Gaza: la fame imposta da Israele è mortale per i bambini

Human Rights Watch

9 aprile 2024 – Human Rights Watch

Devastanti racconti di medici e genitori; denunce di una carestia imminente

(Beirut, 9 aprile 2024) – Da quando il governo israeliano ha iniziato a usare la fame come arma di guerra, un crimine di guerra, i bambini di Gaza stanno morendo per complicazioni legate alla fame, ha affermato oggi Human Rights Watch. A Gaza medici e famiglie hanno descritto bambini, così come donne incinte e madri in allattamento, affetti da grave malnutrizione e disidratazione, e ospedali mal attrezzati per poterli curare.

I governi interessati dovrebbero imporre sanzioni mirate e sospendere l’invio di armi per fare pressione sul governo israeliano affinché garantisca laccesso a Gaza degli aiuti umanitari e dei servizi di base, in conformità con gli obblighi di Israele ai sensi del diritto internazionale e della recente ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia in base alla denuncia di genocidio presentata dal Sudafrica.

Luso della fame come arma di guerra da parte del governo israeliano si è rivelato mortale per i bambini di Gaza”, ha affermato Omar Shakir, direttore per Israele e Palestina di Human Rights Watch. Israele deve porre fine a questo crimine di guerra e a questa sofferenza e consentire agli aiuti umanitari di raggiungere senza ostacoli tutta Gaza”.

Il 18 marzo 2024 una partnership coordinata dalle Nazioni Unite di 15 organizzazioni internazionali e agenzie dell’ONU che indagano sulla crisi della fame a Gaza ha riferito che tutte le prove indicano un forte incremento delle morti e della malnutrizione”. L’organizzazione afferma che nel nord di Gaza, dove si stima che il 70% della popolazione soffra di una fame di dimensioni catastrofiche, la carestia potrebbe verificarsi in qualsiasi momento tra metà marzo e maggio.

Il 1° aprile il Ministero della Sanità di Gaza ha riferito che 32 persone, tra cui 28 bambini, erano morte di malnutrizione e disidratazione negli ospedali del nord di Gaza. Il 2 aprile Save the Children ha confermato la morte per fame e malattie di 27 bambini. Allinizio di marzo, funzionari dellOrganizzazione Mondiale della Sanità (OMS) hanno trovato bambini che morivano di fame” negli ospedali Kamal Adwan e al-Awda, nel nord di Gaza. Nel sud della Striscia, dove gli aiuti sono più accessibili ma comunque decisamente inadeguati, a metà febbraio le agenzie delle Nazioni Unite hanno affermato che il 5% dei bambini sotto i 2 anni risultava gravemente malnutrito.

A marzo Human Rights Watch ha intervistato un medico nel nord di Gaza, un volontario che nel frattempo ha lasciato Gaza, i genitori di due bambini che i medici hanno dichiarato morti per complicazioni legate alla fame che ha colpito sia la madre che il bambino, e i genitori di altri quattro bambini affetti da malnutrizione e disidratazione.

Human Rights Watch ha esaminato il certificato di morte di uno dei bambini e le foto di altri due in condizioni critiche che mostravano segni di deperimento. Tutti erano stati curati all’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahia, nel nord di Gaza.

I consulenti sanitari di Human Rights Watch hanno anche esaminato immagini e video verificati online di altri tre bambini chiaramente emaciati che sono morti e di altri quattro in condizioni critiche che mostravano anch’essi segni di deperimento.

Il 4 aprile il dottor Hussam Abu Safiya, che dirige lunità pediatrica dellospedale Kamal Adwan, ha dichiarato a Human Rights Watch che solo nel suo ospedale 26 bambini erano morti dopo essere stati colpiti da complicazioni legate alla fame. Ha detto che almeno 16 dei bambini deceduti avevano meno di 5 mesi, almeno 10 avevano tra 1 e 8 anni e che era morto anche un uomo di 73 anni affetto da malnutrizione.

