – è stata processata in un tribunale civile all’interno di Israele.

Quando Israele occupò la Cisgiordania nel 1967 applicò sul territorio la legge militare. Tecnicamente, nel territorio occupato la legge militare ed il sistema giudiziario militare hanno giurisdizione ugualmente su palestinesi ed israeliani. Nella pratica, un palestinese ed un israeliano che commettano lo stesso identico reato nello stesso identico territorio sono soggetti a leggi differenti, a procedure giudiziarie differenti, vengono processati in tribunali differenti e godono di diritti e tutele differenti.

A differenza dello schiaffo di Ahed, che ha occupato i titoli dei giornali in tutto il mondo e a quanto pare ha messo in imbarazzo il sistema militare e l’orgoglio nazionale di Israele, non vi è stata una documentazione filmata del gesto di Doron.

Il suo processo, per aver aggredito un pubblico ufficiale in circostanze aggravate, è iniziato giovedì scorso presso la pretura di Gerusalemme. Il pubblico ministero chiede che venga incarcerata.

La scorsa settimana, fuori dall’aula a Gerusalemme, Doron ha detto che non intendeva fare una dichiarazione politica quando ha preso a schiaffi l’ufficiale israeliano l’anno scorso. “Per come la vedo io, è stata una reazione al fatto di vedere la mia amica in difficoltà.” Comunque, ha aggiunto, ciò che è seguito è stato un esempio di apartheid.

Noi non veniamo puniti nello stesso modo in cui vengono puniti i palestinesi per le stesse azioni”, ha spiegato.

Doron si rappresenta da sola al processo.

Poiché l’arresto è avvenuto in un contesto politico, non mi interessa entrare in qualunque genere di argomentazioni giuridiche”, ha detto a proposito della sua decisione di rinunciare all’avvocato. “Rappresenterò me stessa sul piano politico – mi intendo di politica.”

Il sistema giudiziario è uno degli strumenti principali usati da Israele per opprimere i palestinesi, ha aggiunto Doron, e spera di impostare il processo su questo. In particolare, spera di far luce sul diverso modo in cui sono trattati palestinesi e israeliani nei due separati sistemi giudiziari.

Doron ha detto che non si opporrà alla richiesta della procura di incarcerarla. “Ci sono persone che accettano pacificamente il carcere, come molti dei miei amici palestinesi, che fanno quotidianamente esperienza della realtà del carcere, sia personalmente che attraverso i propri cari.” Il carcere fa semplicemente parte della loro vita, spiega.

Negli ultimi anni Doron ha visitato il villaggio palestinese di Nabi Saleh quasi ogni settimana. Ha partecipato alle periodiche manifestazioni del villaggio contro l’occupazione ed è stata presente ai funerali degli abitanti palestinesi uccisi dalle forze israeliane per aver protestato contro l’espansione degli insediamenti illegali. Negli ultimi dieci anni, decine di persone di Nabi Saleh, compresi minori, sono state arrestate ed imprigionate per il loro coinvolgimento nelle manifestazioni settimanali del villaggio.

In definitiva, l’importante è sostanzialmente stare accanto ai miei amici”, conclude Doron.

La prossima udienza del suo processo si terrà a settembre – tra otto mesi. A differenza di Ahed, che è rimasta in prigione in attesa del processo, Doron rimarrà in libertà fino ad allora.

Una versione di questo articolo è stata pubblicata per la prima volta in ebraico su Local Call [Chiamata Locale, sito israeliano di notizie affiliato a +972, ndtr.].

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Forze israeliane uccidono il ventunenne Ezz al-Din Tamimi a Nabi Saleh

Redazione di MEE

Mercoledì 6 giugno 2018,  Middle East Eye

Mercoledì mattina soldati israeliani hanno sparato a distanza ravvicinata ed ucciso un ventunenne palestinese nel villaggio di Nabi Saleh, nella Cisgiordania occupata.

Ezz al-Din Abd al-Hafiz Tamimi è stato gravemente ferito quando soldati gli hanno sparato durante un’incursione nel villaggio, dove risiede la famiglia Tamimi, ed è molto conosciuto per la sua militanza contro l’occupazione israeliana.

Dopo che i soldati hanno fatto un’incursione nel villaggio alle 10 del mattino, gli abitanti hanno lanciato pietre contro le forze israeliane presenti sul posto.

Un portavoce dell’esercito israeliano ha detto a Middle East Eye che Tamimi è stato ucciso dopo che avrebbe colpito un soldato con una pietra.

