Biden avrebbe dovuto rinunciare a causa di Gaza, ma la sua uscita di scena potrebbe essere un punto di svolta

Prem Thakker

21 luglio 2024 – The Intercept

Kamala Harris è meno gravata dal disastroso appoggio di Biden alla guerra di Israele, suscitando qualche speranza nei sostenitori dei palestinesi.

Domenica, alla vigilia della visita del primo ministro Benjamin Netanyahu negli Stati Uniti, il presidente Joe Biden ha annunciato che non correrà per la rielezione nel 2024.

Mentre l’annuncio potrebbe aver dissipato le preoccupazioni generali che circondavano la capacità di governare del candidato democratico, soprattutto rispetto al candidato repubblicano Donald Trump, aleggia ancora in modo consistente sulla campagna elettorale la questione che ha provocato proteste di massa contro il candidato democratico: il sostegno pressoché incondizionato di Biden alla guerra di Israele contro Gaza.

Durante tutti i bombardamenti israeliani contro Gaza Biden ha tenuto un atteggiamento sostanzialmente deferente e solidale. Ora alcuni vedono la sua rinuncia come una possibilità per rivedere la politica USA verso Israele.

L’ex-incaricato politico di Biden per il ministero dell’Educazione Tariq Habash, che ha dato le dimissioni a gennaio per protesta contro la politica di Biden nella guerra di Gaza, nota che una parte significativa della base è già disillusa da Biden a causa della sua ritrosia nell’applicare le leggi statunitensi e nel chiamare Israele a rispondere delle violazioni delle leggi umanitarie internazionali. La decisione di Biden giunge anche solo due giorni dopo che la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che l’occupazione israeliana della Palestina rappresenta una forma illegittima di apartheid.

“Chiunque sostituisca il presidente nella candidatura deve dimostrare agli elettori che ci sarà un sostanziale cambiamento di politica che ponga fine alla disumanizzazione dei palestinesi e sostenga i diritti umani dei palestinesi, le leggi internazionali e la pace,” ha detto Habash.

“Ovviamente sia i democratici che i repubblicani devono percorrere un lungo cammino,” ha aggiunto. “La visita di Netanyahu questa settimana è emblematica di questo, come lo è il rifiuto del presidente Biden di attenersi alla sua linea rossa, di applicare la [legge] Leahy [legge che proibisce di fornire assistenza a Stati che violano i diritti umani, ndtr.] o quella sull’Assistenza all’Estero [che vieta di fornire assistenza a Paesi che violano i diritti umani, ndt.], di raggiungere un cessate il fuoco permanente o il ritorno degli ostaggi palestinesi e israeliani.”

Molti critici hanno notato che la posizione di Biden sulla guerra di Israele ha rivelato segnali preoccupanti sulla sua capacità di governo e duttilità molto prima del fatidico dibattito [con Donald Trump] di giugno.”

“Non è stato il fallimento del dibattito di Biden a mostrare che non è adatto a governare. Sono state le decine di migliaia di bombe che ha spedito per uccidere le famiglie palestinesi,” ha affermato in un comunicato la U.S. Campaign for Palestinian Rights [Campagna USA per i Diritti dei Palestinesi]. “Il rifiuto di Biden di rispettare le leggi internazionali o di applicare le leggi USA ha aggravato l’illegale occupazione militare israeliana. Venerdì l’ultimo parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia ha affermato che ogni Stato ha l’obbligo legale ‘di non fornire aiuto o assistenza alla perpetuazione della situazione creata dal rifiuto israeliano di rispettare i diritti dei palestinesi.”

Riley Livermore, maggiore dell’aeronautica militare, che quando ha dato le dimissioni a giugno ha affermato che l’amministrazione Biden “è complice di genocidio”, sostiene che, indipendentemente da chi sostituirà Biden, l’attuale contingenza presenta la possibilità di un punto di svolta nella politica statunitense riguardo alla guerra di Israele.

“Ciò detto, Biden non si è ritirato a causa delle pressioni su quanto è stata brutale la sua politica a Gaza. Dal mio punto di vista il genocidio in corso a Gaza ha avuto un impatto da minimo a nullo sulle pressioni perché rinunciasse. Sono ancora sconfortato dal fatto che al partito Democratico non importi dei palestinesi e continui ad offrire un sostegno incondizionato a Israele,” dice Livermore a The Intercept, ripetendo di aver dato le dimissioni a causa delle politiche di Biden su Gaza, non per la sua età.

Un importante consigliere democratico ha detto a The Intercept di essere stato molto preoccupato del procedimento affrettato per rimpiazzare il candidato, e che questo non ha avuto molto a che fare riguardo a come il sostegno di Biden a una guerra che a Gaza ha ucciso 15.000 minori possa aver irreparabilmente danneggiato le sue possibilità tra segmenti fondamentali dell’elettorato: “Il Paese ha bisogno di ascoltare un candidato contrario alla guerra che veda i palestinesi come esseri umani,” afferma. “È importante che il nostro prossimo candidato sia scelto attraverso un processo democratico in una convention aperta.”

Biden, molti rappresentanti eletti e assemblee di partito hanno già reso noto il loro sostegno alla vicepresidente Kamala Harris perché guidi il binomio democratico a novembre. E ci sono stati segnali che lei potrebbe allontanarsi dal sostegno incondizionato di Biden alla campagna militare israeliana a Gaza.

Alla fine dello scorso anno Harris avrebbe sollecitato la Casa Bianca ad essere più sensibile verso le sofferenze dei palestinesi e più decisa contro Netanyahu per cercare una pace a lungo termine. A marzo a Selma, Alabama, Harris ha fatto un discorso chiedendo con forza un “immediato cessate il fuoco” e sollecitando Israele a fare di più per incrementare il flusso di aiuti a Gaza. “Non ci sono scusanti,” ha insistito. Mentre sembrava che il discorso segnasse un cambiamento nella posizione dell’amministrazione sulla guerra, sono emerse alcune informazioni secondo cui funzionari del Consiglio per la Sicurezza Nazionale avevano edulcorato parti del suo intervento.

“Dobbiamo avere un obiettivo su cui iniziare a lavorare subito, per la pace e misure di sicurezza uguali per israeliani e palestinesi.” In seguito, sempre a marzo, Harris ha detto: “I palestinesi hanno il diritto all’autodeterminazione, alla dignità e dovremmo lavorare su questo.”

Queste notizie non sono passate inosservate alle persone che sperano in un cambiamento nella politica USA.

Livermore dice di essere fiducioso che se Harris diventerà il prossimo presidente coglierà l’opportunità per cambiare drasticamente la posizione statunitense verso Israele. “Harris ha l’alternativa tra ascoltare la sua umanità e la volontà della stragrande maggioranza del popolo americano o dare retta ai donatori e a particolari gruppi di interesse, continuando a rendere il genocidio parte del suo programma e così facendo a delegittimare gli Stati Uniti sul piano internazionale.”

“Dirigenti come me ed altri leader religiosi afroamericani che hanno firmato lettere aperte per fare pressione su Biden affinché chieda un cessate il fuoco permanente a Gaza pensano che, se candidata, Harris sarebbe molto più solidale con la causa palestinese,” ha affermato in una dichiarazione il reverendo Michael McBride, pastore e fondatore del Black Church PAC [Comitato delle Chiese Afroamericane]. “Ciò potrebbe contribuire a rivitalizzare una parte della base decisamente dubbiosa sul voto a Biden.”

Anche Waleed Shahid, cofondatore del Uncommitted National Movement [Movimento Nazionale Non Impegnato], che ha raccolto oltre 700.000 persone in tutto il Paese che hanno espresso voti di protesta contro l’appoggio incondizionato di Biden a Israele, ha notato una maggiore disponibilità dei dissenzienti nei confronti di Harris.

“Anche se non è affatto un’esponente della causa [palestinese], ho sentito molte persone notare che la vicepresidente Harris ha manifestato una reazione emotiva profondamente diversa verso le storie delle sofferenze dei palestinesi rispetto al presidente Biden,” ha affermato in una dichiarazione. “Mentre la vicepresidenza ha poteri limitati, molti ritengono che lei rappresenterebbe un miglioramento rispetto alla gravissima mancanza di empatia di Biden per i palestinesi e ai suoi legami con la vecchia guardia dell’AIPAC [principale associazione della lobby filo-israeliana negli USA, ndt.] all’interno del partito. Tuttavia scontrarsi con il potere dell’AIPAC nell’establishment del partito Democratico rimane un arduo compito indipendentemente da chi sia il candidato.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Un mostruoso progetto di frode e autoinganno; quello che agli israeliani sfugge sugli insediamenti

Iris Leal

22 luglio 2024 – Haaretz/Opinioni

Mercoledì scorso ero a Kfar Tapuah, un insediamento coloniale nella Samaria [Giudea e Samaria sono i nomi usati da Israele per indicare la Cisgiordania, ndt.]. Il sole picchiava e una giovane donna, che spende i suoi giorni a tormentare i palestinesi rendendo la loro vita un inferno, passava tra due roulotte con un aspetto sciatto e trasandato.

Prima che partissimo da lì tre giovani hanno notato il nome Majdi sul nostro minibus, ci hanno inseguito, hanno picchiato sul cofano del motore e hanno preteso, davanti all’autista terrorizzato, di sapere perché a un arabo fosse stato permesso di entrare nella loro comunità.

Così giovani, eppure erano già esperti su come effettuare una profilazione razziale. Questa è l’immagine che ho portato con me da questo tour giornalistico organizzato dalla Geneve Iniziative [istituzione internazionale nata dall’Accordo di Ginevra tra Israeliani e Palestinesi elaborato nei 2003 a Ginevra, ndt.], una donna e alcuni giovani che immaginano di vivere in un mondo in cui possono impossessarsi della terra e tenersela senza impedimenti, perché i loro rappresentanti parlamentari esercitano un potere inimmaginabile.

Questo è il movimento di insediamento coloniale di cui parlano Bezalel Smotrich e Orit Strock di Sionismo Religioso, questo è il volto del “miracolo”. Non solo blocchi di insediamenti, ma anche alcune roulotte a Kfar Tapuah ed Evyatar che hanno come fine ultimo leliminazione di ogni possibilità di risolvere il conflitto con mezzi pacifici.

