L’incremento dei discorsi di odio contro i palestinesi nelle reti sociali israeliane

 Nadim Nashif

21 maggio 2019 – Al Shabaka

Israele è uno dei Paesi di punta a livello mondiale nelle tecnologie e nella sorveglianza della sicurezza informatica e, su piattaforme come Facebook e Twitter, usa sistemi di polizia preventiva nelle reti sociali per limitare sempre di più la libertà di espressione dei palestinesi. Questi sistemi individuano gli utenti accostando caratteristiche come età, genere e localizzazione con parole chiave come “resistenza” e “martire”. Le autorità israeliane allora prendono di mira questi utenti censurando i loro post e le loro pagine, cancellando i loro account e, nei casi peggiori, arrestandoli.

Ciò avviene mentre è in aumento il numero di attacchi in rete contro palestinesi da parte di israeliani. Il governo e la polizia israeliani ignorano questi attacchi, accentuando il rischio che i palestinesi vengano presi di mira offline da attori non statali.

7amleh – the Arab Center for the Advancement of Social Media [Il Centro Arabo per la Promozione delle Reti Sociali] monitora e documenta discorsi razzisti e discriminatori in rete e negli ultimi tre anni ha compilato un “Indice del Razzismo sui Media Sociali Israeliani”. L’ultima edizione, pubblicata nel marzo 2019, mostra un aumento nelle reti sociali israeliane dei post che incitano all’odio contro i palestinesi, con contenuti simili postati ogni 66 secondi, rispetto ai 71 secondi del 2017.

Facebook è la principale piattaforma su cui hanno luogo le istigazioni contro i palestinesi (66%), seguito da Twitter (16%), in cui il numero di post che incitano all’odio sono più che raddoppiati dal 2017. Durante il 2018 i media sociali israeliani hanno pubblicato un totale di 474.250 post offensivi, razzisti e che incitano all’odio contro i palestinesi, soprattutto in riferimento all’approvazione nel luglio 2018 della legge dello Stato-Nazione, che ha dichiarato Israele uno Stato del popolo ebraico ed ha declassato l’arabo da lingua ufficiale a lingua con uno “status speciale”.

Su Facebook esempi di istigazione sono concentrati soprattutto sulle pagine dei siti di notizie israeliani e di gruppi di destra. Questi post sono in larga parte diretti contro membri palestinesi della Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.], politici palestinesi e i loro partiti politici e cittadini palestinesi di Israele, comprese anche importanti figure come la giornalista televisiva Lucy Harish [che ha sposato un attore israeliano ebreo, ndtr.]. Un post su dieci sui social media contro “arabi”, il termine usato dagli israeliani per negare l’identità palestinese, contiene discorsi di odio o appelli ad atti di violenza, come stupro e assassinio.

Nel contempo Israele non ha mai smesso di cercare di biasimare aziende di social media e di minacciarle di [emanare] leggi coercitive per l’incremento di “incitamento” palestinese in rete. Quelli che Israele ha attaccato come esempi di incitamento all’odio da parte palestinese sono spesso dubbi. Un esempio importante sono stati i versi di Dareen Tatour, una cittadina palestinese di Israele il cui appello a “resistere” contro l’occupante in una poesia che ha postato online nell’ottobre 2015 ha avuto come conseguenza circa tre anni di arresti domiciliari e cinque mesi di prigione. Il governo israeliano ha accusato Tatour di incitamento alla violenza e al terrorismo, dimostrando l’uso di una terminologia vaga per criminalizzare l’attività in rete, quando ciò serve ai suoi interessi di discriminazione, da parte di Israele.

Nel gennaio 2017 la Knesset ha approvato in prima lettura la legge “Facebook”, che concederebbe ai tribunali amministrativi israeliani il potere di bloccare contenuti in internet che rappresentino “incitamento” in rete. La legge autorizzerebbe la cancellazione di un testo “se danneggia la sicurezza degli esseri umani e di vitali infrastrutture pubbliche, economiche o statali.” Ciò riguarda giganti dei media sociali come Facebook, Twitter e YouTube, così come motori di ricerca come Google, e includerebbe multe o persino il loro divieto di operare nel Paese.”

La legge è arrivata fino alla lettura finale nel luglio 2018, quando il primo ministro Benjamin Netanyahu ha chiesto che venga riconsiderata a causa delle critiche nazionali e internazionali secondo cui ridurrebbe la libertà di espressione. Le critiche alla legge affermano che avrebbe in primo luogo un effetto negativo sulla libertà di parola dei palestinesi in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e in Israele, ma anche di altri cittadini israeliani, a causa della definizione ampia e generica di “incitamento” e “sicurezza nazionale”.

La legge esemplifica l’influenza che Stati potenti come Israele possono esercitare su imprese private perché accolgano e portino avanti i loro progetti politici discriminatori – così come la sicurezza e il benessere dei palestinesi siano ignorati e minacciati dalle autorità israeliane.

Suggerimenti di politiche

  • Facebook e le altre piattaforme di social media devono sviluppare e applicare politiche corrette ed efficaci di moderazione dei contenuti.

  • Il governo israeliano dovrebbe agire contro discorsi razzisti in rete e applicare misure che proteggano i palestinesi.

  • La società civile e gli attivisti dovrebbero perseguire sforzi coordinati per monitorare, documentare, analizzare e informare sul razzismo online e su discorsi d’odio.

  • La comunità dei donatori dovrebbe finanziare progetti che sostengano lo sviluppo di reti di monitoraggio indipendente e di attivisti per la sicurezza digitale. Questi comportamenti incentiverebbero la capacità dei palestinesi di esercitare il proprio diritto di esprimersi liberamente in rete.

Nadim Nashif

Membro di Al-Shabaka esperto in politiche, Nadim Nashif è il direttore esecutivo e co-fondatore di 7amleh: The Arab Center for the Advancement of Social Media. Nadim è un impegnato difensore dei diritti digitali e da molto tempo organizzatore di comunità, che ha lavorato su questioni dei giovani e di sviluppo di comunità da oltre 20 anni. Nadim ha fondato e in precedenza ha lavorato come direttore di Baladna, The Association for Arab Youth [Associazione per la Gioventù Araba]. Ha fondato e coordinato l’ala giovanile del partito politico Balad [partito arabo-israeliano antisionista, ndtr.] prima di diventare direttore del Comitato per la Guida Educativa degli Studenti Arabi. È anche cofondatore di Wusol Digital Academy, un centro educativo per il commercio digitale.

(traduzione di Amedeo Rossi)