Il soldato raggiunto dalla pietra ha sparato verso il palestinese, che è rimasto ferito e curato dalle truppe dell’IDF (esercito israeliano) sul posto,” ha detto il portavoce.

Egli ha aggiunto che nessun soldato è stato ferito nell’incidente.

L’attivista israeliano filo-palestinese Jonathan Pollak, che era a Nabi Saleh, ha detto a MEE che Tamimi è stato colpito con pallottole vere almeno due volte, compreso un proiettile che lo ha raggiunto dietro al collo ed è uscito dall’altra parte, mentre lui si trovava a 45 metri dai soldati.

Pollak partecipa alla campagna “Liberate i Tamimi”, a sostegno di Nabi Saleh e dei suoi abitanti.

Foto della maglietta insanguinata di Ezz al-Din Tamimi mostrano almeno due fori sul torace che sembrano confermare informazioni iniziali di testimoni oculari che sia stato colpito anche al petto.

Non è risultato subito chiaro se Tamimi sia morto sul posto o dopo che i soldati lo hanno portato via in un veicolo blindato.

Un video diffuso in streaming da un abitante di Nabi Saleh mostra una pozza di sangue nel luogo in cui Tamimi è stato colpito e circa una decina di soldati israeliani affollati intorno al giovane privo di sensi che in apparenza cercano di metterlo su una barella, mentre palestinesi li supplicano di portare Tamimi in ospedale per essere curato.

Riprese filmate da alcuni abitanti mostrano le forze israeliane sparare bombe assordanti approssimativamente in direzione della folla.

Il corpo di Tamimi è stato in seguito portato in un ospedale nella vicina città di Ramallah, da cui nel pomeriggio di mercoledì è partito un corteo funebre.

Bilal Tamimi, un abitante di Nabi Saleh, ha detto a MEE che molti nel villaggio credono che l’uccisione di Ezz al-Din sia stata “intenzionale”, in quanto per mesi l’esercito israeliano aveva cercato di catturare il giovane per la sua partecipazione alle manifestazioni e perché avrebbe tirato pietre.

Sono venuti varie volte a casa sua, hanno chiamato i suoi familiari, lo hanno minacciato e hanno detto loro: ‘Lo uccideremo come abbiamo ucciso Ahmed Jarrar [palestinese accusato di aver sparato a un colono, ndt.],” ha detto Bilal Tamimi.

Nabi Saleh è stato a lungo al centro dell’attenzione per le sue manifestazioni contro la politica israeliana nei territori palestinesi occupati e in seguito a ciò è stato sotto una crescente pressione da parte delle forze israeliane, che regolarmente conducono incursioni nella zona.

Il villaggio ha assunto ulteriore rilievo dopo gli arresti della diciassettenne Ahed Tamimi e di sua madre, Nariman, che sono state condannate a otto mesi di carcere nelle prigioni israeliane dopo che Ahed ha schiaffeggiato un soldato israeliano e sua madre ha filmato e diffuso l’incidente.

In gennaio un altro membro della famiglia Tamimi, il sedicenne Musaab, è morto nel vicino villaggio di Deir Nidham dopo essere stato anche lui colpito dalle forze israeliane al collo.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Promemoria al “New York Times”: andate al villaggio di Ahed Tamimi in Palestina e dite la verità

Mondoweiss

22 marzo 2018

A: David Halbfinger, capo della redazione di Gerusalemme del New York Times

Ahed Tamimi, che ha solo diciassette anni, è ormai una dei palestinesi più noti di sempre, ma i lettori del tuo “New York Times” sono ancora all’oscuro di tutto. Hai scritto solo due articoli su di lei: il primo, un testo relativamente lungo a dicembre, era un resoconto con una “narrazione a confronto” su come palestinesi ed israeliani interpretano in modo diverso la sua resistenza all’occupazione. (Il tuo secondo articolo, oggi, è solo una sintesi su come un tribunale militare israeliano l’ha condannata a 8 mesi di reclusione. Il resoconto di oggi non è neanche incluso nell’edizione cartacea del “Times”).

Basta con le “narrazioni a confronto”. Vai al suo villaggio nella Palestina occupata, Nabi Saleh, e racconta qualche fatto. Finora tutto quello che hai avuto da dire nel tuo primo articolo è stato che i Tamimi vivono in “un piccolo villaggio” che ha “da molto tempo un contenzioso con un vicino insediamento israeliano, Halamish, che secondo gli abitanti di Nabi Saleh avrebbe rubato la loro terra e la loro acqua.”

