Guerra a Gaza: mentre gli occhi sono puntati su Rafah, Israele sta consolidando il controllo del nord di Gaza

Ameer Makhoul

25 marzo 2024-Middle East Eye

Israele sta costruendo infrastrutture per dividere Gaza, impedire il ritorno dei palestinesi sfollati e cambiare la situazione geografica e demografica sul terreno.

Dopo la recente approvazione di un piano per invadere Rafah – dove sono rifugiati 1,4 milioni di palestinesi – il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato la scorsa settimana che l’esercito si sta preparando ad avanzare.

Il cosiddetto gabinetto di guerra “triumvirato”, composto da Netanyahu, dal ministro della Difesa Yoav Gallant e dall’ex leader dell’opposizione Benny Gantz, aveva già raggiunto un consenso su un’incursione a Rafah per prendere il controllo del corridoio di Filadelfia (chiamato anche via di Filadelfia o asse di Saladino).

In un discorso rivolto alla lobby filo-israeliana statunitense Aipac Netanyahu ha insistito sul fatto che “la strada verso la vittoria passa attraverso Rafah”: una strategia che, secondo lui, gode di “un sostegno schiacciante” all’interno della società israeliana.

Eppure, mentre le minacce dei politici israeliani di un’imminente invasione di Rafah stanno dirigendo l’attenzione del mondo verso il sud, il governo ha accelerato i passi sul territorio nel nord di Gaza per consolidare la sua occupazione e garantirne la longevità.

Una caratteristica fondamentale della sua strategia è prevenire il ritorno dei palestinesi sfollati dal sud mentre cerca di cambiare le caratteristiche geografiche e demografiche della Striscia di Gaza.

“Occupazione permanente”

Le immagini satellitari analizzate dalla CNN mostrano che una strada costruita dall’esercito israeliano per dividere Gaza in due ha raggiunto la costa mediterranea.

Secondo il rapporto della CNN un’immagine satellitare del 6 marzo “rivela che la strada est-ovest, in costruzione da settimane, si estende ora dalla zona di confine tra Gaza e Israele per tutta la larghezza di circa 6,5 km della striscia che divide il nord di Gaza, inclusa Gaza City, dal sud dell’enclave.”

Il rapporto rileva che i militari hanno utilizzato “una grande quantità di mine ed esplosivi” per ripulire l’area. Le bombe di fabbricazione americana sono state usate per distruggere le restanti case e infrastrutture nel nord di Gaza, in particolare nell’area di Beit Hanoun, che confina con il valico di Erez.

Altre aree vicino a Gaza City, soprattutto nella periferia orientale, sono diventate parte della zona cuscinetto che Israele sta costruendo a Gaza e lungo il confine.

Nel quartiere di Zaytoun, nel mezzo di negoziati senza fine per il cessate il fuoco, l’esercito israeliano sta portando avanti un “progetto pilota” di gestione civile destinato a controllare completamente la distribuzione di cibo e altre provviste. Si basa sulla convinzione che chi controlla il cibo controlla le persone.

Questo progetto è accompagnato dal severo divieto di Israele di fornire aiuti a Gaza e dall’espulsione delle organizzazioni umanitarie dall’area, una politica che Israele cerca di estendere ad altre aree di Gaza. Israele ha specificamente preso di mira e intende a distruggere l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, Unrwa, come parte dei suoi sforzi per eliminare la questione dei rifugiati e il diritto al ritorno dei palestinesi.

Le forze israeliane cercano inoltre di reclutare agenti palestinesi con i quali cooperare con il pretesto della distribuzione di cibo e aiuti. Tuttavia, in realtà puntano ad addestrare quegli agenti al mantenimento della sicurezza e trasformarli in milizie che opprimeranno i palestinesi. Queste milizie diventeranno un’estensione dell’occupazione e trarranno beneficio dal suo sistema corrotto.

In particolare la strada di nuova costruzione nella regione settentrionale frammenta la città, trasformandola in enclave residenziali isolate. La posizione della strada, che si estende fino al mare, sembra corrispondere a quella del “molo galleggiante” progettato dagli Stati Uniti, che l’amministrazione Biden ha proposto di costruire.

In realtà Israele sta sviluppando le infrastrutture per un’occupazione permanente della Striscia di Gaza in condizioni fondamentalmente diverse da quelle esistenti fino al disimpegno del 2005. Nello specifico, Gaza non sarà più considerata un’estensione della popolazione palestinese o parte della regione geografica palestinese.