Oltre ad essere un progetto di rapina le colonie sono anche un enorme progetto di frode e autoinganno, che tutto Israele ha felicemente abbracciato. Neanche 24 ore dopo la Knesset  avrebbe adottato una risoluzione secondo la quale “La Knesset israeliana si oppone totalmente alla creazione di uno Stato palestinese a ovest del fiume Giordano”.

Un gruppo di persone ricche di fantasia che credono che dopo decenni di sanguinosa lotta nazionale palestinese saranno in grado di convincere milioni di persone ad essere sudditi nelle proprie terre, una terra che non hanno mai smesso di considerare come la loro patria. Zeev Elkin ha twittato, come uno sposo la prima notte di nozze, che la creazione di uno Stato palestinese nel cuore del Paese farebbe sì che il conflitto non abbia fine, al che mi sono chiesta: ma quale allucinogeno si è fumato?

Nel corso degli anni del suo governo Benjamin Netanyahu ha gestito il conflitto partendo dal falso presupposto che lesistenza dei palestinesi potesse essere cancellata dalla memoria, in Israele e allestero, ignorando la loro richiesta di uno Stato proprio. Riguardo agli Accordi di Abramo [accordi di normalizzazione tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein del 13 agosto 2020,ndt.] ha detto con soddisfazione che sono la testimonianza di pace in cambio di pace e non di terra in cambio di pace.

Il 7 ottobre è stata una terribile dimostrazione del suo errore, e la consapevolezza mondiale della grave situazione dei palestinesi e della necessità fondamentale di una soluzione diplomatica non è mai stata così forte. Ma invece di correggere lerrore la Knesset lo ha scolpito nella pietra.

Il che ci porta alla sentenza di venerdì della Corte Internazionale di Giustizia. Per batterla sul tempo Smotrich ha annunciato che quella Corte è un’istituzione politica e antisemita, e che “noi traiamo la fonte del nostro diritto su tutte le parti della terra d’Israele dalla promessa divina”.

I giudici della corte mondiale sono rimasti meno impressionati dalla promessa divina e più dalla realtà, e hanno stabilito che la presenza israeliana in Cisgiordania e a Gerusalemme Est è illegale; che le azioni che Israele porta avanti in questi territori, compresa la costruzione di insediamenti coloniali e la loro espansione, equivalgono allannessione di ampie aree del territorio palestinese; che Israele non riesce a prevenire la violenza dei coloni contro i palestinesi e a punire i colpevoli; che sequestra la terra per l’insediamento dei coloni; e, cosa ancora più vergognosa, che Israele sta attuando un sistema di segregazione razziale tale da configurarsi probabilmente come regime di apartheid.

La risposta alla sentenza da parte di esponenti del sionismo religioso è stata unanime: “La risposta all’Aja – supremazia subito“. Netanyahu ha annunciato che nessuna nazione può essere considerata forza di occupazione nel proprio territorio, mentre il leader dellopposizione Yair Lapid ha affermato che la sentenza è lontana dalla realtà e viziata da antisemitismo.

Da Smotrich a Lapid, dalla destra messianica al centrosinistra, tutti scelgono di negare loccupazione e il fatto che essa sia la questione decisiva delle nostre vite.

I leader ciechi e codardi, che hanno lasciato la sinistra radicale a trattare con la realtà, continueranno a reprimere lespressione della parola apartheid. Ma tutti, su entrambi i lati della Linea Verde [linea di demarcazione stabilita negli accordi d’armistizio arabo-israeliani del 1949, ndt.] che Israele ha cancellato, sentiranno presto le conseguenze della sentenza dellAia. Il gioco è finito.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele vuole riscrivere le leggi della guerra

Neve Gordon

15 luglio 2024 – Al Jazeera

Se il mondo accetta il modo in cui Israele ora interpreta il principio di proporzionalità, allora il genocidio finirà per essere giustificato.

La maggior parte delle persone probabilmente non lo sa, ma Wikipedia ha una pagina intitolataElenco degli omicidi israeliani”. Inizia nel luglio 1956 e si estende per oltre 68 anni fino ad oggi. La maggioranza sulla lista è palestinese; tra loro ci sono famosi leader palestinesi tra cui Ghassan Kanafani del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina; Khalil Ibrahim al-Wazir di Fatah – noto anche come Abu Jihad; Sheikh Ahmed Yassin di Hamas e Fathi Shaqaqi della Jihad islamica palestinese.

Osservando il lungo elenco è impossibile non notare che il numero degli omicidi e degli attentati compiuti da Israele nel corso degli anni è aumentato in modo esponenziale: da 14 negli anni 70 a ben oltre 150 nel primo decennio del nuovo millennio e 24 dal gennaio 2020.

Mi sono ricordato di questo elenco quando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha convocato il 13 luglio una conferenza stampa per celebrare il tentativo di Israele di uccidere il comandante militare di Hamas Mohammed Deif a Gaza. Aerei da combattimento e droni israeliani avevano appena colpito il campo di al-Mawasi, che ora ospita circa 80.000 palestinesi sfollati che vivono in tende densamente popolate.

Nel giro di pochi minuti di bombardamento i piloti hanno massacrato almeno 90 palestinesi, tra cui decine di donne e minori, ferendo altre 300 persone. Tutto ciò è avvenuto in unarea che Israele aveva precedentemente designato come zona sicura”. Mentre immagini raccapriccianti di cadaveri carbonizzati e fatti a pezzi riempivano i social media, sono emerse notizie secondo cui Israele ha utilizzato diverse bombe telecomandate da mezza tonnellata prodotte negli Stati Uniti.

Nella sua conferenza stampa presso la sede del Ministero della Difesa a Tel Aviv, poche ore dopo questo bagno di sangue, Netanyahu ha ammesso di non essere assolutamente certo” che Deif fosse stato ucciso, ma ha sostenuto che è proprio il tentativo di assassinare i comandanti di Hamas trasmette un messaggio al mondo, che i giorni di Hamas sono contati”.

Eppure anche una rapida lettura della Lista degli omicidi israeliani” rende chiaro che Netanyahu stava parlando con una lingua biforcuta. Sa fin troppo bene che lassassinio da parte di Israele dei leader politici di Hamas Sheik Yassin e Abdel Aziz al-Rantisi o dei leader militari Yahya Ayyash e Salah Shehade ha fatto ben poco per indebolire il movimento e potrebbe averne aumentato il seguito.

Semmai, anni e anni di omicidi israeliani dimostrano che servono principalmente ai leader israeliani per assecondare e mobilitare i propri elettori. La recente conferenza stampa di Netanyahu non fa eccezione.

Ma per quanto macabra sia la lista di Wikipedia, i nomi in essa contenuti raccontano solo una storia parziale. Questo perché non vi è incluso il numero di civili uccisi durante ogni tentativo di omicidio riuscito o fallito.

Ad esempio, lattacco del 13 luglio è stato lottavo attentato alla vita di Deif, ed è difficile calcolare il numero totale di civili che Israele ha ucciso nel tentativo di assassinarlo. Lelenco di Wikipedia tralascia di registrare come laumento degli omicidi abbia portato a un aumento esponenziale delle morti di civili.

Ciò si chiarisce se confrontiamo lattuale politica di assassinio di Israele con la sua politica durante la Seconda Intifada palestinese. Quando nel 2002 Israele assassinò il capo delle Brigate Qassam di Hamas, Salah Shehade, furono uccise 15 persone tra cui Shehade, sua moglie, la figlia di 15 anni e altri otto minori.

Dopo lattacco ci fu una protesta pubblica in Israele per la perdita di vite civili, con 27 piloti israeliani che firmarono una lettera rifiutandosi di effettuare missioni assassine su Gaza. Quasi un decennio dopo una commissione dinchiesta israeliana scoprì che, a causa di un errore nella raccolta di informazioni”, i comandanti non sapevano che in quel momento cerano dei civili presenti negli edifici adiacenti, e se lo avessero saputo avrebbero annullato lattacco.

I risultati della commissione sono in linea con le leggi sui conflitti armati, che consentono, o almeno tollerano, l’uccisione di civili che non partecipano direttamente alle ostilità purché tali uccisioni non siano “eccessive” rispetto all’utile militare “concreto e diretto” che il belligerante si aspetta di ottenere dallattacco.

Questa regola, nota come principio di proporzionalità, è concepita per garantire che i fini di unoperazione militare giustifichino i mezzi, soppesando il vantaggio militare previsto rispetto al danno civile che ci si aspetta.

Oggi, tuttavia, siamo lontani anni luce dalle conclusioni della commissione sia per quanto riguarda lo spettro di violenze che Israele ha adottato sia per le giustificazioni legali che ora fornisce.

In primo luogo, le forme di guerra israeliane sono cambiate radicalmente dal 2002. Secondo lorganizzazione israeliana Breaking the Silence, composta da veterani militari, due dottrine hanno guidato gli assalti israeliani a Gaza dal 2008. La prima è “nessuna perdita”, e stabilisce che, per proteggere i soldati israeliani, i civili palestinesi possano essere uccisi impunemente; la seconda dottrina raccomanda di attaccare intenzionalmente i siti civili per scoraggiare Hamas.

Non sorprende che queste dottrine abbiano portato a stragi di massa che, secondo le leggi sui conflitti armati, costituiscono crimini di guerra e crimini contro lumanità. Di conseguenza, gli avvocati militari israeliani hanno dovuto modificare la loro interpretazione delle leggi sui conflitti armati in modo da allinearsi alle nuove strategie di guerra.

Se ventanni fa luccisione di 14 civili durante lassassinio di un leader di Hamas era considerata sproporzionata e quindi un crimine di guerra dalla commissione dinchiesta israeliana, nelle prime settimane dopo il 7 ottobre i militari hanno deciso che per ogni giovane agente di Hamas fosse consentito uccidere fino a 15 o 20 civili. Se l’obiettivo è un alto funzionario di Hamas, i militari autorizzano l’uccisione di più di 100 civili per l’assassinio di un solo comandante”.

Ciò potrebbe sembrare vergognoso ma un ufficiale del Dipartimento di Diritto Internazionale dellesercito israeliano in unintervista del 2009 per il quotidiano Haaretz è stato molto schietto riguardo a tali cambiamenti: Il nostro obiettivo militare è quello di non limitare lesercito, ma di dargli gli strumenti per vincere in modo lecito”.