Il dottor Safiya ha detto che uno dei bambini è morto dopo soli due giorni di vita in seguito a grave disidratazione alla nascita, chiaramente aggravata dalla cattiva salute della madre: [Lei] non aveva latte da dargli”.

Nour al-Huda, una ragazzina di 11 anni affetta da fibrosi cistica, è stata ricoverata all’ospedale Kamal Adwan il 15 marzo. I medici hanno detto a sua madre che Nour soffriva di malnutrizione, disidratazione e un’infezione ai polmoni, e le hanno somministrato ossigeno e una soluzione salina. Nour al-Huda ora pesa 18 chilogrammi”, ha detto sua madre a Human Rights Watch. “Posso vedere sporgere le ossa del suo petto.”

Il diritto internazionale umanitario vieta la riduzione alla fame dei civili come metodo di guerra. Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale prevede che affamare intenzionalmente i civili privandoli di quanto sia indispensabile alla loro sopravvivenza, compreso limpedimento doloso delle forniture di soccorso”, è un crimine di guerra.

Dopo gli attacchi di Hamas in Israele del 7 ottobre 2023 il governo israeliano ha deliberatamente bloccato la consegna di aiuti, cibo e carburante a Gaza, impedendo al contempo lassistenza umanitaria e privando i civili dei mezzi per sopravvivere. I funzionari israeliani che ordinano o eseguono queste azioni stanno commettendo il reato di punizione collettiva contro la popolazione civile e di riduzione dei civili alla fame come metodo di guerra, entrambi crimini di guerra.

Le azioni del governo israeliano che compromettono le capacità dellAgenzia dell’ONU per il soccorso e loccupazione dei rifugiati palestinesi nel Medio Oriente (UNRWA) di svolgere il suo ruolo riconosciuto nella distribuzione degli aiuti a Gaza hanno esacerbato gli effetti delle restrizioni.

Un medico volontario presso lospedale europeo di Khan Younis, nel sud di Gaza, per due settimane alla fine di gennaio ha affermato che il personale è stato costretto a curare pazienti con scorte mediche limitate. Ha descritto la difficoltà di trattare la malnutrizione e la disidratazione a causa della mancanza di elementi essenziali come glucosio, elettroliti e sonde per l’alimentazione. Ha detto che la madre di un paziente, alla disperata ricerca di soluzioni, ha fatto ricorso a patate schiacciate per creare un liquido improvvisato per lalimentazione tramite sonda. Nonostante l’inadeguatezza sul piano nutrizionale, il medico ha riferito: Ho finito per dire agli altri miei pazienti di procurarsi delle patate e di fare lo stesso”.

Il 26 gennaio la Corte Internazionale di Giustizia, in una causa intentata dal Sud Africa, ha ordinato misure provvisorie, tra cui la richiesta a Israele di adottare interventi immediati ed efficaci per consentire la fornitura di servizi essenziali e aiuti umanitari di urgente necessità” e altre azioni per conformarsi con la Convenzione sul Genocidio del 1948. Il 28 marzo la Corte ha evidenziato che Israele non aveva rispettato questordine e ha imposto una misura provvisoria più dettagliata che richiedeva al governo di garantire la fornitura senza ostacoli di servizi di base e di aiuti in piena collaborazione con l’ONU, rilevando che la carestia è alle porte.”

I governi dovrebbero imporre sanzioni mirate, compresi divieti di viaggio e congelamento dei beni, contro funzionari e individui responsabili della continua messa in atto di crimini di guerra rappresentati da punizione collettiva, ostruzione deliberata degli aiuti umanitari e riduzione di civili alla fame come arma di guerra.

Diversi Paesi hanno risposto alle restrizioni illegali del governo israeliano sullassistenza inviando aiuti aerei. Gli Stati Uniti si sono anche impegnati a costruire un porto marittimo temporaneo a Gaza. Tuttavia, organizzazioni umanitarie e funzionari dell’ONU hanno affermato che tali sforzi sono inadeguati per prevenire una carestia. Un altro tentativo di consegnare aiuti via mare è stato interrotto dopo un attacco israeliano contro gli operatori umanitari il 1° aprile.