L’obiettivo è piuttosto impedire il ritorno degli abitanti sfollati, mentre chi riuscirà a rientrare non troverà più nulla a cui tornare, poiché non ci sono più case, né quartieri, né città.

Questa è una dottrina in vigore sin dalla Nakba palestinese del 1948 e dalla creazione della questione dei rifugiati palestinesi, che è ancora definita come sfollamento “temporaneo”.

Reinsediamento israeliano

Israele è in procinto di ripristinare la sua occupazione di Gaza prendendo il controllo delle strade principali, dei corridoi e delle altre vie di comunicazione. Fino al suo ritiro unilaterale nel 2005 ai palestinesi era negato l’accesso a queste aree.

L’idea di dividere la Striscia di Gaza in aree accessibili agli israeliani e altre riservate ai palestinesi risale all’occupazione del 1967.

Nel 1971 Ariel Sharon, il comandante dell’esercito israeliano della regione meridionale che in seguito divenne primo ministro, preparò un piano per dividere Gaza e il Nord Sinai in cinque aree di insediamento che impedissero la contiguità geografica tra i palestinesi del nord, del centro e del sud.

Israele avrebbe circondato quest’area da nord con insediamenti e posti di blocco e da sud con un blocco di insediamenti nel deserto settentrionale del Sinai.

Sharon lo chiamò “Piano delle cinque dita” e il governo guidato da Golda Meir lo adottò integralmente nel 1972.

Il primo è il “Dito Nord”, che comprendeva un blocco di insediamenti nell’estremo nord della Striscia di Gaza – Beit Hanoun e il valico di Erez. Mirava ad espandere le propaggini di Ashkelon (Asqalan al-Burj) alle aree all’interno di Gaza.

Il secondo è il “dito di Netzarim”, che si estende tra il valico di al-Montar, o Karni, e il mare. È lungo 8 km e separa Gaza City dalla Gaza Valley e dal centro della Striscia. Prima del 2005 l’insediamento di Netzarim era situato nella parte occidentale di Gaza, lungo la costa. Attraversava al-Rashid e Salah al-Din Road, l’autostrada principale di Gaza, e si estendeva da nord a sud della striscia costituendo un punto di controllo per il porto di Gaza.

Il terzo dito è l’asse Kissufim, un insediamento vicino a Shuhada Street, che separa Deir al-Balah dalle aree centrali di Gaza fino a Khan Younis, dove è stato istituito il blocco di insediamenti Gush Katif.

Il quarto è il kibbutz Sufa tra Khan Younis e Rafah. È stato fondato nel 1974 come postazione militare nella penisola del Sinai e trasformato in una fattoria civile nel 1977. È stato progettato per estendersi fino al mare.

Il quinto dito è il blocco degli insediamenti Yamit nel nord del Sinai, alla periferia sud di Rafah, che impedisce qualsiasi contiguità geografica tra Rafah e il Sinai.

Dodici dei suoi centri abitati e un aeroporto israeliano furono annessi nel 1982 dopo l’accordo di Camp David con l’Egitto. Successivamente fu istituito il corridoio di Filadelfia (Saladin). Invadendo Rafah Israele cerca di controllare il passaggio con l’Egitto.

Vale la pena notare che la maggior parte delle “dita” vanno da est a ovest, raggiungendo il mare, per impedire la contiguità geografica nella Striscia di Gaza. L’obiettivo di Israele era isolare Gaza dal nord e dal sud in diverse aree strategiche.

Tuttavia la maggior parte dei piani “finger” non sono durati nel tempo e si sono conclusi nel 2005 quando il governo guidato da Sharon ha deciso di ritirarsi del tutto da Gaza.

In una recente escalation il consiglio di insediamento in Cisgiordania ha tenuto una conferenza popolare per reinsediare Gaza, alla quale hanno partecipato 12 ministri del Sionismo religioso e del partito Likud.

Il consiglio ha riesaminato i piani per ricostruire blocchi di insediamenti negli stessi luoghi da cui erano stati ritirati e demoliti nel 2005, in concomitanza con l’attuazione del piano di disimpegno da Gaza e dalla Cisgiordania settentrionale.

