Gli aiuti umanitari di Israele ai profughi siriani

Non c’è nulla di sincero negli aiuti umanitari di Israele ai siriani

L’uso degli aiuti per occultare le responsabilità israeliane riguardo a occupazione e violazioni dei diritti umani non è nuovo

Middle East Eye

Abir Kopty

Lunedì 2 luglio 2018

La scorsa settimana l’esercito israeliano ha emesso un comunicato sulla consegna di aiuti umanitari a migliaia di profughi siriani. Secondo tale comunicato, gli aiuti includono tende, cibo, apparecchiature sanitarie e indumenti e sono stati spediti in diversi luoghi del lato siriano delle Alture del Golan occupate, dove migliaia di siriani vivono in campi, dopo essere fuggiti dai bombardamenti di Daraa.

Se sostituiamo Israele e Siria con, per esempio, Indonesia e Filippine, questa notizia sarebbe assolutamente normale ed anche positiva. Ma si tratta di Israele e sta mandando aiuti ad un popolo la cui terra – le Alture del Golan – continua ad occupare dal 1967.

Sistema di occultamento

L’uso degli aiuti umanitari per occultare le responsabilità israeliane riguardo a occupazione e violazioni dei diritti umani non è nuovo. Dal Nepal ad Haiti, all’Uganda o alle Fiji, a questi aiuti umanitari è sempre seguito uno sforzo propagandistico per dire al mondo quanto “Israele è umano”, il che è ben lontano dalla realtà.

Qualche anno fa è circolato un video che mostrava i volontari di IsraAID, l’agenzia israeliana per gli aiuti umanitari, che fornivano assistenza ai rifugiati siriani arrivati sulle coste greche. Anche se i volontari ripresi nel video potevano avere buone intenzioni nell’aiutare il prossimo, sono diventati parte della propaganda di occultamento di Israele.

Il video illustrava bene come Israele riesce a sfruttare i momenti più drammatici della vita dei rifugiati siriani, quando annaspano a riva dopo un terribile viaggio per mare, per usarli ai fini del suo programma di marketing. Non si tratta solo del diffuso fenomeno di salvatori “bianchi” che sfruttano le sofferenze delle vittime per farsi pubblicità, ma si tratta anche dell’obbiettivo di Israele di sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dalla sua disumanità, brutalità e razzismo in casa propria – nei confronti dei palestinesi.

Il concetto di aiuto umanitario è sempre stato sopravvalutato. Da un lato, per le vittime in difficoltà, l’aiuto umanitario fornisce soccorso immediato e salva le vite. Inoltre può rafforzare la solidarietà tra Nazioni e unificare i popoli. D’altro lato, solleva la questione dell’iniqua distribuzione della ricchezza e del potere nel mondo.

In molti casi i Paesi che forniscono aiuto hanno interesse ad evitare, per esempio, un afflusso di rifugiati al loro interno. Nel caso dell’aiuto israeliano ai siriani, questo interesse certamente sussiste, accanto all’obiettivo di occultamento.

L’ aiuto umanitario da parte di Israele, uno Stato occupante che pratica l’apartheid, non può essere considerato un gesto disinteressato. Farà sempre emergere ciò che con esso Israele vuole nascondere. Se Israele fosse sincero riguardo alle proprie motivazioni umanitarie, dovrebbe cominciare da casa sua.

La beneficenza inizia a casa propria

Ci sono circa 1,5 milioni di rifugiati palestinesi che vivono con grave disagio in campi profughi in tutta la regione. Hanno passato le stesse vicissitudini che adesso stanno affrontando i siriani. Da più di 70 anni Israele continua a negare il loro diritto a ritornare nella loro patria.

La Striscia di Gaza subisce un assedio brutale da 12 anni. Israele imprigiona due milioni di palestinesi a Gaza nella più grande prigione a cielo aperto del mondo, controlla cibo e merci che entrano a Gaza ed in passato ha utilizzato un calcolo delle calorie per limitare l’arrivo del cibo per i palestinesi a Gaza. Di tanto in tanto bombarda Gaza ed ha scatenato tre guerre che hanno causato quasi 4.000 vittime palestinesi.