Il 4 aprile, evidentemente in seguito alle pressioni del governo degli Stati Uniti, il governo israeliano ha approvato diverse misure per consentire l’ingresso a Gaza di una maggiore quantità di aiuti.

I governi indignati dal fatto che il governo israeliano affami i civili a Gaza non dovrebbero cercare soluzioni provvisorie a questa crisi umanitaria”, afferma Shakir. Lannuncio di Israele sull’incremento degli aiuti dimostra che la pressione esterna funziona. Gli alleati di Israele come Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania devono premere per una consegna di aiuti a pieno regime e sospendere immediatamente l’invio di armi”.

Fame a Gaza

Si stima che prima delle attuali ostilità 1,2 milioni degli allora 2,2 milioni di abitanti di Gaza si trovassero ad affrontare una grave insicurezza alimentare e oltre l80% dipendesse dagli aiuti umanitari. Israele mantiene il controllo generale su Gaza, compreso il movimento di persone e merci, le acque territoriali, lo spazio aereo, le infrastrutture su cui Gaza fa affidamento e il registro anagrafico. Ciò lascia la popolazione di Gaza, che Israele ha sottoposto a un blocco illegale per più di 16 anni, quasi interamente dipendente da Israele per laccesso a carburante, elettricità, medicine, cibo e altri beni essenziali.

Tuttavia, prima del 7 ottobre giungevano alla popolazione elevate quantità di aiuti umanitari. Prima di questa crisi a Gaza cera abbastanza cibo per nutrire la popolazione”, ha affermato il direttore generale dellOMS Tedros Adhanom Ghebreyesus. La malnutrizione era un evento raro. Ora le persone stanno morendo e molte altre sono malate”.

LOMS ha riferito che il numero di bambini sotto i 5 anni gravemente malnutriti è aumentato dallo 0,8% prima delle ostilità a Gaza al 12,4 e al 16,5% nel nord di Striscia. Il 3 aprile Oxfam ha affermato che da gennaio le persone nel nord di Gaza sono costrette a sopravvivere con una media di 245 calorie al giorno, meno di un barattolo di fave”.

Secondo unanalisi sulla vulnerabilità nutrizionale condotta a marzo dal Global Nutrition Cluster, una rete di organizzazioni umanitarie presieduta dallUNICEF, il 90% dei bambini di età compresa tra 6 e 23 mesi e delle donne incinte e che allattano in tutta Gaza hanno dovuto affrontare una grave insufficienza alimentare”, mangiando due o anche meno varietà di alimenti ogni giorno.

I bambini con patologie preesistenti sono particolarmente vulnerabili agli effetti devastanti della malnutrizione che indebolisce significativamente il sistema immunitario. E la fame, anche per i sopravvissuti, porta a danni persistenti, soprattutto nei bambini, causando arresto della crescita, problemi cognitivi e ritardi nello sviluppo.

L’8 marzo il Ministero della Sanità di Gaza ha annunciato che a Gaza circa 60.000 donne incinte soffrivano di malnutrizione, disidratazione e assistenza sanitaria inadeguata. Una cattiva alimentazione durante la gravidanza danneggia sia il bambino che la madre, aumentando il rischio di aborti spontanei, morte del feto, compromissione dello sviluppo del sistema immunitario, impatti sulla crescita e mortalità materna.

Anche gli anziani sono particolarmente a rischio di malnutrizione che aumenta la mortalità tra coloro che soffrono di malattie acute o croniche. HelpAge International ha riferito che anche prima di ottobre il 45% degli anziani di Gaza andava a letto affamato almeno una volta alla settimana e il 6% ogni notte.

Limpatto sulla popolazione di Gaza delluso della fame come arma di guerra da parte del governo israeliano è aggravato dal collasso quasi totale del sistema sanitario. Secondo l’Ufficio dell’ONU per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) dei 36 ospedali di Gaza solo 10 sono operativi, nessuno di essi pienamente, sia a causa dei ripetuti, chiaramente illegali, attacchi dell’esercito israeliano contro strutture, personale e trasporti sanitari, nonché delle severe restrizioni allingresso di carburante e altre scorte.

