Una nuova ondata di avamposti dei coloni sta terrorizzando e cacciando i palestinesi dalle loro terre

Imad Abu Hawash 

8 marzo 2024 – +972 Magazine

I palestinesi in Cisgiordania raccontano di come i coloni israeliani, con il sostegno dei militari, stiano intensificando la loro occupazione delle terre per costruzioni illegali.

Sin dalla fine di dicembre i palestinesi che abitavano nel villaggio di Battir, a ovest di Betlemme nella Cisgiordania occupata, sono stati allontanati da porzioni significative delle loro terre. Semplicemente un gruppo di coloni israeliani un giorno è arrivato nella zona che l’UNESCO ha designato come sito del patrimonio mondiale e fondato un nuovo avamposto con alcune baracche per viverci e tenere il bestiame.

Alcuni coloni e pastori hanno preso il controllo dell’area e iniziato a pascolare le proprie greggi sulle terre del villaggio, impedendo ai palestinesi di raggiungere i pascoli,” ha detto a +972 Magazine Ghassan Alyan, un abitante del villaggio. “Hanno persino fatto volare dei droni fra le nostre greggi per disperderle, minacciando di sparare.” 

Di conseguenza contadini e pastori di Battir hanno completamente perso l’accesso alla terra che era la fonte del loro sostentamento. “È diventato impossibile per i palestinesi raggiungere la zona, i coloni possono sparare contro chiunque vi si trovi. I coloni indossano uniformi militari e si spostano con la protezione dell’esercito,” ha continuato Allyan, osservando che la tendenza dei coloni ad arruolarsi nella riserva dell’esercito nel corso della guerra di Israele contro Gaza ha reso più difficile distinguerli dai soldati.  

La gente del villaggio era solita andare a fare escursioni in questa zona, ma ora nessuno può uscire e godersi la natura,” ha aggiunto Alyan. “I coloni girano in macchina usando le nuove strade sterrate che hanno aperto dopo aver stabilito l’avamposto. Gli abitanti di Battir sono terrorizzati. Nessuno si avvicina a questa zona.” 

Negli ultimi cinque mesi in Cisgiordania ampie estensioni di terra di proprietà palestinese sono state di fatto annesse dai coloni israeliani. In alcune zone come Battir i coloni hanno stabilito degli avamposti completamente nuovi, nove secondo una relazione di Peace Now [organizzazione progressista e pacifista israeliana, ndt.].

Se tutte le colonie israeliane in Cisgiordania sono illegali ai sensi del diritto internazionale, la costruzione di avamposti non autorizzati è tecnicamente illegale persino per la legge israeliana. Ciononostante l’esercito israeliano invariabilmente protegge i coloni e in genere lo Stato permette loro di allacciarsi alla rete elettrica e idraulica, a differenza delle comunità palestinesi sulle cui terre sono costruite. 

E con l’attuale governo israeliano di estrema destra la distinzione è ancora più nebulosa: a dicembre il ministro della Finanze Bezalel Smotrich ha destinato agli avamposti in Cisgiordania circa 19 milioni di euro di fondi statali.  

Nel frattempo, secondo il rapporto di Peace Now, dal 7 ottobre i coloni hanno anche asfaltato o portato avanti la costruzione di almeno 18 nuove strade senza un’autorizzazione governativa preventiva, permettendo l’espansione di colonie e avamposti e isolando nel contempo i palestinesi dalle proprie terre. E in parecchi casi, con la copertura della guerra e la collaborazione attiva o tacita dell’esercito, i coloni hanno semplicemente occupato le terre con la forza, le minacce o i decreti militari. 

Quando la guerra finirà i coloni si saranno allargati drammaticamente’

Il 26 novembre al calare dell’oscurità sul villaggio di Ar-Rihiya, proprio a sud di Hebron, il rumore delle escavatrici riempiva l’aria. “I coloni (dal vicino insediamento di Beit Hagai) hanno cominciato a tracciare una strada sterrata che si estende su centinaia di dunam,” ha detto a +972 Ahmad al-Tubasi, un abitante di Ar-Rihiya. “Abbiamo chiamato varie volte la polizia israeliana e quando è finalmente arrivata gli escavatoristi erano scomparsi. La polizia ha fatto finta di non sapere cosa stesse succedendo.” 

Poche settimane dopo i coloni sono ritornati. Odeh al-Tubasi, un contadino che ara la terra di molti abitanti del villaggio, ha raccontato cosa è successo: “Stavo lavorando alle colture invernali quando, a circa 250 metri di distanza, è apparso un veicolo militare, seguito da un altro bianco da cui sono scesi quattro coloni. Ero attanagliato dalla paura mentre si avvicinavano. Mi sono allontanato velocemente con il mio trattore e sentivo che i coloni urlavano in ebraico, ‘Non ritornare qua, ti è proibito entrare e lavorare. Questa è la nostra terra!’” 

La sequenza di eventi spesso segue questo schema: prima i coloni erigono case mobili su terra palestinese, poi la occupano o costruiscono infrastrutture chiave come strade, di solito senza permessi, e poi, dopo attacchi sostenuti e molestie senza intervento di esercito o polizia, espellono i palestinesi dai terreni. Dagli attacchi guidati da Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre, oltre 1.000 palestinesi sono stati forzatamente sfollati in questo modo dai villaggi dell’Area C della Cisgiordania, circa il 60% del territorio sotto il totale controllo di Israele, dove sono situate tutte le colonie e gli avamposti.  

L’anno scorso gli abitanti di Beit Awwa, a ovest di Hebron, si sono trovati nel bel mezzo di questo processo con la costruzione di un nuovo avamposto sulle terre del villaggio. La scorsa estate coloni israeliani dall’avamposto di Havat Negohot, con l’appoggio dell’esercito, hanno cominciato a spianare parecchi dunam di terra e a erigere strutture temporanee a circa 50 metri dalle case dei palestinesi. I coloni hanno bloccato l’unica strada che consente l’accesso a sei case dei palestinesi e ai terreni agricoli, costringendo gli abitanti di quelle case a percorrere strade distanti e sterrate e portare cibo e acqua sulle spalle o a dorso d’asino. 

Dopo il 7 ottobre i coloni hanno tracciato una nuova strada ed eretto altre cinque baracche di alluminio, espandendo ulteriormente l’avamposto. Il comune di Beit Awwa, in collaborazione con gli abitanti, ha presentato alla Corte Suprema israeliana una petizione urgente richiedendo la riapertura delle strade. Il 29 gennaio c’è stata un’udienza ma non è stata raggiunta alcuna decisione. 

Secondo Peace Now i coloni, nel tentativo di collegare il nuovo avamposto alla colonia di Negohot, essa stessa costruita su terre appartenenti a Beit Awwa, hanno continuato a lavorare sulla strada mentre era in corso l’azione legale. La nuova strada è stata illegalmente asfaltata senza un vero permesso di progettazione o costruzione, mentre la strada che viene usata dagli abitanti palestinesi resta chiusa.  

Insediare un nuovo avamposto esacerba le nostre sofferenze,” ha detto +972 Yousef al-Swaiti, il sindaco di Beit Awwa. “Quando la guerra sarà finita i coloni si saranno allargati drammaticamente nelle vicinanze del villaggio. Nessuno potrà andarci. Coloni armati potrebbero sparare a qualsiasi abitante del villaggio che tentasse semplicemente di avvicinarsi alla terra confiscata.” 

Attacchi contro gli abitanti del villaggio sono ormai all’ordine del giorno da parte sia di coloni che di soldati. Il 15 novembre Nouh Kharub è stato aggredito da soldati mentre se ne stava seduto con la famiglia sul terreno davanti a casa a Khallet a-Taha, nella periferia orientale di Beit Awwa. 

Uno di loro mi ha picchiato varie volte con un fucile,” ha raccontato. “Sia i soldati che il colono che li aveva accompagnati ci urlavano contro: ‘È vietato ritornare qui,’ e, ‘Vi uccideremo.’ Ci siamo trovati intrappolati in casa, nessuno di noi poteva ritornare a casa nostra mentre i coloni erigevano un nuovo avamposto a 100 metri di distanza.” 

La stessa sorte è toccata a Mohammad Aqtil: la costruzione dell’avamposto ha impedito a lui e alla sua famiglia di accedere alle terre a Khallet a-Taha. “Fuori casa i miei movimenti e quelli dei miei figli sono limitati,” ha spiegato Aqtil. “Non ci è permesso fare niente sulla terra.

Soldati mi dicono in continuazione, ‘Questa è una zona militare, questa casa non è vostra, queste sono terre demaniali.’ Allo stesso tempo i coloni erigono un avamposto con edifici e tende, circondandolo di filo spinato e collegandolo con una strada asfaltata che porta a Negohot. La costruzione è avanzata rapidamente dopo la dichiarazione di guerra.”

È come se volessero vendicarsi’

Talvolta non è necessaria una nuova costruzione per buttar fuori i palestinesi dalle loro terre. Il 2 gennaio il 48enne Yousef Makhamra del villaggio di Khirbet al-Tha’la, in una parte della Cisgiordania meridionale nota come Masafer Yatta, è uscito per arare la sua terra con altri due contadini palestinesi. A causa dell’impennata in anni recenti degli attacchi in questa zona da parte di coloni e soldati israeliani contro i palestinesi al lavoro sulle proprie terre erano accompagnati da attivisti israeliani come “presenza protettiva”, nella speranza di scoraggiare o almeno documentare tali incidenti. Quel giorno è stato tutto inutile. 

Avevamo cominciato a seminare quando è arrivato un veicolo militare,” ha detto Makhamra a +972. Dalla camionetta sono usciti parecchi soldati israeliani e 3 coloni vestiti con pantaloni militari, uno dei quali era Bezalel Dalia che Makhamra sapeva provenire dall’avamposto di Nof Nesher. 

Si sono lanciati contro di noi e mi hanno ammanettato le mani dietro la schiena e lo stesso hanno fatto con Jamil [un altro contadino],” ha continuato. “Alcuni dei coloni hanno impedito agli attivisti israeliani di fare delle riprese mentre Dalia mi prendeva a calci. “Gli ho detto, ‘Vattene via, sono malato,’ ma ha continuato a prendermi a calci. 

Ho avuto molta paura perché i coloni erano con i soldati,” ha continuato Makhamra. “Era come se cercassero vendetta [per il 7 ottobre]. Uno di loro ha detto, ‘Questa è terra per i coloni.’”

Dopo pochi minuti sono arrivati altri attivisti israeliani e i soldati hanno prontamente tolto le manette a Makhamra e Jamil. Uno degli attivisti ha consegnato ai soldati una decisione della Corte che afferma il diritto dei contadini palestinesi a coltivare la terra. Tuttavia l’ufficiale ha insistito che smettessero di lavorare fino a che qualcuno dell’Amministrazione Civile, il corpo dell’esercito responsabile dell’amministrazione dell’occupazione, potesse confermare che i contadini avevano veramente questo diritto. 

I contadini hanno aspettato parecchie ore prima che arrivasse un rappresentante dell’Amministrazione Civile e li autorizzasse a continuare a lavorare. Ma un’ora dopo, un altro colono, Issachar Mann dell’avamposto di Havat Maon, è arrivato con dei soldati che di nuovo hanno chiesto ai contadini palestinesi di interrompere il lavoro fino a una valutazione dell’Amministrazione Civile, nonostante fosse appena arrivato un rappresentante ad autorizzare i lavori. 

Questa volta non è arrivato nessun altro e dopo altre quattro ore i soldati hanno emesso un ordine militare di abbandonare la zona. Da allora i contadini palestinesi di Khirbet al-Tha’la che, come Makhamra, lavorano terre vicine alle colonie e agli avamposti non sono più stati in grado di raggiungerle. 

Il primo marzo il comandante della divisione cisgiordana dell’esercito israeliano ha emesso un ulteriore ordine militare dichiarando che le terre di Khirbet al-Tha’la vicino alle colonie e agli avamposti sono una zona militare chiusa. L’esercito ha rifiutato di confermare a +972 se l’ordine resta in vigore.

E se i miei bambini fossero stati in casa?’

Raed Yassin e la sua famiglia vivono alla periferia del villaggio di Burqa, a nord ovest di Nablus. La loro casa è situata ad appena 50 metri da un avamposto che in anni recenti è diventato un simbolo del potere dei coloni: Homesh.