Concentrazione sugli aiuti

Le minacce di Netanyahu di prendere d’assalto Rafah e il corridoio Filadelfia sono probabilmente una tattica negoziale per fare pressione e ricattare i leader di Hamas e l’Egitto. Ciononostante gli analisti israeliani insistono sul fatto che i veri interessi strategici di Israele risiedono nel nord di Gaza e che un confronto con l’Egitto potrebbe innescare un dilemma strategico.

Ciò significa che non esiste alcuna opzione per prendere in considerazione una soluzione globale alla guerra, ma solo accordi parziali e temporanei dopo i quali la guerra continuerà – per cui Israele non si ritirerà e le famiglie sfollate non ritorneranno.

Nella migliore delle ipotesi qualsiasi discussione sul ritorno degli sfollati a Gaza sarà insignificante e non porterà al loro effettivo ritorno. Infatti prima di qualsiasi cessate il fuoco Israele avrà completato il suo sistema di controllo e consolidato la sua presenza coloniale a Gaza. In altre parole Israele non sta portando avanti una campagna militare che si concluderà con la fine di questa guerra.

Palestinesi e arabi sono troppo concentrati sui negoziati, sui colloqui di cessate il fuoco e sulle tattiche di ostruzionismo di Israele. Ciò si traduce in una corsa continua alla ricerca di dettagli che costituiscono una serie di distrazioni, mentre le azioni di Israele sul terreno rivelano chiaramente un ritorno all’occupazione totale di Gaza e alla sua distruzione come una coesa unità geografica per il suo popolo.

L’ossessione della comunità internazionale per gli aiuti umanitari, ignorando i piani a lungo termine di Israele, porterà ulteriormente allo sfollamento indefinito dei palestinesi.

Un’altra questione riguarda la proposta del “molo galleggiante”, che secondo la Casa Bianca verrà utilizzato per consegnare a Gaza due milioni di pasti al giorno. Secondo questo piano, Israele assumerà il controllo della sicurezza del porto improvvisato, in collaborazione con l’esercito americano, che non dovrà entrare a Gaza. Eppure Netanyahu ha recentemente affermato che questo bacino potrebbe aiutare a “deportare” i palestinesi da Gaza e attraverso il quale Israele potrebbe effettuare la loro espulsione di massa.

Vale anche la pena ricordare che l’ampia strada che l’esercito israeliano sta costruendo dal sud-est di Gaza City al mare è geograficamente coerente con la proposta avanzata dal ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ai leader dell’UE riguardo allo spostamento forzato dei palestinesi su un’isola artificiale.

Inoltre, la costante attenzione al nord di Gaza come regione a sé stante suggerisce la ricerca di un riconoscimento internazionale del fatto che il nord di Gaza sia separato dal sud. Stabilendo strutture separate di distribuzione degli aiuti per il nord e il sud – che saranno gestite da Israele – la comunità internazionale garantisce la continua presenza e occupazione di Gaza da parte di Israele.

Significa anche che gli aiuti umanitari americani potrebbero diventare un’estensione dell’occupazione israeliana e dei suoi meccanismi di controllo su Gaza. Questo progetto è stato elaborato anche sulla base del fatto che i sostenitori del governo Netanyahu impediscono l’ingresso di aiuti a Gaza attraverso il valico di frontiera Karem Abu Salem, o Kerem Shalom.

Discorso irrealistico

Inoltre, il discorso politico all’interno delle fazioni palestinesi è irrealistico e tratta la situazione come se le condizioni fossero le stesse precedenti il 7 ottobre e non fossero cambiate drasticamente. Affermano che i palestinesi devono semplicemente superare le loro divisioni anche se la Valle di Gaza è diventata un confine che limita il movimento dei palestinesi a Gaza, simile al muro dell’apartheid in Cisgiordania.

Il muro dell’apartheid ha cambiato drasticamente le caratteristiche politiche e geografiche della popolazione in Cisgiordania. È stato costruito sulle rovine della presenza urbana palestinese e di una popolazione che è stata sfollata con la forza e a cui è stato impedito per sempre il ritorno.

Portando avanti i suoi piani a Gaza, in particolare nel nord, Israele sta assicurando la sua occupazione duratura di Gaza. Palestinesi e arabi – così come la comunità internazionale – dovrebbero concentrare la loro attenzione sui drastici cambiamenti avvenuti nella situazione geografica e demografica sul terreno.

È necessaria una pressione araba diretta sugli Stati Uniti per costringere Israele a consentire l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza attraverso i suoi confini terrestri e a non sottostare alle condizioni del governo israeliano, poiché Gaza rimane un’area palestinese, non israeliana.