Negli ultimi tre mesi l’esercito israeliano ha sparato contro manifestanti disarmati a Gaza, uccidendo oltre 130 persone che protestavano pacificamente. La detenzione di minori, il divieto di libertà di movimento, la demolizione di case e la deportazione di comunità sono alcune delle prassi quotidiane di Israele.

Se si possono elencare le innumerevoli violazioni nei confronti dei palestinesi, sia di quelli nei territori palestinesi occupati che di coloro che hanno la cittadinanza israeliana, è anche importante non dimenticare il razzismo israeliano verso la sua stessa popolazione ebraica non bianca e le pratiche disumane contro i rifugiati africani arrivati in Israele in fuga dai conflitti nei loro Paesi.

All’inizio di quest’anno il governo israeliano ha annunciato l’intenzione di espellere con la forza decine di migliaia di richiedenti asilo africani. Quei richiedenti asilo provengono per la maggior parte da Eritrea e Sudan. Questi migranti non sono ebrei e perciò Israele li considera una minaccia demografica contro la sua ossessione di mantenere una maggioranza ebraica in Israele. Essi subiscono razzismo e disprezzo a tutti i livelli, dall’essere cacciati dalle strade all’istigazione politica e religiosa.

Un Paese razzista caratterizzato da gravissime responsabilità riguardo a crimini di guerra, violazioni dei diritti umani, occupazione militare, incarcerazione ed uccisione di minori, isolamento di un’intera popolazione in una prigione a cielo aperto, distruzione di comunità e respingimento di richiedenti asilo in difficoltà per il fatto che non sono ebrei, non può essere considerato sincero  nell’ offerta di aiuto umanitario ai siriani o a chiunque altro, perché la moralità non si può dividere a metà: o esiste o non esiste.

Abir Kopty è una scrittrice palestinese e studentessa di dottorato. 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’ autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

 




A Gaza Israele uccide un minorenne e spezza ossa

Maureen Clare Murphy

20 aprile 2018, Electronic Intifada

Le forze israeliane hanno ucciso quattro palestinesi, compreso un ragazzino, mentre per il quarto venerdì consecutivo si svolgevano manifestazioni di massa lungo il lato orientale di Gaza come parte di una protesta di sei settimane per la “Grande Marcia del Ritorno”.

Muhammad Ibrahim Ayyoub, 14 anni, colpito venerdì alla testa a est di Jabaliya nel nord di Gaza, è il quarto minorenne tra i più di 30 palestinesi uccisi durante le proteste da quando, il 30 marzo, le manifestazioni sono iniziate.

Infermieri che oggi hanno portato via il ragazzino hanno dichiarato che è stato colpito alla testa con un proiettile letale a circa 50 metri dalla barriera, a est di Jabaliya, senza nessun indizio che rappresentasse un pericolo per le forze israeliane,” ha affermato venerdì l’ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento delle Questioni Umanitarie.

L’inviato delle Nazioni Unite per la pace in Medio Oriente Nickolay Mladenov ha abbandonato le sue abitualmente caute dichiarazioni che esprimono “preoccupazione” e chiedono “la massima moderazione”.

Su Twitter Mladenov ha sostenuto che è “vergognoso sparare a un ragazzino!” ed ha aggiunto che “il tragico incidente deve essere indagato.”

Gli altri tre palestinesi uccisi venerdì sono stati identificati dal ministero della Salute di Gaza come Ahmad Nabil Abu Aqel, 20 anni, Ahmad Rashad al-Athamna, 24, e Saad Abd al-Majid Abd al-Al Abu Taha, 29.

Abu Aqel, di Beit Hanoun, nella parte settentrionale di Gaza, è stato colpito da un proiettile alla nuca durante proteste a est del campo di rifugiati di Jabaliya. Fotografie che circolano sulle reti sociali mostrano che parte del suo cranio è stata strappata via.

Immagini che mostrano Abu Aqel prima che venisse colpito sono circolate sulle reti sociali in seguito all’annuncio della sua morte.