All’inizio un insediamento autorizzato dal governo alla fine degli anni ’70 su terre appartenenti agli abitanti di Burqa, è stato uno dei quattro insediamenti nella Cisgiordania settentrionale che Israele aveva abbandonato in concomitanza con il “disimpegno” da Gaza nel 2005. Ma presto i coloni cominciarono a ritornare illegalmente alla colonia smantellata, ricostruendo una yeshiva (scuola religiosa) tutte le volte che le autorità la demolivano.

La loro persistenza ha dato frutti alla fine del 2022 con l’insediamento del governo israeliano di estrema destra che, come uno dei suoi primi ordini del giorno, ha abrogato la Legge del Disimpegno, permettendo quindi ai coloni di entrare legalmente nei territori che erano stati abbandonati. Lo scorso maggio i coloni hanno cominciato lavori di costruzione per espandere la yeshiva, sempre in violazione della legge ma con l’appoggio del ministero della Difesa. Dal 7 ottobre quella costruzione, e gli attacchi contro i palestinesi di Burqa, hanno visto un’impennata. 

L’aggressione più recente è avvenuta il 9 gennaio. “Ero nel mio campo e mia moglie e i bambini erano fuori casa in visita a parenti,” ha raccontato Yassin. “Nel corso della giornata ho ricevuto una chiamata da uno degli abitanti della zona perché i coloni stavano attaccando la nostra casa. Ci sono ritornato di corsa ma quando sono arrivato si erano già ritirati. 

Dalle immagini delle nostre cineprese di sorveglianza ho visto 15 coloni mascherati tagliare la recinzione intorno alla casa, danneggiare i dintorni, rompere i tubi della fogna, sradicare alberi e cercare di togliere le protezioni di finestre e porte,” ha continuato. “Era spaventoso: e se i miei bambini fossero stati a casa?” 

Dall’inizio della guerra Yassin e la sua famiglia sono stati costretti a dormire varie notti a casa di parenti che vivono nel villaggio, ma più all’interno, lontano da Homesh. “Le notti che passiamo a casa io sto sempre sveglio,” ha detto. “Potrebbero venire i coloni e incendiarla.” 

Coloni con uniformi militari controllano tutto’

Anche i palestinesi del villaggio di Qaryut, situato tra Nablus e Ramallah, sono stati privati dell’accesso a una porzione ancora maggiore delle loro terre in conseguenza della violenza dei coloni. 

Qaryut si estende su un’area di circa 20.000 dunam (circa 2000 ettari), la maggior parte classificata come Area C e piantata a olivi. Tuttavia negli ultimi 50 anni il villaggio è stato gradualmente circondato da colonie israeliane: Eli, costruita nel 1984, Shvut Rachel, del 1995 e Shilo del 1979. Collettivamente queste colonie, così come parecchi altri insediamenti recentemente costruiti, hanno confiscato più di 14.000 dunam (1400 ettari) delle terre del villaggio.

Dal 7 ottobre la situazione è ulteriormente peggiorata. “Alla maggior parte della popolazione del villaggio, oltre 3.000 persone, è stato impedito di raccogliere le olive,” si è lamentato Ghassan al-Saher, un abitante del villaggio. “Sia i coloni che l’esercito hanno impedito l’accesso ai terreni, bloccando la strada con del terriccio. I coloni hanno occupato i campi e tagliato numerosi alberi.” 

Secondo al-Saher i coloni hanno deliberatamente distrutto infrastrutture palestinesi nel villaggio. Hanno attaccato una struttura agricola costruita con il sostegno della Croce Rossa Internazionale di cui avevano beneficiato 10 famiglie palestinesi, danneggiando serre, serbatoi dell’acqua e tagliando le tubature dell’acqua. Hanno anche occupato la sorgente di Qaryut, vitale per il villaggio. “L’hanno trasformata in un parco per loro,” ha detto al-Saher. “Chiunque si avvicini alla sorgente rischia di essere ucciso.”

Un altro abitante, Bashar al-Qaryuti, ha aggiunto: “Quando è cominciata la guerra abbiamo perso tutte le terre del villaggio classificate come Area C. La vita nel villaggio si è paralizzata: non possiamo raggiungere le nostre terre nelle vicinanze. Hanno attaccato il villaggio e aperto il fuoco. Molti giovani del villaggio non dormono la notte per paura di un attacco dei coloni. 

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




L’assassinio di un giovane palestinese da parte di coloni israeliani è il più recente tentativo di escalation

Amira Hass

6 agosto 2023 – Haaretz

I coloni israeliani assassini saranno probabilmente liberati o dichiarati innocenti per legittima difesa, i palestinesi attaccati saranno processati per tentato omicidio. Ma la violenza organizzata ha un altro obiettivo.

Ci sono vari possibili scenari in seguito all’assassinio del giovane palestinese Qosai Mi’tan nel suo villaggio di Burqa, a est di Ramallah: la polizia lascerà libero di tornare a casa sua l’ebreo incarcerato in seguito alle affermazioni del suo avvocato che ha agito per legittima difesa dopo che il suo amico era stato ferito. In seguito a proteste crescenti da parte dei parlamentari del (partito) Sionista Religioso che l’esercito sta abbandonando i coloni, l’esercito e lo Shin Bet arresteranno in quel villaggio i palestinesi indiziati per aver attaccato con armi il sospettato (ferito e portato in ospedale), e anche i suoi amici.

Il pubblico ministero chiuderà la pratica contro i due sospettati dato che sarà convinto che si stavano difendendo o potrebbe cambiare l’accusa con una per uso improprio di armi. I giudici a Gerusalemme saranno indulgenti e condanneranno entrambi ai servizi sociali, come lavorare in un asilo nell’avamposto di Pnei Kedem autorizzato di recente.

I palestinesi devono rispondere davanti al tribunale militare di Ofer dell’accusa di aver attaccato pastori ebrei la vigilia dello Shabbat. La loro detenzione sarà estesa fino alla fine di tutti i procedimenti legali. Saranno accusati di tentato omicidio e condannati a vari anni di carcere. “Una disputa sui pascoli non dovrebbe finire in un attacco contro pastori innocenti che volevano solo che le loro pecore e capre brucassero l’erba che cresce su questa terra fertile,” dirà poeticamente il giudice, un tenente colonnello.

Delirante? Non in Israele, come provano i commenti domenica mattina di Itamar Ben-Gvir [ministro di ultradestra per la sicurezza nazionale, ndt.] in cui afferma che ai due sospettati si dovrebbe dare un’onorificenza. Nel giugno 2022 (durante il governo Bennett-Lapid-Gantz), un colono dell’avamposto autorizzato di Nofei Nehemia ha ucciso il ventisettenne Ali Harb del villaggio di Iskaka, a sud di Nablus. Il colono stava partecipando a un’invasione organizzata delle terre del villaggio con lo specifico intento di fondarci un nuovo avamposto. Quando gli abitanti di Iskaka hanno tentato di fermare gli invasori uno di loro ha tirato fuori un coltello con cui ha ucciso Harb. Il pubblico ministero ha archiviato il caso certo che il colono avesse agito per difendersi.

L’invasione dei campi di Burqa da parte di un gruppo di coloni e delle loro greggi è stata prontamente definita dai media come un “conflitto sui pascoli”. Questa formula ingannevole ignora il modello fisso di una crescente violenza dei coloni contro i palestinesi attuata principalmente da “pastori ebrei” ben armati. Dall’inizio dell’anno al 24 luglio ci sono stati 581 attacchi, senza contare assalti e intimidazioni che non sono finiti con danni a proprietà o persone.

Noi non lavoriamo nel vuoto normativo,” ha detto giovedì scorso il giudice Uzi Fogelman, valutando i ricorsi contro la legge che impedisce che Netanyahu venga dichiarato inabilitato a governare. Egli stava difendendo l’autorità della corte a rivedere persino le leggi fondamentali [Basic Laws]. Il giorno prima, lui e i suoi colleghi Esther Hayut e Yael Willner hanno davvero lavorato nel vuoto normativo com’è loro inviolabile abitudine quando si tratta delle colonie in Cisgiordania. Hanno respinto un ricorso presentato dagli abitanti di un altro villaggio chiamato Burqa (questo è vicino a Nablus), che chiedevano fosse loro permesso di lavorare la propria terra senza gli attacchi di coloni e divieti ai propri spostamenti imposti dall’esercito.

La petizione è stata respinta poiché la scuola ebraica, la yeshiva illegale in quella località, era stata spostata in una piccolissima enclave designata come “terra demaniale,” nel bel mezzo di terreni privati palestinesi. Il fatto che i coloni si spostino in questa terra privata e che questa sia la ricetta infallibile per continue molestie e attacchi contro palestinesi non è stata presa in considerazione dai giudici. Proprio come il pubblico ministero che ha liberato l’accoltellatore di Nofei Nehemia ha ignorato l’intenzione illegale a priori di costruire un avamposto invasivo su terreni palestinesi (pubblici o privati fa lo stesso agli occhi del diritto internazionale). Entrambe le decisioni incoraggiano i pogromisti ebrei.

L’assassinio di Mi’tan non è avvenuto in un vuoto. I dettagli precisi saranno chiariti grazie a indagini indipendenti nei prossimi giorni. Ma noi possiamo già riconoscere alcuni degli schemi che saranno seguiti:

1. Collaborazione tra coloni e istituzioni statali. L’avamposto di Migron, a sud di Burqa, fu costruito nel 1999 sui terreni di Burqa. Dopo una battaglia legale intrapresa dagli abitanti del villaggio insieme all’organizzazione Peace Now [Ong progressista pacifista israeliana, ndt.] i coloni furono estromessi dall’avamposto nel 2012, ma l’esercito proibì ai palestinesi, proprietari legali, di ritornare ai propri appezzamenti, coltivarli e svilupparli secondo le proprie necessità. Questo divieto è stato un invito a quelli che 3 anni fa hanno iniziato un allevamento di pecore detto Ramat Migron sulla stessa collina. I contadini e pastori palestinesi della zona spesso denunciano violenti attacchi da questo avamposto. Le autorità hanno trasferito parecchie volte i coloni che, per nulla scoraggiati, ci ritornano continuamente.

2. Anche isolare il villaggio dal circondario, al punto da soffocarlo economicamente e sociale sembra essere sistematico. Burqa giace a meno di 10 chilometri a est di Ramallah. All’inizio degli anni ’80 una strada diretta alla città fu bloccata a vantaggio della colonia di Psagot. Una seconda strada fu bloccata agli inizi del 2000, quando l’avamposto di Giv’at Assaf fu costruito sui terreni del villaggio di Beitin, di fronte all’uscita nord da Burqa. Questa uscita è ancora bloccata.

Invece di meno di 10 minuti per raggiungere Ramallah gli abitanti di Burqa devono fare una lunga deviazione attraverso villaggi adiacenti che richiede dai 30 ai 45 minuti. I costi connessi e la perdita di tempo hanno un impatto diretto sulla difficile situazione economica del villaggio. Anche se nel 2014 l’esercito ha detto al gruppo per i diritti umani B’Tselem che per quanto lo concerne l’uscita non era bloccata, blocchi di cemento e sassi sono piazzati là e non permettono il passaggio delle auto. I pedoni non si azzardano ad andarci. L’avamposto di Oz Zion, ripetutamente demolito e ricostruito, si trova nelle vicinanze della strada bloccata. 

Anche questo è un metodo usato dai coloni: bloccare strade e sentieri usati dagli abitanti dei villaggi palestinesi. L’esercito sta a guardare. Perciò i coloni hanno bloccato l’uscita diretta da Qaryut alla superstrada 60 o la strada dal villaggio di Sinjil ai propri terreni.

3. L’obiettivo comune condiviso dallo Stato e dai coloni assalitori resta quello di occupare i terreni dei palestinesi. Circa 1.000 dunam (100 ettari) di terreni di Burqa, in maggioranza agricoli, sono intrappolati dentro colonie che si sono iniziate a costruire nella zona negli anni ’80, o vicino a strade che portano a quelle colonie. Gli abitanti non hanno accesso alle proprie terre. La maggior parte delle terre rimanenti è nell’Area C (sotto completa autorità israeliana), una definizione degli accordi di Oslo che avrebbe dovuto essere temporanea, ma è diventata permanente. Israele impedisce al villaggio di costruire sulle proprie terre e di svilupparle come sembra opportuno.

