Un anno difficile aspetta 1,3 milioni di studenti palestinesi che tornano a scuola

Redazione di Palestine Chronicle (PC, WAFA)

22 agosto 2023 – Palestine Chronicle

Questa settimana e la prossima più di 1,3 milioni di minori palestinesi ritorneranno a scuola in Cisgiordania, incluse Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza.

Questo sta accadendo durante un anno tumultuoso, ha affermato Lynn Hastings, la coordinatrice residente e umanitaria delle Nazioni Unite nel territorio palestinese occupato.

Le scuole dovrebbero essere un rifugio in cui i minori imparano, crescono e sono protetti. È dove le giovani menti sono incoraggiate a informarsi, esplorare e sviluppare tutto il loro potenziale. Ma per i minori nel territorio palestinese occupato, il 2023 è stato un anno molto brutto”, ha affermato in una dichiarazione citata dall’agenzia palestinese di notizie WAFA.

I minori hanno perso settimane di apprendimento quest’anno come risultato di prolungati scioperi dell’UNRWA [l’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi, ndt.] e degli insegnanti in Cisgiordania, della spirale [di violenza] di maggio a Gaza e delle operazioni delle forze israeliane nei campi profughi palestinesi in Cisgiordania,” ha affermato.

Quanto più tempo i minori perdono relativamente all’istruzione, più difficile sarà compensare e rimediare quella perdita; tutte le comunità ne sentiranno l’impatto.”

Ma diventa sempre peggio,” ha aggiunto la coordinatrice umanitaria delle Nazioni Unite.

Dall’inizio dell’anno 45 minori palestinesi sono stati uccisi, 35 in Cisgiordania inclusa Gerusalemme Est e altri sette nella Striscia di Gaza. In Cisgiordania il numero totale di bambini palestinesi uccisi quest’anno è quasi pari a quello dei bambini uccisi in tutto il 2022.”

Guerra contro i minorenni

La WAFA ha riferito che nei primi sei mesi del 2023 le Nazioni Unite hanno registrato più di 423 incidenti che hanno avuto un impatto sui minori palestinesi e sulla loro istruzione, incluse le forze israeliane che hanno sparato contro scuole o studenti, condotto operazioni e demolito scuole, i maltrattamenti da parte dei coloni e ritardi ai posti di controllo che hanno riguardato circa 50.000 minori.

Tre scuole sono state demolite dalle autorità israeliane negli ultimi 12 mesi, la più recente delle quali il 17 agosto, nel villaggio di Ein Samiya, solo pochi giorni prima dell’inizio del nuovo anno scolastico.

Cinquantotto altre scuole sono sottoposte a ordinanze di parziale o completa demolizione o di blocco dei lavori.

Tutti gli attori devono adempiere ai loro obblighi di proteggere i minori e di prevenire la loro esposizione ad ogni forma di violenza. L’accesso sicuro all’istruzione è un diritto fondamentale di tutti i minori e deve essere protetto e salvaguardato in tutti i momenti, e ovunque,” ha affermato Hastings.

Ha aggiunto:

E noi, come comunità internazionale, dobbiamo fare di più per assicurare che ci siano sufficienti risorse per l’autorità palestinese e l’UNRWA, e supportare il piano per la risposta umanitaria per fornire una istruzione regolare, sicura e di alto livello a tutti i minori palestinesi.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Riepilogo delle notizie: irruzione ad Al-Aqsa, bambini aggrediti, auto di un disabile sequestrata dai militari

Redazione di Palestine Chronicle (PC, WAFA)

15 agosto 2023 – Palestine Chronicle

Soldati israeliani e coloni armati continuano la loro campagna di persecuzione e violenza contro i palestinesi in tutta la Cisgiordania. Di seguito gli aggiornamenti con le ultime notizie dall’agenzia di notizie palestinese WAFA.

Parco demolito vicino Salfit

WAFA ha riferito che le forze di occupazione israeliane hanno demolito un parco e sradicato gli alberi nel villaggio di Qarawat Bani Hassan, ad ovest della città di Salfit nella Cisgiordania occupata.

Il governatore di Qarawat Bani Hassan, Ibrahim Asi, ha detto all’agenzia WAFA che

le forze di occupazione hanno fatto irruzione nell’area Abu Ammar Well, a nord-ovest del villaggio, demolito il parco, rimossa l’erba artificiale, rotto i lampioni, le panchine, le celle ad energia solare e hanno sradicato gli alberi”.

È rilevante il fatto che “l’area del Pozzo di Abu Ammar è soggetta a continue violazioni delle forze di occupazione e dei coloni, che stanno cercando di impadronirsene per creare l’avamposto di una colonia.”

Aggressione ai bambini vicino a Nablus

Secondo fonti locali citate dall’agenzia WAFA lunedì sera i palestinesi che abitano nel villaggio di Yatma, situato a sud di Nablus nella zona nord della Cisgiordania occupata, hanno respinto un’aggressione di coloni ebrei illegali contro bambini nel villaggio di Al-Sawyah.

Le fonti hanno detto al corrispondente di WAFA che

gli abitanti sono riusciti a respingere una aggressione contro un certo numero di bambini palestinesi inseguiti dai coloni all’ingresso del villaggio.”

Sequestrata l’auto di un disabile

L’agenzia WAFA ha riferito che, secondo il proprietario dell’auto, Shadi Daraghmeh di 32 anni, abitante nel campo profughi di Qalandia, lunedì notte i soldati dell’occupazione israeliana hanno sequestrato l’auto di un disabile palestinese quando è arrivato al posto di controllo dell’esercito a sud di Ramallah.

Daraghmeh ha detto che

i soldati lo hanno fermato al posto di controllo vicino al campo, tra Ramallah e Gerusalemme, mentre stava ritornando da Gerico e lo hanno obbligato ad uscire dall’auto nonostante la sua disabilità fisica.

I soldati lo hanno trattenuto per molte ore e maltrattato prima di decidere di sequestrare la sua auto, che è appositamente equipaggiata per i disabili, e lo hanno lasciato sulla sua sedia a rotelle finché qualcuno è andato a prenderlo.”

Irruzione ad Al-Aqsa

L’agenzia WAFA ha riferito che martedì mattina decine di estremisti ebrei israeliani, pesantemente protetti dalla polizia israeliana, si sono introdotti nel complesso della moschea di Al-Aqsa.

L’agenzia ha aggiunto che “i coloni estremisti, divisi in gruppi, hanno fatto irruzione nella sacra moschea islamica dalla porta al-Maghariba e si sono provocatoriamente aggirati nel complesso.”