Anche lex capo del dipartimento, il colonnello Daniel Reisner, ha dichiarato pubblicamente che questa strategia è stata perseguita attraverso una revisione del diritto internazionale”.

Se si fa qualcosa per un tempo sufficientemente lungo, il mondo lo accetterà”, ha detto, Lintero diritto internazionale è ora basato sul concetto che un’azione oggi proibita diventa ammissibile se eseguita da un numero sufficiente di Paesi”.

In altre parole, il modo in cui calcoliamo la proporzionalità non è determinato a priori da qualche decreto morale, ma piuttosto dalle norme e dai costumi creati dai militari quando adottano forme di guerra nuove e molto spesso più letali.

Ancora una volta Netanyahu lo sa fin troppo bene. Ha dichiarato di aver approvato personalmente l’attacco ad al-Mawasi dopo aver ricevuto informazioni soddisfacenti sui potenziali danni collaterali” e sul tipo di munizioni da utilizzare.

Ciò che risulta chiaro è che, mentre Israele decima Gaza e uccide decine di migliaia di persone, sta anche tentando di riformulare le norme della guerra e di trasformare in modo significativo le interpretazioni delle leggi sui conflitti armati.

Se Netanyahu e il suo governo riuscissero a rendere accettabile la versione israeliana della proporzionalità tra gli altri attori statali, allora le leggi sui conflitti armati finirebbero per giustificare, anziché impedire, la violenza genocida. In effetti, larchitettura stessa dellintero ordinamento giuridico internazionale è ora in bilico.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono allautore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Neve Gordon è professore di diritto internazionale alla Queen Mary University di Londra. È anche autore di Israel’s Occupation [ed. ital: L’occupazione israeliana, Diabasis 2016, ndt.] e coautore di The Human Right to Dominate [ed. ital.: Il diritto umano di dominare, Nottetempo 2016, ndt.].

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Riaccendere una vecchia storia d’amore: Trump può salvare Netanyahu?

Ramzy Baroud

8 luglio 2024, Middle East Monitor

Molti analisti politici ritengono che il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, stia guadagnando tempo a Gaza e in Libano con la speranza che Donald Trump torni alla Casa Bianca dopo le prossime elezioni di novembre.

Che sia così o meno, è improbabile che Trump questa volta possa influenzare gli esiti della guerra o modificare il destino di Israele.

La politica estera degli Stati Uniti sembra essere governata da due prospettive diverse, una dedicata al mondo intero e l’altra solo a Israele. La prima è guidata dalla famosa e spesso ripetuta citazione dell’ex Segretario di Stato americano, Henry Kissinger, secondo cui “l’America non ha amici o nemici permanenti, ma solo interessi”.

Israele, tuttavia, rimane un’eccezione e la guerra israeliana in corso contro Gaza ha dimostrato ancora una volta la veridicità di tale affermazione.

Sebbene Washington condivida pienamente gli obiettivi bellici di Israele, non è fondamentalmente d’accordo con la concezione di una guerra lunga e di una “vittoria totale” sostenuta da Netanyahu.

Le due lunghe guerre statunitensi in Afghanistan e in Iraq hanno insegnato agli americani che né la longevità delle guerre né le aspettative eccessive e irrealistiche modificano gli esiti inevitabili.

In effetti, molti funzionari statunitensi, generali militari e influenti analisti hanno cercato di mettere in guardia Netanyahu, senza successo.

Destabilizzare il Medio Oriente in questa specifica congiuntura storica è semplicemente negativo per gli Stati Uniti. Arriva in un momento in cui l’Ucraina sta soffrendo una grave carenza di armi, con conseguenti perdite territoriali, e in cui gli alleati USA-Europa stanno lottando sotto il peso delle crisi economiche e politiche.

Poiché le relazioni tra Stati Uniti e Israele sono regolate da un unico schema di politica estera, l’amministrazione Biden continua a sostenere Israele in tutti i modi possibili affinché possa continuare una guerra perdente.

La guerra si sta svolgendo ovviamente a spese di oltre 125 mila palestinesi che, finora, sono stati uccisi e feriti a causa degli attacchi israeliani, dei bombardamenti e delle esecuzioni di massa. Quelli che muoiono di fame o di malattie sono un numero diverso, che non è ancora stato completamente calcolato.

Washington non è preoccupata dal genocidio a Gaza in sé, ma dall’esito della guerra sui suoi piani in Medio Oriente e sul futuro delle sue basi militari, in particolare in Iraq e in Siria. È anche preoccupata per la sua influenza geostrategica nella regione a causa dell’instabilità senza precedenti del Mar Rosso.

Eppure, Joe Biden continua ad armare Israele e a fornire una rete di sicurezza alla sua economia in calo. Il 20 aprile la Camera ha approvato una legge che prevede 26,3 miliardi di dollari di assistenza a Israele. Inoltre, massicce spedizioni di armi continuano a fluire senza ostacoli verso Israele.

Queste bombe non solo stanno distruggendo l’intera Gaza, ma anche qualsiasi possibilità che gli Stati Uniti possano riacquistare un minimo di credibilità in Medio Oriente. Peggio ancora, il sostegno cieco degli Stati Uniti a Israele ha fatto vacillare anche la posizione di Washington a livello internazionale.

Quindi, cosa potrebbe fare Trump che Biden non ha fatto?

La politica di Trump è smaccatamente machiavellica. Durante il suo unico mandato, tra il 2017 e il 2021, ha svolto il ruolo di genio americano, esaudendo ogni desiderio di Israele, sebbene tutte quelle richieste fossero flagranti violazioni del diritto internazionale.

Le politiche pro-Israele di Trump hanno incluso, accanto ad altre, il riconoscimento di tutta Gerusalemme come capitale di Israele, l’annessione delle alture del Golan e il riconoscimento di tutti gli insediamenti ebraici israeliani illegali in Cisgiordania.

Ma anche Netanyahu è un seguace di Macchiavelli, un fatto che ha irritato Trump dopo la sua umiliante uscita dalla Casa Bianca.

“Non gli ho più parlato”, ha detto Trump in un’intervista con Barak Ravid di Axios nel dicembre 2021, in riferimento al leader israeliano. “Fan**lo”, ha detto.

Ma ora entrambe le parti stanno cercando di riaccendere la vecchia storia d’amore. Il candidato repubblicano alla presidenza deve essere soddisfatto delle critiche pubbliche di Netanyahu all’amministrazione Biden. In cambio, Trump è pronto a “finire il lavoro”, come ha dichiarato nel primo dibattito presidenziale del 27 giugno.

Tuttavia, il ritorno di Trump non cambierà in alcun modo le sventure di Israele dal 7 ottobre, perché i problemi di Israele non hanno origine a Washington. La crisi di Israele è multiforme. Non è in grado di vincere la guerra a Gaza, nonostante la tragedia e la distruzione di massa che vi ha creato. Non riesce nemmeno a cambiare le regole di ingaggio in Libano a causa della forza dei suoi nemici e del fatto che le sue forze armate non sono in grado di combattere e vincere su più fronti – nemmeno su uno.

Un’altra dimensione della crisi israeliana è interna: le profonde divisioni nella società, nell’apparato di sicurezza e fra i politici israeliani. Nemmeno Trump potrebbe colmare il divario o porre fine alla polarizzazione, che probabilmente si aggraverà in futuro.

Anche sul fronte internazionale, è probabile che Trump si dimostri altrettanto inefficace, ancora una volta, semplicemente perché l’amministrazione Biden ha sfidato il consenso internazionale su Israele fin dall’inizio della guerra. L’attuale Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti si è spinta fino ad approvare una legge per sanzionare la Corte Penale Internazionale (CPI) dopo che il suo procuratore ha richiesto mandati di arresto contro funzionari israeliani.

Se Netanyahu pensa che Trump gli offrirà un accordo migliore di quello di Biden, si sbaglia. Biden si è dimostrato il più grande sostenitore americano di Israele nei suoi 76 anni di storia.

Ironia della sorte, il sostegno indiscusso degli Stati Uniti a Israele potrebbe essere un fattore che contribuisce alla sua caduta.

“Essere un nemico dell’America può essere pericoloso, ma esserne amico è letale”, ha anche detto Kissinger. Non si sbaglia.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Carlo Tagliacozzo)




Macron si è scontrato con Netanyahu riguardo all’‘inaccettabile’ interferenza nelle elezioni francesi

Redazione di Middle East Eye

10 luglio 2024 – Middle East Eye

Il presidente francese si è infuriato quando un ministro israeliano ha pubblicamente e ripetutamente lodato la leader dell’estrema destra Marine Le Pen.

Secondo un nuovo rapporto, il presidente francese Emmanuel Macron durante una telefonata si è lamentato con il primo ministro Benjamin Netanyahu riguardo all’“inaccettabile” interferenza nelle elezioni francesi.

Axios ha riferito che Macron era infuriato a causa del ripetuto apprezzamento pubblico per la candidata dell’estrema destra Marine Le Pen da parte dal ministro israeliano per la Diaspora Amichai Chikli [del Likud, partito di destra di Netanyahu, ndt.].

Chikli, che è anche responsabile per la lotta contro l’antisemitismo in Europa e nel resto della diaspora, ha ripetutamente lodato Le Pen e il suo Rassemblement National, nonostante il suo tradizionale antisemitismo.

In un’intervista rilasciata all’inizio di questo mese Chikli ha affermato che Le Pen sarebbe “eccellente per Israele” ed è stato anche fotografato con la leader dell’estrema destra. Chikli ha dichiarato che Netanyahu era “della stessa idea” riguardo a Le Pen.

Due fonti a conoscenza della telefonata hanno riferito ad Axios che durante la telefonata della scorsa settimana Macron ha detto a Netanyahu: “Questo è inaccettabile”, riferendosi ai commenti del ministro.

Domenica scorsa una difficile alleanza tra i partiti di sinistra e centristi francesi ha impedito la vittoria del partito di estrema destra di Marine Le Pen nelle elezioni parlamentari.