Un momento. Restiamo ai fatti. Verifica se gli abitanti di Nabi Saleh hanno ragione. Ben Ehrenreich, che nel 2013 ha pubblicato un lungo articolo sulla vostra rivista a proposito del villaggio, ha già fornito qualche precedente. Alla fine degli anni ’70 Israele si è impossessato di più di 60 ettari delle terre di Nabi Saleh, apparentemente per “ragioni militari”, ma poi li ha dati a coloni ebrei. Negli anni seguenti Israele ha rubato altra terra palestinese nella zona, come racconta Ehrenreich nel suo eccellente libro “The Way to the Spring: Life and Death in Palestine” [La via per la sorgente: vita e morte in Palestina]. In base alle leggi internazionali l’esproprio di terre è illegale, come riconosce ogni altro Paese al mondo, tranne Israele. In seguito i coloni ebrei hanno confiscato una sorgente d’acqua palestinese, chiamata “Sorgente dell’Arco”, ed hanno costruito vicino a questa uno stagno per i pesci. I palestinesi hanno di nuovo protestato. Anni dopo, spiega Ehrenreich, “i coloni hanno retroattivamente fatto richiesta per avere una licenza edilizia, che le autorità israeliane hanno rifiutato di concedere, sentenziando che “i richiedenti non hanno dimostrato i loro diritti sulla terra in questione.” Così ora i coloni non stanno sfidando solo le leggi internazionali, ma le loro stesse autorità. Eppure in qualche modo continuano a controllare la sorgente. Scopri perché.

Potresti anche fare un resoconto intervistando sia i coloni israeliani che i palestinesi della zona. Noi di “Mondoweiss” abbiamo scoperto che i coloni ebrei sono piuttosto disponibili a parlare apertamente e in modo aggressivo, per cui non censurare il loro estremismo. I coloni ebrei fanno vendere più copie e possiamo garantire che le loro colorite citazioni attireranno lettori per il tuo articolo.

Poi comincia a indagare sul livello di violenza nella zona, e chi ne è responsabile. Fai pure, racconta che alcuni giovani palestinesi lanciano pietre contro l’esercito israeliano (anche se dovresti sottolineare che neppure un solo soldato israeliano è mai stato ucciso da chi lancia pietre). Ma dovresti anche verificare quanti palestinesi di Nabi Saleh sono stati uccisi o seriamente feriti durante anni di manifestazioni per lo più non violente. Lo zio materno di Ahed Tamimi, Rushdie, è stato ucciso da proiettili letali e sua madre, Nariman, è stata colpita a una gamba e per un anno ha dovuto usare un bastone.

Non ti sarà difficile fare interviste a palestinesi di Nabi Saleh. A quanto pare Ben Ehrenreich non ha avuto problemi a trovare abitanti che parlassero con lui. Anche il fondatore di “Mondoweiss”, Phil Weiss, ha visitato il villaggio, ed ha scoperto che Bassem Tamimi, il padre di Ahed, parla un inglese fluente ed è ospitale.

Dovresti anche parlare con i soldati di leva israeliani che sono lì. Come i coloni, anche loro possono fornirti citazioni senza peli sulla lingua. Ma poi contatta “Breaking the Silence”, la coraggiosa organizzazione dei veterani israeliani contro l’occupazione. Forse qualcuno di loro è stato distaccato a Nabi Saleh e può dirti quello che sta dietro alla vicenda. E non dimenticare di verificare a B’Tselem, la famosa organizzazione per i diritti umani israeliana. A quanto pare alcuni dei tuoi predecessori del “New York Times” hanno avuto dei problemi a trovarli.

Infine dovresti cercare di intervistare la stessa Ahed Tamimi. Lei a quanto pare rimarrà in prigione fino a luglio, e Israele ovviamente cercherà di zittirla. Ma il “New York Times” è un’istituzione potente e potresti almeno chiedere.

Potrai sicuramente parlare con i membri della sua famiglia che non sono in prigione. Permettici di ricordarti che non hai citato neppure uno dei Tamimi in nessuno dei tuoi articoli. Dovresti iniziare dando loro la possibilità di rispondere a quell’affermazione che hai inserito nel tuo primo articolo di dicembre: “Che la sua famiglia sembri incoraggiare i rischiosi scontri dei figli con i soldati offende alcuni palestinesi e fa infuriare molti israeliani.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




La sorgente del conflitto

Ben Ehrenreich, The Way to the Spring: Life and Death in Palestine, Penguin Press, 2016.

