La rivolta dei giovani palestinesi – Quale ruolo per i partiti politici?

Parte 6

da Al-Shabaka Ma’an News

di Mjiriam Abu Samra

Al-Shabaka è un’organizzazione indipendente no profit che ha come obiettivo informare e stimolare il dibattito pubblico sui diritti umani e sull’autodeterminazione dei palestinesi nel contesto delle leggi internazionali.

Questa è la sesta parte di una pubblicazione divisa in otto segmenti sull’attuale assenza di un’autentica dirigenza nazionale palestinese e sulla rivolta dei giovani contro la prolungata occupazione militare da parte di Israele e la negazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati (TPO).

Questa parte è stata scritta da Mjiriam Abu Samra, una ricercatrice a livello di dottorato in relazioni internazionali all’università di Oxford, il cui lavoro è incentrato sul movimento transnazionale degli studenti palestinesi ed il loro contributo al più complessivo movimento di liberazione in diversi periodi.

Per affrontare il problema fondamentale sul perché i partiti politici storici non sono riusciti finora a catalizzare l’attuale frustrazione dei giovani bisogna considerare il modo in cui i politici palestinesi sono stati trasformati, e in primo luogo lo spostamento del discorso politico e la strategia dell’OLP [Organizzazione per la Liberazione della Palestina, di cui fanno parte quasi tutti i gruppi politici palestinesi. Ndtr.] dalla lotta per la liberazione alla costruzione di uno Stato. Ciò ha privato la lotta dei suoi principi fondamentali e ha lentamente indebolito la sua strategia: una normalizzazione neocolonialista con l’occupante ha preso il posto dell’originale quadro anticoloniale che aveva modellato la lotta. In conseguenza di ciò, il movimento nazionale è rimasto paralizzato nella sua capacità di mobilitazione della base.

La relazione neocoloniale tra i colonizzatori e i colonizzati ha isolato la dirigenza palestinese dalla sua base popolare e la lotta si è bloccata. La crisi tra Hamas e Fatah è una dimostrazione della complessa condizione coloniale imposta ai palestinesi e dell’incapacità dei partiti politici palestinesi di dare la priorità alla volontà del loro popolo rispetto agli interessi neoliberali. Benché la sua manifestazione più acuta sia la crisi tra Fatah ed Hamas, il progetto neoliberale inaugurato da [gli accordi di] Oslo ha colpito tutti i partiti palestinesi a vario livello e li ha resi incapaci di rappresentare la volontà popolare.

Prendendo in considerazione questo quadro complessivo, è improbabile vedere un ruolo significativo per i partiti politici tradizionali nell’attuale rivolta – a meno che essi riprendano la visione politica e il discorso anticolonialista del movimento palestinese. D’altra parte, un tale cambiamento radicale potrebbe rappresentare la completa estinzione della classe dirigente e lo smantellamento del complesso di interessi economici e politici nei territori palestinesi occupati. E’ un rischio che la leadership palestinese per il momento non sembra intenzionata a prendersi.

Di conseguenza, qualunque altro sforzo per dare una dirigenza solida e duratura ai movimenti spontanei sul terreno ha la necessità di rimettere al centro della lotta la liberazione e la giustizia. E’ più probabile che i giovani palestinesi possano eventualmente giocare un ruolo nella ridefinizione radicale delle politiche palestinesi piuttosto che questi partiti politici tradizionali possano realmente contribuire all’attuale ribellione. A questo proposito, dobbiamo prestare attenzione ai nuovi sforzi da parte dei giovani palestinesi della diaspora (shatat) e nella Palestina storica, che stanno offrendo un solido quadro politico all’attuale rivolta e, in generale, al malcontento palestinese. E’ troppo presto per valutare il potenziale strategico di queste iniziative, comunque è importante mettere in luce il discorso radicale che stanno sostenendo.

E’ anche importante riconoscere, soprattutto, gli strenui sforzi di riunificare -quanto meno simbolicamente, per il momento – il messaggio politico di tutte le componenti della società palestinese: sotto occupazione in Cisgiordania e a Gaza, nella “Palestina del ’48 [cioè in Israele. Ndtr.]” e nella diaspora. Si veda, ad esempio, la mobilitazione transnazionale invocata dai giovani palestinesi da ogni parte del mondo il 29 novembre, che le Nazioni Unite hanno designato come il giorno internazionale di solidarietà con il popolo palestinese.

Simili sforzi rappresentano un nuovo cammino per i politici palestinesi che intendano unificare la società palestinese attorno a una visione condivisa di giustizia, liberazione e ritorno [dei profughi]. Queste incipienti iniziative possono fornire un nuovo spazio per l’emergere di una dirigenza nazionale in grado di elaborare – e sostenere – una strategia innovativa di resistenza per la lotta palestinese.

Questo pezzo è parte della pubblicazione di una tavola rotonda di Al-Shabaka. La versione completa è stata originariamente pubblicata sul sito di Al-Shabaka il 23 novembre 2015.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono agli autori e non riflettono necessariamente la politica editoriale dell’Agenzia Ma’an News.

(Traduzione di Amedeo Rossi)




La rivolta dei giovani palestinesi – Quale ruolo per i partiti politici?

Parte 4

di Khalil Shaheen

da Al-Shabaka, Maannews

Al-Shabaka è un’organizzazione indipendente no profit che ha come obiettivo informare e stimolare la discussione pubblica sui diritti umani e sull’autodeterminazione dei palestinesi nel contesto delle leggi internazionali.

Questa è la quarta parte di una pubblicazione in otto parti sull’attuale assenza di un’autentica dirigenza nazionale palestinese e sulla rivolta dei giovani contro la prolungata occupazione militare da parte di Israele e la negazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati (TPO).