Questo è avvenuto nel momento in cui le forze israeliane hanno intensificato le misure contro i palestinesi provenienti da Gerusalemme per entrare nella moschea, controllandone i documenti di identità e arrestandoli per un breve periodo.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Giudea vs “Fantasy Israel”: Ilan Pappe sul crollo dei pilastri israeliani e le opportunità per la Palestina

Ilan Pappe

31 luglio 2023 – Palestine Chronicle

La futura Palestina libera e affrancata dal sionismo può sembrare ora una fantasia, ma a differenza del “Fantasy Israel”, ha la migliore chance di coinvolgere a livello locale, regionale e globale chiunque possegga un minimo senso etico.

Infatti la legittimità di Israele, la sua stessa possibilità di sopravvivenza, poggia su due pilastri principali.

In primo luogo, il pilastro materiale, che comprende la sua forza militare, le risorse legate all’alta tecnologia e un solido sistema economico.

I suddetti fattori consentono allo Stato di costruire una solida rete di alleanze con Paesi che vorrebbero beneficiare di ciò che Israele ha da offrire: armi, risorse in materia di sicurezza, spyware, conoscenze di alta tecnologia e sistemi modernizzati di produzione agricola.

In cambio Israele non chiede solo denaro ma anche sostegno nel contrastare il degrado della sua immagine internazionale.

In secondo luogo, il pilastro morale. Questo aspetto è stato particolarmente importante nei primi momenti del progetto sionista e della costruzione dello Stato.

Israele ha venduto al mondo una duplice narrazione: la creazione di Israele come l’unica panacea per l’antisemitismo e la fondazione di Israele in un luogo appartenente sul piano religioso e culturale al popolo ebraico.

La presenza di una popolazione indigena, il popolo palestinese, è stata inizialmente negata del tutto; poi, è stata sminuita. E quando l’esistenza dei palestinesi è stata finalmente riconosciuta, è stata presentata come una sfortunata coincidenza.

Allora Israele, l’autoproclamata “unica democrazia in Medio Oriente”, si è ridefinito come un generoso pacificatore disposto a risolvere il problema offrendo “concessioni” sul suo presunto diritto all’intera Palestina storica.

Crollo della “Moralità”

È difficile individuare esattamente quando il pilastro morale su cui si reggeva Israele ha iniziato a erodersi, al punto che ora si sta sgretolando davanti ai nostri occhi.

Qualcuno potrebbe dire che questo processo sia stato avviato nel 1982 con l’invasione israeliana del Libano, mentre altri considerano come momento di trasformazione la Prima Intifada palestinese nel 1987. Ad ogni modo, l’immagine di Israele agli occhi dell’opinione pubblica mondiale si sta modificando da decenni.

Ma ciò che spesso viene ignorato è che, se non fosse stato per la resistenza e la resilienza palestinese, la legittimità e la moralità dello Stato ebraico non sarebbero state messe alla prova, mentre ora [il suo agire] è continuamente considerato come contrario al diritto internazionale, il buon senso e l’etica comportamentale.

Direi che già nel 1948 – quando Israele fu dichiarato uno Stato sorto sulle rovine della Palestina storica – i fatti sul campo divennero noti a sempre più persone in tutto il mondo. Questo è stato un risultato diretto degli sforzi compiuti dai palestinesi e dalle loro reti di solidarietà in continua crescita.

L’immagine di Israele – sia sul piano interno che internazionale – come Stato democratico e membro delle “nazioni civili” non sembrava corrispondere alle nuove informazioni. Sempre di più la cosiddetta democrazia israeliana è stata smascherata come un regime di apartheid, che abusa quotidianamente dei diritti civili e umani dei palestinesi.

Tuttavia, non sembra che la rivelazione della vera natura di Israele e il diffuso rifiuto pubblico della narrazione israeliana abbiano avuto un riscontro da parte delle élite politiche al potere e dei governi di tutto il mondo, il cui atteggiamento nei confronti di Israele è rimasto sostanzialmente invariato.

Al contrario, i governi del nord del mondo sono quelli che conducono la battaglia contro i vari movimenti di solidarietà con i palestinesi. Sembrano determinati a sopprimere la libertà di parola delle proprie comunità legiferando contro le iniziative civili che richiedono boicottaggio, sanzioni e disinvestimento nei confronti di Tel Aviv.

Non va molto meglio nell’emisfero sud, dove governi e autorità politiche ignorano la richiesta delle loro società di prendere una posizione ferma contro Israele. Tra di loro i regimi arabi, che fanno la fila per normalizzare i loro rapporti diplomatici con Tel Aviv.

Fino alle ultime elezioni del novembre 2022 in Israele sembrava che il silenzio e/o la complicità internazionale avessero protetto Israele dal tradurre il cambiamento dell’opinione pubblica in azioni concrete. La prova di ciò è stata che il lavoro coraggioso e davvero impressionante di organizzazioni come il Movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) non ha influenzato minimamente la realtà sul terreno.

Fino al novembre 2022 pensavo che l’incapacità di tradurre l’opinione pubblica in politiche concrete fosse il risultato del cinismo dei nostri sistemi politici in tutto il mondo. Tuttavia ora credo fortemente che solo un cambiamento nella conduzione della politica dall’alto tradurrà l’incredibile solidarietà con i palestinesi in un effetto determinante sul terreno.

Quando Israele ha offerto alla Germania missili del valore di 4 miliardi di euro e ai Paesi Bassi un altro tipo di missile del valore di 300 milioni di euro (per proteggerli da cosa esattamente?), i commentatori politici in Israele hanno sostenuto che tali armi sarebbero servite come il miglior antidoto contro ciò che chiamavano la campagna per delegittimare Israele.

I media israeliani hanno annunciato con grande orgoglio che le armi avrebbero consentito al Paese di comprare il silenzio dell’Europa in modo che qualsiasi parola di condanna delle atrocità commesse dai soldati e dai coloni israeliani in Palestina non si traducesse in azione.

Fantasy Israel” vs la Giudea

Eppure c’è di più. Un certo elettorato ebraico all’interno di Israele si è persino ingannato – anzi, lo fa tuttora – nel credere che l’Occidente appoggi Israele perché aderirebbe a un sistema di valori” occidentale basato sulla democrazia e sul liberalismo.

Io chiamo questo costrutto culturale “Fantasy Israel”

Nel novembre 2022, “Fantasy Israel” è crollato a tutti gli effetti.

L’elettorato ebraico israeliano che ha vinto le elezioni non ha mai avuto molta ammirazione per i “sistemi di valori” occidentali di democrazia e liberalismo.