Amedeo Rossi

Sono ottimista perché persino nella loro disperazione, senza nessun motivo di speranza, le persone continuano a resistere. Non posso pensare a molte altre ragioni per essere orgoglioso come essere umano, ma questa è sufficiente.”

 Così Ben Ehrenreich, figlio della famosa sociologa americana Barbara Ehrenreich e a cui il libro è dedicato, conclude il prologo a questo libro, che raccoglie le sue esperienze nei molteplici viaggi in Palestina dal 2011 al 2014 per alcune riviste statunitensi. Nei suoi racconti in effetti i motivi di speranza sono pochi, tante sono le ingiustizie ed i soprusi a cui ha assistito e che racconta. E sono molte le persone, i luoghi, le vicende, tanto che l’autore ha inserito all’inizio del volume un elenco di “personaggi ed interpreti” e una loro sintetica scheda per ognuno dei principali luoghi visitati, anche più volte nel corso degli anni. Per ragioni di spazio mi limiterò a citare solo quelli più presenti.

La sorgente del titolo è sia una vera e propria fonte d’acqua che una metafora della situazione nei territori palestinesi occupati. Si tratta di Ein al-Qaws, una fonte del villaggio palestinese di Nabi Saleh, di cui si è impossessata una colonia israeliana dei dintorni. Ma il riferimento alla sorgente del titolo è anche un richiamo più generale all’occupazione israeliana dei territori palestinesi ed alla conseguente appropriazione di terre e risorse.

Proprio le vicende di Nabi Saleh e della famiglia Tamimi, che l’ha spesso ospitato, occupano una parte rilevante del libro. Tutti i venerdì ci sono manifestazioni di protesta degli abitanti del villaggio, che si dirigono verso la sorgente, finché non vengono respinti dai soldati israeliani. Gli scontri hanno spesso avuto esiti drammatici, con vari morti, molti feriti, molti arresti.

La famiglia Tamimi è tra le più attive nella resistenza non armata. Alla fine del 2017 è divenuta suo malgrado ancora più famosa a causa dell’incarcerazione, insieme alla madre e ad una cugina, di una delle figlie, la sedicenne Ahed, per aver schiaffeggiato due soldati dopo che suo cugino era stato gravemente ferito alla testa da un proiettile di gomma. Ahed rischia una condanna a 10 anni. A proposito del protagonismo dei minorenni, Ehrenreich racconta che, quando qualche straniero chiede conto agli abitanti del villaggio della presenza dei figli alle manifestazioni, la risposta degli adulti è tragicamente realistica: L’esperienza ha dimostrato che non ci sono luoghi sicuri in cui nascondere i figli, e partecipando alle manifestazioni i bambini hanno imparato a superare la loro paura e a vedere se stessi come qualcosa di diverso da vittime passive.

La famiglia Tamimi è spesso presente nel libro sia per il rapporto di amicizia che si è instaurato con l’autore, sia per il protagonismo della resistenza popolare di Nabi Saleh contro l’occupazione e i molti episodi drammatici che l’hanno segnata. Ma ci sono anche le descrizioni della tragica situazione di Hebron, che l’autore presenta con una lista di cose che i palestinesi del luogo considerano normali, tra cui: “Venire presi di mira da armi da fuoco, da lanci di pietre e di bottiglie molotov contro la propria casa; soldati che sparano lacrimogeni contro gli scolari per segnare l’inizio e la fine delle lezioni; essere arrestati, interrogati per ore e rilasciati senza imputazioni né scuse; avere un soldato con un fucile automatico piazzato tutto il tempo proprio dietro o davanti a casa; ecc.” La presenza di qualche centinaio di coloni fondamentalisti nazional-religiosi che hanno occupato alcune case nel centro storico della città condiziona la vita dei 200.000 abitanti palestinesi anche nei minimi dettagli della vita quotidiana. L’autore vi incontra un altro dei dirigenti più noti della resistenza popolare all’occupazione, Issa Amro, il leader dello YAS (Giovani contro l’Occupazione), e si trova ad affrontare insieme a questo gruppo di palestinesi le provocazioni dei coloni e la repressione dei soldati.Altrettanto difficile è la vita dei beduini di Umm al-Kheir, un villaggio più volte distrutto e sempre tenacemente ricostruito dai pastori che vi abitano, accampati in tende e costruzioni precarie, sempre minacciati dagli interventi dell’esercito e dagli abitanti della colonia di Carmel che vogliono impossessarsi delle loro terre. Due di questi hanno presentato una richiesta di danni (più di 20.000 €!!) e di demolizione contro il rudimentale forno utilizzato dai beduini per cuocere il pane, sostenendo che il suo fumo danneggia la loro salute e quella dei loro figli: “Lo chiamiamo il forno di Chernobyl”, racconta uno dei palestinesi a Ehrenreich, che commenta: “Principalmente il fumo del forno puzzava di altre persone, altri che i coloni non potevano capire e neanche lo volevano, e che semplicemente si rifiutavano – cocciutamente e con una testardaggine che doveva risultare esasperante – di morire o di andarsene.” Un’altra vicenda emblematica che evidenzia l’approccio che i coloni, e gli ebrei israeliani in generale, hanno nei confronti della presenza dei palestinesi.