Nel primo turno delle elezioni una settimana fa il Rassemblement National è risultato il primo partito e puntava ad assicurarsi la maggioranza dei seggi nel parlamento francese. Tuttavia dopo un voto tattico nel secondo turno ha vinto il Nuovo Fronte Popolare di sinistra, spingendo il Rassemblement National al terzo posto, dopo i sostenitori di Macron.

Si dice che Netanyahu abbia garantito a Macron di aver detto ai suoi ministri di non commentare le elezioni parlamentari francesi, ma Chikli ha continuato ad esprimere supporto per il Rassemblement National.

Le Pen e il Rassemblement National hanno preso una posizione decisamente filo-israeliana riguardo agli affari esteri e negli ultimi anni sono stati accusati di aver preso una direzione islamofoba.

L’ex leader del partito e padre di Marine Le Pen, Jean-Marie Le Pen, è stato ripetutamente accusato di antisemitismo e si è riferito in modo tristemente noto alle camere a gas naziste come a “un dettaglio della storia”.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Per sopravvivere, Israele deve colpire subito l’Iran

Benny Morris
30 Giugno 2024 – Haaretz
 

Se Israele si dimostrerà incapace di distruggere il progetto nucleare iraniano con armi convenzionali, potrebbe non avere altra scelta che ricorrere alle sue armi non convenzionali.

* Nota Redazionale

Lo storico israeliano Benny Morris è noto per i suoi lavori sul 1948, in cui è stato tra i primi a raccontare la pulizia etnica compiuta dalle milizie sioniste prima e dall’esercito israeliano poi a danno dei palestinesi: la cosiddetta Nakba.
Inizialmente su posizioni di sinistra, ormai da anni Morris si è spostato decisamente a destra. In questo articolo interviene sulla questione iraniana proponendo addirittura un attacco con armi non convenzionali per distruggere gli impianti nucleari iraniani. Pur esprimendo il nostro profondo dissenso dalle argomentazioni dello storico, riteniamo interessante proporre le sue argomentazioni.

Il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir ha descritto la risposta israeliana all’attacco missilistico dell’Iran contro Israele del 13 aprile come un dardaleh – in gergo calcistico un tiro fiacco. É stato riferito che la rappresaglia israeliana avrebbe distrutto un piccolo impianto radar isolato non lontano da Natanz, uno dei siti dove l’Iran produce uranio arricchito. Purtroppo – poiché Ben-Gvir è un ministro pericoloso e spregevole – aveva ragione.

Il governo israeliano – ovvero il primo ministro corrotto e incompetente di Israele, Benjamin Netanyahu – temeva che una risposta più forte (e adeguata), come un attacco all’impianto di Natanz, avrebbe portato a una significativa reazione da parte dell’Iran. Teheran potrebbe ad esempio attivare il suo alleato libanese, Hezbollah, per effettuare massicci lanci di razzi o fare fuoco con i propri missili contro le città israeliane e infrastrutture essenziali.

Un giorno potrebbero essere resi noti i verbali delle riunioni del gabinetto di guerra ristretto tenutesi prima della risposta israeliana. Sapremo allora se i generali presenti – il Ministro della Difesa Yoav Gallant, l’ex Capo di Stato Maggiore dell’IDF Ten. Gen. Gadi Eisenkot, il Presidente del Partito di Unità Nazionale Benny Gantz e il Capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano Ten. Gen. Herzl Levi – hanno raccomandato un attacco più potente e se Netanyahu ha convinto i membri del gabinetto ad accontentarsi dell’attacco “dardaleh”.

Negli ultimi 15 anni Netanyahu ha generalmente agito con estrema esitazione e moderazione di fronte agli attacchi dell’Iran, compiuti attraverso i suoi alleati o direttamente, contro Israele e i suoi interessi. Ma, cosa ben più significativa e grave, a parte le sue dichiarazioni bellicose Netanyahu non ha fatto quanto necessario per impedire all’Iran di dotarsi di un’arma nucleare, nonostante i leader iraniani dichiarino senza sosta il loro intento di distruggere Israele. La moderazione di Israele nel 2010-2012 e negli anni successivi era dovuta a una carenza di mezzi? Quest’uomo disonesto aveva altri, reconditi motivi? Non c’è modo di saperlo.

In ogni caso siamo arrivati al momento della verità e una decisione è necessaria. Secondo una serie di rapporti l’Iran è sul punto di raggiungere il 90% di arricchimento dell’uranio e ha accumulato materiale sufficiente, se potenziato, a produrre un arsenale di bombe nucleari. Gli attacchi contro Israele degli ultimi otto mesi da parte dell’Iran, dei suoi emissari e dei suoi alleati – Hamas, gli Houthi, Hezbollah e varie milizie in Siria e in Iraq – costituiscono una ragione sufficiente per tentare di distruggere le capacità strategiche dell’Iran, incluse le sue risorse balistiche.

Il mondo dovrebbe sostenere e certamente comprendere una simile operazione israeliana. Ma anche se non lo facesse, sicuramente la sopravvivenza del Paese dovrebbe essere più importante per i suoi abitanti di eventuali condanne internazionali e persino di sanzioni, se venissero imposte (anche se dubito che si tratterebbe di sanzioni significative).

Non c’è momento migliore per sferrare all’Iran un colpo strategico, data l’attuale asimmetria di forze tra i due Paesi. Israele ha un vantaggio schiacciante nelle forze aeree grazie ai suoi avanzati aerei stealth F-15 e F-35, oltre a una superiorità impressionante per quanto riguarda armi antiaeree e antimissile. Le forze aeree iraniane sono dotate di velivoli inferiori e non dispongono di sistemi missilistici antiaerei e antimissile avanzati. Ma nei prossimi anni è probabile che questa superiorità strategica di Israele venga meno.

Ma, soprattutto, Israele ha uno straordinario vantaggio (secondo quanto riportato dalla stampa estera): possiede un arsenale nucleare, mentre l’Iran attualmente può solo aspirare ad averne uno. L’Iran probabilmente terrà conto di questa asimmetria quando valuterà se rispondere a un attacco israeliano alle sue strutture e infrastrutture nucleari.

Israele è in grado, utilizzando armi convenzionali, di distruggere – o almeno di danneggiare gravemente – gli impianti di produzione di missili, droni e razzi dell’Iran e i suoi siti nucleari, che sono sparsi su un’ampia area e almeno alcuni dei quali sono sepolti in profondità nel sottosuolo? Non lo so, ed è probabile che non lo sappiano nemmeno i generali di Israele. La guerra è il regno dell’imponderabile e, in larga misura, della fortuna. Ma distruggere il progetto nucleare iraniano, e la capacità di attacco dell’Iran, è un imperativo esistenziale se Israele vuole sopravvivere. Dato il profondo odio degli ayatollah per Israele e la loro plausibile irrazionalità, un arsenale nucleare iraniano segnerà la fine di Israele.

Una volta che gli ayatollah avranno le armi nucleari e i mezzi per farne uso, potrebbero usarle contro Israele – e lasciare ad Allah il compito di proteggerli da un contrattacco israeliano. Dopo tutto, abbiamo a che fare con fanatici messianici e religiosi.

E anche se l’Iran si astenesse dal lanciare le sue armi nucleari, il solo fatto di possederle, insieme al suo desiderio e alla sua politica dichiaratamente orientati alla distruzione di Israele (di cui abbiamo visto abbondanti prove in questi nove mesi), scoraggerebbe potenziali investimenti e immigrati dal raggiungere Israele e spingerebbe molte brave persone a fuggire dal Paese.

In un contesto di ripetuti, futuri attacchi orchestrati dagli iraniani contro Israele, come il 7 ottobre, Israele declinerebbe costantemente fino a scomparire.

Le organizzazioni sunnite, e forse i Paesi sunniti vicini, riconoscerebbero la debolezza di Israele (e dell’America) e la forza dell’Iran e molto probabilmente si unirebbero all’anello di Stati ostili guidato da Teheran, e non c’è alcuna garanzia che i leader dell’Europa e degli Stati Uniti – forse con l’ambiguo Donald Trump piuttosto che il filo-sionista Biden al timone – verrebbero in nostro aiuto.

Tutto ciò deve far pensare che, se Israele si dimostrerà incapace di distruggere il progetto nucleare iraniano con armi convenzionali, potrebbe non avere altra scelta se non quella di ricorrere alle sue armi non convenzionali (a meno che gli Stati Uniti non inviino le proprie forze armate, il che sembra estremamente improbabile vista la mancanza di determinazione americana dopo i fallimenti in Iraq e Afghanistan).

Ribadisco, Israele può aspettarsi i rimproveri dei media internazionali, dei ragazzini ignoranti e sconsiderati dei campus e di svariati leader mondiali, ma godrà anche della comprensione, se non del sostegno attivo, di molti membri della comunità internazionale.

Temo che siamo arrivati al momento della verità e che Israele – auspicabilmente nei prossimi mesi, sotto una guida più competente – debba agire. Altrimenti, Allah yerahmu (che Allah abbia pietà di noi).

(traduzione dall’inglese di Giacomo Coggiola)




Le lamentele di Netanyahu non hanno nulla a che fare con i ritardi nella fornitura di armi: perché Israele si è rivoltato contro Biden

Rick Zand

1 luglio 2024 – Middle East Monitor

Non è un segreto che il primo ministro Benjamin Netanyahu auspichi il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. L’appoggio un tempo affidabile della base del Partito Democratico ad Israele si è inaridito, soprattutto nella componente progressista, a causa della devastante campagna di pulizia etnica a Gaza che è costata circa 38.000 vite, compresi 15.000 bambini, senza contare tutti coloro che sono scomparsi, presumibilmente morti, sepolti sotto le macerie delle loro case distrutte dallo Stato occupante.

Netanyahu ha abbandonato il suo alleato di lunga data e presunto amico presidente Joe Biden e il suo partito democratico, ma non per i motivi a cui vorrebbe che noi credessimo.

Il 18 giugno Netanyahu ha diffuso un video su X che ha sorpreso la Casa Bianca: accusava l’amministrazione Biden di trattenere le armi e di compromettere la sicurezza di Israele. La sferzante risposta dell’amministrazione ha colto alla sprovvista un tormentato segretario di Stato USA Antony Blinken, che si è recato in Israele e nei Paesi del Golfo diverse volte negli ultimi otto mesi.