Al contrario, desidera vivere in uno Stato ebraico più teocratico, nazionalista, razzista e persino fascista; uno Stato che si estenda su tutta la Palestina storica, compresa la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

Gli israeliani chiamano questa idea alternativa dello Stato, “Giudea”, che ora è in guerra con “Fantasy Israel”.

Al popolo della Giudea non interessa la legittimità internazionale. I loro leader e guru sono molto colpiti dai nuovi alleati di Israele nel mondo, siano essi i leader dei partiti di estrema destra in Occidente o i movimenti di estrema destra in Paesi come l’India.

Questi leader nazionalisti e fascisti sembrano ammirare lo Stato della Giudea e sono disposti a fornirgli una rete internazionale di sostegno. Questo si è già tradotto in politica in Paesi dove l’estrema destra è molto potente, come Italia, Ungheria, Polonia, Grecia, Svezia, Spagna e, se Trump vincerà nuovamente, anche Stati Uniti.

In apparenza, lo scenario apertosi nel novembre 2022 sembrava molto cupo.

Tuttavia questo non è del tutto vero.

Il fallimento di “Fantasy Israel” ha messo in luce una interessante connessione tra i pilastri morali e materiali.

È emerso che il sistema capitalista neoliberista non ha motivo di investire nello Stato della Giudea se effettivamente sostituisce “Fantasy Israel”. Le società finanziarie e l’industria di alta tecnologia internazionali considerano Stati come la Giudea delle mete imprevedibili e rischiose per gli investimenti stranieri.

In effetti stanno già ritirando da Israele i loro fondi e investimenti da Israele. Il movimento BDS dovrebbe lavorare molto duramente per convincere sindacati e chiese di tutto il mondo a disinvestire da Israele miliardi di dollari per eguagliare i fondi che sono già stati portati fuori da Israele dal novembre 2022.

Questo tipo di disinvestimento non nasce da ragioni morali. In passato Israele, nonostante la sua spietata oppressione dei palestinesi, è stata una destinazione attraente per gli investimenti finanziari internazionali.

Ma sembra che l’immagine del “Fantasy Israel”, e in particolare l’idea che il suo sistema giudiziario fosse in grado di proteggere gli investimenti neoliberisti e capitalisti, convincesse gli investitori stranieri a versare denaro in Israele pregustando in cambio buoni dividendi.

Ora le prospettive dello Stato della Giudea in sostituzione del “Fantasy Israel” stanno seriamente compromettendo la sopravvivenza economica dello Stato ebraico. Pertanto, la capacità di Israele di usare la sua industria o il suo denaro per influenzare le politiche di altri Paesi nei confronti dello Stato ebraico è più limitata.

Tempo di mobilitazione

Il crollo del “Fantasy Israel” ha anche messo in luce crepe nella coesione sociale e nella prontezza di molti israeliani a dedicare tanto tempo ed energia al servizio militare quanto in passato.

Inoltre, l’attacco al sistema giudiziario israeliano e l’erosione della sua presunta indipendenza esporrà soldati e piloti israeliani a possibili incriminazioni come criminali di guerra all’estero da parte di singoli Paesi o della Corte Penale Internazionale (CPI). Infatti il diritto internazionale non può intervenire nelle questioni interne se i sistemi giudiziari locali sono considerati indipendenti e solidi.

Questo è un raro momento nella storia che apre opportunità per coloro che lottano per la liberazione e la giustizia in Palestina.

In un incontro a Teheran l’Iran ha consigliato al movimento palestinese Hamas e al movimento libanese Hezbollah di astenersi da qualsiasi azione e consentire un’implosione di Israele dal suo interno.

Non sono d’accordo, anche se non voglio dire che ci sia, o ci sia mai stata, una possibilità per liberare militarmente la Palestina. Tuttavia questo è il momento di rinvigorire la resistenza popolare palestinese e unire sia i palestinesi che i loro sostenitori intorno a una visione e un programma concordati. Questa mobilitazione è radicata nella lotta nazionale palestinese per la democrazia e l’autodeterminazione fin dal 1918.

La futura Palestina liberata e affrancata dal sionismo può sembrare ora una fantasia ma a differenza del Fantasy Israel” ha la migliore chance di coinvolgere a livello locale, regionale e globale chiunque possegga un minimo senso etico. Fornirebbe anche un posto sicuro per chiunque viva attualmente nella Palestina storica o per chiunque ne sia stato espulso: i rifugiati palestinesi sparsi in tutto il mondo.

Ilan Pappé è docente all’Università di Exeter. In precedenza è stato professore associato di scienze politiche presso l’Università di Haifa. È autore di The Ethnic Cleansing of Palestine [La pulizia Etnica della Palestina, Fazi, 2008, ndt.], The Modern Middle East [Il Medio Oriente Moderno, ndt.], A History of Modern Palestine: One Land, Two Peoples, [Storia della Palestina moderna: Una terra, due popoli, Ed. It. Einaudi 2014, ndt.] e Ten Myths about Israel, [Dieci miti su Israele, Tamu, 2022 ndt.]. Pappé è considerato uno dei “Nuovi storici” di Israele che, sin dalla pubblicazione nei primi anni ’80 di documenti relativi alle amministrazioni britannica e israeliana, ha riscritto la storia della creazione di Israele nel 1948.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




“Unite the Union” condanna la legge britannica contro il boicottaggio e conferma il suo appoggio al BDS

Redazioni di Middle East Monitor e Palestine Chronicle

15 luglio 2023 – Palestine Chronicle

Venerdì 14 luglio Unite the Union, che rappresenta 1.2 milioni di lavoratori nel Regno Unito, ha approvato tre fondamentali mozioni riguardanti l’occupazione israeliana e la continua lotta dei palestinesi per la libertà.

Le risoluzioni riaffermano la costante solidarietà del sindacato con la lotta del popolo palestinese per la liberazione, il sostegno all’appello palestinese per una campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni finché Israele non porrà fine alle violazioni dei diritti dei palestinesi ed ha anche condannato la legge contro il boicottaggio del governo britannico attualmente in discussione in una commissione alla Camera dei Comuni.

Nel suo congresso Unite the Union [il secondo sindacato britannico per numero di iscritti, ndt.] ha notato che l’anti-boicottaggio, impedendo a enti pubblici di interrompere rapporti finanziari con esse riguardo ad abusi o azioni illegali commessi in uno Stato estero, salvo previo esplicito consenso da parte del governo, protegge le imprese coinvolte in violazioni dei diritti umani o nella distruzione ambientale.