Devono inoltre assumere una posizione ferma e lanciare una massiccia campagna per fare pressione sull’amministrazione Biden affinché smetta di fornire a Israele aiuti militari e armi utilizzate per sradicare tutti gli elementi fondamentali della vita a Gaza, fornendo al contempo un’assistenza umanitaria inadeguata, che, di fatto, è priva di qualsiasi umanità.

Tale pressione esterna è necessaria poiché sia il governo Netanyahu che l’opposizione stanno bloccando tutti i passi verso una soluzione politica.

Nel frattempo, mentre consolidano la loro occupazione a Gaza, stanno sistematicamente affamando la popolazione palestinese e commettendo atti gravi che equivalgono a crimini di guerra e atti mortali di genocidio – le cui conseguenze potrebbero essere più terribili dei bombardamenti quotidiani della città e della sua gente.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Eye.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Una commissione delle Nazioni Unite dichiara che indagherà sulle accuse di “apartheid” contro Israele

Luke Tress

28 ottobre 2022 – The Times of Israel

Il rappresentante di Israele afferma che i membri della commissione “detestano” lo Stato ebraico.

I componenti della commissione d’inchiesta definiscono il termine “un paradigma appropriato“, respingono le accuse di antisemitismo come una “manovra diversiva” e le preoccupazioni sulla sicurezza come una “finzione” e sostengono che Gerusalemme potrebbe essere colpevole di crimini di guerra

NAZIONI UNITE – Giovedì la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti da parte di Israele e dei palestinesi ha dichiarato che indagherà sulle accuse di apartheid contro Israele, confermando i timori di Gerusalemme [Tel Aviv, capitale di Israele per il diritto internazionale, ndt.] che la controversa indagine conduca ad etichettarla con il termine infamante.

L’indagine delle Nazioni Unite in corso è stata avviata dal Consiglio per i diritti umani dopo gli 11 giorni di battaglia lo scorso anno tra Israele e i terroristi di Gaza, allo scopo di indagare le violazioni dei diritti in Israele, in Cisgiordania e a Gaza, ma si è concentrata quasi esclusivamente su Israele.

La Commissione ha pubblicato il suo secondo rapporto la scorsa settimana, chiedendo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di porre fine all'”occupazione permanente” da parte di Israele e esortando gli Stati membri delle Nazioni Unite a perseguire i responsabili israeliani.

Giovedì, durante un briefing alle Nazioni Unite a New York, i tre membri della commissione hanno dichiarato che i prossimi rapporti riguarderanno le indagini sull’apartheid da parte di Israele. Hanno affermato che finora la ricerca si è concentrata sulle “cause profonde” del conflitto, da loro imputato alla presenza di Israele in Cisgiordania.

Navi Pillay, un’ex responsabile delle Nazioni Unite per i diritti umani che presiede la commissione, ha definito l’apartheid “una manifestazione dell’occupazione”.

“Ci stiamo concentrando sulla causa principale, rappresentata dall’occupazione, mentre l’apartheid fa parte dei suoi effetti”, dice Pillay. Ci arriveremo. Questo è il vantaggio del nostro mandato a tempo indefinito, ci consente una vasta libertà di indagine”.

Il membro della Commissione Miloon Kothari ha affermato inoltre che la natura a tempo indefinito dell’indagine permette di approfondire l’accusa di apartheid.

“Ci arriveremo perché abbiamo a disposizione molti anni e molti aspetti da approfondire”, dice.

“Pensiamo che sia necessario un approccio globale, quindi dobbiamo esaminare le questioni del colonialismo d’insediamento”, aggiunge Kothari. “L’apartheid è in sé un paradigma molto appropriato, quindi avremo un approccio leggermente diverso, ma ci arriveremo sicuramente”.

Israele ha rifiutato di collaborare con la commissione e non le ha concesso l’ingresso in Israele o nelle aree sotto controllo palestinese in Cisgiordania e Gaza. Ha respinto il rapporto della scorsa settimana, definendo la commissione non credibile né legittima. Giovedì, l’ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite ha affermato che i membri della commissione sono stati scelti in quanto “detestano” Israele.