Una di queste lo mostra mentre viene curato da un medico per una lieve ferita prima che venisse ucciso.

Secondo il gruppo per i diritti umani “Al Mezan”, con sede a Gaza, Abu Aqel era “seduto su una collina di sabbia a circa 150 metri a ovest della barriera di confine, e voltava la schiena alle forze di occupazione israeliane quando queste ultime gli hanno sparato” venerdì.

Abu Aqel usava le stampelle in seguito al fatto di essere rimasto ferito da un proiettile vero alla gamba sinistra durante la protesta dell’8 dicembre contro il riconoscimento USA di Gerusalemme come capitale di Israele.

Al Mezan afferma che l’uccisione di Abu Aqel, un disabile che non rappresentava nessuna ragionevole minaccia per le forze israeliane, a molta distanza e protette da fortificazioni di terra e da barriere, ricorda l’uccisione da parte di un cecchino, nel dicembre 2017, di Ibrahim Abu Thurrayya, un uomo in sedia a rotelle che aveva perso le sue gambe in un precedente attacco israeliano.

Ahmad Rashad al-Athamna è stato ferito mortalmente venerdì da una pallottola alla schiena a Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza.

Dopo l’annuncio della sua morte sulle reti sociali è circolata una sua foto.

Il ministero della Salute di Gaza ha affermato che Saad Abd al-Majid Abd al-Al Abu Taha è stato colpito al collo durante proteste a est di Khan Younis.

Il ministero ha informato che più di 700 persone sono rimaste ferite durante le proteste di venerdì, 156 delle quali da proiettili veri. Quattro sarebbero state gravemente ferite.

Al Mezan” ha chiesto “alla comunità internazionale di passare dalla semplice condanna a un’azione concreta per proteggere i civili e garantire il rispetto dei principi dei diritti umani e delle leggi umanitarie.”

Il gruppo ha aggiunto che la continua tolleranza nei confronti del comportamento di Israele costituisce “un incoraggiamento perché le forze israeliane mettano in atto sistematiche violazioni delle leggi internazionali.”

Secondo “Al Mezan” dal 30 marzo più di 1.600 palestinesi di Gaza sono rimasti feriti da proiettili veri durante le proteste.

Questa settimana il gruppo palestinese per i diritti umani “Al-Haq” ha affermato di aver documentato ferite da parte delle forze israeliane “che hanno preso di mira deliberatamente specifiche parti del corpo dei manifestanti palestinesi a Gaza, provocando la morte o ferite gravi e permanenti.”

Il direttore del pronto soccorso dell’ospedale al-Shifa, il più grande di Gaza, ha detto ad “Al-Haq” che la maggior parte delle ferite sono state provocate da “munizioni vere, per lo più dirette agli arti inferiori, con la rottura di vaste parti ossee, il taglio di vene, nervi e muscoli e la perdita di pelle nella zona ferita.”

Secondo Al-Haq l’ospedale ha osservato “una nuova caratteristica delle ferite” dall’inizio delle proteste della “Grande Marcia del Ritorno” il 30 marzo, “per cui il punto di entrata del proiettile è piccolo mentre il foro d’uscita è grande.” Questi casi “richiedono operazioni di molte ore e una equipe medica più numerosa.”

Al-Shifa ha anche avuto casi senza precedenti di danni provocati da gas lacrimogeni che comprendono “commozione cerebrale, forti crampi e perdita dei sensi a causa dell’inalazione dei gas, che necessitano di immediata sedazione, ausili respiratori e trattamenti di evaporazione.”

Il gruppo umanitario “Medici senza Frontiere” ha anche osservato nelle scorse tre settimane “ferite insolitamente gravi e devastanti da armi da fuoco.”

La grande maggioranza dei pazienti – per lo più giovani, ma anche qualche donna e bambino – presenta ferite insolitamente gravi agli arti inferiori,” ha affermato il gruppo, sottolineando che alcuni dei fori d’uscita erano “delle dimensioni di un pugno.”