La legge viola anche i diritti degli affiliati al sistema pensionistico degli enti locali, tra cui i membri di Unite the Union, impedendo loro di scegliere come vengono investiti i propri fondi pensione.

Un’altra mozione, anch’essa approvata venerdì, afferma che il sindacato riconosce che Israele pratica il crimine di apartheid e chiede di revocare la proposta del governo britannico di un accordo di libero scambio con Israele.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Coloni ebrei illegali si sono impadroniti della casa della famiglia Sub Laban nella città vecchia di Gerusalemme

Redazione di Palestine Chronicle (PC, WAFA)

11 luglio 2023 – Palestine Chronicle

WAFA, l’agenzia di notizie ufficiale palestinese, ha riferito che martedì coloni ebrei illegali si sono impadroniti della casa della famiglia Sub Laban nella città vecchia di Gerusalemme.

I coloni, scortati dalle forze di occupazione israeliane, hanno fatto irruzione nella casa della famiglia e hanno cacciato con la forza gli abitanti, arrestando nel contempo gli attivisti che offrivano supporto alla famiglia.

Secondo l’organizzazione per i diritti umani Al-Haq con sede a Ramallah, le autorità di occupazione israeliane “hanno emesso nei confronti di Nora Ghaith di 69 anni e di suo marito Mustafa Sub Laban di 72 anni un avviso di sfratto obbligatorio, ordinando loro di sloggiare dalla loro casa.

Per più di 40 anni la famiglia Sub Laban è stata coinvolta in una battaglia legale contro i gruppi di coloni illegali e le autorità israeliane di occupazione per espellerli e appropriarsi della loro casa.

Molti anni fa coloni ebrei illegali si sono appropriati della parte superiore dell’edificio, mentre la casa della famiglia Sub Laban è rimasta nella parte centrale dell’edificio, circondata da colonie da tutti i lati.

La famiglia ha affittato la casa nel 1953 dal regno di Giordania e le era stato concesso il diritto a un affitto protetto, ma dopo l’occupazione di Gerusalemme la casa venne messa sotto la gestione della cosiddetta custodia delle proprietà degli assenti, affermando che tale proprietà apparteneva ai coloni illegali, cosa che è stata categoricamente negata dalla famiglia.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




ULTIM’ORA: Palestinese con indosso l’uniforme dell’esercito israeliano compie un attacco a Tel Aviv

4 luglio 2023 – Palestine Cronicle

Mentre migliaia di soldati dell’occupazione israeliana continuavano l’invasione letale della città di Jenin e del suo campo profughi un palestinese travestito da soldato israeliano ha effettuato un attacco a Tel Aviv.

La polizia israeliana afferma che martedì pomeriggio almeno sette persone sono rimaste ferite a Tel Aviv in un attacco con speronamento con auto seguito da un accoltellamento.

Fonti ufficiali israeliane affermano che tre dei feriti sono in condizioni critiche.

I rapporti dei media suggeriscono che l’aggressore palestinese sia stato ucciso sul posto da un israeliano.

La radio di Stato israeliana ha dichiarato che l’autore dell’aggressione a Tel Aviv indossava un’uniforme dell’esercito israeliano.

Subito dopo un portavoce del movimento Hamas, Hazem Qassem, ha affermato che l’operazione a Tel Aviv è stata “una prima risposta ai crimini dell’occupazione contro la nostra gente nel campo profughi di Jenin”.

Questa è una storia in via di sviluppo ..

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




ILAN PAPPE su Gamal Abdul Nasser: perché dobbiamo riesaminare la guerra del giugno 1967

Ilan Pappe

27 giugno 2023 – Palestine Chronicle

Nasser sbagliò i calcoli riguardo alla reazione di Israele. Benché il governo israeliano sapesse molto bene che Nasser non intendeva iniziare una guerra, utilizzò la sua politica del rischio calcolato come pretesto per iniziare una guerra per conto proprio con l’obiettivo di costruire un piccolo impero, un Israele più grande.

Giugno è il mese in cui si ricorda la guerra del giugno 1967.

Gli storici riconsiderano un avvenimento non solo sulla base di nuove prove. Le loro analisi sono influenzate anche dal passare del tempo che consente loro di riesaminare aspetti differenti di eventi fondamentali come questo.

E quando indaghi la storia e utilizzi documenti e prove solide, a volte deludi amici e nemici.

In questo articolo vorrei riprendere in considerazione il ruolo in quella guerra dell’ex presidente egiziano Gamal Abdul Nasser. Penso che il suo ruolo non sempre corrisponda alla percezione comune di questo grande leader e forse deluda valutazioni percepite del suo contributo alla lotta.

Nasser, Palestina e Israele

Qui scrivo dal punto di vista palestinese, nel senso che sono meno interessato a quanto successe all’Egitto in seguito al ruolo di Nasser in Palestina, indubbiamente un argomento significativo. Mi interessa invece l’impatto del leader egiziano sulla storia della Palestina contemporanea.

Nasser arrivò al potere in quanto membro del movimento dei Liberi Ufficiali nella rivoluzione del luglio 1952. Subito dopo assunse la carica di vice capo del movimento, prima di togliere il comando a Muhmad Naguib.

Anche come vice capo era interessato ai negoziati con Israele. Ricorse a un importante diplomatico in Francia per iniziare colloqui con gli israeliani. La sua controparte fu Moshe Sharett, all’epoca ministro degli Esteri di Israele.

Certo Nasser considerava la Nakba come una catastrofe. Credeva fortemente al diritto dei rifugiati palestinesi a tornare e riteneva Israele una grave minaccia per il mondo arabo. Ma Nasser era anche un pragmatico che capiva bene come Israele fosse diventato una parte essenziale dell’assetto imperialista americano nel mondo arabo, e quindi cercò il modo di limitarne il potenziale pericolo.

All’epoca, nel 1952, Nasser non riteneva necessariamente gli Stati Uniti degli arcinemici dei regimi arabi progressisti e sperava che un approccio realistico verso Israele gli avrebbe ingraziato gli americani.

Nel 1952 fece due richieste ragionevoli e rimase sorpreso nell’apprendere che sia la Gran Bretagna che gli USA le trovarono accettabili: un ritorno incondizionato dei rifugiati palestinesi e un ponte terrestre attraverso il sud del Naqab (il Negev) che unisse Giordania ed Egitto. In cambio sarebbe stato disposto a [firmare] un patto di non aggressione con Israele e, successivamente, la pace.