Notizie da Gaza

Il 19 marzo Andrea De Domenico, capo dell’OCHA nei territori palestinesi occupati, ha visitato l’ospedale Kamal Adwan, dove ha riferito che ogni giorno arrivano circa 15 bambini malnutriti a causa della carenza di cibo, acqua e servizi igienici adeguati. Ha descritto le terribili condizioni dell’ospedale, sottolineando i danni in alcune aree e la dipendenza da un unico generatore.

Alcuni dei casi su cui Human Rights Watch ha indagato:

    • Un uomo di Beit Lahia ha detto che il figlio neonato, Abdelaziz, è morto poche ore dopo che sua madre, gravemente denutrita, lo aveva partorito nellospedale Kamal Adwan il 24 febbraio. Ha mostrato a Human Rights Watch il certificato di morte, in cui si afferma che Abdelaziz è nato prematuro. Suo padre ha detto che il personale dell’ospedale ha collegato Abdelaziz a un respiratore perché aveva difficoltà a respirare, ma che dopo poche ore il respiratore ha smesso di funzionare, avendo l’ospedale esaurito il carburante necessario. “Abdelaziz è morto immediatamente”, ha detto. Ha espresso preoccupazione per sua moglie, che sopravviveva con legumi e cibo in scatola, ponendo l’accento sul loro continuo lottare per avere un’alimentazione adeguata.

    • Il padre di due gemelle appena nate ha detto che una delle sue bambine, Joud, è morta all’ospedale Kamal Adwan il 2 marzo, otto giorni dopo la sua nascita, in seguito a malnutrizione. Ha affermato che prima della nascita delle bambine ha fatto di tutto per sfamare la sua famiglia, ma che avevano da mangiare solo pane, senza carne o proteine. Ha detto che, dopo la nascita delle gemelle, sua moglie non aveva latte per allattare le bambine e che quello in vendita nei negozi scarseggiava. Ha descritto il peggioramento delle condizioni di Joud, dicendo che “i suoi arti sono diventati molto freddi e respirava molto lentamente”. Sua suocera ha accompagnato Joud all’ospedale, dove poi è morta. Il padre ha espresso preoccupazione per la salute della gemella sopravvissuta.

    • Fadi, un bambino di 6 anni del quartiere al-Nasser di Gaza City, è affetto da fibrosi cistica, una malattia genetica che provoca danni ai polmoni. La madre di Fadi ha detto che a causa del blocco israeliano ha avuto difficoltà a procurarsi le medicine necessarie e a fornirgli unalimentazione adeguata. A metà gennaio la salute di Fadi era peggiorata al punto che non poteva più camminare, costringendolo al ricovero in ospedale. Prima della guerra Fadi pesava 30 chili, ora ne pesa 12”, afferma. Fadi è stato dimesso dall’ospedale Kamal Adwan il 23 marzo ed è in cura presso un ospedale del Cairo, ha detto un parente il 28 marzo.

    • Wissam Hammad, lo zio di Muhammad, 5 anni, che soffre di paralisi cerebrale, è intollerante al lattosio e al glutine e può mangiare solo cibi frullati, ha avuto grandi difficoltà a procurargli il cibo:

La maggior parte del suo cibo dovrebbe essere frutta e verdura, che è ciò che cerco di comprare. Ma tutto quello che riesco a trovare e permettermi sono le arance. Il problema è che non può masticare, quindi dobbiamo spappolargli il cibo. È tutto molto costoso.

    • Il dottor Ahmed Shahin, un pediatra, ha detto che prima di poter lasciare Gaza il 16 novembre, Osman, suo figlio di 14 anni affetto da paralisi cerebrale, che ha una gastrostomia e utilizza una sonda per l’alimentazione, aveva perso dall’inizio delle ostilità sette chili perché non avevano accesso né al cibo specifico di cui aveva bisogno, come le verdure, né all’elettricità per frullare gli alimenti.