Giovedì l’associazione umanitaria ha dichiarato che “il numero di pazienti curati nei nostri ambulatori nelle ultime tre settimane è maggiore del numero di quelli che abbiamo assistito durante tutto il 2014, quando è stata lanciata l’operazione militare israeliana “Margine protettivo” contro la Striscia di Gaza.

Marie-Elisabeth Ingres, capo della missione di “Medici senza Frontiere” in Palestina, ha affermato in un comunicato stampa che “metà dei più di 500 pazienti che abbiamo accolto nei nostri ambulatori presenta ferite in cui la pallottola ha letteralmente distrutto il tessuto dopo aver fatto a pezzi l’osso.”

Questi pazienti necessiteranno di operazioni chirurgiche estremamente complesse e molti di loro rimarranno disabili a vita,” ha aggiunto.

Alcuni pazienti dovranno subire l’amputazione delle gambe se non riceveranno da Israele il permesso di avere cure mediche specialistiche fuori da Gaza, come è già successo per molti manifestanti feriti.

Jamie McGoldrick, il vice-coordinatore speciale dell’ONU per il processo di pace in Medio Oriente, giovedì ha affermato che “l’attuale picco di necessità umanitarie è una crisi che è più grave di una catastrofe.”

McGoldrick ha aggiunto che “gli operatori dei servizi essenziali di Gaza non hanno al momento la possibilità di gestire l’attuale situazione.”

Venerdì l’ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari ha detto che il sistema sanitario di Gaza è “sull’orlo del collasso in seguito al blocco decennale, alla divisione politica sempre più profonda tra i palestinesi, alla crisi energetica in peggioramento, al pagamento irregolare del personale medico del settore pubblico e alla crescente mancanza di medicine e di prodotti monouso.”

L’OCHA ha aggiunto che “l’esposizione alla violenza durante le ultime tre settimane ha anche avuto conseguenze significative per la salute mentale e psicosociale, soprattutto tra i bambini.”

Propaganda israeliana

Israele continua a sostenere la versione secondo cui la sua repressione mortale contro manifestanti disarmati è necessaria per difendere i suoi confini e i civili da “disordini” utilizzati come copertura del “terrorismo” di Hamas.

Un video propagandistico dell’esercito afferma: “È per questo che l’IDF (l’esercito israeliano) deve proteggere la barriera di sicurezza.”

Non un solo soldato o civile israeliano risulta essere stato ferito in seguito alle proteste della “Grande Marcia del Ritorno”.

Due terzi dei due milioni di abitanti di Gaza sono rifugiati provenienti dalle terre su cui è stato dichiarato lo Stato di Israele nel 1948. Israele ha da molto tempo impedito ai rifugiati palestinesi di tornare nelle loro terre e case in quanto non sono ebrei.

Venerdì mattina l’esercito israeliano ha lanciato su Gaza volantini che mettono in guardia gli abitanti dall’avvicinarsi o danneggiare la barriera di confine tra Gaza e Israele.

L’IDF prenderà iniziative contro qualunque tentativo di danneggiare la barriera e le sue parti e di ogni altra struttura militare”, afferma il volantino.

L’avvertimento dell’esercito aggiunge: “Hamas vi sta utilizzando per promuovere gli interessi del suo movimento. Non seguite gli ordini di Hamas che mettono in pericolo le vostre vite.”

All’inizio della settimana il COGAT, il braccio amministrativo dell’occupazione militare israeliana, ha affermato che avrebbe sanzionato 14 compagnie di autobus che trasportano “terroristi di Hamas e rivoltosi violenti” al confine orientale di Gaza.

Il COGAT aveva in precedenza pubblicato quella che ha sostenuto essere una registrazione tra uno dei propri funzionari e un rappresentante della compagnia di autobus di Gaza, in cui il funzionario dice che “non consentiremo che tu e la tua famiglia manteniate un qualunque rapporto commerciale o imprenditoriale o personale con il lato israeliano” come punizione per aver trasportato manifestanti.

I messaggi di Israele non sembrano aver avuto effetto, in quanto Israele ha ricevuto un avvertimento dalla procura generale della Corte Penale Internazionale che i suoi dirigenti potrebbero dover affrontare un processo per l’uccisione di manifestanti disarmati.