Secondo una relazione del 2014 di Iyad Haddad, un ricercatore sul campo di B’Tselem [principale ong israeliana per i diritti umani, ndt.], sugli altri terreni la sistematica violenza da parte dei cittadini israeliani dal 2000 e la conseguente paura impediva agli abitanti di accedere a ulteriori 1.200 dunam. La stessa relazione fece notare che un quarto degli abitanti del villaggio aveva subito attacchi dai coloni. I più noti sono incendiare la moschea e prendere a pietrate i pastori e i raccoglitori di olive.

4. Persino le greggi di capre e le mandrie di bovini servono come arma contro i palestinesi. In tutta la Cisgiordania decine di avamposti di pastori mandano le loro greggi affamate nei villaggi, negli accampamenti di tende, nei campi e frutteti palestinesi per sabotarne i raccolti e impedire agli abitanti di coltivare le proprie terre. Oltretutto questa è una tattica usata per permettere a coloni israeliani armati, spesso scortati dall’esercito, di invadere comunità palestinesi e sconvolgere le loro vite.

Questa violenza organizzata e ben finanziata ha un altro obiettivo: creare provocazioni che portino a un’escalation militare. Dopo tutto i palestinesi non potranno contenere tanto a lungo gli attacchi crescenti contro di loro, commessi con il favore di polizia, esercito e pubblico ministero. Se i palestinesi cercano di difendersi o reagire, esercito e Shin Bet intraprendono delle azioni contro di loro.

Questo obiettivo è stato espresso da Elisha Yered, uno dei due sospetti dell’omicidio di Mi’tan. Yered, un abitante dell’avamposto di Ramat Migron, ha scritto un testo pubblicato il 5 luglio dal Jewish Voice: “Come cittadini cosa ci resta da fare? Non possiamo ridurre neppure per un momento le nostre richieste per una vasta e profonda operazione militare… in tutti i villaggi di Giudea e Samaria. L’obiettivo di tale operazione deve esse la vittoria riconosciuta dal nemico e non una serie di conflitti sanguinosi ogni due o tre mesi …

La recente mini operazione (a Jenin) è stata il risultato di proteste diffuse da parte degli abitanti di Giudea e Samaria [la Cisgiordania, ndt.], a cui più tardi si sono uniti parlamentari e figure pubbliche … noi scenderemo in piazza e protesteremo persino per eventi ‘minori’ come il lancio di pietre e gli attacchi con bombe incendiari e chiariremo agli apparati di sicurezza che non resteremo in silenzio se continua questa politica di contenimento.”

Tutti i rami del movimento dei coloni sono coordinati. Non sorprende quindi che al momento il capo del Comando Centrale, Yehuda Fuchs, sia nel mirino dei rappresentanti dei coloni nella Knesset, che lo accusano di essere debole e di permettere libertà di movimento ai palestinesi. L’opposto del “contenimento” è la guerra. A favore della guerra sono i sostenitori dell’espansionismo e delle annessioni, perché in guerra è più facile commettere crimini irreversibili su larga scala.

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)




Cosa accadrebbe nel caso in cui la CIG delegittimasse l’occupazione israeliana della Palestina?

Ramzy Baroud

10 gennaio 2023 – Middle East Monitor

Ancora una volta la Corte internazionale di giustizia (CIG) è in procinto di emettere un parere legale sulle conseguenze dell’occupazione israeliana della Palestina. Il 31 dicembre uno storico voto delle Nazioni Unite ha invitato la CIG a esaminare in termini giuridici l’occupazione, i diritti del popolo palestinese all’autodeterminazione e la responsabilità da parte di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite di porre fine alla prolungata occupazione israeliana. Un accento particolare sarà posto sulla “composizione demografica, carattere e status” della Gerusalemme occupata.

L’ultima volta venne chiesto alla CIG di fornire un parere giuridico sulla questione fu nel 2004. Tuttavia allora il parere era in gran parte incentrato sulle “conseguenze legali derivanti dalla costruzione del muro [dell’apartheid israeliano]”.

Sebbene sia vero che la CIG concluse che la totalità delle azioni israeliane nei Territori palestinesi occupati è illegale ai sensi del diritto internazionale – la Quarta Convenzione di Ginevra, le relative disposizioni dei precedenti Regolamenti dell’Aia e, naturalmente, numerose risoluzioni della Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – questa volta la corte esprimerà la sua opinione sul tentativo di Israele di rendere permanente quella che dovrebbe essere un’occupazione militare temporanea.

In altre parole, la CIG potrebbe – e molto probabilmente lo farà – delegittimare ogni singola azione intrapresa da Israele nella Palestina occupata dal 1967. Questa volta le conseguenze non saranno simboliche, come spesso accade nelle decisioni dell’ONU relative alla Palestina.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha fatto più di ogni altro leader israeliano per “normalizzare” l’occupazione della Palestina, si è comprensibilmente adirato dopo il voto delle Nazioni Unite. Lo ha descritto come “spregevole”.

I suoi partner di coalizione sono stati altrettanto intransigenti. “L’occupazione [israeliana] della Cisgiordania è permanente e Israele ha il diritto di annetterla”, ha detto il membro della Knesset Zvika Fogel il 1° gennaio in un’intervista sulla emittente israeliana Radio 103FM. Più di ogni altra cosa, le parole di Fogel riassumono la nuova realtà in Israele e Palestina. Sono finiti i giorni dell’ambiguità politica riguardo alle motivazioni ultime di Israele nei Territori palestinesi occupati.

In effetti Israele sta ora cercando di gestire una fase completamente nuova del suo progetto coloniale in Palestina, un’impresa iniziata propriamente nel 1947-48 e che, secondo i calcoli di Israele, sta per concludersi con la colonizzazione totale della Palestina. Questa è la versione israeliana di una “soluzione a uno Stato” basata su apartheid e discriminazione razziale.

Il partito di Fogel, Otzma Yehudit, è un membro importante della nuova coalizione di destra di Netanyahu. Le sue parole non riflettono semplicemente le sue opinioni personali o solo quelle del suo versante ideologico.

Il nuovo governo è pieno di estremisti del calibro, tra gli altri, di Bezalel Smotrich, Itamar Ben-Gvir e Yoav Galant – ed è ora impegnato in un’agenda contraria alla pace per una questione politica. Il 28 dicembre, subito dopo aver prestato giuramento, il nuovo governo ha annunciato che “avanzerà e realizzerà insediamenti in tutte le parti di Israele”. Non è stata fatta alcuna distinzione tra “Israele”, come riconosciuto dai Paesi di tutto il mondo, e i Territori palestinesi occupati. Nelle intenzioni della coalizione l’annessione è già avvenuta.

Ben-Gvir, il cui raid alla moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata ha suscitato molte critiche in tutto il mondo, sta inviando chiari messaggi ai palestinesi e alla comunità internazionale in generale: per quanto riguarda Israele, nessuna legge internazionale è rilevante, niente è sacro e nessun centimetro della Palestina è off limits.

Questa volta, però, non è come al solito. Sì, l’espansione territoriale di Israele a spese della Palestina occupata è stata il comune denominatore tra tutti i governi israeliani negli ultimi 75 anni, ma vari governi, comprese le prime presidenze di Netanyahu, hanno trovato modi indiretti per giustificare la costruzione di insediamenti coloniali illegali. Le cosiddette “espansioni naturali” e le “esigenze di sicurezza” erano solo due dei tanti pretesti forniti da Israele per giustificare la sua continua spinta all’acquisizione di terre con la forza.

In pratica, nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza l’inesauribile sostegno finanziario, militare e politico degli Stati Uniti. Inoltre i veti statunitensi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’incessante pressione sui membri dell’Assemblea generale dell’ONU hanno permesso a Israele di aggirare indenne il diritto internazionale. Esso è in grado di agire con totale impunità. Il risultato è la tragica realtà di oggi.

Secondo il sito web ufficiale delle Nazioni Unite attualmente ci sono quasi 700.000 coloni ebrei illegali che vivono in territorio palestinese occupato. La ONG israeliana Peace Now afferma che questi coloni ebrei vivono in 145 colonie illegali nella Cisgiordania occupata, oltre a 140 avamposti di insediamenti coloniali, illegali anche secondo la legge israeliana ma che probabilmente saranno ufficializzati dal nuovo governo.

La coalizione guidata da Netanyahu è stata costituita con il programma che in futuro gli avamposti saranno effettivamente legalizzati e quindi riceveranno finanziamenti governativi ufficiali. Ciò non dovrebbe rappresentare un grosso problema politico per Netanyahu che nel 2020 è riuscito a convincere la Knesset [parlamento, ndt.] israeliana sulla prospettiva dell’annessione di gran parte della Cisgiordania ed è ora determinato a portare avanti un processo di “annessione morbida”; annessione de facto che rischia di essere legalizzata in seguito come annessione de jure.

Né la piena colonizzazione della Palestina si rivelerebbe un problema giuridico. La legge israeliana sullo Stato-nazione del 2018 ha già fornito la copertura legale a Tel Aviv per violare il diritto internazionale e fare ciò che vuole in termini di colonizzazione di tutta la Palestina ed emarginazione dei legittimi diritti dei palestinesi. Secondo la nuova Legge Fondamentale di Israele, “Lo Stato di Israele è lo Stato-nazione del popolo ebraico in cui esso realizza il suo diritto naturale, culturale, religioso e storico all’autodeterminazione”. Proprio questo riferimento è stato citato nella dichiarazione del nuovo governo del 29 dicembre.

Non molti in Israele protestano contro tale situazione. In un recente articolo sul Palestine Chronicle lo storico israeliano Ilan Pappe ha spiegato come le attuali formazioni socio-politiche della società israeliana, oltre le tre correnti dominanti di destra ed estremiste impegnate nella Coalizione Netanyahu: ebrei ultraortodossi, ebrei religiosi nazionalisti ed ebrei laici del Likud, rendano quasi impossibile l’emergere di politiche alternative di rilevante consenso.

Ciò significa che il cambiamento in Israele non potrebbe mai venire dall’interno dello stesso Israele. Mentre i palestinesi continuano a resistere, i governi arabi e musulmani, e la comunità internazionale in generale, devono affrontare lo stato di occupazione, usando tutti i mezzi a loro disposizione per porre fine a questa farsa. L’opinione della CIG è molto importante ma senza un’azione significativa un’opinione legale da sola non capovolgerà la sinistra realtà dei fatti in Palestina, specialmente quando questa realtà è finanziata, appoggiata e sostenuta da Washington e dagli altri alleati occidentali di Israele.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Zona militare chiusa agli attivisti di sinistra

Editoriale di Haaretz

4 dicembre 2022 – Haaretz

Venerdì circa 300 persone si sono recate a Hebron per un tour organizzato da 30 organizzazioni per i diritti umani, tra cui Breaking the Silence [organizzazione di ex-soldati israeliani contrari all’occupazione, ndt.], l’Associazione per i diritti civili in Israele, Peace Now [organizzazione sionista di sinistra contraria all’occupazione, ndt.] e B’Tselem [principale ong israeliana per i diritti umani, ndt.], sulla scia di diversi recenti episodi di violenza contro palestinesi e attivisti di sinistra in città. Ma le persone che hanno cercato di protestare contro la violenza sia nei loro confronti e dei palestinesi hanno scoperto che l’esercito aveva dichiarato Hebron zona militare chiusa.

“Sulla base della nostra valutazione della situazione, abbiamo deciso di dichiarare una zona militare chiusa in diverse parti della città di Hebron per evitare attriti in quelle aree”, hanno detto le Forze di Difesa Israeliane [IDF, l’esercito israeliano, ndt.] “In linea con questo ordine, è stato vietato l’ingresso ai civili che non vivono in questa zona “.

La decisione dell’IDF di dichiarare Hebron zona militare chiusa al fine di impedire un tour delle organizzazioni per i diritti umani invia un messaggio politico inequivocabile: gli attivisti di sinistra sono da condannare per la violenza dei soldati contro di loro. Nel mondo capovolto dei territori occupati la fonte della violenza sono le persone che protestano contro di essa. La linea di fondo è che le IDF hanno soddisfatto la richiesta espressa sui cartelli tenuti dai contromanifestanti di Im Tirtzu [organizzazione israeliana di estrema destra, ndt.]: “Il popolo di Israele chiede che gli anarchici siano tenuti fuori da Hebron”. Hanno chiesto e ottenuto soddisfazione.