Ben Gurion e i suoi due compari

Il primo ministro israeliano dell’epoca, David Ben Gurion, respinse categoricamente ogni contatto con il leader egiziano: di fatto, dal momento in cui fu chiaro che Nasser sarebbe stato il leader dell’Egitto, Ben Gurion cercò il modo di rovesciarlo.

Invece Sharett fu più disponibile: non che accettasse le condizioni di Nasser, ma apprezzò l’idea dei negoziati e sperò di trovare un compromesso.

Per un breve periodo, quando Sharett sostituì Ben Gurion come primo ministro di Israele per un anno e mezzo, tra il 1954 e il 1955, sembrò possibile arrivare a un compromesso.

Benché non fosse più nel governo, Ben Gurion aveva lasciato due compari che, come lui, credevano che Nasser dovesse essere spodestato. Questa convinzione era di per sé il risultato di un’ideologia radicata, in base alla quale solo un’esibizione della spietatezza di Israele avrebbe potuto ammansire gli arabi e cancellare ogni progetto panarabo che potesse aiutare i palestinesi.

Uno dei due compari era il ministro della Difesa Pinchas Lavon, l’altro il capo di stato maggiore Moshe Dayan.

I tre progettarono una serie di azioni per far fallire il desiderio di Sharett di raggiungere un accordo con Nasser. Si iniziò con la violazione dell’accordo di armistizio con l’Egitto costruendo una colonia illegale sulla terra di nessuno, seguita dall’ignobile massacro nel villaggio di Qibyah, in Cisgiordania.

Esso venne messo in atto nel 1953 da unità d’élite israeliane guidate da Ariel Sharon. Sessantacinque abitanti vennero uccisi, in parte facendo saltare in aria le loro case mentre vi stavano ancora dormendo.

Ma il culmine di questa campagna fu la formazione di un’organizzazione terroristica di ebrei egiziani a cui venne ordinato di piazzare bombe in cinema e librerie legate alla cultura occidentale per incrementare la sfiducia verso Nasser agli occhi degli americani.

I terroristi vennero catturati prima che riuscissero a portare a termine le loro azioni.

Il ritorno al potere di Ben Gurion

Dopo un’assenza relativamente breve Ben Gurion tornò al potere. Nel febbraio 1955 inviò il suo esercito nella Striscia di Gaza per compiere un’operazione militare che diede come risultato l’uccisione di 37 soldati egiziani. Fino a quel momento, come indicato nelle sue memorie dallo stesso Nasser, il leader egiziano era disposto a negoziare con Israele, attenendosi a una posizione che americani e britannici vedevano ancora come sensata e realizzabile.

Quando comprese che l’Occidente non era disposto a esercitare pressioni su Israele e non avrebbe mosso un dito per porre fine alle ambizioni colonialiste e annessioniste di Israele verso il mondo arabo, Nasser cambiò rotta. Ora si era convinto che Israele avrebbe attaccato sia la Siria che la Giordania per espandere i propri confini geografici. Ciò richiese un nuovo modo di pensare.

La nuova strategia di Nasser

Allora Nasser intraprese una nuova strategia, che includeva un appoggio più evidente alle nascenti attività di resistenza e di guerriglia dei palestinesi contro Israele, tentativi di unità panaraba, la creazione di un blocco di Paesi non allineati [né con gli USA né con l’URSS, ndt.] con India e Jugoslavia e l’acquisto di armi più moderne per il suo esercito.

Tra tutte queste politiche egli scelse quella nota come del rischio calcolato, utilizzando discorsi bellicosi e simulando la preparazione della guerra, con la speranza che ciò sarebbe stato sufficiente per obbligare l’Occidente a esercitare pressioni su Israele perché cessasse i suoi attacchi.

Questa strategia includeva la chiusura degli stretti di Tiran che collegano il Mar Rosso al Golfo di Aqaba, concentrando un’armata nella penisola del Sinai e chiedendo all’ONU di ritirarsi dalla frontiera tra Egitto e Israele.

Ma Nasser sbagliò previsione riguardo alla reazione israeliana. Benché sapesse benissimo che Nasser non intendeva fare la guerra, il governo israeliano utilizzò la sua politica del rischio calcolato come pretesto per iniziare una guerra per conto proprio con l’obiettivo di costruire un piccolo impero, un Israele più grande.

Il resto, come si suol dire, è storia

Documenti declassificati

Documenti recentemente declassificati degli incontri del governo israeliano mostrano chiaramente che i dirigenti israeliani capirono che la guerra non era imminente e che molto dipendeva dalle loro azioni.

In effetti non c’era bisogno di attendere l’apertura degli archivi per arrivare a tale conclusione. Molti leader israeliani lo ammisero. Uno di loro fu Menachem Begin, che faceva parte del governo dell’epoca e che disse a capi militari dell’esercito israeliano:

“Nel giugno 1967 facemmo di nuovo una scelta. La concentrazione dell’esercito egiziano sui confini del Sinai non dimostrava che Nasser stesse realmente per attaccarci. Dobbiamo essere onesti con noi stessi: noi decidemmo di attaccarlo.”

Israele ha bisogno della guerra

Come nel 1948, anche nel 1967 Israele aveva bisogno di guerre per raggiungere i tipici obiettivi di ogni movimento colonialista di insediamento: avere più spazio geografico con meno popolazione nativa che vi abiti.

Dal 1963 Israele aveva preparato piani complessivi in attesa della mossa perfetta per iniziare il suo progetto di un “Israele più grande”. Ma fallì, perché credeva erroneamente che lo squilibrio demografico derivante dalla creazione di una tale entità potesse essere facilmente risolto opprimendo per decenni milioni di palestinesi. Dato che non poteva replicare la campagna di pulizia etnica del 1948, Israele scelse di trattare le popolazioni da poco occupate come detenuti in una vasta e sempre più grande prigione.

La resistenza palestinese a questa mostruosa politica continua fino ad oggi.

La lezione è che, persino con un governo di sinistra, laburista, che governò Israele tra il 1948 e il 1977, Israele non voleva la pace. Al contrario, Tel Aviv sperò di imporre la sua volontà al mondo arabo alleandosi strettamente con l’Occidente.

Le conseguenze di questa strategia si fecero sentire oltre la Palestina, il cui popolo fu la principale vittima di questa intransigenza israeliana. Di fatto ebbe un impatto notevole e dannoso su tutto il mondo arabo.

Sfortunatamente stiamo ancora assistendo ai frutti amari di questa aggressione, che può essere fermata solo dalla liberazione della Palestina e dalla creazione di uno Stato democratico su tutta la Palestina storica, che garantisca il ritorno dei profughi.

