Ecco chi è Gideon Sa’ar, l’ideologo di destra che piace alla sinistra israeliana

Naomi Niddam

2 dicembre, 2019 + 972

Il membro del Likud Gideon Sa’ar è il volto nuovo della coalizione di sinistra e di centro anti-Netanyahu. Ma, come mostra la sua biografia, è un convinto ideologo di destra.

Negli ultimi due mesi la coalizione di centro sinistra “chiunque tranne Netanyahu” ha acquisito un nuovo volto: quello di Gideon Sa’ar, da tempo membro del Likud [partito di destra al governo, ndtr.] e antico rivale del Primo Ministro, che potrebbe alla fine sfidare Bibi (Netanyahu) per la guida del partito, se il Likud svolgesse le primarie. Per molti Sa’ar è l’antitesi di Netanyahu: ha buoni rapporti coi media, un atteggiamento da uomo di Stato e continua a far andare avanti le cose nonostante le pagliacciate di Netanyahu.

Ma prima di tirare un sospiro di sollievo conviene riconsiderare alcune delle sue scelte politiche e dichiarazioni pubbliche come ministro, per valutare dove potrebbe condurre Israele se fosse eletto Primo Ministro.

Sa’ar, 52 anni, è stato un ideologo della destra sin da quando era un giovane di Tehiya, partito ultranazionalista che protestava contro l’evacuazione delle colonie israeliane nel Sinai nel 1982 in seguito agli Accordi di Camp David. È fermamente contrario ad uno Stato palestinese e appoggia l’annessione della Cisgiordania – soprattutto dell’area C e delle colonie esistenti, avendo sostenuto qualche anno fa che una tale mossa deve essere “una politica ufficiale del Likud” e che il partito ha bisogno di “abbandonare formalmente l’idea dei due Stati”.

Da allora Sa’ar ha chiarito la sua intenzione di compiere passi concreti verso la messa in pratica della sovranità israeliana nei territori occupati, compreso un incremento della costruzione di colonie. Inoltre, secondo una dichiarazione che fece tre anni fa, ritiene che “il compito più urgente ed importante della Nazione è garantire una maggioranza ebraica in una Gerusalemme unita”, aggiungendo che la costruzione di colonie ebraiche nella città era “insufficiente”.

L’esperto di media, laico, ashkenazita che viene da Tel Aviv.

Come Ministro dell’Educazione dal 2009 al 2013, Sa’ar ha inserito la sua personale versione del sionismo nel curriculum scolastico, incluse lezioni sull’eredità ebraica e viaggi a Hebron [dove si trova una delle colonie israeliane più fanatiche e violente, ndtr.]. Ha anche supervisionato personalmente i cambiamenti di personale nei dipartimenti civili del Ministero, inserendovi quattro membri dell’Istituto per le Strategie Sioniste, un gruppo di esperti ideologico.

La professoressa Yuli Tamir, ex politica laburista e Ministro dell’Educazione prima di Sa’ar, rileva che l’educazione civica in Israele è peggiorata dopo il suo incarico. Tuttavia apprezza Sa’ar, dicendo che i ministri che gli sono succeduti “hanno distrutto l’intero sistema”. Benché avesse dei disaccordi con Sa’ar, continua, “lui era molto professionale. Dopo le proteste per la giustizia sociale (del 2011) ha introdotto una riforma che ha inserito l’istruzione gratuita dall’età di tre anni.”

Ogni ministro porta nel sistema la propria visione del mondo”, continua Tamir. “Io ho portato la mia, e lui la sua. Cerchiamo di lasciare un segno. Io non ho sempre approvato ciò che lui ha fatto, ma, a differenza di Naftali Bennett [dirigente della coalizione di estrema destra dei coloni, ndtr.] (Ministro dell’Educazione dal 2015 al 2019), ha agito in modo ragionevole.”

Tamir suggerisce che chi preferisce Sa’ar a Netanyahu forse rimpiange, come lei, un dibattito corretto. “Sa’ar è molto di destra, ma non ha bisogno che tutti siano d’accordo con lui”, continua. “Abbiamo avuto molti scontri, ma lui si è sempre comportato secondo le regole – a differenza di Bibi, che le ha completamente stravolte. È questa l’impressione – non che Sa’ar sia di sinistra, ma che sia un uomo che rispetta le regole.”