Le IDF hanno ricordato solo tardivamente che conviene prevenire “attriti” e “disturbi della quiete pubblica” limitando l’ingresso in città di non residenti. Dov’era questa idea responsabile due settimane fa, quando l’esercito ha fatto entrare a Hebron decine di migliaia di israeliani per la celebrazione annuale della porzione [parashah] di Hayei Sarah Torah [La parashah racconta le storie delle trattative di Abramo per assicurare un luogo di sepoltura alla moglie Sarah e la missione del suo servo per garantire una moglie a Isacco, figlio di Abramo e Sarah Isacco, ndt], israeliani che hanno provocato disordini, distrutto proprietà, lanciato pietre contro le case, picchiato e insultato sia abitanti palestinesi che membri delle forze di sicurezza e hanno persino ferito una soldatessa? Non solo l’esercito non ha impedito loro di entrare in città, ma ha ordinato agli abitanti palestinesi di Hebron di entrare nelle loro case e ha proibito le attività commerciali.

La scorsa settimana un soldato della Brigata Givati ha picchiato un partecipante a un tour dell’organizzazione Bnei Avraham, e un altro è stato filmato mentre diceva a un secondo membro del gruppo che “Ben-Gvir [politico di estrema destra e futuro ministro della Sicurezza Interna, ndt.] imporrà l’ordine qui” e a un terzo attivista, “ti spaccherò ala faccia”. Certo, il soldato che ha minacciato è stato mandato in cella per 10 giorni, ma poi la sua pena è stata ridotta a quattro giorni.

E a chi l’esercito ha vietato l’ingresso a Hebron? A un attivista palestinese che vive in città, Issa Amro, che ha filmato i soldati della Brigata Givati. Il giudice militare lo ha escluso dal suo stesso quartiere, Tel Rumeida, per sei giorni, dopo che un rappresentante della polizia lo ha definito un “istigatore” perché accompagna i tour degli attivisti israeliani a Hebron e ha affermato che questi “creano tensione”.

La decisione dell’IDF di escludere dalla città gli attivisti di sinistra è stata una decisione politica che mette soldati e coloni da una parte e persone di sinistra e palestinesi dall’altra. Dà slancio alla violenza contro i palestinesi e la sinistra. Se è così che si comporta l’esercito ancor prima che Benjamin Netanyahu abbia formato un governo con Itamar Ben-Gvir, l’indicazione è chiara: il peggio deve ancora venire.

L’articolo di cui sopra è l’editoriale principale di Haaretz, pubblicato sul giornale in Israele sia in ebraico che in inglese.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Ecco come la legge israeliana sulla proprietà degli assenti allontana i palestinesi dalle loro case

Mustafa Abu Sneineh

21 gennaio 2022 – Middle East Eye

La legge draconiana viene applicata solo nei confronti dei palestinesi e resta una politica costante in Israele da più di mezzo secolo, dicono alcuni giuristi a MEE

Con più di una decina di pagine e 39 articoli la legge sulla proprietà degli assenti è uno dei testi fondativi di Israele, che garantisce allo Stato il potere di confiscare e sequestrare ai palestinesi proprietà e beni che essi furono costretti ad abbandonare nel 1948.

La legge, che si applica solo ai palestinesi, è draconiana e nel corso degli anni è rimasta una politica costante di numerosi governi israeliani, dicono a Middle East Eye alcuni giuristi.

Questa settimana Israele ha usato la legge per giustificare lo sgombero della famiglia Salhiya e la demolizione della loro casa nel quartiere di Sheikh Jarrah nella Gerusalemme Est occupata.

La legge sulla proprietà degli assenti mette i palestinesi in una posizione di svantaggio fin dall’inizio, bollandoli come assenti anche se sono presenti nel Paese o hanno la cittadinanza israeliana.

La legge è stata emanata nel marzo 1950 dal governo del primo capo del governo israeliano, David Ben-Gurion.

I leader israeliani hanno dovuto occuparsi di vaste aree di terra e migliaia di proprietà in più di 500 città, svuotate della popolazione palestinese dalle milizie sioniste nel corso della Nakba (Catastrofe) del 1948 e della fondazione di Israele.

Si sono anche trovati a gestire beni – compresi contanti, azioni, mobili, libri, società, banche e altri beni mobili – lasciati da quasi 800.000 palestinesi fuggiti e finiti nei campi profughi in Giordania, Siria, Libano e Iraq.

Queste terre e proprietà si trovano nell’odierna Israele. I loro proprietari originari sono principalmente rifugiati, ma alcuni sono sfollati interni e ora vivono in Israele.

“Secondo la legge, un palestinese della Galilea [nord dell’attuale Israele, ndtr.] che è diventato un rifugiato in Siria, e un cittadino palestinese di Israele che nel 1948 ha lasciato la sua città a Tiberiade e si è rifugiato a Nazaret, sono entrambi [considerati] assenti”, dichiara a MEE Suhad Bishara, direttore legale del centro Adalah [centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele e organizzazione per i diritti umani, ndtr.]

Nessun palestinese aveva il diritto di rivendicare la restituzione della sua proprietà da Israele in quanto assente nel periodo tra il novembre 1947 e la data di entrata in vigore della legge.

“(Tecnicamente) il palestinese di Nazareth non è un assente, poiché ha continuato a vivere in quello che è diventato Israele nel 1948″, afferma Bishara, “ma la legge lo considera comunque un assente”.

Dopo la guerra del 1948, secondo i dati delle Nazioni Unite, i cittadini palestinesi di Israele erano 160.000, il 30% dei quali sfollati internamente. Oggi la popolazione palestinese in Israele è di 1.800.000 persone e rappresenta il 20% della popolazione del Paese. In Israele un palestinese su quattro ora vive non lontano dalle terre e dalle proprietà da cui la sua famiglia fu espulsa nel 1948.

Dal 1998 la comunità palestinese all’interno di Israele tiene annualmente una marcia rituale verso uno di quei villaggi per dimostrare ancora oggi la sua presenza nelle terre dei suoi antenati. Ciò nonostante, la legge sulla proprietà degli assenti nega tuttora il loro diritto di rivendicare queste terre.

Tenere sotto controllo i saccheggi’

Il tenore della legge si rivolgeva principalmente ai nuovi coloni israeliani per indurli a dichiarare al Custode delle proprietà degli assenti [funzionari nominati dal ministro delle finanze israeliano allo scopo di prendere in custodia la proprietà definita appartenuta ad assenti”, ndtr.] qualsiasi bene e proprietà palestinese da essi rilevata. In caso contrario, essi rischiavano una multa e, in alcuni casi, la reclusione.

Prima del 1950 Israele aveva diverse leggi di emergenza per gestire queste proprietà e beni. Ma in seguito all’adozione da parte delle Nazioni Unite della risoluzione 194 del dicembre 1948, che sanciva il diritto al ritorno dei palestinesi e chiedeva un risarcimento finanziario per la perdita o il danno delle proprietà, Israele dovette affrontare il compito di regolamentare il saccheggio su larga scala compiuto dai nuovi coloni.

Esisteva la necessità di organizzare il meccanismo di controllo di queste proprietà e beni”, riferisce a MEE Mohammad Zeidan, ex direttore dell’Associazione araba per i diritti umani. “Israele fece una promozione della legge sulla scena internazionale sostenendo che stava proteggendo queste proprietà e che aveva trovato un modo per tenere sotto controllo i saccheggi fino a quando la questione dei rifugiati non fosse stata risolta”.

Pertanto, il Ministero delle Finanze istituì un nuovo dipartimento, chiamato Custode delle proprietà degli assenti, per attuare tre leggi: la legge sulla proprietà degli assenti – 1950; la legge sulle proprietà in Germania – 1950; e la legge sulla proprietà degli assenti (compensazione) – 1973. I suoi ispettori hanno collaborato fino ai primi anni ’90 con il Jewish National Fund (JNF) [ente fondato nel 1901 a Basilea dall’organizzazione sionista mondiale allo scopo di comprare e coltivare terra nella Palestina ottomana per l’insediamento degli ebrei, ndtr.], con imprese immobiliari e organizzazioni di coloni.

Due volte rifugiati

Case e terre non sono gli unici beni confiscati da Israele. Anche numerose attività commerciali nelle città costiere di Giaffa e Haifa, dove i proprietari palestinesi divennero rifugiati e furono considerati assenti, sono cadute sotto l’autorità del Custode.

“Tutte le aziende palestinesi che si occupavano dell’esportazione di agrumi dopo l’allontanamento dei proprietari passarono sotto il controllo e la gestione di Israele. Queste società hanno continuato a operare e realizzare profitti per alcuni anni. L’azienda del tabacco di Haifa è un esempio”, afferma Zeidan.

La famiglia Salhiya, che è stata cacciata dalla sua casa a Gerusalemme Est alle 3 del mattino nella notte fredda e piovosa del 19 gennaio, è stata sfollata due volte. È originaria della frazione di Ein Karem a Gerusalemme Ovest, occupata dalle forze israeliane nel 1948.

Il comune israeliano di Gerusalemme ha affermato che i Salhiya non hanno alcun diritto sulla terra che un tempo apparteneva al Gran Mufti di Gerusalemme, Amin al-Husseini, e che Israele confiscò nel 1967, dopo la conquista della città, ai sensi della legge sulla proprietà degli assenti.

“La legge dà a chiunque sia un ebreo il diritto di rivendicare la proprietà, in linea di principio, indipendentemente dal fatto che possa provarne il possesso o meno. Ma un palestinese espulso dal suo villaggio nel 1948 sulla base della stessa legge non ha il diritto di rivendicare la sua proprietà”, dice Bishara.

Legge a favore dei coloni

Secondo un rapporto del 2020 dell’organizzazione israeliana per i diritti Peace Now, la legge è stata attuata in varie fasi al fine di espropriare le proprietà palestinesi a Gerusalemme est.

“Il meccanismo ha funzionato come segue: gli organismi legati ai coloni hanno reclutato delle persone che dichiarassero che i proprietari di alcune proprietà erano proprietari terrieri assenti”, afferma il rapporto. “Queste dichiarazioni giurate sono state trasmesse al Custode delle proprietà degli assenti che, senza ulteriori controlli, ha sancito che si trattava effettivamente di beni degli assenti. Successivamente i beni degli assenti sono stati trasferiti al JNF, che li ha ceduti ai coloni”.

Questo è ciò che è successo alla famiglia Salhiya, così come a molti altri nei quartieri di Silwan, Sheikh Jarrah, Batn al-Hawa e Wadi Hilweh a Gerusalemme est.

In alcuni casi sono state rilasciate dichiarazioni giurate per proprietà già abitate da palestinesi, afferma Peace Now. I proprietari hanno quindi dovuto combattere battaglie legali nei tribunali israeliani contro organizzazioni di coloni ben finanziate, come Elad, Ateret Cohanim e Nahalat Shimon, che rivendicavano la proprietà delle case a loro cedute dal JNF e dal Custode.

Ad Haifa, Jaffa e Acri, la società immobiliare statale Amidar ha l’incarico di sequestrare circa 4.500 proprietà i cui proprietari – principalmente cittadini palestinesi di Israele – sono considerati assenti. A Giaffa ci sono 1.200 di queste abitazioni, e nel 2021 il tentativo di prendere il controllo di una di esse ha provocato violenti scontri con la polizia israeliana e proteste.

Qualsiasi palestinese è un assente’

“La legge è pervasiva e considera ogni palestinese un assente per quanto riguarda le sue proprietà e i suoi beni”, dice Bishara. “Se qualcuno oggi si recasse in viaggio in Siria o in Libano, potrebbe essere considerato assente poiché nella legge quei Paesi sono denominati Stati nemici”.

Sebbene la legge individui un lasso di tempo tra il novembre 1947 e il marzo 1950 per poter considerare il proprietario di una casa o di un terreno un assente, le autorità israeliane non vi si sono attengono. Dal 1967 [anno della conquista israeliana di Gersualemme est, Cisgiordania, Gaza e Alture del Golan, ndtr.] la legge è stata applicata dal 1967 a Gerusalemme Est, in Cisgiordania e – prima del piano di disimpegno del 2005 – nella Striscia di Gaza.

Nel 2015 la corte suprema israeliana ha dato il via libera all’applicazione della legge sulla proprietà degli assenti, pronunciandosi contro i palestinesi che vivevano in Cisgiordania e a cui erano state sequestrate le proprietà a Gerusalemme est in quanto ritenuti assenti.

“Se sei ebreo e hai lasciato Israele non sarai mai un assente, non importa quanti anni hai trascorso all’estero”, spiega Zeidan. Se sei palestinese e hai cercato rifugio in un’altra città dello stesso Paese, sei un assente. Se sei ebreo hai il diritto di rivendicare la proprietà precedenti il 1948, come hanno fatto i coloni nella Città Vecchia di Hebron e a Gerusalemme Est, e non sarai mai considerato un assente; ma se sei un palestinese non ti è permesso rivendicare la terra o la casa [di proprietà] della tua famiglia prima del 1948, perché sei un assente”, aggiunge.