I resoconti dell’inizio di quest’anno affermavano che il ministero degli Esteri stesse pianificando una campagna per sventare le accuse di apartheid da parte della commissione. Secondo quanto riferito, un cablogramma trapelato ha rivelato che i funzionari israeliani erano preoccupati per il danno che il primo rapporto della commissione avrebbe potuto causare se avesse fatto riferimento ad Israele come uno “Stato di apartheid”.

Il primo ministro Yair Lapid, che all’inizio dell‘anno ricopriva il ruolo di ministro degli Esteri, ha avvertito che quest’anno Israele avrebbe dovuto affrontare intense campagne rivolte ad etichettarlo come uno Stato di apartheid.

Nel corso degli ultimi due anni il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Human Rights Watch, Amnesty International e altre [organizzazioni per i diritti umani] hanno accusato Israele di apartheid, prendendo in prestito il termine dal sistema sudafricano di discriminazione su base razziale.

Israele ha negato categoricamente le accuse di apartheid, affermando che la sua minoranza araba gode di pieni diritti civili, mentre la maggior parte dei palestinesi, che vivono al di fuori del territorio sovrano di Israele, sono soggetti al governo dell’Autorità Nazionale Palestinese sulla base degli accordi di Oslo.

Ha inoltre reagito con irritazione al termine “occupazione”, usato per descrivere le sue attività in Cisgiordania e a Gaza. Considera Gaza, dalla quale ha ritirato soldati e coloni nel 2005, come un’entità ostile governata dal gruppo terroristico islamico Hamas, e ritiene la Cisgiordania un territorio conteso soggetto a negoziati di pace interrotti da quasi dieci anni. I palestinesi rivendicano come futuro Stato indipendente la Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza, territori conquistati da Israele nella guerra del 1967.

Giovedì la commissione ha presentato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il suo ultimo rapporto.

Il rapporto di 28 pagine accusa Israele di violare il diritto internazionale rendendo permanente il suo controllo sulla Cisgiordania e annettendo a Gerusalemme e in Cisgiordania territori rivendicati dai palestinesi e terra siriana sulle alture del Golan. Accusa inoltre Israele di politiche discriminatorie nei confronti dei cittadini arabi, di furto di risorse naturali e di violenza di genere contro le donne palestinesi.

Non menziona affatto Hamas, razzi o terrorismo, sebbene la commissione abbia ripetutamente precisato che presunti crimini palestinesi rientrano nell’ambito dell’indagine.

In passato i tre componenti della commissione sono stati aspramente critici nei confronti di Israele e Israele ha affermato che l’indagine è viziata da pregiudizi e antisemitismo.

Lapid ha definito il rapporto antisemita, “di parte, falso, istigatore e palesemente sbilanciato”.

Giovedì Pillay ha negato le accuse di aver definito in passato Israele uno Stato di apartheid. Il gruppo di monitoraggio di UN Watch [ONG internazionale la cui missione dichiarata è “monitorare le prestazioni delle Nazioni Unite sulla base della propria Carta”, ndt.] ha affermato di aver documentato più casi in cui fino al 2020 ella avrebbe accusato Israele di apartheid.

La Pillay ha anche affrontato critiche per la sua difesa di Kothari, che ha suscitato un putiferio all’inizio di quest’anno, quando ha affermato che i social media sarebbero “controllati in gran parte dalla lobby ebraica”, invocando tropi antisemiti sul potere ebraico. Ha anche chiesto perché Israele facesse parte delle Nazioni Unite.

Giovedì l’inviato israeliano alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, ha condannato il rapporto insieme ai genitori di Ido Avigal, un bambino ucciso da Hamas durante il conflitto del 2021.

“[I commissari] sono stati scelti proprio in quanto detestano lo Stato ebraico”, ha detto Erdan.

I membri della commissione hanno affermato che le critiche di Israele non “smentiscono i risultati” del rapporto.

Anche gli Stati Uniti hanno ripetutamente condannato la commissione. Mercoledì durante un incontro con il presidente israeliano Isaac Herzog il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha denunciato l’indagine come di parte.

L’indagine “segue uno schema di vecchia data prendendo di mira Israele e non fa nulla per realizzare i presupposti per una pace”, ha affermato la Casa Bianca.

Giovedì Pillay ha respinto le accuse di antisemitismo, definendo le affermazioni “offensive” e “una manovra diversiva”.

Non siamo tutti e tre degli antisemiti. Consentitemi di chiarirlo e poi, come se non bastasse, hanno affermato che anche la relazione sarebbe antisemita. Non c’è una parola in questo rapporto che possa essere interpretata come antisemita”, ha detto. “Questa [accusa] viene sempre sollevata come diversivo.”