Quando Ehrenreich dopo qualche tempo è tornato nel villaggio, sempre più misero, l’esercito israeliano aveva distrutto per tre volte il forno e gli abitanti l’avevano sempre ricostruito. Camminando con il giornalista, Eid, uno dei beduini, “ha detto qualcosa a proposito dell’importanza di non perdere la speranza. Gli ho chiesto come farlo. ‘Abbiamo solo quest’unica vita’ ha detto Eid. “Ed è sacra [] non dobbiamo sprecarla.” Una riflessione che segna ancor più la distanza dai coloni, che dedicano la propria vita a rendere invivibile quella degli altri. Al contempo questa riflessione ben rappresenta un’altra forma di resistenza dei palestinesi, il sumud, la sopportazione e la resistenza passiva, perché non andarsene nonostante tutto è la principale forma di protesta contro la pulizia etnica che è il principale obiettivo dell’occupazione.

Insieme agli avvenimenti a cui ha assistito personalmente, l’autore cita il contesto politico e diplomatico in cui essi si inseriscono: i viaggi del segretario di Stato John Kerry e i tentativi falliti di riannodare i cosiddetti “colloqui di pace, le vicende della politica interna israeliana e di quella palestinese, la situazione in Medio Oriente.

Non mancano i riferimenti critici nei confronti dei dirigenti palestinesi, di Hamas e soprattutto dell’ANP. È particolarmente significativo il capitolo dedicato a Rawabi, una città di cinquemila appartamenti e con i relativi servizi in via di costruzione nei pressi di Ramallah. Bassem Tamini la descrive come “Una nuova città palestinese. Come una colonia.” Ma, spiega Ehrenreich, la parentela non è solo estetica. La mega-speculazione edilizia, destinata ad ospitare la nuova classe media fiorita all’ombra dell’ANP, coinvolge l’ex-primo ministro palestinese Fayyad, un tecnocrate molto amato a Washington, una società finanziaria pubblica, AMAL, come garante degli investimenti, una società privata statunitense nel cui consiglio di amministrazione siedono molti ex-politici di amministrazioni sia repubblicane che democratiche, il governo del Qatar e personalità israeliane legate all’esercito e all’occupazione. L’autore spiega: “Quando inizi a mettere insieme le varie istituzioni coinvolte in Rawabi, o con qualunque altro importante progetto di sviluppo in Cisgiordania, cominciano a saltar fuori gli stessi gruppi o individui, la seducente opacità di società tra presunti nemici.

Al di là delle esperienze di vita raccontate, questo libro è ricco di spunti e suscita nel lettore indignazione, ma anche molte riflessioni su come e perché tutto ciò sia possibile senza che la comunità internazionale intervenga. In ex ergo al prologo l’autore cita una frase dello scrittore ed intellettuale libanese Elias Khoury: “Sono spaventato da una storia che ha un’unica versione. La storia ha decine di versioni, e perciò cristallizzarla in una sola non può che portare alla morte.” Le vicende che Ehrenreich racconta sono molte e diverse tra loro, alcune seguite dall’autore nel corso degli anni. Ma la visione complessiva che se ne ricava non può che essere una durissima critica delle politiche israeliane di occupazione e di colonizzazione. La “storia con un’unica versione” è quella continuamente ripetuta dalla propaganda israeliana e dai mezzi di comunicazione che se ne fanno portavoce. Una narrazione che questo libro contribuisce a smentire.