“Dipende dalla tua religione. È una vittoria garantita per un ebreo israeliano e una sconfitta garantita per un palestinese”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Il movimento del Monte del Tempio in rapida crescita sotto il nuovo governo israeliano

Baker Zoubi 

6 dicembre 2021 – +972 magazine

Sfidando un accordo politico pluridecennale le autorità israeliane stanno favorendo un incremento senza precedenti degli ebrei che pregano sul sacro sito a Gerusalemme.

Per gran parte del decennio scorso gli ebrei religiosi che si recano al Monte del Tempio/Haram al-Sharif [Spianata delle Moschee] nella Città Vecchia di Gerusalemme, considerato il luogo più sacro per l’ebraismo e uno dei più sacri per l’Islam, sono lentamente aumentati di numero violando un pluridecennale e fragile “status quo” riguardo al complesso. Però negli ultimi mesi, e in particolare dall’insediamento del governo Bennett-Lapid, il numero di ebrei che vi sono entrati sembra sia cresciuto enormemente.

Stando alle statistiche pubblicate da Yaraeh, un’organizzazione israeliana che promuove l’ingresso e la preghiera agli ebrei sul Monte del Tempio/Haram al-Sharif, negli ultimi tre mesi circa10.000 ebrei sono entrati nel complesso, un aumento del 35% rispetto agli anni precedenti.

Le cifre di Yaraeh mostrano anche che la percentuale di ebrei entrati nel complesso ad agosto era più alta dell’85% rispetto allo stesso mese del 2020 e del 137% maggiore che nell’agosto 2019. A luglio di quest’anno il numero di ebrei entrati nel complesso era maggiore del 76% rispetto allo stesso mese del 2020. Le statistiche di Yaraeh tengono conto sia delle visite al complesso che delle preghiere e delle lezioni di Torah sul luogo dove non erano mai state tenute prima e in violazione del cosiddetto status quo.

Il Monte del Tempio/Haram al-Sharif, dove sono situate la moschea di Al-Aqsa e la Cupola della roccia (Al-Sakhra), è uno dei posti più contesi in Israele-Palestina. Da quando Israele ha occupato Gerusalemme Est nel 1967 c’è un accordo fra Israele e la fondazione islamica Waqf, il custode religioso giordano del complesso, secondo cui solo ai musulmani è permesso di pregare sul complesso mentre gli ebrei possono pregare al Muro Occidentale (Muro del Pianto). 

Ciononostante negli ultimi mesi la polizia israeliana avrebbe allentato le restrizioni alla devozione ebraica presso il complesso, sono anche stati filmati dei fedeli ebrei mentre, sotto gli occhi della polizia, era loro permesso di pregare liberamente sul monte. La frequenza di tali episodi è cresciuta lentamente in anni recenti sotto il precedente governo Netanyahu, ma negli ultimi mesi è stato rilevato un marcato aumento.

Non sembra una coincidenza che esso si stia verificando sotto il nuovo governo Bennett-Lapid. Il primo ministro Naftali Bennett ha pubblicato a metà luglio una dichiarazione che sembrava affermasse il diritto degli ebrei alla “libertà di culto” sul monte, suscitando la severa condanna di leader musulmani e arabi.

A ottobre il giudice di pace di Gerusalemme ha ribaltato il divieto di avvicinarsi per 15 giorni al sito emesso dalla polizia nei confronti di Aryeh Lipo, un attivista di spicco del Movimento del Tempio dopo che era stato visto pregare lì. Lipo appartiene a un più vasto movimento religioso fondamentalista che cerca di incoraggiare e normalizzare la preghiera ebraica sul sito con la speranza che un giorno si ricostruisca un tempio ebraico.

Il giudice aveva deciso che, visto che la preghiera di Lipo si era svolta silenziosamente, essa non costituiva un rischio per la sicurezza, la tesi che la polizia cita per giustificare l’applicazione del divieto. In seguito, apparentemente su pressione diplomatica degli USA, in appello un altro giudice ha annullato la decisione del tribunale.

Dieci anni fa, persino cinque anni fa, cose simili non sarebbero successe,” dice Hagit Ofran, il direttore del gruppo di controllo sulle colonie di Peace Now [associazione israeliana contraria all’occupazione, ndtr.], a proposito del recente aumento dei visitatori ebrei. “Gli ebrei non potevano pregare (sul complesso). La polizia israeliana lo impediva, intervenendo e impedendo agli ebrei di pregare o svolgere cerimonie religiose durante la visita dei cortili della moschea di Al-Aqsa.”

Secondo Ofran è stato durante il mandato di Gilad Erdan [politico del partito di destra Likud, ndtr.], ministro della Pubblica Sicurezza fra il 2015 e il 2020 (ora Erdan è ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite), che la polizia israeliana ha cominciato a cooperare con gli ebrei che volevano salire sul Monte del Tempio/Haram al-Sharif. Ciò è continuato con Amir Ohana [anch’egli del Likud, ndtr.] che ha occupato la carica fra il 2020 e il 2021.

Il governo di Netanyahu ha contributo significativamente alla tensione e a tutti questi ingressi (nel complesso), a tal punto che per questa ragione Netanyahu non era più in contatto con il re di Giordania Abdullah II,” dice Ofran. “Tutto ciò sta continuando e le presenze sono in crescita, sebbene Omer Barlev [del partito Laburista, di centro, ndtr.], il ministro della Pubblica Sicurezza, abbia intenzioni diverse.” Barlev, che ha assunto la carica quest’estate, si è impegnato a continuare a cooperare con il Waqf giordano e a impedire agli ebrei di pregare sul Monte del Tempio/Haram al-Sharif.

Abbiamo visto molte volte negli ultimi 10 anni che a Gerusalemme le tensioni cominciano dopo queste visite,” continua Ofran. Lo scoppio della “Intifada dei coltelli” nel 2015, le gravi tensioni dopo l’installazione israeliana dei metal detector sul complesso nel 2017 e le violenze scoppiate in Israele-Palestina nel maggio scorso, tutto ciò è stato preceduto da un aumento delle visite degli ebrei al Monte del Tempio/Haram al-Sharif.

Io concordo con l’opinione che il Likud e il partito sionista religioso, in quanto parte dell’opposizione, stiano appoggiando (le preghiere degli ebrei sul monte) per mettere in imbarazzo il governo,” conclude Ofran. “Quando il Likud era al potere, sul posto c’erano dei controlli per prevenire tensioni durante certi periodi. Ora non hanno alcun problema riguardo all’escalation, al contrario.”

Il deputato Ahmad Tibi che guida la commissione interna su Al-Quds (Gerusalemme) della Lista Unita [coalizione di partiti arabo-israeliani di sinistra, ndtr.] conviene che l’attuale coalizione di governo stia permettendo agli ebrei l’accesso al complesso di Al-Aqsa in numero maggiore. “Ci sono più incursioni e soprattutto si conducono con discrezione le preghiere in presenza della polizia,” dice Tibi, aggiungendo che, mentre i partiti di destra nella coalizione stanno facilitando l’incremento [della presenza religiosa ebraica, ndtr.], “il centro sinistra tace e guarda dall’altra parte per evitare di far tremare la coalizione.”

A luglio Asaf Fried, il portavoce del gruppo di attivisti israeliani dell’amministrazione del Monte del Tempio, ha dichiarato all’emittente israeliana Channel 12 che gli ebrei hanno avuto accesso al monte per anni, ma che sono stati “oggetto di urla e umiliazioni.” Il senso era che “nessuno poteva fare niente là, che quando un ebreo arriva [sul monte] egli rappresenta un problema.” Ma, ha aggiunto Fried, c’è stata una “totale inversione di tendenza, l’ingresso al Monte del Tempio è migliorato, non ci sono barriere all’ingresso… non c’è il Waqf a seguirti, c’è molto più spazio per respirare sul Monte del Tempio.”

Sebbene alcuni gruppi di ebrei entrino nel complesso per la preghiera e il culto, “lo scopo di tutta questa attività è indubbiamente politico,” dice Aviv Tatarsky, un ricercatore presso Ir Amim, [Città di Persone, ndtr.] un gruppo di controllo e difesa con sede a Gerusalemme. “Lo scopo è di aumentare il numero di ebrei che entrano nel complesso di Al-Aqsa che già vede un incremento [di ebrei], per far pressione sul governo affinché cambi l’attuale situazione a loro favore. Lo Stato, come ogni Stato, è sensibile alla pressione sociale e popolare,” continua, e gli attivisti del Monte del Tempio stanno sfruttando questa dinamica.

Eppure per quanto notevole sia l’aumento dei numeri degli ebrei che accedono al complesso, quello che in realtà stanno facendo è altrettanto significativo. “Si sfida lo status quo,” dice Tatarsky. “Anche se Barlev dice che è contrario alla preghiera, la sua polizia non sta facendo nulla per fermarla.”

Tatarsky fa anche notare che, sebbene il Ministero dell’Educazione non sia obbligato a seguire un suggerimento della Commissione per l’Istruzione della Knesset del mese scorso di includere il Monte del Tempio/Haram al-Sharif nei viaggi obbligatori per gli studenti delle scuole israeliane, la proposta è “al vaglio.”

Azzam al-Khatib, il capo di Waqf di Gerusalemme, ha detto che la posizione della fondazione islamica sui recenti sviluppi è “molto chiara.”

Queste incursioni violano le condizioni religiose, legali e politiche esistenti dal 1967,” dice. “È inaccettabile e contrario alle norme internazionali profanare in tal modo le moschee [del complesso].” Al-Khatib concorda che la percentuale degli ingressi degli ebrei è cresciuta sotto il nuovo governo Bennett-Lapid e che le preghiere avvengono apertamente, con scarso o nessun intervento da parte della polizia anche quando il Waqf lo richiede. L’attuale situazione è “senza precedenti,” dice.

Per ora i fedeli ebrei continuano ad accedere al complesso mentre la tensione continua a salire.

Il 21 novembre, Fadi Mahmoud Abu Shkheidem, un abitante del campo profughi di Shu’afat a Gerusalemme e presunto affiliato ad Hamas, il gruppo islamista palestinese, ha aperto il fuoco presso uno degli ingressi della moschea Al-Aqsa nella Città Vecchia uccidendo un israeliano e ferendone gravemente altri tre. Lo sparatore è stato ucciso dalle forze di sicurezza israeliane.

L’episodio ha portato a ulteriori inasprimenti e controlli israeliani degli abitanti palestinesi della città, seguiti dalla richiesta di un aumento della sicurezza nella zona, oltre a una richiesta da parte del ministro delle Comunicazioni Yoaz Hendel [del partito di destra “Nuova Speranza”, una scissione del Likud, ndtr.] di riconsiderare l’installazione dei metal detector all’ingresso della moschea di Al-Aqsa. L’ultima volta che Israele ha tentato di farlo i palestinesi hanno condotto una campagna di disobbedienza di massa che ha costretto Israele a rimuoverli.

Baker Zoubi è un giornalista originario di Kufr Misr [cittadina arabo-israeliana, ndtr.] che attualmente vive a Nazareth [città arabo-israeliana, ndtr.]. Baker lavora nel giornalismo dal 2010, inizialmente come reporter per organi di stampa arabi locali e poi come direttore del sito web Bokra. Oggi collabora anche come ricercatore e redattore per programmi televisivi sui canali Makan e Musawa [canali televisivi israeliani in arabo, ndtr.]. Sulla sua pagina Facebook scrive e posta vari editoriali di politica e temi sociali relativi alla società palestinese. Recentemente ha anche cominciato a scrivere per Local Call. [edizione di +972 in ebraico, ndtr.]

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Un progetto edilizio a Gerusalemme fa traballare il governo israeliano

Danny Zaken

29 novembre 2021 Al-Monitor

Il governo di Naftali Bennett vorrebbe accantonare i piani per la costruzione del quartiere Atarot a Gerusalemme dall’altra parte della linea verde, ma si trova di fronte alla linea dura del comune di Gerusalemme che intende portare avanti il ​​piano a tutti i costi.