Siamo fortemente impegnati per la giustizia, lo stato di diritto e i diritti umani e non dovremmo essere costretti a subire tali insulti. Sono totalmente falsi, tutte falsità e bugie”, afferma.

Dice che Israele potrebbe essere colpevole di crimini internazionali, inclusi crimini di guerra, per il trasferimento di civili nei “territori occupati”, riferendosi agli insediamenti coloniali in Cisgiordania, dove vivono quasi 500.000 israeliani.

Kothari ha definito i coloni un “corpo paramilitare”.

“Possono fare quello che diavolo vogliono, possono fare irruzione nelle case, possono distruggere gli ulivi”, ha detto.

Pillay ha respinto, definendole “una finzione” dietro cui il Paese cerca di “nascondersi”, le preoccupazioni sulla sicurezza citate da Israele come giustificazione per il mantenimento di una presenza in Cisgiordania.

“Alcune delle politiche israeliane in Cisgiordania hanno solo lo scopo di giustificare in modo apparente problemi di sicurezza”, ha affermato.

La commissione ha chiesto a Israele di ritirarsi immediatamente dalla Cisgiordania, senza fare nessuna richiesta ai palestinesi.

Kothari respinge l’idea di un ritiro israeliano come parte di colloqui di pace verso una soluzione a due Stati, un processo sostenuto da gran parte della comunità internazionale.

“Come possiamo parlare di pace o negoziati senza che prima vengano prese delle misure da parte israeliana?” afferma Kotari.

Mentre la maggior parte degli israeliani sostiene una soluzione a due Stati, Israele ritiene che un ritiro unilaterale dalla Cisgiordania senza garanzie di sicurezza creerebbe uno Stato terroristico alle sue porte, indicando come esempio Gaza, dove ha condotto guerre ripetute per ostacolare gli attacchi missilistici di Hamas contro i civili. Israele giustifica anche il suo blocco sulla Striscia di Gaza, mantenuto insieme all’Egitto, come misura di sicurezza necessaria per fermare il terrorismo.

Il primo rapporto, pubblicato a maggio, faceva una breve menzione degli attacchi missilistici e del terrorismo palestinese, ma condannava la “persistente discriminazione contro i palestinesi” da parte di Israele come causa della violenza tra le due parti.

Giovedì la commissione ha affermato che “condanna qualsiasi forma di violenza”.

Il commissario Chris Sidoti ha detto che i rapporti futuri avranno “una copertura più completa” e che i dati su Israele sono limitati perché Israele non ha consentito l’ingresso ai commissari.

“Se ci sarà dato il permesso di entrare in Israele faremo queste domande ai funzionari competenti”, afferma Kothari. “Dateci la vostra versione delle cose perché vogliamo riportare i fatti con equità“.

I commissari non hanno accesso neppure a Gaza o in Cisgiordania.

La commissione è stata istituita l’anno scorso durante una sessione speciale del Consiglio per i diritti umani nel maggio 2021 a seguito dei combattimenti tra Israele e terroristi palestinesi nella Striscia di Gaza. L’UNHRC ha incaricato l’organismo di condurre un’indagine su “tutte le presunte violazioni del diritto umanitario internazionale e tutte le presunte violazioni e abusi delle leggi internazionali sui diritti umani” in Israele, Gerusalemme est, Cisgiordania e Gaza.

La commissione è stata la prima ad ottenere dall’organismo per i diritti umani delle Nazioni Unite un mandato a tempo indefinito – piuttosto che avere il compito di indagare su un crimine specifico – e i critici affermano che delle indagini così prolungate mostrino la presenza di pregiudizi anti-israeliani all’interno del consiglio dei 47 Stati membri. I fautori sostengono la commissione come una modalità per tenere gli occhi aperti sulle ingiustizie affrontate dai palestinesi durante decenni di dominio israeliano.

Sembrano accettare un’occupazione senza fine, ma si lamentano di questa commissione. Il mandato a tempo indeterminato ci consente di affrontare in profondità alcuni di questi problemi”, sostiene Pillay.

La commissione ha anche dichiarato di non aver avviato l’indagine – l’hanno fatto gli Stati membri – e ha detto di ritenere che le Nazioni Unite dovrebbero istituire più indagini a tempo indefinito.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)