Benché stiano rivalutando una spedizione di bombe da 2.000 libbre, a causa delle preoccupazioni per le vittime civili se venissero usate nell’attacco a Rafah, Blinken ci ha assicurato, “Tutto si sta svolgendo come dovrebbe e sempre nella prospettiva di garantire che Israele abbia ciò che necessita per difendersi contro questa quantità di minacce.”

Secondo l’addetta stampa della Casa Bianca Karine Jean-Pierre, “Sinceramente non sappiamo di che cosa lui (Netanyahu) stia parlando.” Dopo aver menzionato la spedizione di bombe di 2.000 libbre, ha aggiunto: “Non vi sono altre interruzioni.”

Inoltre la Casa Bianca ha annullato un incontro con dirigenti israeliani riguardante l’Iran. Secondo Axios (sito web americano di informazione politica, ndtr.) un funzionario USA ha affermato: “Questa decisione chiarisce che aver tirato in ballo tali sciocchezze porta a delle conseguenze”.

Senza dubbio Biden è stato irritato dal video, specialmente quando Netanyahu si è paragonato a Winston Churchill dicendo: “Durante la seconda guerra mondiale Churchill disse agli Stati Uniti: ‘dateci gli strumenti, noi faremo il lavoro’. Ed io dico: ‘dateci gli strumenti e noi finiremo il lavoro molto più velocemente’.”

Israele ha armi sufficienti per devastare Gaza ancora molte volte. La sola India ha fornito a Israele 900 droni e altre armi fabbricate a Hyderabad. Quella fabbrica è una joint- venture tra la Elbit Systems israeliana e il consorzio del miliardario indiano Gautam Adani.

L’India fornisce armi ad Israele fin dall’inizio della guerra.

Comunque, secondo l’Istituto Internazionale di Ricerca di Stoccolma (SIPRI), tra il 2019 e il 2023 gli USA hanno fornito il 69% delle armi convenzionali importate da Israele. Nel 2016 Obama ha aumentato gli aiuti a Israele da 30 a 38 miliardi di dollari per 10 anni, il più grande pacchetto di aiuti nella storia degli Stati Uniti. Questi fondi hanno finanziato jet da combattimento, forze di terra, sistemi di armi e di difesa aerea. Inoltre Israele è il nono maggior esportatore di armi, il che dimostra che ha ampie forniture per uso proprio.

Il SIPRI colloca la Germania al secondo posto tra i maggiori fornitori di armi a Israele, fornendo circa il 30% delle sue importazioni di armamenti. Sia gli USA che la Germania hanno votato contro una risoluzione non vincolante del Consiglio ONU per i Diritti Umani (UNHRC), che chiede la fine di tutte le vendite o spedizioni di equipaggiamento militare e armi ad Israele, per motivi umanitari.

A maggio Biden ha minacciato di sospendere le spedizioni di armi di fabbricazione USA a Israele, se esso avesse invaso Rafah. “Continueremo a garantire la sicurezza di Israele in termini di Iron Dome e della capacità di rispondere agli attacchi condotti recentemente in Medio Oriente”, ha affermato Biden all’epoca. “Ma ciò [l’invasione di Gaza, ndt] è decisamente sbagliato. Non forniremo armi e proiettili d’artiglieria.”

Eppure dal 7 ottobre dello scorso anno gli USA hanno fornito ulteriori 6,5 miliardi di dollari a Israele. Questi si aggiungono ai 3,8 miliardi di dollari che Israele ha ricevuto in base all’accordo del 2016. Armi e denaro continuano a fluire anche se l’invasione israeliana di Rafah ha provocato l’uccisione di 45 palestinesi e il ferimento di altri 200 dopo che le forze di occupazione hanno incendiato un campo profughi dove i civili avevano trovato rifugio.

Con il denaro e le importazioni di armi che Israele ha ricevuto da quando è iniziato l’attacco a Gaza, è difficile immaginare che le forze di occupazione manchino di sufficienti forniture di armamenti.

La vuota minaccia di Biden non è riuscita ad avere un impatto sulla determinazione di Netanyahu ad invadere Rafah.

E neppure hanno agevolato gli sforzi gli appelli di Biden a consentire l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza. Gli aiuti arrivano poco a poco, quando non arrivano del tutto. Nel frattempo il cibo si deteriora nei camion di aiuti in attesa, mentre a pochi chilometri di distanza i palestinesi muoiono di fame.

Il primo (e probabilmente unico) dibattito tra Biden e Trump ha solo sfiorato la crisi a Gaza, ma molto è stato detto in poche parole. Biden si è attenuto al suo piano di pace presumibilmente sostenuto da Netanyahu. Il piano di Trump è molto meno complicato: “Bisogna lasciarli andare e lasciargli finire il lavoro”, ha detto ai moderatori della CNN, facendo eco alla richiesta di Netanyahu che gli lascino “finire il lavoro al più presto”.

Nel suo commento sul giornale ebraico americano The Forward Rob Eshman ha suggerito che nel dibattito Trump stesse parlando ad un pubblico di una sola persona: la vedova di Sheldon Adelson, l’ottava donna più ricca del mondo, Dr.ssa Miriam Adelson. Lei ha garantito 90 milioni di dollari ad un super PAC [le Political Action Committee sono organizzazioni fondate in USA con lo scopo di raccogliere fondi per sostenere uno specifico candidato, ndt.] pro Trump e deve ancora consegnarne la maggior parte.

Eshman probabilmente ha ragione, dato che Netanyahu non ha bisogno di sentire da Trump ciò che già sa. Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale ufficiale di Israele e vi ha spostato l’ambasciata statunitense da Tel Aviv. L’ex presidente USA ha anche concesso a Israele le Alture del Golan per svilupparle, anche se non è chiaro con quale autorità. Quale segnale migliore per Netanyahu e il suo partito di estrema destra Likud che hanno carta bianca da Trump per impadronirsi della terra, comprese tutte le parti di Gaza e la Cisgiordania?

Nonostante la loro decennale amicizia, Netanyahu ha lasciato prontamente Biden per Trump. Il consenso a Biden si è incrinato dopo la sua penosa performance durante il dibattito. La lacerazione dei progressisti aveva già provocato una divisione a causa degli otto mesi di crimini di guerra israeliani commessi a Gaza, inclusi l’inedia di massa, la pulizia etnica e il genocidio.

La maggioranza dei democratici sostiene ancora le azioni di Israele, come dimostra il recente disegno di legge del Senato, approvato con supporto bipartisan, che vieta ad ogni istituzione con finanziamenti pubblici in Pennsylvania di disinvestire da imprese e organizzazioni israeliane.

Tuttavia vi sono parecchi dubbi tra coloro che nel partito democratico vedono l’intenzione finale di Israele nel proseguire l’occupazione e stabilire insediamenti illegali. La settimana scorsa il gabinetto di sicurezza di Israele ha approvato cinque nuovi insediamenti in Cisgiordania insieme ad una lista di sanzioni contro l’Autorità Nazionale Palestinese già definanziata.

Tuttavia Trump e i repubblicani sono rimasti saldi nel loro incondizionato appoggio all’apartheid di Israele. “Date a Israele le bombe di cui ha bisogno per finire la guerra”, ha detto (il senatore USA conservatore) Lindsay Graham a NBC News. “Non possono perdere”. Ha anche paragonato il genocidio israeliano a Gaza allo sgancio delle bombe atomiche da parte degli USA su Hiroshima e Nagasaki durante la seconda guerra mondiale, aggiungendo: “E’ stata la decisione giusta.” Durante la sua visita a Israele in maggio l’ex ambasciatrice all’ONU e al tempo candidata alle primarie presidenziali per i repubblicani Nikki Hayley ha scritto su un proiettile destinato a Gaza “Finiscili tutti!”

Se il messaggio proveniente da Biden è l’apatia, il segnale dal campo di Trump è assumere il fanatismo di destra di Israele e concedere pieno appoggio all’ampliamento del colonialismo di insediamento nei territori occupati.

Netanyahu e il suo partito Likud faranno il possibile per indebolire Biden e riportare in carica Trump.

Se Biden farà un passo indietro dopo la sua disastrosa performance nel dibattito, la destra israeliana avrà un altro candidato democratico da debellare con molto meno tempo per farlo prima delle elezioni. Ma Biden non ha mostrato intenzione di arrendersi e molti democratici sostengono ancora la sua corsa alla rielezione.

Netanyahu capisce che i suoi obbiettivi e quelli di Trump coincidono. Forse Trump ha motivi molto diversi per sostenere Israele data la sua leale appartenenza al nazionalismo bianco cristiano. Tuttavia gli obbiettivi sono gli stessi: un solo Israele, dal fiume al mare. Mentre Biden tergiversa tra la diplomazia e l’impotenza, Trump ha già cementato il suo appoggio.

Se la comunità internazionale non imporrà sanzioni a Israele e ad ogni Paese che finanzia la pulizia etnica a Gaza e in Cisgiordania, il genocidio e la crisi umanitaria continueranno senza sosta.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Gli abitanti dei kibbutz bloccano gli aiuti umanitari a Gaza.

Jonathan Ofir  

18 giugno 2024 – Mondoweiss

La complicità con il genocidio non è confinata alla destra israeliana. Membri dell’organizzazione progressista che lo scorso anno ha capeggiato le proteste contro Netanyahu ora bloccano gli aiuti umanitari a Gaza

Nel corso degli ultimi mesi i principali mezzi di informazione hanno parlato del problema degli israeliani che bloccano gli aiuti umanitari a Gaza. A marzo Clarissa Ward della CNN ha raccontato degli attivisti israeliani di estrema destra che cercano di bloccare con i propri corpi i valichi verso Gaza attraverso cui è stato trasportato l’aiuto umanitario. Ward ha respinto le affermazioni dei manifestanti secondo cui i sacchi di riso erano stati riempiti con proiettili, spiegando inutilmente che i gazawi stanno morendo di fame.

Venerdì l’amministrazione Biden ha emanato una sanzione selettiva contro la principale organizzazione che blocca gli aiuti, “Tzav 9”, che significa “Ordine 9”, un nome che allude all’ordine di mobilitazione dei riservisti dell’esercito israeliano.