Il 24 novembre il comitato locale per la pianificazione urbanistica di Gerusalemme ha deciso di autorizzare un vecchio progetto per costruire il quartiere di Atarot a nord di Gerusalemme. Il nuovo quartiere residenziale sarebbe situato nel sito dell’aeroporto abbandonato di Atarot [aperto nel 1920 come primo aeroporto nel Mandato Britannico per la Palestina, è stato chiuso nel 2001 dopo la seconda intifada, ndtr.], con un’area di 1.243 dunam (307 acri), e sarebbe composto da 1.000 unità abitative, oltre a hotel, edifici pubblici, aree pubbliche aperte, aree industriali e zone commerciali. Il progetto prevede anche la creazione di una zona industriale e commerciale adiacente alla strada 45 e il mantenimento dello storico terminal che ancora sorge nell’area dell’aeroporto Atarot.

Questo progetto è stato formulato anni fa, ma ogni volta che è stato portato al voto, il voto è stato rinviato a causa dell’opposizione americana. Il motivo dell’opposizione è che si tratta di un territorio situato dall’altra parte della Linea Verde, in un’area tra Gerusalemme e i villaggi palestinesi.

L’ultima volta che il progetto è stato portato ai voti l’allora primo ministro Benjamin Netanyahu ne ha impedito la discussione su esplicita richiesta dell’amministrazione Trump. Nell'”accordo del secolo” formulato dall’ex presidente Donald Trump e da suo genero/consigliere della Casa Bianca Jared Kushner, quest’area era in effetti destinata a una zona turistica palestinese.

La città di Gerusalemme soffre di una grave carenza di alloggi, per tutti i gruppi della popolazione, in particolare gli ebrei ultra-ortodossi e gli arabi; l’area di Atarot a nord è considerata una delle riserve di terra che potrebbero essere utilizzate per risolvere questo problema. Il luogo era il sito di un villaggio ebraico fondato nel 1919. Fu distrutto durante la Guerra d’indipendenza del 1948 e conquistato dalle forze giordane e palestinesi della regione. Nella Guerra dei Sei Giorni fu riconquistato e inglobato nel territorio comunale di Gerusalemme. In una parte è stata realizzata un’area industriale, fonte di occupazione per molti palestinesi dell’area di Ramallah, e in un’altra parte è previsto il nuovo quartiere.

Ofer Berkovitz, un membro del consiglio comunale di Gerusalemme che ha spinto per molti anni per la costruzione di Atarot, ha risposto che si tratta di un’autorizzazione storica per l’edilizia a Gerusalemme. “C’era un grande pessimismo all’inizio del percorso, [con l’idea] che non saremmo stati in grado di realizzare il quartiere, ma ora è arrivato il giorno. Siamo molto orgogliosi. È una mossa fondamentale per i giovani, per abbassare i prezzi delle case, per preservare il polmone verde della città. Continuerò a lavorare affinché la commissione regionale autorizzi il piano e non ceda a imposizioni esterne”, ha detto Berkovitz.

Dall’altra parte il movimento anti-occupazione Peace Now ha condannato l’autorizzazione sostenendo: “Il ministro per le abitazioni ha sganciato una bomba diplomatica, senza alcun dibattito pubblico o anche solo nel governo. Questo è un piano che sabota la possibilità di pace sulla base di due nazioni per due popoli. Il quartiere progettato è al centro della continuità urbana palestinese tra Ramallah e Gerusalemme est, e quindi impedisce la possibilità di uno Stato palestinese con Gerusalemme est come capitale. Il piano non è un disegno del fato e non è stato “ereditato” dai precedenti governi. Può ancora essere fermato e non essere autorizzato dalla commissione regionale tra una settimana e mezza. Se il piano non viene rimosso dall’agenda questo duro colpo alla pace sarebbe una vergogna per Meretz, Yesh Atid e Labour che sono membri della coalizione [di governo, ndt].

Dopo l’autorizzazione del progetto da parte del comitato locale, questo deve essere autorizzato dal comitato di pianificazione regionale. Ma secondo le informazioni riportate dalla stampa israeliana il giorno dopo l’approvazione del comitato locale, Israele ha inviato messaggi all’amministrazione Biden che il governo non farà avanzare la costruzione del nuovo quartiere di Atarot. Secondo quanto riferito, a seguito delle pressioni di Washington, Israele ha chiarito che mentre il governo non ha alcun controllo sul comitato locale nella città di Gerusalemme, il piano non avrebbe ricevuto la luce verde dal comitato regionale, che è sotto il controllo del governo.

Le notizie affermano inoltre che durante il precedente governo Netanyahu ha cercato di far avanzare la costruzione del quartiere di Atarot, ma è stato bloccato dall’amministrazione Trump. Il premier israeliano si è quindi offerto di costruire in quell’area 4.000 unità abitative per i palestinesi e 4.000 per gli israeliani, ma l’amministrazione Trump ha respinto il piano poiché quest’area era definita come parte di un futuro Stato palestinese secondo il piano di Trump.

Tuttavia, dopo aver verificato, Al-Monitor ha scoperto che, in contraddizione con queste notizie, l’argomento non è stato finora rimosso dall’ordine del giorno del comitato di pianificazione regionale e sarebbe posto in discussione al prossimo incontro, tra una settimana. Infatti, il vicesindaco Aryeh King ha detto ad Al-Monitor che l’argomento sarà sollevato come previsto e che i rappresentanti comunali si assicureranno che non rimanga bloccato nel comitato.

King ha anche osservato che in questo governo operano, tra gli altri, il ministro Gideon Saar, che in passato ha autorizzato costruzioni a Gerusalemme est, nonché altri ministri che sostengono le costruzioni nella città, tra cui il ministro degli interni Ayelet Shaked e il ministro dell’edilizia abitativa Ze’ ev Elkin. Ritiene che le notizie sul messaggio all’amministrazione americana abbiano lo scopo di calmare la parte di sinistra del governo e che in realtà il piano sarà autorizzato e attuato.

Secondo una fonte diplomatica israeliana che parla a condizione di anonimato l’amministrazione americana si è chiesta perché l’attuale governo non possa riprodurre la mossa che Netanyahu, e il governo di destra da lui guidato, hanno preso per bloccare il progetto su richiesta di Washington. La risposta data agli americani includeva una spiegazione che il comitato locale è controllato da partiti politici ultra-ortodossi nel comune e guidato da Eliezer Rauchberger, un membro del partito ultra-ortodosso Yahadut HaTorah. Secondo questa spiegazione i partiti ultraortodossi facevano parte del governo di Netanyahu e quindi gli hanno obbedito, mentre ora sono all’opposizione e lavorano per ostacolare il governo Bennett-Lapid.

Come accennato, il progetto è all’ordine del giorno del comitato regionale, che è controllato dal ministero delle Finanze e dal ministero dell’Interno. A capo di questi due ministeri ci sono i ministri di destra Avigdor Liberman e Shaked, che troverebbero molto difficile gestire le conseguenze politiche di uno stop al progetto per la costruzione del quartiere di Atarot.

D’altro canto la sinistra del governo è adirata e l’amministrazione americana sta facendo pressioni sul governo. Tra una settimana sapremo come deciderà il primo ministro Bennett su questo tema che minaccia la stabilità della coalizione.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Israele approva 1.300 nuove unità abitative

 

Yumna Patel

26 ottobre 2021 – Mondoweiss

Israele approva 1.300 nuove unità abitative. Altri progetti in arrivo

Domenica Israele ha approvato progetti per 1.300 nuove unità di insediamento abitativo nella Cisgiordania occupata. Verso la fine di questa settimana l’Alto Comitato Israeliano di Pianificazione dovrebbe incontrarsi per portare avanti i progetti di altri 2.862 alloggi.

Israele ha approvato piani per 1.300 nuove unità abitative nelle colonie della Cisgiordania occupata, la prima mossa del genere da quando il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è entrato in carica.

Il Ministero israeliano per l’Edilizia e gli Alloggi ha annunciato domenica che, in violazione al diritto internazionale, sono state pubblicate gare d’appalto per 1.355 nuove case nelle colonie in Cisgiordania.

L’annuncio di domenica rappresenta l’ultimo passaggio dell’iter prima che inizi effettivamente la costruzione delle abitazioni.

Secondo quanto ha riferito Haaretz, i piani regolatori hanno approvato 729 unità nella grande colonia di Ariel (distretto di Salfit), 324 a Beit El (Ramallah), 102 a Elkana (Salfit), e altre a Geva Binyamin (Ramallah), Immanuel, Karnei Shomron e Beitar Illit (Betlemme).

“Accolgo con entusiasmo la promozione di più di 1.000 unità abitative. Continuerò a potenziare (in Cisgiordania) l’insediamento ebraico”, ha detto dei progetti Zeev Elkin [del partito di destra Nuova Speranza, ndtr.], Ministro per l’Edilizia e gli Alloggi.

Secondo Haaretz, il ministero ha annunciato anche progetti per “raddoppiare la popolazione ebraica nella Valle del Giordano entro il 2026”, impegnandosi a promuovere 1.500 nuove unità abitative nell’area.

Sotto la guida dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, Israele ha compiuto grandi passi nel tentativo di annettere illegalmente la Valle del Giordano, nonostante un’estesa riprovazione da parte della comunità internazionale.

L’annuncio ha suscitato immediata condanna da parte dei leader arabi palestinesi e della regione, che hanno invitato i loro interlocutori internazionali, in particolare gli Stati Uniti, a fare pressione su Israele affinché fermi i piani.

Tuttavia alla vigilia dell’annuncio gli Stati Uniti non hanno condannato esplicitamente l’espansione delle colonie, e il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price venerdì ha affermato che gli Stati Uniti sono “preoccupati” per i progetti e ha invitato sia la parte israeliana che quella palestinese ad “astenersi da passi unilaterali che esacerbino la tensione e minino i tentativi di far avanzare la soluzione negoziata dei due Stati”.

L’inviato delle Nazioni Unite per il Processo di Pace in Medio Oriente, Tor Wennesland, ha affermato in una dichiarazione di essere “profondamente preoccupato” per l’approvazione degli appalti e per la continua espansione delle colonie israeliane nei territori palestinesi occupati.

“Ribadisco che tutti gli insediamenti sono illegali secondo il diritto internazionale, rappresentano un ostacolo sostanziale alla pace e devono cessare immediatamente”, ha affermato Wennesland.

L’annuncio di domenica di portare avanti i progetti è arrivato sulla scia della decisione di Israele di etichettare sei organizzazioni della società civile palestinese come “istituzioni terroristiche”, una mossa che ha suscitato una rapida e diffusa condanna da parte di gruppi e leader per i diritti umani locali e internazionali.

Secondo Haaretz, la decisione di portare avanti i 1.300 progetti, insieme all’attacco alle organizzazioni della società civile, sta causando tensioni all’interno della coalizione di governo israeliana, guidata dal primo ministro di destra [estrema, ndtr.] Naftali Bennet.

Secondo quanto è stato riferito, i partiti di sinistra israeliani hanno espresso il loro disaccordo nei confronti di questa iniziativa, chiedendo che Bennet “freni” l’espansione delle colonie e e la possibile legalizzazione e riedificazione dell’avamposto di Evyatar a Beita, una mossa che i deputati di destra tuttora sostengono, afferma Haaretz.

In progetto ulteriori unità abitative nelle colonie

I capi della coalizione dovrebbero incontrarsi alla fine di questa settimana per “appianare” le differenze, mentre mercoledì è prevista un’altra riunione, durante la quale potrebbero essere approvate altre 2.862 unità abitative nelle colonie da costruirsi in Cisgiordania.

L’osservatorio di controllo degli insediamenti Peace Now ha dichiarato in un rapporto che questo mercoledì, 27 luglio 2021, l’Alto Consiglio di Pianificazione dell’Amministrazione Civile (HPC) si riunirà per discutere l’approvazione di 30 progetti per 2.862 unità nelle colonie.

Lo scorso agosto il ministro della Difesa Benny Gantz ha approvato la convocazione dell’HPC per discutere i progetti in questione anche se, a causa di uno sciopero dichiarato dai lavoratori dell’Amministrazione Civile [ente militare che gestisce i territori occupati, ndtr.], la discussione dei progetti è stata rimandata.

All’epoca i progetti ammontavano a 1.956 unità sparse nelle colonie della Cisgiordania. Questa volta, sono state aggiunte più di 1.000 nuove unità in progetto, per un totale di 2.862.

I piani da discutere mercoledì sono diversi rispetto a quelli delle 1.300 unità approvate domenica.

Secondo Peace Now, tra i progetti in discussione mercoledì c’è la legalizzazione retroattiva di due avamposti di coloni costruiti illegalmente senza alcun permesso ufficiale da parte del governo israeliano.