Il professor Yossi Dahan, un fondatore del sito web israeliano di sinistra Haokets ed esperto di educazione e giustizia sociale, respinge l’opinione di Tamir. “Sa’ar non si comporta secondo le regole democratiche, se non sono le regole della maggioranza”, dice. “È uno dei più entusiastici sostenitori del gruppo di estrema destra sionista ‘Im Tirtzu’, quindi non capisco come possa essere un democratico. Non ha mai condannato quell’organizzazione, che un giudice ha sentenziato potesse essere definita legalmente un gruppo fascista”, continua Dahan. “Quando mai ha condannato la destra quando essa disprezza la legge e viola i diritti umani? Essere democratico comporta proteggere questi diritti.”

Dahan sostiene che la posizione morbida delle persone di sinistra verso Sa’ar deriva dal loro status sociale – laici, ashkenaziti [ebrei dell’Europa centro-orientale, ndtr.], abitanti di Tel Aviv, che sono “galvanizzati soprattutto dal fatto che lui gli assomiglia da vicino. Non è Miri Regev [ex militare e ministra della Cultura e dello Sport del Likud, che appoggia incondizionatamente Netanyahu, ndtr.] o Bazalel Smotrich [parlamentare della coalizione di estrema destra dei coloni, ndtr.]”.

Sa’ar è anche noto come benvoluto dai media e gode di un rapporto personale con parecchi giornalisti di alto livello in giornali e canali televisivi di tutto lo spettro politico.

Ha una profonda conoscenza dell’ambiente dei media, da quando ha lavorato per breve tempo come giornalista e commentatore”, dice Ronit Vardi, giornalista e commentatore politico.

Se la strategia mediatica di Netanyahu è aggressiva e reazionaria –avendo lanciato il canale 20 di estrema destra, a quanto pare con interventi personali nel modo di dare le notizie del [giornale] ‘Israel Hayom’ e del sito informativo web ‘Walla!’, e dimostrando una costante riluttanza ad essere intervistato – Sa’ar al contrario è riuscito a ingraziarsi giornalisti di sinistra e di destra senza mitigare le proprie opinioni.

Le conversazioni informali con Gideon Sa’ar sono sempre eccellenti”, dice Vardi. “I giornalisti ricavano un sacco di informazioni da lui, e anche la sua manipolazione nei loro confronti è più proficua.”

Continua la guerra ai richiedenti asilo

Un esempio di questa manipolazione sono i precedenti contraddittori di Sa’ar riguardo ai richiedenti asilo in Israele, quando era Ministro dell’Interno dal 2013 al 2014. Da un lato ha garantito un permesso ai richiedenti asilo di spicco perché rimanessero in Israele, un atto che è apparso dare un segno ai leader della lotta [dei richiedenti asilo] che lui prestava attenzione alle loro richieste. D’altro lato ha mantenuto una politica bellicosa che è stata responsabile della creazione del campo di detenzione di Holot, in mezzo al deserto meridionale israeliano. Vi sono stati imprigionati migliaia di richiedenti asilo africani – persone a cui i media non hanno dato né nomi né volti.

Come Ministro dell’Interno Sa’ar ha continuato a promuovere le decisioni del governo prese quando era Ministro dell’Interno Eli Yishai del partito Shas [partito di ebrei sefarditi ultraortodossi, ndtr.]. Holot, per esempio, non è stato un’idea di Sa’ar, ma piuttosto parte di un tira e molla legale tra la Corte Suprema ed il governo. Ma, a differenza dell’attuale Ministro dell’Interno Aryeh Deri, anch’egli dello Shas, Sa’ar ha usato la guerra ai richiedenti asilo come strumento politico e, secondo Yael Agor Orgel, membro del Consiglio del Centro della Comunità Africana di Gerusalemme, si è vantato di farlo. “Deri è più disposto di Sa’ar a considerare i richiedenti asilo come esseri umani”, dice.