Il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller ha affermato:

Per mesi singoli individui di Tzav 9 hanno ripetutamente cercato di impedire la consegna di aiuti umanitari a Gaza, compreso  il blocco di strade, a volte in modo violento, lungo il loro percorso dal Giordano a Gaza, anche in Cisgiordania… Non tollereremo azioni di sabotaggio e violenze che prendano di mira questa indispensabile assistenza umanitaria… Continueremo ad usare ogni mezzo a nostra disposizione per promuovere il fatto che vengano chiamati a risponderne quanti cercano o intraprendono tali atti odiosi e ci aspettiamo e sollecitiamo le autorità israeliane a fare altrettanto.

Ma l’idea implicitamente sostenuta qui che “Tzav 9” sia l’unico attore negativo da condannare è assolutamente fuorviante. Il blocco dell’aiuto umanitario è solo un contributo di questi attivisti, il principale responsabile dell’uso della fame come arma contro tutta la popolazione di Gaza è il governo israeliano. È un l’attore fondamentale di questo genocidio.

Nel suo reportage Clarissa Ward ha correttamente notato che un recente sondaggio dell’Israeli Democracy Institute [centro di ricerca progressista, ndt.] ha mostrato che il 68% – oltre due terzi – degli ebrei israeliani è contrario all’aiuto umanitario a Gaza. Il sondaggio in effetti ha evidenziato l’80% tra i votanti di destra (che costituiscono circa i 2/3 della popolazione). E non importa se Hamas e l’UNRWA sono esclusi dalla fornitura di aiuti, vi si oppongono comunque. In altre parole i manifestanti di “Tzav 9” sono solo la punta dell’iceberg.

Di fatto a questi attivisti di destra ora si è unito un altro gruppo significativo: gli abitanti di kibbutz che stanno anche loro bloccando con i propri corpi l’aiuto umanitario a Gaza.

In Israele la società dei kibbutz è tradizionalmente nota per il suo spirito socialista di sinistra. Ma da sempre è ed è stata funzionale all’occupazione colonialista israeliana e all’apartheid. Come ha detto recentemente il presidente del Movimento dei Kibbutz Nir Meir, “i coloni non si sbagliano. La destra ha ragione: questo è il modo per impossessarsi delle terre e la loro affermazione secondo cui in ogni posto che noi israeliani lasciamo al nostro posto verranno gli arabi è corretta. La destra ha anche ragione nel suo progetto: è con la colonizzazione e solo con essa che può essere imposta la sovranità.”

Domenica il quotidiano israeliano di centro Maariv ha informato che ora circolano video di membri di kibbutz che stanno anche loro bloccando l’aiuto umanitario. Il video mostra due uomini del kibbutz Sdeh Boker (proprio il kibbutz di Ben-Gurion) e attivisti di “Koah Kaplan” — la “Forza Kaplan”, l’organizzazione che protesta contro l’attuale governo. Prende il nome da via Kaplan a Tel-Aviv, dove si svolgono le principali manifestazioni [contro Netanyahu, ndt.]. Il video di Maariv, secondo cui sarebbe di febbraio, mostra il blocco di camion da parte di membri del kibbutz al valico di Kerem Shalom verso Gaza, e “Tsav 9” ha confermato che negli ultimi mesi “Forza Kaplan” ha fatto parte del tentativo di bloccarli.

Ecco quanto dicono nel video i due attivisti:

Sono Boaz Sapir del kibbutz Sdeh Boker, sono qui per trasmettere un chiaro messaggio… il messaggio è che non ci sono destra o sinistra, che tutti gli ostaggi ritornino, vivi.”

Sono Gilad Shavit, del kibbutz Sdeh Boker, insieme a Boaz… vengo a portare il messaggio che gli ostaggi sono di tutta la Nazione di Israele, tutta la Nazione di Israele vuole il ritorno degli ostaggi, ma per un po’ il governo lo ha dimenticato. Non è possibile, non forniremo nessuna assistenza (umanitaria) ad Hamas finché i rapiti non verranno restituiti, questo è il nostro messaggio.”

Quello stesso messaggio è stato pronunciato fin dall’inizio del genocidio dall’uomo che è stato recentemente eletto alla guida del partito Laburista israeliano, Yair Golan.

Golan è entrato nel partito laburista da sinistra, essendo stato membro del Meretz, che non è riuscito a superare la soglia di sbarramento nelle elezioni del novembre 2022. Il 13 ottobre Golan ha sostenuto addirittura che bisogna far morire di fame i gazawi:

Innanzitutto interrompere tutte le forniture di elettricità a Gaza. Penso che in questa battaglia sia vietato consentire un’operazione umanitaria. Dobbiamo dire loro: ascoltate, finché non saranno rilasciati (gli ostaggi) per quanto ci riguarda potete morire di fame. È assolutamente legittimo.”

Nel suo articolo Maariv pone l’ovvia domanda: “Il governo americano metterà in atto sanzioni contro gli attivisti della ‘Forza Kaplan’?”

Penso che sappiamo tutti la risposta. L’amministrazione Biden non sanzionerà un movimento che rappresenta la “democrazia” israeliana, dato che esso lotta apertamente contro il governo, a dimostrazione del fatto che in Israele esiste il pluralismo politico.

Biden vuole cavarsela con gesti simbolici come in marzo, quando ha sanzionato quattro coloni “che minacciano la pace, la sicurezza o la stabilità in Cisgiordania”. Il docente della Columbia University Rashid Khalidi ha sottolineato:

È un po’ come se ci fosse un furioso incendio e ci buttassero sopra un bicchier d’acqua e nello stesso tempo stessero fornendo benzina per alimentare le fiamme… Sanzionare qualche individuo che fa parte di una spinta alla colonizzazione sostenuta dal governo israeliano per 56 anni è in sé e per sé assurdo. O sanzioni chi lo ha guidato con molti miliardi di dollari, cioè il governo israeliano e le donazioni americane esentasse, o non fingere di opporti alle colonie.”

Gli USA dovrebbero impedire un genocidio, non giocare con le sanzioni contro questa o quella organizzazione. Israele nel suo complesso sta commettendo questo genocidio. Invece Biden sta solo andando dietro al frutto facile da cogliere degli attivisti di estrema destra, un atto simbolico, mentre continua la sua politica di incrollabile appoggio al genocidio israeliano.

Gli abitanti dei kibbutz, spesso additati dai democratici progressisti come il meglio della società israeliana, non sono diversi da “Tzav 9” quando si tratta di bloccare l’aiuto salvavita ai palestinesi di Gaza. E le loro parole e azioni rivelano solo quanto la società israeliana sia nel suo complesso genocidaria.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il massacro di Nuseirat: per i media razzisti coloniali occidentali i palestinesi massacrati non esistono

Linah Alsaafin

10 giugno 2024 – Middle East Eye

Biden e Netanyahu stanno precipitando verso il baratro, e gli effetti del prolungamento di questo genocidio si ritorceranno prima o poi contro i loro interessi.

I particolari delloperazione militare congiunta USA-Israele che sabato ha ucciso e ferito quasi 1.000 palestinesi nel campo profughi di Nuseirat non evidenziano affatto leroismo tanto celebrato o la precisione che i titoli dei media occidentali hanno sbandierato in prima pagina.

Ma in un mondo distopico in cui luccisione di almeno 50.000 uomini, donne e bambini nellarco di otto mesi non fa batter ciglio ai vertici dellordine globale a guida occidentale, può essere giustificato ritenere che qualsiasi missione che distrugge centinaia di vite civili per recuperare quattro ostaggi sia motivo di festeggiamenti.

E’ ancora peggio quando i 274 palestinesi uccisi e i 698 feriti nel massacro del campo profughi di Nuseirat vengono deliberatamente eliminati dalla copertura giornalistica, o appena citati come un dettaglio insignificante in un titolo o di sfuggita in un sottotitolo.

La copertina domenicale del New York Times, un giornale che ha volontariamente distrutto le sue ultime vestigia di credibilità per agire come sfacciato stenografo della propaganda israeliana, mostrava con orgoglio il titolo “In una missione a Gaza l’esercito israeliano libera 4 ostaggi”.

La copertina era correlata da una foto di un ostaggio israeliano sorridente rilasciato (citato per nome) e circondato da soldati trionfanti. I palestinesi uccisi sono relegati in una nota a piè di pagina.

La BBC e la Reuters seguono una linea simile, scegliendo di aprire rispettivamente con “Quattro ostaggi israeliani liberati in un raid nel centro di Gaza” e “Secondo l’esercito le forze israeliane salvano quattro ostaggi vivi a Gaza”.

La CNN ha scelto di concentrarsi sulla logistica anziché sulle vittime della strage: “L’operazione israeliana per salvare 4 ostaggi ha richiesto settimane di preparazione”, ha scritto diligentemente.

Più schietto il tono del Washington Post: “Una rara giornata di gioia nel mezzo di un massacro con il salvataggio di 4 ostaggi”. Un secondo titolo iniziava ancora con “Recuperati quattro ostaggi israeliani vivi” e aggiungeva come post scriptum il numero provvisorio dei palestinesi uccisi: “Secondo dichiarazioni ufficiali almeno 210 persone uccise a Gaza”.

E poi c’è il Sunday Times, inequivocabile e sfacciato nei toni, scritto con una sorta di stile mozzafiato, come se descrivesse la trama ridondante di un film d’azione di Hollywood.

“Audace raid libera a Gaza la prigioniera della motocicletta” [Noa Argamani catturata il 7 ottobre da Hamas mentre si trovava sul sedile posteriore di una moto], esordiva il titolo, per poi proseguire nella pagina successiva con: “Un attacco chirurgico, un feroce scontro a fuoco e i festeggiamenti hanno rotto il silenzio del sabato”.

La carneficina che questo attacco chirurgico” ha lasciato dietro di sé, i corpi mutilati dei palestinesi che giacciono di traverso sulle strade del mercato, le decine di edifici e case distrutte vengono completamente omessi.

Dilagante disumanizzazione

C’è un che di macabro nel fatto che anche quando vengono menzionati i palestinesi ciò avviene in quella forma inerte che ormai siamo abituati ad aspettarci da questi mezzi di informazione, senza un contesto e senza alcun riferimento a chi sta facendo loro cosa.

Il Guardian spicca per il suo singolare modo di raccontare latroce assalto di sabato: Israele salva quattro ostaggi mentre degli attacchi nelle vicinanze uccidono 93 palestinesi”.

