L’immagine astratta del mio mondo

Nada Almadhoun

Striscia di Gaza – Wearenotnumbers

 

Pioveva quel giorno di dicembre quando, addossata a un muro sbriciolato di Omar Mukhtar Street a Gaza, aspettavo un’amica. Guardavo le gocce di pioggia cadere ed ero affascinata dalla scena: davanti a me c’era un muro sopravvissuto non solo ai conflitti antichi, ma anche a quello oggi al centro della mia vita e di quelle di tutti i palestinesi. Dentro questo vecchio muro c’erano tante storie che volevo raccontare con la mia arte.

Tornata a casa il mio sguardo è caduto sulla tela bianca intonsa appoggiata sul cavalletto nella mia camera da letto. Volevo realizzare un quadro realistico del muro, ma più dipingevo più diventava astratto. Un paradosso intrigante. Una volta finito mi è subito piaciuto da morire! Sebbene non sia uno dei miei migliori, ogni volta che lo guardo scopro significati segreti. Talvolta mi comunica la nostalgia per il tempo passato con gli amici che hanno lasciato Gaza per studiare all’estero. I suoi colori mi fanno venire in mente quelli del vecchio caffè dove, per l’ultima volta, io e il gruppo dei miei amici ci siamo incontrati e promessi di non essere tristi e di non piangere. È stata l’ultima promessa che ci siamo fatti prima di essere assorbiti dalle nostre vite. Anche se mi tengo in contatto con i miei amici, il quadro mi ricorda di quanto abbia bisogno di stare con loro e quando questo succede la nostalgia lascia il posto alla solitudine.

Quasi sempre però il dipinto mi rammenta che sono intrappolata dentro ai muri che circondano Gaza. Mi ricorda di quando avevo 17 anni ed ero superfelice perché avevo ricevuto una borsa di studio per un campo estivo per studenti delle superiori all’University of North Georgia. Io e tutti gli altri giovani di Gaza che conosco sogniamo un’opportunità simile, un’occasione per fare un’esperienza in un’altra parte del mondo. Ma da Gaza per andare negli Stati Uniti bisogna passare dalla Giordania perché in Palestina non c’è un aeroporto e agli abitanti di Gaza  è proibito volare da Israele. Per andare in Giordania avevo bisogno di un permesso di ingresso e anche di un nullaosta giordano.

Dopo che la Giordania me li ha rifiutati entrambi senza spiegazioni sono sprofondata in una grave depressione. Era la prima volta che mi capitava. Mi sentivo intrappolata, senza speranza di fuga. Prima che la Giordania mi negasse l’ingresso avevo un sogno, ma da allora credo sia inutile persino sognare. Non essere andata negli USA per il campo estivo quando ero una ragazzina è solo una delle conseguenze dell’occupazione israeliana della Palestina e del suo blocco di Gaza.

Quando guardo il mio quadro, la prima cosa che vedo sono muri dietro muri. Questo mi ricorda i muri invisibili della prigione che privano i gazesi dei loro diritti più elementari. La superficie annerita con cui ho reso il vecchio muro è una metafora delle vite deprimenti che noi palestinesi viviamo: a Gaza la disoccupazione è elevata, supera il 50%, e parecchi dei miei amici hanno cercato un lavoro per mesi senza alcun successo. Adesso abbiamo otto ore di fornitura elettrica al giorno. Ci sono stati periodi in cui il nostro accesso alla rete elettrica era ridotto a quattro ore. Non è mai sufficiente per vivere le nostre vite come vorremmo.

Le due strisce che si intrecciano e formano quattro angoli in basso a sinistra del mio quadro mi ricordano gli angoli della mia casa e le volte in cui ci siamo rifugiati lì durante gli attacchi israeliani. Uno che non dimenticherò mai è avvenuto la notte di Eid al-Fitr [festa per la fine del Ramadan, ndtr.]. Il bombardamento era intenso e c’erano esplosioni ovunque nella Striscia. Anche se ero già sopravvissuta a tre attacchi precedenti contro Gaza e pensavo di essermi abituata, quel giorno è stato veramente terrificante. Per prepararci, se ci fosse stata un’esplosione vicino a casa o se fossimo stati avvertiti che la nostra casa sarebbe stata bombardata dopo pochi minuti, io e la mia famiglia abbiamo raccolto le nostre carte di identità, passaporti e altri documenti importanti. Quella è stata una notte strana e diversa. Mi sono sentita obbligata a ispezionare ogni angolo della mia casa per mettere in salvo i ricordi delle nostre vite nel caso in cui quelli fossero i miei ultimi momenti nella nostra casa.

Guardando il quadro mi tornano in mentre altri muri che raccontano altre storie, come quella della mia amica Sally che ha visto la sua casa distrutta da un attacco israeliano. Quando è successo Sally ha solo detto: “Grazie a Dio è stato solo un danno economico, nessuno è rimasto ucciso.”

La mia opera non mi ricorda solo sofferenze e avversità. Il colore bianco che ho spennellato in mezzo e sul fondo della tela rappresenta la speranza. Ho ancora speranza, una speranza fondata sulla dedizione mia e degli altri giovani palestinesi di acquisire un’istruzione, di lavorare sodo per il nostro Paese e, un giorno, di metter fine all’occupazione.

Mi piace il modo in cui la mia opera racconta così tante storie. Mi piace che non imponga una narrazione precisa, ma che offra piuttosto frammenti di qualcosa di misterioso eppure familiare. Guardando il quadro sotto questa luce mi accorgo che rivela l’essenza della lotta palestinese come è incisa sui muri reali e invisibili di Gaza, muri che mi ricordano non solo la sofferenza provata durante l’assedio di Gaza o la paura sotto i precedenti attacchi israeliani, ma anche la speranza che un giorno la Palestina sarà libera.

NOTA. Il contenuto pubblicato dal sito WANN e dalle piattaforme social non è editato da Euro-Med Monitor [Euro-Mediterranean Human Rights Monitor Monitoraggio Euromediterraneo dei Diritti Umani, organizzazione non governativa con sede a Ginevra, ndtr.]. Esso rappresenta solo le opinioni dell’autrice e non riflette in alcun modo le politiche e le posizioni di Euro-Med Monitor

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)