Ha anche ricevuto la condanna di una serie di esperti dei diritti umani dell’ONU che hanno chiesto la fine immediata del blocco di Gaza.

La scorsa settimana Israele ha pubblicato una foto che mostrerebbe giornalisti utilizzati come scudi umani durante le proteste a Gaza.

L’agenzia France Press ha informato che, quando per la prima volta ha distribuito la foto, il 13 aprile, l’esercito ha sostenuto che mostrava “un terrorista che brandiva un oggetto sospettato di essere un ordigno esplosivo utilizzato per fini terroristici mentre giornalisti e una persona invalida gli stavano vicino.”

Un’inchiesta dell’APF ha scoperto, invece, che il “terrorista” mostrato nella foto stava “cercando senza riuscirci di accendere quello che sembrava un normale fuoco d’artificio mentre era a terra in mezzo al fumo nero di copertoni incendiati.”

Il giornalista dell’AFP che si vede nell’immagine ha detto che l’uomo “in seguito ha rinunciato e se n’è andato.”

Secondo la “Commissione per la Protezione dei Giornalisti”, dal 30 marzo almeno 13 giornalisti palestinesi sono stati colpiti da cecchini israeliani mentre informavano sulle proteste, compreso uno che è stato ucciso.

Venerdì quattro giornalisti sono stati feriti da proiettili veri, da inalazioni di gas lacrimogeni e da un candelotto lacrimogeno.

In una lettera al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu la “Commissione per la Protezione dei Giornalisti” (CPJ) ha osservato che la maggior parte dei giornalisti colpiti dal 30 marzo portava giubbotti con la scritta “STAMPA” al momento del ferimento.

I colpi sparati suggeriscono che le autorità israeliane potrebbero star cercando di reprimere la copertura mediatica delle proteste,” ha affermato il CPJ.

Persino se l’IDF (l’esercito israeliano) non stesse deliberatamente prendendo di mira giornalisti,” ha aggiunto il gruppo, “il suo uso di munizioni letali come primo strumento da utilizzare invece di mezzi non letali sottopone i giornalisti – soprattutto i fotografi e i video operatori che devono essere in prima linea per riprendere le immagini – a un rischio terribile, rendendo il loro lavoro quasi impossibile.”

Anche le affermazioni fatte dal ministro della Difesa di Israele Avigdor Lieberman secondo cui Yaser Murtaja, un cameraman ucciso il 6 aprile dalle sue forze armate mentre stava informando sulle proteste, era un membro stipendiato dell’ala militare di Hamas, sono state smentite da organi di controllo della libertà di stampa, compresa la CPJ.

Nel contempo il gruppo della resistenza palestinese Jihad Islamica ha diramato un proprio video propagandistico, avvertendo Israele che “state uccidendo la nostra gente a sangue freddo e pensate di essere al sicuro, ma i mirini dei nostri cecchini sono puntati sui vostri comandanti in capo.”

Il video mostra ufficiali dell’esercito, compreso il capo del COGAT Yoav Mordechai, visti attraverso un binocolo e il mirino di un fucile.

Il video della Jihad Islamica sembra essere una risposta alla propaganda presentata dal portavoce in arabo dell’esercito israeliano, che mostra manifestanti, compreso un bambino, inquadrati da un binocolo con l’avvertimento che “vi vediamo bene” o minacce del genere.

In risposta al video [della Jihad Islamica, ndt.], il ministro israeliano dell’Intelligence Yisrael Katz ha diramato una minaccia secondo cui qualunque aggressione a importanti personalità dell’esercito israeliano da parte dei gruppi della resistenza palestinese “porterà immediatamente alla ripresa degli omicidi mirati dei dirigenti di Hamas.”

Un rapporto di “Human Rights Watch” [organizzazione per i diritti umani con sede a New York, ndt.] afferma che la violenza letale di Israele contro i palestinesi che manifestavano durante l’inizio della “Grande Marcia del Ritorno” è stata premeditata, illegale in base alle leggi internazionali e ordinata dai più alti livelli del governo.

(traduzione di Amedeo Rossi)