Questa parte è stata scritta da Khalil Shaheen, giornalista palestinese, esperto di media, ricercatore e noto analista politico e dei media. È attualmente direttore di ricerca e politiche e membro del consiglio di amministrazione di Masarat – The Palestine Center for Policy Research and Strategic studies (Il centro palestinese per la ricerca di politiche e studi strategici, un istituto indipendente specializzato nell’individuazione di politiche strategiche. Ndtr.) a Ramallah.

Il sistema politico palestinese è vicino al collasso dopo che ha abbandonato la propria identità di movimento di liberazione nazionale con il riconoscimento, negli Accordi di Oslo, della legittimità di un sistema razzista di insediamenti coloniali. L’attuale ondata di collera è una ribellione contro questa relazione e l’ideologia su cui si basa. Quest’ondata è anche una prosecuzione in forma più ampia di forme di espressione e di azione politica che sono andate oltre il tradizionale sistema politico e organizzativo stabilito negli anni 1960, che ha subito a sua volta un lento e inesorabile declino.

Tuttavia bisogna prendere atto della “coesistenza” tra la tradizionale politica dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) e delle fazioni palestinesi da un lato, e le nuove forme di azione politica dall’altro, dovuta al carattere di transizione dell’attuale fase. In particolare, il movimento nazionale tradizionale continua ad avere un ruolo politico nonostante la sua incapacità di raggiungere il suo storico obbiettivo di ottenere i diritti nazionali del popolo palestinese.

La realizzazione di questo obbiettivo dovrebbe spingere i palestinesi a porsi domande strategiche riguardo alle ripercussioni di un’ideologia e di una serie di prassi fallimentari e a cosa sia necessario per rinnovare il progetto nazionale palestinese ed un’istituzione nazionale in grado di raggiungere i propri obbiettivi.

Negli ultimi anni, alcuni hanno sostenuto che non ci sia bisogno di ricostruire il movimento nazionale come prerequisito per adottare una strategia d’azione. Ritengono semmai che il reclutamento di un gran numero di soggetti in programmi di azione partecipativi sia la via giusta per ricostruire il movimento nazionale. Questo approccio è incentrato sulla creazione di un nuovo percorso basato sull’unificazione dei palestinesi in patria e nella diaspora. Il movimento globale BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni), il movimento per il diritto al ritorno e i comitati di resistenza popolare contro il muro di separazione sono tutte espressioni di nuove forme d’azione al di fuori dello schema tradizionale dell’azione politica di partito.

Analogamente, l’attuale ondata di rabbia è una nuova forma di azione popolare condotta dai giovani. Il tradizionale sistema dei partiti politici non ha previsto le conseguenze di questa azione in un periodo di forti divisioni e conflitti interni su potere ed influenza. Questa ondata può indebolirsi o intensificarsi, ma sembra essere parte di una serie di ondate che continueranno a verificarsi fino a quando diventeranno uno tsunami che esprimerà il riconoscimento unanime della causa palestinese come liberazione nazionale e la necessità di ricostruire le strutture nazionali ed istituzionali in grado di creare un nuovo percorso di lotta.

L’attuale ondata di collera dimostra che c’è una nuova generazione che ridefinisce il rapporto del popolo con l’occupazione israeliana come basato sul conflitto e non sulla “comprensione”. Lo fa sfidando il monopolio della politica condotta all’interno dei bantustans dall’ANP, che l’occupazione israeliana sta trasformando in un agente amministrativo, economico e di sicurezza interno di un sistema di dominazione coloniale.

Tuttavia questo non significa la fine del ruolo politico delle fazioni, nonostante la loro condizione di divisione interna e di mancanza di legittimazione popolare. Le fazioni dirigono ancora le prassi politiche e le forme di resistenza armata, soprattutto nella Striscia di Gaza. Dominano l’OLP, l’ANP, i sindacati, le associazioni professionali e le organizzazioni studentesche.

Gli attuali segnali di nascita di nuove forme di azione politica e di lotta possono sembrare simili a quelli degli ultimi anni ’50 e primi anni ’60, quando una giovane generazione ha sfruttato le favorevoli condizioni nei paesi arabi e a livello internazionale per impostare un nuovo percorso di lotta che ha rovesciato in breve tempo la leadership precedente e successiva alla Nakba (l’espulsione dei palestinesi dai territori del neonato Stato di Israele nel 1948, ndt.). Quella generazione ha sviluppato strutture politiche e gruppi armati che derivavano la propria legittimazione dal popolo, che proclamò la propria fedeltà alla nuova leadership senza una legittimazione elettorale.

Tuttavia oggi le condizioni sono diverse ed ancora mancano gli elementi chiave di questo processo. C’è ancora spazio per i soggetti tradizionali per giocare un ruolo. Non sarà possibile reimpostare una politica e un’attività organizzata con un ampio coinvolgimento popolare se non cambieranno gli obbiettivi, i metodi e le regole. Ad un certo punto, i partiti tradizionali devono confrontarsi con le nuove forme di attivismo politico che va ridisegnando il rapporto con il colonizzatore.

Questo comporterà lavorare con la generazione più giovane per stabilire gli obbiettivi e le richieste dell’attuale rivolta, invece di cercare di monopolizzarla o frenarla. Ciò aiuterebbe a trasformare le forme di azione politica dei partiti tradizionali in una lotta attiva guidata dalla generazione dei giovani e ad accelerare lo sviluppo di una vasta rivolta, capace di creare un percorso nuovo nella lotta di liberazione.

Questo pezzo è parte della pubblicazione di una tavola rotonda di Al-Shabaka. L’intera versione è stata originariamente pubblicata sul sito di Al-Shabaka il 23 novembre 2015.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono agli autori e non riflettono necessariamente la politica editoriale dell’Agenzia Ma’an News.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)