È l’unico modo che ci consentirebbe di chiudere questo pericoloso e triste capitolo della storia del mondo arabo e, si spera, permetterebbe a tutti noi di iniziarne uno nuovo e più promettente.

Ilan Pappé è docente all’università di Exeter. È stato in precedenza professore associato all’università di Haifa. È autore di La pulizia etnica della Palestina [Fazi, 2008], The Modern Middle East [Il moderno Medio Oriente], Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli [Einaudi, 2014] e Ten Myths about Israel [Dieci miti su Israele]. Pappé è considerato uno dei “nuovi storici” israeliani che, da quando all’inizio degli anni ’80 sono stati resi pubblici documenti ufficiali britannici e israeliani sull’argomento, hanno riscritto la storia della creazione di Israele nel 1948. Ha concesso questo articolo a The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Per la prima volta dal 2006 Israele uccide tre attivisti palestinesi in Cisgiordania con bombardamenti aerei

Redazione di Al Jazeera, Palestine Chronicle

21 giugno 2023 – Palestine Chronicle

Per la prima volta dalla Seconda Intifada (sollevazione) palestinese [rivolta avvenuta in Cisgiordania e a Gaza dal 2000 al 2005, ndt.], l’esercito di occupazione israeliano ha effettuato nei pressi di Jenin un assassinio dall’aria di palestinesi.

Mercoledì sera i media palestinesi hanno riferito che un aereo israeliano ha effettuato l’omicidio di un gruppo di palestinesi nella regione di Jalameh vicino alla città di Jenin, nel nord della Cisgiordania.

In un comunicato l’esercito israeliano ha affermato di aver colpito i palestinesi con un “drone dopo che i suoi membri (presuntamente) hanno aperto il fuoco nell’area di Jalameh.”

L’esercito di occupazione israeliano ha anche dichiarato che “la cellula colpita ha effettuato attacchi con armi da fuoco in città israeliane”.

Secondo il comunicato di fonte militare l’ultima volta che l’esercito di occupazione israeliano ha colpito attivisti palestinesi con uccisioni dall’alto è stato nel 2006.

Nel frattempo il Palestinian Civil Defence ha affermato che dentro un veicolo sono stati trovati tre corpi e che “le forze di occupazione si stanno coordinando con le ambulanze israeliane per sequestrare i corpi dei martiri (palestinesi)”.

Al Jazeera ha riferito che le forze di occupazione hanno sparato ai palestinesi che stavano cercando di andare verso il luogo in cui si trovava l’auto colpita per recuperare i corpi.

Cambiamento di politica

Il Canale 14 israeliano ha riferito che il cambiamento della politica di uccisione usando bombardamenti aerei è supportato dal ministro israeliano della difesa Yoav Galant e approvato dal primo ministro Benjamin Netanyahu.

In risposta le Brigate di Jenin, un ramo del braccio armato della Jihad Islamica, le Brigate Al-Quds hanno emesso una dichiarazione:

Un gruppo di nostri eroi ha versato il proprio sangue in un vile assassinio effettuato da un drone dell’esercito di occupazione. (Gli assassinii) non indeboliranno la nostra volontà e i dirigenti del nemico dovranno subire la punizione”.

Le Brigate di Jenin hanno rivelato i nomi dei tre palestinesi: Suhaib al-Ghoul e Muhammad Owais delle Brigate Al-Quds e Ashraf al-Saadi dell’ala militare di Fatah, le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




L’industria dell’hasbara: decostruire la macchina propagandistica israeliana

M. Reza Behnam

8 giugno 2023 – Palestine Chronicle

Tuttavia Tel Aviv sta incontrando difficoltà sempre maggiori a nascondere il suo consolidato sistema di apartheid e il continuo genocidio, soprattutto alla luce delle politiche e prassi apertamente razziste dell’attuale regime di destra messo insieme dal suo primo ministro perseguito dalla giustizia, Benjamin Netanyahu.

Quasi sempre la mattina, mentre mi preparo per fare footing, mi sintonizzo su BBC News. Ultimamente il notiziario presenta, in sobrio stile britannico, il numero dei palestinesi uccisi la notte precedente dall’esercito israeliano durante le sue incursioni quasi quotidiane in case e campi di rifugiati nei territori palestinesi occupati. Quando cerco sui siti di notizie americani per saperne di più, essi non fanno menzione di queste atrocità. Invece le onde radio sono piene di notizie sulla guerra tra Russia e Ucraina e sulla morte di civili.

Quello che molti americani non sapranno da queste fonti di “notizie” è che nel 2022 l’esercito israeliano ha ucciso in Cisgiordania e a Gerusalemme est più di 170 civili palestinesi, tra cui 30 minorenni, e che dall’inizio del 2023 l’esercito di occupazione israeliano ha già ammazzato 158 palestinesi, tra cui 26 minori.

Quello che non sapranno è che Israele controlla le vite e le risorse (l’accesso all’acqua potabile) di circa 7 milioni di palestinesi, e che le città, villaggi, case, coltivazioni e attività economiche palestinesi sono state sistematicamente distrutte e ripopolate con oltre 750.000 occupanti illegali ebrei (“abitanti”).

Non sapranno dei 56 anni di occupazione, spoliazione, demolizioni di case, coprifuoco, posti di controllo, muri, blocchi, permessi, raid notturni, uccisioni mirate, tribunali militari, detenzioni amministrative, migliaia di prigionieri politici, minori palestinesi torturati e di 56 anni di oppressione e umiliazione da parte di Israele.

Cosa spiega l’“eccezionale” trattamento deferente che Israele riceve mentre altri che violano i diritti umani sono condannati o sanzionati dagli Stati Uniti e dai loro alleati?

Buona parte della spiegazione ha a che fare con la poderosa ed efficace industria delle pubbliche relazioni di Israele gestita dallo Stato, che si basa su miti e falsità. Dalla sua fondazione nel 1948 Israele ha creato con successo una nuova assurdità a se stante che ha fatto sembrare l’illegalità come legale, apparire morale l’immoralità e democratico ciò che è antidemocratico. Ha magistralmente spacciato una serie di miti che sono diventati parte della narrazione politica e dei principali media.

Fin dall’inizio i fondatori sionisti di Israele ammantarono di termini eroici il loro vero obiettivo di creare un “Grande Israele”, uno Stato ebraico non solo in Palestina, ma in Giordania, nel sud del Libano e sulle Alture del Golan siriane.

Una storia e figure retoriche inventate sui “buoni” israeliani, che portavano sviluppo a una terra spopolata, creando miracoli agricoli nel deserto e reclamando una storica terra promessa, si sono profondamente radicate.