Oltre ad applicare formalmente le precedenti decisioni del governo, Saa’ar ha anche introdotto una delle politiche che ha maggiormente danneggiato i richiedenti asilo – la riduzione del numero delle sedi dove potevano rivolgersi per essere riconosciuti come rifugiati e li ha isolati rispetto ad altre procedure burocratiche.

Il suo intento era rendere loro la vita difficile”, dice Agor Orgel. “Invece di passare due ore al mattino per richiedere i servizi, devono passare una giornata intera e fare ore di coda. Ora vi è un dipartimento che è precluso a chiunque non sia un richiedente asilo e che si occupa solo di loro. Vi subiscono trattamenti umilianti, degradanti e verbalmente violenti.”

Alcuni dicono che la preferenza di Sa’ar rispetto a Netanyahu è simile a come la gente si rapporta con Ayelet Shaked [ex Ministra della Giustizia, dirigente della coalizione di estrema destra dei coloni, ndtr.]: entrambi sono di Tel Aviv e sono della giusta classe socioeconomica di destra e del colore giusto. Ma, a parte le dinamiche sociali, è difficile ignorare l’inusuale grado di rispetto che Sa’ar ha ottenuto dai suoi rivali politici.

Non è solo questione di familiarità, ma è anche il fatto che lui è il tipo di politico che può proporre fatti, non solo parole. Sa’ar ha guadagnato consensi perché non si nasconde dietro parole vuote: dichiara apertamente le proprie intenzioni politiche e fa tutto ciò che può per portarle avanti – che si tratti di espandere il territorio israeliano, di rafforzare l’identità ebraica, di calpestare i diritti dei palestinesi o di agire con la forza contro ogni resistenza.

Una versione di questo articolo è stata originariamente pubblicata in ebraico su Local Call.

Naomi Niddam è una giornalista

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




La nuova “strada dell’apartheid” israeliana è molto più della semplice segregazione

Edo Konrad

16 gennaio 2019, +972

Israele sostiene che la nuova strada, che separa israeliani e palestinesi con un muro alto otto metri, decongestiona il traffico per i coloni aiutando al contempo i palestinesi a viaggiare in Cisgiordania. Chi la critica sostiene che aiuterà a creare enclave solo per israeliani, libere da ogni presenza palestinese.

La scorsa settimana Israele ha inaugurato una nuova strada segregata nella Cisgiordania occupata, con un enorme muro di otto metri che separa viaggiatori israeliani e palestinesi su entrambi i lati. Etichettata da chi la critica come la strada dell’apartheid, la motivazione ufficiale della “Route 4370” è decongestionare il traffico per i coloni israeliani che fanno i pendolari verso Gerusalemme e al contempo creare un nuovo modo di viaggiare tra il nord e il sud della Cisgiordania per i palestinesi.

Eppure, nonostante le ragioni dichiarate, i militanti contro l’occupazione e per i diritti umani sostengono che l’autostrada segregata è un ulteriore modo per creare in Palestina aree solo per israeliani – libere da ogni presenza palestinese. Ed è un segno che Israele, e gli israeliani, non vedono più la segregazione come qualcosa di cui vergognarsi.

Mentre in passato c’era un maggiore tentativo di nascondere la segregazione all’opinione pubblica israeliana, oggi essa è percepita come legittima,” afferma Efrat Cohen-Bar, un urbanista e architetto dell’ong “Bimkom” [associazione israeliana che sostiene una pianificazione urbana condivisa con la popolazione, anche quella palestinese, ndtr.]. “In un Paese in cui ogni giorno è proposta una nuova legge discriminatoria, una breve strada segregata non scandalizza nessuno.”

Il ministro della Sicurezza Pubblica Gilad Erdan ha definito l’autostrada “un esempio di capacità di creare la coesistenza tra israeliani e palestinesi proteggendo al contempo dalle attuali minacce alla sicurezza.”

Per Cohen-Bar l’autostrada non può essere disgiunta dal sistema complessivo di strade segregate in Cisgiordania, che spesso obbligano i palestinesi a utilizzare sottopassaggi per non disturbare il traffico dei coloni [che passano] sopra di loro. “L’autostrada 4370 dovrebbe essere vista nel contesto più ampio come una continuazione della politica (da parte di Israele) di separazione e della creazione di enclave solo israeliane.”