Tra gli avamposti da legalizzare ci sono i progetti per “Michmach East”, situato vicino al territorio di Khan al-Ahmar, il villaggio beduino palestinese che Israele ha ripetutamente tentato di demolire completamente, sostenendo che sia “illegale”.

Oltre ai progetti di 2.862 unità di insediamento, con un’iniziativa inedita l’HPC discuterà progetti per 1.303 unità abitative per i palestinesi dell’Area C – più del 60% della Cisgiordania, dove Israele ha vietato qualsiasi costruzione palestinese (pur consentendo la costruzione di colonie).

Peace Now ha tuttavia notato che la maggior parte delle unità palestinesi che sono all’ordine del giorno per l’approvazione sono già state costruite e stanno cercando di essere legalizzate, il che significa che i progetti vedranno di fatto la costruzione di pochissime nuove case per i palestinesi.

“È importante sottolineare che quasi tutti i progetti dell’HPC sono sul tavolo da molti anni e sono in attesa di approvazione, insieme a molti altri progetti per i palestinesi”, ha affermato Peace Now, aggiungendo che anche se i progetti verranno approvati, si tratterà di “una goccia nell’oceano rispetto ai reali bisogni di sviluppo dei palestinesi”.

“Va notato che anche le domande di permesso per i palestinesi nell’ambito dei progetti esistenti (di solito secondo i vecchi piani britannici) approvati sono quasi sempre respinte”, ha affermato l’associazione.

 

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Sono cresciuto guardando i coloni attaccare il mio villaggio palestinese. Adesso stanno diventando sempre più sfrontati. Ho paura.

Basil Al-Adraa

17 agosto 2021- Haaretz

Gli attacchi dei coloni contro le comunità palestinesi stanno diventando più gravi e coordinati e ora si usano anche le armi. Ecco come riescono a farla franca

Nel 2005, il giorno del mio decimo compleanno, ho visto per la prima volta i coloni attaccare la mia famiglia. Ricordo che papà stava arando la terra di famiglia nelle colline a sud di Hebron mentre poco lontano io e la mamma lo guardavamo. Ricordo di averle preso la mano quando un gruppo di uomini mascherati provenienti dal vicino avamposto di coloni israeliani correva verso di noi lanciando pietre contro mio padre. Lui cominciò a filmare gli aggressori mentre io cercavo di raggiungerlo, ma la mamma mi fermò.

“Non muoverti,” mi disse e notai che era terrorizzata. 

Adesso ho 25 anni. Sono cresciuto con questi attacchi la cui frequenza è aumentata e che sono diventati una parte centrale della mia vita, specialmente da quando la situazione è peggiorata in questi ultimi mesi. Vivo a Twani, un piccolo villaggio palestinese sulle colline meridionali della Cisgiordania e, come i miei genitori, sono un attivista che crede nella resistenza non violenta all’occupazione. Una macchina fotografica e un taccuino sono tutto quello che ho a mia disposizione.

Negli ultimi due mesi, dopo la più recente guerra contro Gaza, gli attacchi dei coloni sono diventati più gravi e coordinati ed essi hanno cominciato a usare le armi.

Recentemente ho collaborato a un’inchiesta giornalistica che ha rivelato che a maggio, in un solo giorno, mentre i caccia israeliani sganciavano bombe su Gaza, in quattro zone diverse della Cisgiordania sono stati ammazzati almeno quattro palestinesi dopo che coloni armati avevano assaltato contemporaneamente i loro villaggi, con i soldati israeliani che assistevano o partecipavano agli attacchi.

L’uso massiccio di armi durante attacchi premeditati dei coloni è un fenomeno nuovo e pericoloso. Il mio villaggio, Twani, è stato preso di mira. Ogni sabato durante gli ultimi due mesi, coloni dall’avamposto di Havat Ma’on hanno attaccato violentemente le nostre case. Sono riuscito a filmarne quattro.

In uno dei miei video si vede un gruppo di coloni mascherati invadere i terreni del nostro villaggio, impugnando bastoni di legno e fionde. Cominciano a bruciare i nostri campi e a lanciare pietre contro di noi mentre i soldati israeliani accanto a loro non fanno nulla.

Sono accorso con altri abitanti e abbiamo cercato di bloccarli, ma l’esercito israeliano ci ha respinti con granate stordenti. A questo punto uno dei coloni ha sparato parecchie volte con la pistola verso di noi. Il video in cui ho ripreso la sparatoria è mosso perché mi tremavano le mani dalla paura. Quando mi sono girato, ho scoperto che per fortuna nessuno dei miei amici era stato colpito. I soldati hanno assistito a tutto ciò senza far nulla.

Gli attacchi dei coloni israeliani non sono casuali né riflettono una qualche tendenza a esplosioni di violenza. Fanno quello che fanno per creare degli incidenti. Loro vogliono la nostra terra.

Durante gli ultimi due mesi i coloni hanno fondato tre nuove fattorie vicino a casa mia. Hanno ricevuto dall’esercito israeliano oltre 4.000 dunam (circa 400 ettari), una vasta area di terra che era stata espropriata ai palestinesi nel 1980 e dichiarata “terra statale”. Intere comunità palestinesi usano ogni giorno queste terre per scopi agricoli e per allevare pecore e la violenza inflitta contro di loro è uno strumento centrale per dissuaderli dal continuare a farlo. La terra era stata rubata ai palestinesi legalmente, dallo Stato: questa è violenza “legale”. La violenza illegale dei coloni non fa che completare questo processo.

Capire l’intreccio fra gli attacchi dei coloni, e le leggi razziste che le completano, è importante. Quattro meccanismi e pratiche legali del regime militare meritano un’attenzione speciale.

Secondo Peace Now [Ong israeliana contraria all’occupazione, ndtr.], per prima cosa lo Stato espropria terre palestinesi dichiarandole ‘terre statali’ usando una legge molto discriminatoria e poi assegnando il 99,76% di questi terreni solo ai coloni.

Secondo, le IDF [Forze di Difesa Israeliane, l’esercito israeliano, ndtr.] fingono di non vedere gli avamposti che vengono costruiti illegalmente su queste cosiddette “terre statali ” e permettono loro di collegarsi alla rete elettrica e idraulica.

Terzo, le IDF impediscono di collegarsi ad acqua ed elettricità alla maggior parte delle comunità palestinesi nella mia zona sotto diretto controllo militare in una zona definita dagli Accordi di Oslo “Area C” e respingono il 98% delle nostre richieste di permessi edilizi.

Quarto, in questo contesto di spossessamento, quando ci sono violenze da parte dei coloni la polizia non indaga attivamente e solo raramente arresta i colpevoli israeliani. Le ricerche di Yesh Din, un’associazione contraria all’occupazione, indicano che, fra il 2005 e il 2014, in Cisgiordania, il 91% delle denunce presentate dai palestinesi alla polizia israeliana sui reati politici commessi da israeliani si sono conclusi senza un rinvio a giudizio.

Nel 2019 mi sono personalmente trovato a fronteggiare le conseguenze di omissioni sistematiche della polizia. Era una giornata di sole e ho ricevuto una telefonata da un vicino che con voce tremante mi ha detto che un gruppo di coloni stava tirando pietre contro di lui e la sua famiglia.

Con la macchina fotografica in mano sono corso verso il campo da dove mi avevano telefonato e ho visto sei coloni e un cane. Quando ho cominciato a filmarli, uno di loro mi ha aizzato contro il cane che mi ha morso la mano. Ho sentito un dolore intenso e ho notato che stavo sanguinando.

Quando i soldati sono arrivati si sono rifiutati di chiamare un’ambulanza. Sono rimasto a terra sanguinante per circa 40 minuti. Finalmente è arrivata un’ambulanza palestinese e mi ha portato all’ospedale.

Due giorni dopo essere stato dimesso, sono andato direttamente a una stazione di polizia israeliana in una colonia nelle vicinanze. Non mi è facile entrare in una colonia, ma l’ingiustizia che avevo subito era così dolorosa che dovevo andarci. Come palestinese che vive sotto l’occupazione militare straniera questo è l’unico modo per chiedere giustizia.

Fortunatamente avevo ripreso tutta la scena. Nel mio video la faccia del colono si poteva vedere con chiarezza. Eppure il poliziotto che stava raccogliendo la mia deposizione ha rivoltato tutto contro di me. Mi ha chiesto: “Cosa stava facendo là? Perché non è scappato? Perché stava filmando? Perché porta altri attivisti a filmare e a causare problemi?”

Alla fine, dopo una giornata lunga e snervante, sono riuscito a presentare la mia denuncia. Non sorprende che nessuno sia mai stato arrestato. Recentemente lo stesso colono ha aizzato il cane contro altre due persone del mio villaggio.

L’impunità dei coloni che ho osservato personalmente e la ricerca di Yesh Din sono il contesto che ha permesso ai colpevoli di cominciare a usare le armi negli ultimi due mesi. Ho molta paura per la mia comunità che è completamente indifesa e deve lottare da sola contro forze e individui armati. I coloni possono fare quello che vogliono perché non c’è nessuno a fermarli e nessuno a ritenerli responsabili. Il risultato diretto è che i membri della mia comunità stanno soffrendo e perdono i propri mezzi di sussistenza. Alcuni sono stati uccisi e molte altre vite sono in pericolo fino a quando questa situazione non sarà presa sul serio. Quando si sveglierà il mondo?

Basil Al-Adraa è un attivista dei diritti umani e un giornalista.

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)




Ex-procuratore generale scopre che un’associazione di coloni si è impossessata della casa della sua famiglia a Sheikh Jarrah

Nir Hasson

15 giugno 2021 – Haaretz

Michael Ben-Yair è rimasto piuttosto sorpreso quando ha scoperto che un’associazione no profit religiosa ha imposto ai palestinesi che vivono nella casa di sua nonna a Gerusalemme est un affitto di centinaia di migliaia di shekel con l’approvazione di un tribunale rabbinico. L’iter giudiziario per rivendicare la casa rivela il modus operandi dei coloni nella loro spinta per “ebraizzare” Sheikh Jarrah.

Un’associazione no profit dei coloni si è impossessata di un edificio nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est di proprietà della famiglia di Michael Ben-Yair, un ex- procuratore generale e giudice distrettuale in pensione. L’associazione ha gestito l’edificio per anni, riscuotendo l’affitto per un totale di centinaia di migliaia di shekel da abitanti palestinesi, senza che i legittimi eredi della prima proprietaria dell’immobile lo sapessero.

Due anni fa Ben-Yair ha scoperto che la casa di sua nonna era stata presa in consegna dall’organizzazione. Nessuno, dall’Amministratore Generale del ministero della Giustizia alla Divisione dell’Amministratore Giudiziario, dai tribunali rabbinici all’associazione di coloni, ha cercato di trovare i legittimi eredi. Da allora sta conducendo una battaglia giudiziaria per togliere l’edificio ai coloni e consentire ai palestinesi che vi risiedono di rimanervi. Nell’iter giudiziario Ben-Yair ha scoperto i metodi contorti e giuridicamente dubbi dei coloni per “ebraizzare” Sheikh Jarrah.

Ci avrebbero potuto trovare facilmente”

Alla fine del XIX secolo Nahalat Shimon era un piccolo quartiere nella parte occidentale di Sheikh Jarrah. Michael Ben-Yair, ex- procuratore generale durante i governi di Yitzhak Rabin e di Shimon Peres, vi è nato nel 1942. Nel 1948 gli abitanti fuggirono dopo che il quartiere fu conquistato dalla Legione Araba giordana. Come la maggior parte degli abitanti ebrei che scapparono da Gerusalemme est verso la parte occidentale della città, la famiglia venne indennizzata per la perdita della propria casa e ricevette un’altra abitazione e un negozio nel quartiere di Romema.

Negli anni ’90 le organizzazioni dei coloni iniziarono a fare pressione per sostituire gli abitanti arabi di Sheikh Jarrah con ebrei in base a una legge che consente agli ebrei di rivendicare le proprietà che possedevano nel 1948, benché fossero stati indennizzati per quello che avevano perso. Nahalat Shimon era stato diviso in una parte orientale chiamata Karm al-Jaouni, in cui la terra era di proprietà dei consigli delle comunità di ebrei askenaziti [originari dell’Europa centro-orientale, ndtr.] e mizrahi [originari dei Paesi arabi e musulmani, ndtr.]. La terra nella parte occidentale, chiamata Umm Haroun, dove viveva la famiglia di Ben-Yair, era proprietà privata di famiglie ebree.