Ostacoli alla fornitura degli aiuti

I continui bombardamenti e le operazioni di terra israeliane, la mancanza di garanzie di sicurezza da parte di Israele, i diffusi danni alle infrastrutture e le interruzioni delle comunicazioni rendono difficile la distribuzione dei pochi aiuti che arrivano a Gaza. Le organizzazioni umanitarie hanno riferito che le forze israeliane hanno attaccato i loro convogli umanitari e i loro operatori. Le forze israeliane hanno anche sparato e bombardato persone che si radunavano per la raccolta degli aiuti, uccidendone e ferendone centinaia.

Il 18 marzo un portavoce del governo israeliano ha dichiarato che gli aiuti che entrano a Gaza non incontrano nessun ostacolo a parte le preoccupazioni per la sicurezza. Altri funzionari hanno incolpato l’ONU per i ritardi nella distribuzione e hanno accusato Hamas di dirottare gli aiuti o la polizia di Gaza di non aver messo in sicurezza i convogli. Il 29 marzo lorganismo del Ministero della Difesa israeliano che governa gli affari civili nei territori palestinesi, il COGAT, ha contestato il rapporto umanitario del 18 marzo emesso dalle Nazioni Unite, che metteva in guardia sull’imminenza di una carestia, e ha affermato che non riflette la situazione nel suo insieme”. Il COGAT ha negato che il governo israeliano stesse intenzionalmente affamando la popolazione civile di Gaza. Il 2 aprile Human Rights Watch ha scritto al COGAT chiedendo commenti sui nostri riscontri, ma al momento della pubblicazione non ha ancora ricevuto risposta.

Tuttavia, l8 aprile lOCHA ha riferito che a marzo solo una delle quattro spedizioni di aiuti alimentari a Gaza che richiedevano un coordinamento è stata appoggiata dalle autorità israeliane. Dal primo gennaio sono arrivate al nord solo nove spedizioni di aiuti del Programma Alimentare Mondiale, l’ultima delle quali, composta da 18 camion, il 17 marzo. Il Programma Alimentare Mondiale ha affermato che sono necessari almeno 300 camion ogni giorno solo per il nord.

Gli Stati Uniti sono ricorsi al lancio di cibo a Gaza e progettano di costruire un molo galleggiante in mare per fornire aiuti, una proposta criticata da 26 organizzazioni non governative, tra cui Human Rights Watch, in quanto rischiosa, costosa e inefficace”. Il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite Jamie McGoldrick ha sottolineato che il trasporto su strada è lunica soluzione praticabile per aumentare il flusso di aiuti.

Le restrizioni sulla distribuzione degli aiuti rendono particolarmente difficile laccesso al cibo per le persone che necessitano di una dieta specifica. Diversi rappresentanti di organizzazioni umanitarie hanno affermato di non essere stati in grado di fornire alimentazione ai bambini che seguono diete speciali o di raggiungerli. Un membro dello staff del Palestine Childrens Relief Fund ha affermato che erano in grado di fornire solo latte artificiale e non potevano rispondere ai bisogni dei bambini con esigenze dietetiche specifiche. Medical Aid for Palestine ha affermato che gli alimenti speciali che avevano in deposito si sono esauriti rapidamente e da allora non sono stati in grado di trovare e fornire a coloro che ne avevano bisogno alimenti speciali.

Gli aiuti stentano ad arrivare: un quarto della popolazione è a rischio carestia. In queste circostanze le persone con disabilità e quelle vulnerabili soffrono di più. Nell’ambito nutrizionale è difficile sostenere le persone che necessitano di una dieta specifica e di assistenza medica.