Agli occhi di Daniel Seidemann, avvocato e attivista che dirige l’Ong israeliana “Terrestrial Jerusalem” [Gerusalemme Terrena, associazione israeliana che studia l’impatto delle politiche sulla città, ndtr.] e che ha passato gli ultimi 20 anni a monitorare i mutamenti nel panorama della città, la Route 4370 ha anche una dimensione geopolitica. L’autostrada, afferma, è parte della strategia israeliana a lungo termine di “creazione di contiguità territoriale tra Gerusalemme e le colonie che la circondano,” soprattutto con la molto discussa area E1, la zona di 12 km2 che si trova tra Gerusalemme e la colonia di Ma’ale Adumim in Cisgiordania.

Per decenni Israele ha desiderato edificare colonie nell’area, collegando l’insediamento a Gerusalemme e dividendo concretamente in due la Cisgiordania.

Oltretutto, afferma Seidemann, la strada è solo il primo passo nel progetto israeliano di escludere i palestinesi dall’utilizzo della Route 1, parte della quale viene utilizzata sia dagli israeliani che dai palestinesi in Cisgiordania. Tutto ciò, ritiene, ha lo scopo di pregiudicare le possibilità di costituzione di uno Stato palestinese e di procedere con la progressiva annessione di ampie zone della Cisgiordania.

Netanyahu è impegnato in un indirizzo strategico per stabilire unilateralmente un confine di fatto tra Israele e la cosiddetta Palestina,” dice Seidemann. “La strada è stata aperta ora perché le politiche del primo ministro stanno finalmente prendendo forma. L’obiettivo finale è l’annessione dell’Area C [più del 60% dei territori occupati, in base agli accordi di Oslo sotto totale ma provvisorio controllo di Israele, ndtr.] della Cisgiordania con una minima presenza palestinese. Ciò è quello che stiamo vedendo succedere nella E1.”

La Route 4370 non è la prima autostrada segregata nei territori palestinesi occupati per uso esclusivo degli israeliani. Durante la Seconda Intifada Israele ha chiuso la Route 443, una seconda autostrada che unisce Gerusalemme alla zona di Tel Aviv, al traffico palestinese in seguito a una serie di casi di spari letali contro veicoli israeliani. Nel giugno 2007 gli abitanti di sei villaggi che si trovano nei pressi della Route 443 fecero richiesta all’Alta Corte di Giustizia israeliana di riaprire la strada ai palestinesi. Due anni e mezzo dopo, la corte stabilì che ai palestinesi doveva essere consentito di utilizzare la strada della Cisgiordania.

L’Alta Corte, almeno sulla carta, sentenziò che Israele doveva smettere di consentire solo agli israeliani di utilizzare la Route 443” continua Seidemann. “Questo caso è diverso. Non si tratta di una politica specifica, ma piuttosto di una scelta già ben ponderata da molto tempo. Riguarda la costruzione di infrastrutture separate e parallele per israeliani e palestinesi; questo tipo di cose non era mai stato fatto prima.”

La Route 4370 è stata concepita per creare un effetto domino,” dice Ahmad SubLaban, un ricercatore sul campo del gruppo per i diritti umani con sede a Gerusalemme “Ir Amim” [“Città di Persone”, Ong israeliana che si occupa delle politiche applicate a Gerusalemme, ndtr.]. “L’autostrada è parte di un puzzle che verrà terminato per collegare prima o poi Gerusalemme a Ma’ale Adumim, a Gush Etzion, alle colonie della zona di Ramallah e a quelle di Givat Ze’ev. Al momento il puzzle non è ancora stato completato.”

Per ora i cittadini israeliani che utilizzano la strada avranno un percorso più rapido dalle colonie della zona di Ramallah verso i quartieri ebraici di Gerusalemme, soprattutto durante l’ora di punta. A quelli che viaggeranno sul lato palestinese verrà impedito di entrare a Gerusalemme, anche se la nuova strada renderà effettivamente più breve il loro viaggio dalla zona di Ramallah alla parte meridionale della Cisgiordania.

(traduzione di Amedeo Rossi)