I terreni nella parte orientale vennero in seguito acquisiti da un’associazione no profit chiamata Nahalat Shimon, che è controllata da un’impresa straniera e gestita da un colono militante di nome Yitzhak Mamo. Nella parte occidentale Mamo e alcune associazioni di coloni avevano bisogno della collaborazione di famiglie ebree che avessero ereditato le proprietà. In qualche caso ricevettero questa cooperazione e acquistarono gli immobili, cacciando le famiglie palestinesi che vi abitavano. Nel caso della famiglia Ben-Yair utilizzarono un metodo diverso.

La casa e un negozio annesso sono elencati in un “documento fiduciario”, un tipo di testamento stilato dalla nonna di Ben-Yair, Sarah Jannah, figlia di Menashe Shvili. Nel 1927 dichiarò davanti a un tribunale rabbinico di Gerusalemme che la casa e il negozio sarebbero passati ai suoi eredi e poi agli eredi degli eredi. Aggiunse che se, dio ne guardi, nessun membro della famiglia fosse rimasto in vita dopo gli eredi originari, la proprietà sarebbe passata alla sinagoga georgiana del quartiere. Ciò era frequente in quei giorni nel caso di famiglie senza discendenti ancora in vita.

In base a quest’ultima frase, nel 2002 un’associazione no profit di destra chiamata Meyashvei Zion [Coloni di Sion], gestita da Mamo, fece ricorso a un tribunale rabbinico, chiedendo che Mamo e un’altra persona, di nome Oren Sheffer, venissero incaricati dal tribunale di determinare di chi fosse la proprietà. Il tribunale accolse la loro richiesta. Poco dopo i due informarono il tribunale che non avevano trovato eredi e il tribunale li nominò rapidamente amministratori fiduciari di quell’edificio senza nessun significativo tentativo da parte del tribunale di individuare gli eredi.

La decisione si basava sul presupposto che non si potesse trovare nessun erede, benché Sarah Jannah risultasse all’anagrafe, dato che morì nel 1955, dopo la fondazione dello Stato. Chiunque lo avesse voluto avrebbe potuto facilmente trovare i suoi eredi con una semplice ricerca presso il ministero dell’Interno. “I numeri dell’identità di tutta la famiglia sono consecutivi,” dice Ben-Yair. “Quello di mio fratello termina con 03, il mio con 04, il numero dei miei nonni finiva rispettivamente con 05 e 06.

Nel 2004 l’Amministrazione Generale e l’Amministratore Giudiziario, che avevano gestito la proprietà fin dal 1967, presentarono ricorso contro la nomina dei nuovi amministratori fiduciari, affermando che si sarebbe dovuto cercare di individuare membri in vita della famiglia, ma il tribunale rigettò questa richiesta. Un anno dopo il liquidatore consegnò l’edificio a Mamo e Sheffer, rimborsando persino all’ong 250.000 shekel (circa 63.000 euro) per gli affitti che lo Stato aveva riscosso dagli abitanti palestinesi fino a quel momento. Nei successivi nove anni l’associazione riscosse 600.000 shekel [circa 150.000 euro] di proventi ricavati dalla proprietà.

Nel 2011 un’altra associazione no profit, il consiglio della comunità georgiana, riuscì a impossessarsi della proprietà con l’appoggio di un tribunale rabbinico. Neppure questa organizzazione si mise alla ricerca dei veri eredi. Verbali delle udienze del tribunale rabbinico nel 2016 mostrano che il consiglio georgiano sapeva che la proprietà aveva eredi legittimi che non ne stavano beneficiando. Il consiglio sapeva persino i loro nomi. “Mi dissero che era di un certo professor Yair qualcosa… del prof. Michael Yair; stiamo cercando di trovarlo,” disse il fiduciario georgiano David Bandar in una delle udienze.

Mancanza della minima decenza”

Quando un decennio fa Sheikh Jarrah iniziò a diventare famoso in seguito all’espulsione di famiglie palestinesi dalle proprie case, Ben-Yair si unì alle manifestazioni organizzate da un movimento di solidarietà contro i coloni ebrei. Stilò persino un pamphlet in cui affermava che le famiglie ebree che avevano lasciato le proprie abitazioni lì avevano ricevuto indennizzi, rendendo illegale e immorale la loro richiesta di recuperare le loro vecchie case.

Due anni fa Ben-Yair ha scoperto che i coloni avevano iniziato a cacciare palestinesi da un negozio che pensava facesse parte della casa di sua nonna. Di conseguenza presentò un ricorso all’amministratore giudiziario, il procuratore Sigal Yacobi, che è anche il direttore generale ad interim del ministero di Giustizia. “All’epoca pensavo che la proprietà fosse ancora registrata a nome di mia nonna e avevo ipotizzato che fosse occupata da rifugiati palestinesi, che vi vivevano indisturbati. Dato che avevamo ricevuto un indennizzo nel 1948 non mi sono preoccupato di controllare l’attuale proprietà nell’ufficio del catasto,” dice.

Ben-Yair afferma che, quando ha incontrato la curatrice fallimentare, costei ha fatto un controllo ed ha scoperto che la proprietà era stata considerata senza proprietari.

Le ho detto che noi siamo gli eredi, quindi ha chiesto di vedere il documento fiduciario ed è rimasta sbalordita. Ha visto che si trattava di un bene fiduciario privato e non pubblico,” racconta. Durante l’incontro i membri della famiglia hanno appreso per la prima volta la volontà della nonna. Ben-Yair e sua sorella, Na’ama Bartal, in seguito hanno chiesto al tribunale di verificare il documento fiduciario. Il tribunale ha rigettato la richiesta, affermando che non sono in possesso della documentazione sufficiente a dimostrare il rapporto della loro famiglia con la loro nonna.

Ben-Yair ha presentato appello contro la decisione alla pretura di Tel Aviv, chiedendo che al ministero dell’Interno venga data indicazione di fornirgli i documenti che confermano che egli è il nipote di sua nonna. Ben-Yair ha vinto l’appello e il ministero dell’Interno è tenuto a fornirgli i documenti la prossima settimana.

Nel contempo gli avvocati Michael Sfard e Alon Sapir, con l’assistenza di Peace Now [Ong israeliana contraria all’occupazione, ndtr.], hanno presentato la richiesta al tribunale rabbinico di nominare fiduciari i membri della famiglia. “Michael Ben-Yair non si era nascosto e non era stato rapito da un Paese ostile; non ha cambiato il proprio nome né si è nascosto nella sua camera da letto. Non solo è una persona facilmente reperibile, è una figura pubblica che fa dichiarazioni pubbliche e tre anni fa ha persino pubblicato un libro su Sheikh Jarrah,” hanno scritto Sfard e Sapir nella loro richiesta al tribunale.

Deve ancora essere emessa una sentenza sul loro ricorso, ma nel frattempo i giudici rabbinici hanno ordinato che ogni attività nell’affido fiduciario venga sospesa. Ben-Yair e sua sorella hanno affermato di sperare che presto riavranno la loro casa e che in seguito intendono citare in giudizio gli amministratori fiduciari di Meyashvei Zion e il consiglio georgiano per il denaro che hanno riscosso dai palestinesi nel corso degli anni.

Dato che il documento fiduciario vieta la vendita della casa, Ben-Yair spera di convincere la sua famiglia ad affittarla alla famiglia palestinese che vi abita per un canone simbolico e per un lungo periodo. “Non si tratta solo di una questione di ‘quello che è mio è mio e quello che è tuo è mio’. È una mancanza della minima decenza ed è inconcepibile in base a qualunque sistema giuridico che io riceva sia l’indennizzo che la proprietà per la quale l’ho ricevuto,” dice Ben-Yair. “Ciò riguarda anche l’espulsione dei palestinesi che diventerebbero rifugiati per la seconda volta mentre non hanno il diritto di cercare di rivendicare i propri beni di prima del 1948 [data della fondazione di Israele, ndtr.]. La giustizia richiede che non vengano espulsi e che venga garantita la loro custodia della casa.”

È una storia folle,” afferma l’avvocato Sfard, che rappresenta Ben-Yair. “La persona che si supponeva cercassero stava seduta proprio là nel suo ufficio al piano di sopra dell’Amministratore Giudiziario dello Stato nel ministero di Giustizia. Ciò dimostra solo la gravità dell’occultamento e del collegamento tra i soggetti dell’ebraizzazione e il tribunale rabbinico. Il tribunale deve verificare che gli amministratori fiduciari non stiano facendo niente per stravolgere le disposizioni della persona che ha lasciato l’eredità o ha stilato il documento fiduciario.”

La storia di Ben-Yair ci fornisce l’opportunità di vedere il sistema di spoliazione a Gerusalemme est,” dice Hagit Ofran di Peace Now. “Le autorità statali, L’Amministratore Giudiziario e il tribunale rabbinico stanno consentendo e persino promuovendo l’espulsione dei palestinesi e la sostituzione con coloni. Il governo non può più sostenere che Sheik Jarrah sia solo una questione immobiliare. È una questione politica che è responsabilità dello Stato, e lo Stato è responsabile anche di impedire l’ingiustizia.”

Ci deve essere stata un po’ di confusione”

L’amministrazione dei tribunali rabbinici afferma: “Nel 2011 parecchie persone si sono recate davanti al tribunale ed hanno sostenuto che non era stato trovato nessun erede. Di conseguenza il tribunale ha ordinato che, in linea con il documento dell’affido, la proprietà venisse utilizzata per scopi pubblici. Anche il consiglio georgiano è tra gli attuali affidatari. Il materiale nel documento mostra che il nome della donna che ha fatto il testamento, Sarah bat Menashe Hannah/Jannah/Shvili, è scritto in vario modo, il che può aver provocato un po’ di confusione.

È molto importante notare che quelli che affermano di essere gli eredi della deceduta al momento non hanno dimostrato di essere effettivamente i suoi discendenti e a questo proposito hanno avviato un procedimento giudiziario davanti ad altri tribunali. Ciononostante, e per precauzione, quando il ricorrente ha contattato per la prima volta Rachel Shakarji, la responsabile delle proprietà religiose destinate a fini benefici, lei ha scritto al tribunale e chiesto che venisse emanata un’ingiunzione temporanea che desse indicazioni ai riceventi dell’affido fiduciario di non prendere alcuna iniziativa che potesse modificare la condizione dell’affido da un punto di vista giuridico o economico.

È stata immediatamente consegnata dal tribunale un’ingiunzione e questa rimane in vigore, benché quelli che sostengono di essere gli eredi della persona che ha fatto testamento non abbiano dimostrato il proprio rapporto con lei benché siano passati sei mesi da quando è stata emessa l’ingiunzione temporanea. Considerando il tempo trascorso da quando è stato definito l’affido, l’ubicazione della proprietà e i rivolgimenti avvenuti là, è possibile che ci siano stati degli errori. Tuttavia, come notato, finora la rivendicazione del rapporto familiare tra i ricorrenti e chi ha fatto il documento fiduciario non è stato dimostrato.”

L’avvocato Shlomo Toussia-Cohen, che rappresenta il consiglio georgiano, si è rifiutato di fare commenti per questo articolo. Nella loro risposta al tribunale rabbinico i georgiani hanno affermato che Ben-Yair e sua sorella non hanno dimostrato il proprio rapporto di consanguineità con Sarah Jannah e che le dichiarazioni pubbliche di Ben-Yair sui diritti dei palestinesi indicano che egli cerca di agire contro i principi del documento fiduciario e di conseguenza non è legittimato a una parte di esso.

L’ufficio dell’Amministratore Giudiziario Statale ha risposto: “Questa è una proprietà fiduciaria che è stata gestita dall’ Amministratore Giudiziario e riguardo alla quale negli anni 2000 è stata presentata una richiesta di liberatoria da amministratori fiduciari incaricati. Alla luce del fatto che si tratta di un bene fiduciario per scopi privati, questo ufficio ha aperto un’indagine presso il tribunale che ha nominato gli amministratori fiduciari ed ha espresso la propria posizione secondo cui i parenti della defunta dovrebbero essere nominati fiduciari. Tuttavia questa posizione non è stata accettata dal tribunale e di conseguenza nel 2006 la proprietà è stata lasciata ai fiduciari. È superfluo dire che è dovere dei fiduciari nominati agire in base alle volontà del documento fiduciario come stabilito dalla defunta.”

Yitzhak Mamo e Meyashvei Zion hanno rifiutato di fare commenti.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)