Il 1° aprile 2024, a seguito di un attacco aereo israeliano nel centro di Gaza che ha colpito tre veicoli con il contrassegno dellorganizzazione alimentare internazionale World Central Kitchen e ha ucciso sette operatori umanitari provenienti da diversi Paesi, Cipro ha annunciato che le navi che trasportavano circa 240 tonnellate di aiuti per Gaza sarebbero tornate indietro. Alla luce dell’attacco World Central Kitchen, Project Hope e ANERA, tutti fornitori di aiuti alimentari, hanno sospeso le loro operazioni a Gaza, e gli Emirati Arabi Uniti hanno sospeso il loro coinvolgimento nel fornire aiuti attraverso un corridoio marittimo.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)

 




Voci dalla Cisgiordania occupata: “Continuerò a parlare con amore”

Dylan Hollingsworth

30 gennaio 2024 al Jazeera

Cisgiordania occupata – Proseguendo le conversazioni di Al Jazeera con persone della Cisgiordania occupata, su come considerino le infinite tragiche notizie dalla Striscia di Gaza assediata e bombardata, e sulle circostanze del tentare di rifarsi una vita come palestinese sotto occupazione, ecco quattro storie di palestinesi:

Un giovane cristiano sconcertato per come il messaggio di pace e di perdono nato con Cristo in Palestina possa essere dimenticato così barbaramente.

Un difensore dei diritti umani il cui lavoro di una vita è stato di proteggere il popolo palestinese dalla negazione dei suoi diritti.

Un padre che si sveglia ogni giorno nell’angoscia perché ha il terrore che uno dei suoi figli a Gaza sia stato ucciso durante la notte.

E una madre il cui figlio ha compiuto il sacrificio estremo della sua giovane vita perché ha intrapreso l’unica strada che gli è sembrata possibile per combattere contro l’ingiustizia.

Nota: le interviste sono state modificate per motivi di lunghezza e chiarezza.

Abu Ghazaleh, cristiano palestinese, Ramallah

Siamo palestinesi.

Siamo rimasti qui nel corso della storia, musulmani, ebrei o cristiani… la [nostra] prima identità è palestinese.

E anche se sono cristiano palestinese… questo non mi pone fuori dall’ambito del conflitto palestinese. Non consideriamo la religione come la forza trainante o il motivo per difendere la mia terra o rivendicare i miei diritti.

Per me la religione è un modo per contattare Dio, mentre il mio diritto di esistere su questa terra è un mio diritto come palestinese, indipendentemente dalla mia religione.

Questa è la terra di Gesù, la terra dove Cristo ha predicato, dove Gesù è venuto e da qui il cristianesimo si è diffuso nel mondo.

Se vogliamo parlarne dal punto di vista religioso noi cristiani siamo più legati a questa terra di chiunque altro, musulmani o ebrei.

Ma non facciamo distinzioni in base alla religione, piuttosto se si crede nel diritto di vivere in libertà, pace e felicità.

“Le due cose che amo di più nella Bibbia sono: ‘Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono.’ Dio dice che anche se il tuo nemico ti augura la morte e ti odia, devi amarlo perché attraverso l’amore gli insegnerai la strada giusta.

‘Ma con la violenza non gli insegnerai la retta via. Se tu uccidi e lui uccide, le uccisioni continueranno. Se ami, l’amore crescerà.’

Questa frase… è magnifica. Significa che ami qualcuno che ti augura la morte e molte cose orribili.

Non importano le nostre divergenze con gli israeliani, continuerò a parlar loro con amore, affetto e pace.

Ma questo non significa che se un israeliano mi uccide io rimango in silenzio. Se mi uccide l’accuserò, ma il mio obiettivo principale non sarà toglierlo di mezzo, ucciderlo o eliminarlo, come fa lui con me”.

Shawan, direttore generale di Al-Haq [ONG palestinese indipendente per i diritti umani fondata nel 1979, ndt.], Ramallah

“I funzionari americani, l’amministrazione, posso dire che stanno aiutando e sono complici dei crimini di guerra che avvengono in Palestina. Siamo uccisi dalle armi americane.