Il lettore rimane stupito di fronte all’evidente dissociazione e all’enorme buco nella trama. Quali attacchi? Condotti da chi? Cos’è importante da sapere riguardo a “nelle vicinanze”?

In fin dei conti questi titoli non sorprendono e sono il prodotto di decenni di dilagante disumanizzazione. La dichiarazione del Dipartimento di Stato americano sulloperazione non fa alcuna menzione dei palestinesi uccisi, perché i corpi neri e di pelle olivastra semplicemente non contano per gli interessi imperialisti.

Il fatto che loperazione di salvataggio di quattro israeliani sia avvenuta a scapito di alcune centinaia di palestinesi è, come afferma Maya Mikdashi, accademica e redattrice di Jadaliyya [rivista online indipendente dell’Arab Studies Institute, ndt.], puro razzismo coloniale”.

Non c’è motivo di gioire per il fatto che 274 palestinesi hanno dovuto essere brutalmente uccisi affinché questi quattro prigionieri israeliani – sani e in buona forma rispetto alle figure distrutte, malconce e scheletriche dei palestinesi liberati dalle carceri israeliane – possano tornare alle loro famiglie.

In ogni caso nessuno doveva essere ucciso, dato che Hamas lo scorso ottobre si era offerto di liberare i prigionieri civili in cambio del fatto che lesercito israeliano non invadesse la Striscia di Gaza.

Secondo il portavoce dell’ala militare di Hamas, Abu Obeida, l’operazione, che ha definito un “molteplice crimine di guerra”, ha ucciso anche altri prigionieri israeliani, ma non ha specificato le circostanze né il numero. “Il nemico è riuscito a recuperare alcuni ostaggi commettendo un terribile massacro, ma nel farlo ne ha uccisi alcuni altri”, ha detto.

Non c’è dubbio che luso della forza militare letale non sia la strada più efficace per liberare i prigionieri israeliani. Il rilascio della maggior parte degli ostaggi israeliani, 105, è avvenuto lo scorso novembre attraverso una tregua temporanea che ha visto anche la liberazione dei prigionieri palestinesi.

Gli attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza hanno ucciso un numero imprecisato di ostaggi israeliani, e quelli salvati” a febbraio sono stati solo due, a scapito della morte di 74 palestinesi.

Ma il primo ministro Benjamin Netanyahu, il fiero esecutore di questo genocidio, e i membri altrettanto violenti ed estremisti che compongono il suo governo, sono sempre stati franchi riguardo alle loro intenzioni. Non c’è mai stato un impegno per la liberazione dei prigionieri israeliani né per la sicurezza di Israele.

Devastare Gaza

L’importante è sempre stato devastare la Striscia di Gaza, ridurre la sua popolazione e sfollare con la forza i restanti palestinesi, in linea con la visione di una colonia di insediamento espansionista.

I dettagli su come questa presunta missione di salvataggio sia andata a buon fine, con il pieno sostegno e la partecipazione degli Stati Uniti, sono oltremodo ignobili.

I soldati hanno deciso di nascondersi all’interno di due veicoli, tra cui un camion di aiuti umanitari, un crimine contro i diritti umani e un palese atto di perfidia che l’Occidente ha ripetutamente accusato Hamas di aver compiuto senza presentare alcuna prova credibile.

Abdullah Jouda, uno studente di farmacia di 23 anni che è stato sfollato quattro volte, racconta come dopo aver sentito un trambusto in strada ha aperto la porta e si è trovato davanti il camion. Ha anche incrociato lo sguardo con un agente delle forze speciali.

“Sono uscite dal camion persone vestite di nero con fasce dei [miliziani delle brigate] Qassam avvolte intorno alla testa”, ha scritto su X. “Per un momento, mi sono sentito come se fossi in un film americano.”

Jouda ha chiuso la porta ed è corso di sopra dove si trovava la sua famiglia.

“Sembrava letteralmente che fossero iniziati gli orrori del giorno del giudizio”, afferma. La famiglia si è riparata in un angolo della casa mentre i proiettili piovevano intorno a loro ininterrottamente per 30 minuti. Il camion è rimasto al suo posto, prima che il fuoco di copertura lo colpisse con un missile lanciato da un F-16, mandando in frantumi le finestre di vetro della casa e ferendoli tutti.

“Poi siamo scesi in strada e siamo scappati. Quando siamo arrivati ​​alla fine della strada, hanno distrutto l’intero isolato, compresa la casa in cui ci trovavamo. Non dimenticherò mai i particolari di questo giorno cruciale“, conclude. “La cosa più importante è che siamo ancora vivi.”

Neppure la tempistica di questa operazione è stata casuale. Come a voler dimostrare lassoluta arroganza nel causare intenzionalmente il massimo delle vittime civili, per aprire la strada, una volta scoperte, alle forze israelo-americane gli aerei da guerra hanno colpito il mercato affollato durante il giorno.

Inoltre il camion degli aiuti era partito dal cosiddetto molo galleggiante degli aiuti americano, simbolo di un’occupazione non tanto abilmente camuffata, che sabato si è rivelata essere una struttura militare in collegamento con Israele, dando alla fine ragione agli scettici.

Tutto ciò non sorprende e conferma il fatto che, nonostante Israele abbia portato avanti questa brutale aggressione contro i palestinesi, esso rappresenta semplicemente la fanteria di quello che è sempre stato un genocidio rifornito, sostenuto e pagato dagli Stati Uniti.

Prolungare il genocidio

Il presidente Joe Biden, un sincero e ardente sionista, potrebbe porre fine a questo incubo per i 2,3 milioni di palestinesi della Striscia di Gaza con una semplice telefonata.

Ma negli ultimi otto mesi si è rifiutato di imporre alcuna conseguenza [per le proprie azioni] al governo israeliano. Al contrario, incoraggia attivamente la continuazione del genocidio, impiegando allo stesso tempo il doppio linguaggio degli appelli e delle proposte di cessate il fuoco. Ma la presenza stessa e il ruolo di Israele come risorsa imperiale valgono più di qualsiasi vita palestinese, se non di tutte.

Come ha affermato lex funzionario del Dipartimento di Stato Aaron David Miller, non c’è dubbio” che Biden non nutra per i palestinesi la stessa profondità di sentimenti ed empatia che riserva agli israeliani.

È per questo che le immagini raccapriccianti del cervello esposto di un ragazzo, il cui corpo inerte prende improvvisamente vita, non provoca nessuna commozione in coloro che stanno dietro il genocidio di Gaza.

È per questo che le strazianti testimonianze del massacro di Nuseirat da parte dei sopravvissuti che hanno visto le forze israelo-americane fare irruzione nelle loro case per giustiziare i loro familiari a sangue freddo si percepiscono a malapena nellapproccio degli Stati Uniti al proprio sistema di violenza e brutalità.

Ma questi continui omicidi e questa barbarie mai vista sono solo una vile facciata che nasconde ciò che è palesemente ovvio: Biden e Netanyahu stanno precipitando verso labisso, e gli effetti del protrarsi di questo genocidio si ritorceranno prima o poi contro i loro interessi.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Linah Alsaafin è una giornalista palestinese che ha scritto per Al Jazeera, The Times Literary Supplement, Al Monitor, The News Internationalist, Open Democracy e Middle East Eye.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Capire la proposta di Biden per un cessate il fuoco a Gaza

Michel Plitnik

1 giugno 2024 Mondoweiss

I dettagli della proposta di Joe Biden per un cessate il fuoco a Gaza rimangono vaghi, ma un esito dello scontro è certo: Israele e gli Stati Uniti hanno perso.

Venerdì il presidente degli Stati Uniti Joe Biden si è avvicinato al microfono e ha controllato l’orologio prima di iniziare il suo discorso, scherzando sul fatto che voleva assicurarsi che fosse pomeriggio. Dato che era in ritardo di quasi un’ora, qualcuno avrebbe potuto suggerirgli da dietro le quinte di aspettare fino all’inizio di Shabbat in Israele. In questo modo i ministri di estrema destra e osservanti del sabato come Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir avrebbero dovuto aspettare un giorno per rispondere a un discorso che certamente non avrebbero voluto sentire.

Del discorso di Biden nemmeno il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu avrebbe potuto essere molto soddisfatto, anche se doveva sapere da tempo che sarebbe avvenuto.

Biden ha usato gran parte del suo discorso per presentare quella che ha definito “una nuova proposta israeliana” per porre fine al massacro di Gaza. Da un lato il piano da lui presentato era incredibilmente simile a quello respinto da Israele all’inizio di maggio, sostenendo successivamente che Hamas, dopo averlo accettato, lo avesse “modificato”.

Questo solleva la questione del perché Israele lo dovrebbe improvvisamente adesso accettare. Parte della risposta è arrivata poco dopo il discorso di Biden, quando entrambe le camere del Congresso e l’intera leadership bipartisan hanno inviato a Netanyahu l’invito formale a parlare in una sessione congiunta del Congresso, probabilmente alla fine di agosto o all’inizio di settembre.

La politica che concerne tutto ciò è cinica, ma non ci sono dubbi sul fatto che le manifestazioni di massa negli Stati Uniti e in Europa, in tutto il mondo arabo e persino in Israele abbiano spinto tutte le parti coinvolte nei colloqui a mettere almeno un’offerta concreta sul tavolo. Tuttavia questa stessa politica potrebbe significare che nonostante tutto l’attacco di Israele continuerà.

Cosa sappiamo della proposta

Come l’accordo ipotizzato qualche settimana fa la proposta avanzata da Biden è divisa in tre fasi.

Nella Fase Uno ci sarebbe un cessate il fuoco completo per sei settimane. Israele si ritirerebbe da “tutte le aree popolate di Gaza”; Hamas e gli altri gruppi militanti rilascerebbero alcuni ostaggi tra cui donne, anziani e feriti in cambio del rilascio di “centinaia” di prigionieri palestinesi; i civili palestinesi potrebbero ovunque tornare nelle loro case a Gaza e ogni giorno entrerebbero a Gaza almeno 600 camion di aiuti umanitari.