In realtà i sionisti, come il primo capo del governo di Israele nato in Polonia David Ben-Gurion, videro il piano di partizione della Palestina dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948 come il primo passo verso una futura espansione.

I piani di colonizzazione di Israele

Nel suo libro Vittime [Rizzoli, Milano, 2002] Benny Morris scrive che in una lettera al figlio del 1937 Ben-Gurion architettò il progetto sionista per colonizzare la Palestina: “Nessun sionista può rinunciare a una minima parte della Terra di Israele. (Uno) Stato ebraico su una parte (della Palestina) non è la fine, ma un inizio…attraverso di esso incrementiamo la nostra potenza, e ogni incremento di potenza agevola l’appropriazione del Paese nella sua totalità. Fondare un (piccolo) Stato…servirà come leva molto potente nel nostro storico tentativo di redimere tutto il Paese.”

Che per realizzare i suoi progetti colonialisti Israele avrebbe dovuto trasferire e togliere di mezzo con la forza la popolazione autoctona palestinese venne cancellato dalla narrazione israeliana.

In conseguenza di questa efficace campagna di disinformazione molti americani sono arrivati a credere che Israele sia uno Stato democratico, progressista e umano, una piccola ma coraggiosa Nazione che si difende contro violenza e terrorismo “stranieri”.

Nel realizzare la sua missione annessionista del “Grande Israele”, Israele ha creato un’altra finzione per legittimare la sua scelta di fare la guerra nel 1967. Benché la guerra dei Sei Giorni, iniziata nel giugno 1967, si sia dimostrata un cruciale punto di svolta nella storia contemporanea del Medio Oriente, il mito israeliano della vulnerabilità e le invenzioni sulla “Nazione sotto assedio” rimangono ampiamente indiscussi.

I produttori di miti sionisti

Cinquantasei anni fa l’aviazione militare israeliana attaccò le basi aeree di Egitto, Siria e Giordania, distruggendo a terra oltre l’80% degli aerei da guerra. Le truppe israeliane occuparono rapidamente la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza egiziane, la West Bank giordana e le Alture del Golan siriane. Secondo i verbali del governo israeliano questo attacco non fu difensivo, ma preventivo e pianificato.

Gli israeliani erano pienamente consapevoli della necessità di avviare una campagna di disinformazione insieme alle loro operazioni militari preventive per placare le reazioni avverse da parte di Washington e di altre potenze occidentali.

Il mito israeliano secondo cui lo Stato ebraico stava lottando per la sua sopravvivenza fisica contro un nemico arabo più potente ebbe una forte presa sui dirigenti politici e sull’opinione pubblica statunitensi. Di fatto i leader arabi non avevano nessun piano di invasione e i dirigenti israeliani sapevano che era facile vincere la guerra. La menzogna sulla distruzione totale era diventata un dogma irrefutabile a Washington, il mantra del “diritto all’autodifesa” consentì a Tel Aviv di continuare la sua annessione illegale della terra palestinese conquistata.

I costruttori di miti sionisti si diedero di nuovo da fare negli anni ’80. Per controbattere alle critiche ricevute in seguito ai bombardamenti indiscriminati sul Libano e al massacro di palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut nel 1982, Israele nel 1983 partorì il Progetto Hasbara (“spiegazione” in ebraico).

Quell’anno l’American Jewish Congress [organizzazione creata per difendere gli interessi ebraici negli USA e all’estero, ndt.] sponsorizzò una conferenza di alti dirigenti, giornalisti e accademici di Israele e degli USA a Gerusalemme per elaborare una strategia volta a riabilitare Israele, cementare l’appoggio economico e militare statunitense e rendere estremamente difficile criticare le azioni di Israele.

[Il progetto] Hasbara creò strutture permanenti negli Stati Uniti e in Israele per influenzare il modo in cui in futuro il mondo, soprattutto gli americani, avrebbe pensato a Israele e al Medio Oriente. Gli argomenti che svilupparono sono riconoscibili nel discorso attuale, tra cui: l’importanza strategica di Israele per gli Stati Uniti; la sua vulnerabilità; i suoi valori condivisi con l’Occidente; il suo desiderio di pace. Israele definisce ora “diplomazia pubblica” la sua continua propaganda hasbara.

Mezzi di informazione, giornalisti, accademici, politici e personaggi dello spettacolo sono arrivati al punto di aspettarsi pressioni se superano il livello di accettabilità del discorso stabilito da Israele e dai suoi sostenitori. Narrazioni alternative che evidenziano gli abusi israeliani sono liquidate come anti-israeliani o ricevono la temuta etichetta di antisemite. I propagandisti israeliani hanno fatto in modo di confondere le critiche al regime – anti-sionismo – con l’antisemitismo. L’accusa di antisemitismo si è dimostrata un potente strumento retorico per difendere Israele da ogni colpa. Ha distrutto carriere e reputazioni.

Sfidare i miti israeliani

La defunta Helen Thomas, famosa giornalista, Norman Finkelstein, importante intellettuale ebreo, scienziato politico e scrittore, e Fatima Mohammed, laureata nel 2023 alla scuola di diritto della CUNY [università della città di New York, ndt.] sono tra quanti hanno voluto sfidare la violenta ondata di critiche che avrebbero dovuto inevitabilmente affrontare per “aver osato” mettere in discussione i miti israeliani.

Helen Thomas, icona nazionale e importante corrispondente dalla Casa Bianca di UPI [agenzia di notizie USA, ndt.] nel 2010 è stata obbligata a porre fine alla sua carriera durata 57 anni per aver insistentemente messo in discussione pubblicamente il sostegno statunitense a Israele. In seguito Thomas ha osservato: “In questo Paese non puoi criticare Israele e sopravvivere.”

Nel 2007 la De Paul University [università cattolica con sede a Chicago, ndt.] rifiutò una cattedra a Norman Finkelstein a causa delle sue critiche a Israele. Nei suoi libri Finkelstein ha sostenuto che l’antisemitismo è stato usato per reprimere le critiche alle politiche israeliane verso i palestinesi, e che l’Olocausto è sfruttato da alcune istituzioni ebraiche per i propri interessi e per nascondere l’illegale occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gaza. Dato che il suo nome è stato calunniato, Finkelstein non ha più potuto insegnare.