Alcuni dettagli cruciali rimangono poco chiari. Forse il più importante è cosa significhi il ritiro di Israele da “tutte le aree popolate di Gaza”. Se Israele non si impegnerà in alcuna operazione militare, la presenza delle truppe apparirà una cosa di routine. E se i palestinesi possono tornare ovunque a Gaza, ciò lascia poca preziosa terra “spopolata” nella piccola e sovraffollata Striscia.

La Fase Due è in qualche modo aperta e i dettagli dovrebbero essere elaborati durante la Fase Uno. Biden ha affermato esplicitamente che se i negoziati non fossero completati entro sei settimane, il cessate il fuoco verrebbe prolungato fino al loro completamento.

La seconda fase vedrebbe un accordo sulla fine permanente delle ostilità, il rilascio di tutti gli ostaggi viventi detenuti a Gaza e il completo ritiro israeliano da Gaza. Dato che non sembra esserci un quadro normativo per una cessazione definitiva, la prospettiva di successo in un periodo di tempo così breve è dubbia.

La terza fase vedrebbe poi la restituzione dei corpi di tutti gli ostaggi morti e l’inizio di un massiccio sforzo di ricostruzione a Gaza da parte della comunità internazionale.

Cosa manca

Il piano così com’è stato presentato è chiaramente incompleto e solleva la domanda se ci siano ulteriori dettagli importanti da elaborare o se quei punti, alcuni dei quali molto significativi, non siano stati omessi dall’annuncio per ragioni politiche.

Forse il punto più importante che manca nella presentazione di Biden è la governance. È un mistero se Israele o gli Stati Uniti siano disposti a tollerare un governo di Hamas. L’Autorità Palestinese potrebbe avere più facilità a subentrare se Hamas accettasse questa offerta e la presentasse come una vittoria per il popolo palestinese. Ma Israele sarebbe davvero d’accordo su questo? Il popolo di Gaza sarebbe disposto ad accettare una sorta di coalizione internazionale per il controllo temporaneo di Gaza? Anche questo sembra improbabile, anche se potrebbe essere un prezzo che vale la pena pagare per porre fine alla tragedia.

Restano aperte le questioni relative ai crimini di guerra, al caso davanti alla Corte Penale Internazionale e ai suoi potenziali mandati di arresto. Se le gravi violenze a Gaza finissero è del tutto possibile che quei casi possano sparire e con essi la speranza di riconoscere la responsabilità di Stati potenti e dei loro leader che commettono crimini di guerra. Ancora una volta, è difficile immaginare che Israele metta fine al massacro per poi affrontare quelle accuse, ed è difficile immaginare che gli Stati Uniti starebbero a guardare.

C’è anche un ovvio problema di implementazione. Biden ha affermato che se Hamas violasse i termini di questa proposta dopo che fosse stata accettata, Israele potrebbe riprendere la sua campagna genocida. Questa è una minaccia che Israele avrà sempre a disposizione. 

Ma cosa succederebbe se fosse Israele a non rispettare la sua parte nell’accordo? Biden sembra aver semplicemente dato per scontato che, se Israele lo accetterà, rispetterà l’accordo. Le lezioni di Oslo non valgono nulla per il Presidente, e di nuovo manca la consapevolezza che solo la pressione esterna – che deve includere gli Stati Uniti, anche se non è necessario che siano l’unico Stato ad applicarla – può garantire che Israele ottemperi agli accordi. È una storia con un finale molto brutto che abbiamo visto ripetersi molte volte nel corso degli anni.

La politica dell’offerta

La tempistica di questa offerta suggerisce il motivo per cui sia arrivata proprio ora. Visto che Donald Trump era stato condannato per 34 reati a New York proprio il giorno prima, Biden ha fatto di tutto per trarre vantaggio dalla giornata nera di Trump anche perché, almeno inizialmente, le condanne di Trump non sembrano avergli dato una gran spinta.

Naturalmente, visto quanto è costato a Biden il sostegno al genocidio di Gaza, ogni momento è buono per concludere un accordo. La vera domanda è perché Israele all’improvviso abbia accettato la proposta.

In primo luogo è importante comprendere la prassi di Israele. La sua squadra negoziale ha lavorato con Egitto, Qatar e Stati Uniti su questo accordo, ma è improbabile che si tratti di una proposta che venga da Israele, come l’ha presentata Biden. Netanyahu ha dovuto approvare che gli Stati Uniti facessero la proposta a nome di Israele, ma ciò non significa che Israele l’abbia ufficialmente accettata. Netanyahu ha l’ultima parola e se i partiti di estrema destra minacciassero di lasciare il governo potrebbe fare marcia indietro. 

Inoltre Netanyahu non ha avuto bisogno di premere molto per respingere il cessate il fuoco che porterebbe al rilascio degli ostaggi detenuti a Gaza, come ha ripetutamente fatto sin dall’inizio. Anche se il suo governo non dovesse cadere immediatamente, correrebbe comunque un serio rischio nei processi per corruzione in corso. Continuare la carneficina a Gaza impedisce che questo accada.

L’invito del Congresso è probabilmente parte del pacchetto che Biden ha offerto a Netanyahu per portare avanti questa proposta almeno provvisoriamente. Potrebbero esserci altri incentivi che devono ancora concretizzarsi affinché Netanyahu possa aumentare la sua popolarità in Israele o perché altri partiti, come Yesh Atid [partito israeliano sionista di centro e laico, ndt.] di Yair Lapid, accettino di salvare il suo governo se i partiti di estrema destra se ne vanno. Ma Biden ha un disperato bisogno di trarre qualcosa di positivo dalla débâcle di Gaza e se trova il modo di salvare Netanyahu e far sì che ciò accada lo farà sicuramente.

Nel suo discorso Biden ha aperto la porta a Netanyahu dicendo che negli ultimi otto mesi sono stati uccisi così tanti combattenti di Hamas che non sarebbe possibile organizzare di nuovo un attacco pesante come quello del 7 ottobre. Stava chiaramente lastricando la strada che Netanyahu avrebbe potuto percorrere per rivendicare la vittoria accettando questo accordo, suggerendo che l’intenzione di Netanyahu di sconfiggere completamente Hamas sia stata soddisfatta per quanto realisticamente possibile.

Le reazioni

Eppure sia Netanyahu che Hamas sono stati cautamente positivi nelle loro risposte. Hamas ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma: “Hamas conferma la sua disponibilità ad affrontare positivamente e in modo costruttivo qualsiasi proposta basata sul cessate il fuoco permanente e sul completo ritiro [delle forze israeliane] dalla Striscia di Gaza, sulla ricostruzione [di Gaza], e il ritorno degli sfollati ai loro luoghi, insieme alla realizzazione di un vero accordo di scambio di prigionieri se l’occupazione annuncia chiaramente l’impegno a tale accordo”.

È una risposta intelligente. Esprime il fatto che stiano ancora analizzando i dettagli, alcuni dei quali non sono ancora stati resi pubblici e che non si impegneranno pubblicamente nell’accordo finché Israele non dichiarerà il suo appoggio. Il fatto è che questa proposta soddisfa in gran parte le richieste che Hamas ha ripetuto negli ultimi mesi: cessate il fuoco completo, fine delle ostilità, ritiro completo israeliano e completa libertà dei palestinesi di tornare ovunque siano stati cacciati da Gaza.

Tutte queste cose non accadrebbero necessariamente il primo giorno, ma è improbabile che Hamas trovi un accordo migliore di questo ed è certamente un accordo che gli permette di affermare realisticamente di aver resistito a tutti gli attacchi di Israele, e che loro e il popolo di Gaza sono rimasti in piedi. Israele avrà la propria narrazione e i sostenitori di ciascuna parte abbracceranno le varie versioni, ma questo è un argomento realistico che Hamas può sostenere.

Biden ha fatto allusione all’idea che questa proposta in qualche modo rimetta in pista l’idea di una soluzione a due Stati, il che è una totale assurdità. Non avrà alcun effetto su quel miraggio, metterà semplicemente fine al massacro.

Biden ha anche lasciato intendere che la cosa potrebbe portare all’accordo di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele. Anche questo è improbabile. Non è impossibile, ma richiederà una serie di altre cose per essere realizzato, inclusa l’approvazione del Senato sull’accordo e l’impegno di Israele per uno Stato palestinese, cosa che è altamente improbabile Netanyahu faccia.

In effetti se quell’accordo ne facesse in qualche modo parte sarebbe una ricetta per un disastro. Non solo perché l’idea della normalizzazione è una politica terribile per gli Stati Uniti, i palestinesi e l’intera regione, ma anche perché minaccia di suscitare la stessa disperazione che è stata un fattore significativo nella decisione di Hamas di lanciare l’attacco del 7 ottobre.

Biden non sarebbe saggio nel perseguire questa strada, anche se ne sarebbe tentato data la sua ossessione per l’idea di normalizzazione israelo-saudita e il suo desiderio di una grande vittoria in politica estera. La proposta, anche se accettata, difficilmente sarà quel genere di vittoria.

Ciò è dovuto soprattutto al fatto che l’intera proposta chiarisce come Israele e gli Stati Uniti abbiano perso. La tregua che potrebbe prendere piede è sul tavolo dallo scorso anno, in una forma o nell’altra. Molte vite palestinesi, così come alcune vite israeliane, avrebbero potuto essere salvate.

Israele ha insistito sul fatto che solo la forza delle armi avrebbe potuto liberare gli ostaggi, nonostante il fatto che non ci sia riuscito, mentre un precedente cessate il fuoco prevedeva la liberazione di quasi metà degli ostaggi. Hamas continua ad esistere e continuerà ad esistere indipendentemente dal fatto che questa proposta venga accettata o meno. La popolazione di Gaza è rimasta a Gaza, nonostante la massiccia perdita di vite umane.

Tutto ciò che Israele è riuscito a fare sono stati massacri e distruzioni, che hanno danneggiato gravemente e permanentemente la sua posizione nel mondo, non solo tra milioni e milioni di persone ma anche tra molti governi.

Tutto questo avrebbe potuto essere evitato e non ci vogliono piani complicati per farlo. Concedere semplicemente ai palestinesi i diritti e le libertà che tutti ci aspettiamo. In un mondo simile non ci sarebbe bisogno del 7 ottobre, né di odio, paura e insicurezza. Il discorso di Biden e la sua proposta non contengono alcun indizio che adesso capisca la situazione meglio di quanto la capisse il 6 ottobre.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)