Nel suo recente discorso di commiato dai suoi colleghi laureati, Fatima Mohammed ha condannato Israele per aver perpetuato la Nakba (la Catastrofe), affermando che “il nostro silenzio non è più accettabile…La Palestina non può continuare ad essere l’eccezione nella nostra ricerca di giustizia.” Come prevedibile, Mohammed ha dovuto affrontare un’immediata condanna pubblica da parte di politici statunitensi e organizzazioni filo-israeliane, che l’hanno accusata di antisemitismo e hanno chiesto che l’università non riceva più finanziamenti a causa del suo discorso.

Nel dicembre 2008 e gennaio 2009 Israele, come in precedenza, schierò la sua macchina di pubbliche relazioni. Questa volta fu per contrastare le critiche ricevute per i massicci bombardamenti della Striscia di Gaza durati 22 giorni, in cui vennero uccisi 1.398 palestinesi.

L’Israel Project

The Israel Project [Il progetto Israele] (TIP), organizzazione filo-israeliana con sede a Washington, assoldò Frank Luntz, militante e stratega politico del partito Repubblicano, per sostenere la sua immagine. Luntz intraprese un ampio studio per scoprire come inserire la narrazione israeliana nei principali mezzi di comunicazione. I risultati vennero riportati in un documento intitolato The Israel Project’s 2009 Global Language Dictionary [Il dizionario del linguaggio globale 2009 di The Israel Project].

Il linguaggio del manuale di Luntz, con i suoi discorsi scritti per i sostenitori di Israele, è penetrato nel pensiero, nel vocabolario e nei commenti di politici, accademici e dei principali mezzi di comunicazione americani, israeliani ed europei.

Nel suo libretto di 18 capitoli Luntz insegna ai sostenitori di Israele come adattare le risposte a differenti uditori, descrive quello che gli americani vogliono sentire e quali parole e frasi utilizzare e quali evitare. Fornisce una guida su come affrontare affermazioni da parte di palestinesi e ostentare compassione nei loro confronti. Luntz avverte di sottolineare sempre il desiderio di pace da parte di Israele, benché inizialmente affermi come non voglia realmente una soluzione pacifica.

Ai sostenitori viene raccomandato di dare la falsa impressione che il cosiddetto “ciclo di violenza” stia andando avanti da migliaia di anni, che le due parti sono ugualmente in errore e che la catastrofe Palestina-Israele sia incomprensibile. Sollecita i sostenitori a sottolineare la necessità israeliana di sicurezza, evidenziando che gli americani risponderanno favorevolmente se i civili israeliani vengono dipinti come vittime innocenti del “terrorismo” palestinese.

Luntz afferma che, quando viene detto agli americani che l’Iran sostiene Hezbollah e Hamas, essi tendono ad essere più favorevoli a Israele. Quindi, quando si parla di loro, bisogna ripetere continuamente Hamas ed Hezbollah “sostenuti dall’Iran”.

Nelle rare occasioni in cui i principali mezzi di comunicazione riportano le violenze di Israele, si adeguano al lessico ufficiale del dizionario di Luntz. L’esercito di occupazione israeliano, per esempio, viene definito forze “di difesa” o “di sicurezza”, i coloni sionisti (occupanti abusivi) vengono definiti “abitanti”, le colonie sioniste sono definite “insediamenti” o “quartieri”, i palestinesi “aggrediscono”, mentre gli israeliani semplicemente “reagiscono”.

Normalizzare l’anomalo

Tra le falsificazioni più evidenti c’è la descrizione del ginepraio israelo-palestinese come un “conflitto” tra due popoli con le stesse risorse politiche e militari e le stesse rivendicazioni, quando in realtà si tratta di un conflitto tra il colonizzatore, Israele, e il colonizzato, i palestinesi.

Per 75 anni la propaganda israeliana gli ha consentito di essere un’eccezione, di farsi beffe impunemente delle norme e delle leggi internazionali. Grazie ai suoi miti Israele ha avuto una notevole influenza nel definire la politica USA in Medio Oriente. Le campagne di incessante e metodica disinformazione del Paese dal 1948 fino ad ora hanno consentito a Israele di piantare la bandiera sionista su terra palestinese e nei cuori e nelle menti degli americani.

Tuttavia Tel Aviv sta incontrando difficoltà sempre maggiori a nascondere il suo consolidato sistema di apartheid e il continuo genocidio, soprattutto alla luce delle politiche e prassi apertamente razziste dell’attuale regime di destra messo insieme dal suo primo ministro perseguito dalla giustizia, Benjamin Netanyahu. Ma l’industria israeliana dell’hasbara rimane impavida. Il TIP ha chiuso nel 2019 dopo che i suoi finanziamenti si sono prosciugati, ma la Democratic Majority for Israel [Maggioranza Democratica per Israele] (DMFI) continua a portare avanti la missione dell’hasbara israeliana.

Israele sa che la narrazione che racconta a se stesso e al mondo è apocrifa e che lo Stato ebraico, nella sua attuale forma, è illegale e ingiusto. Di conseguenza, nel tentativo di rendere l’apocrifo reale e legale l’illegittimo, Israele continua la sua costante guerra ideologica per normalizzare l’anomalo in Palestina.

Reza Behnam è un politologo specializzato nella storia, la politica e i governi in Medio Oriente. Ha concesso questo articolo a The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Ci sono stati dei feriti a causa di un attacco delle forze israeliane a palestinesi che stavano seguendo il funerale di un bimbo ucciso

Redazione di Palestine Chronicle (WAFA, PC)

6 giugno 2023 – Palestine Chronicle

Due giovani palestinesi sono stati trasferiti all’ospedale dopo essere stati colpiti e feriti dalle forze israeliane nel villaggio. Le loro condizioni di salute sono state definite moderatamente gravi.

L’agenzia di notizie ufficiale palestinese WAFA ha riferito che martedì un giovane palestinese è stato colpito e ferito a un piede e un altro è stato colpito in faccia da una pallottola di acciaio ricoperta di gomma nel villaggio di Nabi Saleh, vicino Ramallah, in seguito al corteo funebre di un bambino ucciso, Mohammed Tamimi.

Centinaia di persone hanno partecipato al funerale di Mohammad Haitham Tamimi di due anni, morto lunedì, quattro giorni dopo essere stato colpito alla testa da soldati israeliani nel villaggio di Nabi Saleh.

Un attivista locale contro le colonie e contro il muro ha affermato che due giovani sono stati trasferiti all’ospedale dopo essere stati colpiti e feriti dalle forze israeliane nel villaggio. Le loro condizioni di salute sono state definite moderatamente gravi.

Le forze israeliane hanno anche attaccato gli abitanti del villaggio con una raffica di candelotti di gas lacrimogeni e granate stordenti, causando problemi respiratori a decine di persone.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)