Noi veniamo uccisi e gli israeliani godono dell’impunità, perché gli americani usano il veto per non ritenere responsabile Israele della sua prolungata occupazione e delle atrocità che accadono quotidianamente contro i palestinesi.

Come l’uccisione di palestinesi. Come espandere qui gli insediamenti o le colonie. Come la confisca delle terre. Come le demolizioni di case. Come il saccheggio delle nostre risorse naturali… come l’acqua, i minerali, la terra, tutto. Gli israeliani non ci hanno lasciato nulla.

Ora molti delle giovani generazioni americane sono più consapevoli della situazione rispetto a prima. E per questo motivo credo che dagli Stati Uniti venga una speranza, nonostante questa orribile situazione.

Ma il nostro caso non è iniziato il 7 ottobre. Il nostro caso ha ormai 75 anni.

Metà della nostra gente è rifugiata in tutto il mondo. L’80% della popolazione della Striscia di Gaza. Gaza misura 360 km quadrati. Si tratta di 2,3 milioni di persone in un luogo molto piccolo e densamente popolato.

E comunque gli israeliani attaccano e uccidono i civili. E l’hanno dichiarato fin dall’inizio, hanno detto: ‘Sono animali umani’, proprio per disumanizzare da subito i palestinesi.

“E hanno detto: ‘Taglieremo l’acqua’, e lo hanno fatto. ‘Taglieremo l’assistenza umanitaria’, e lo hanno fatto.

Che cosa possono ottenere gli israeliani se non seminare sempre più odio nelle menti del popolo palestinese? Questo non porterà la pace. Ciò che porterà la pace è se godiamo del nostro diritto fondamentale all’autodeterminazione.

Questo è il vostro risultato, il risultato americano. Ma sei il principale sostenitore di Israele e non dici al tuo amico: “Ehi, ragazzi, questo non va bene e non è giusto”. Perché se sei un vero amico devi dire ai tuoi amici di evitare di commettere atti illeciti. L’America, in questo momento, non lo sta facendo”.

Raed, palestinese di Gaza con permesso di lavoro israeliano, Ramallah

“Questa guerra non è né la prima né l’ultima per me.

Ho perso metà della mia famiglia nella guerra del 2014 in al-Wehda Street, vicino all’ospedale al-Shifa, quando più di 100 persone furono uccise in una sola zona.

Bambini innocenti sono stati presi di mira dagli aerei israeliani. Sostenevano che ci fossero dei tunnel sotto le case. Mia madre era lì, la moglie di mio fratello e i figli di mio fratello sono stati uccisi.

Ogni corpo che ho recuperato era mutilato, ognuno peggio del precedente. Alcuni erano stati decapitati…

“Soffriamo moltissimo, non riusciamo a dormire e siamo perseguitati dagli incubi. I miei figli soffrono e la maggior parte delle volte preferisco spegnere il telefono per evitare di parlare con loro.

«Dicono: ‘Papà, eri qui con noi prima del 7 ottobre’. Ma io non posso, sento morire i miei figli e non posso fare niente per loro.

Questa non è solo la mia sofferenza, ma quella di tutti i giovani qui. Capita di perdere un amico carissimo una volta in 20 o 30 anni, ma qui ogni giorno perdi le persone più care.

E non siamo responsabili di questa guerra. Siamo lavoratori rispettabili e i nostri figli sono innocenti. Non hanno niente a che fare con questa faccenda. Israele prende di mira coloro che sono coinvolti e coloro che non lo sono. Cerca vendetta sui bambini.

“Perché? O è per annientarci una volta per tutte oppure per non permetterci di piangere gli uni per gli altri. È difficile, come padre, svegliarsi e guardare il telefono per controllare come sta tuo figlio solo per scoprire che è morto, o sapere che tua moglie o tuo fratello sono morti.

Dammi un motivo per cui uno qualsiasi dei nostri figli debba essere coinvolto in questo atto barbarico.

Sono d’accordo, Hamas ha ucciso centinaia di persone il 7 ottobre, ma non puoi annientare un’intera nazione… stanno distruggendo l’intero Paese”.

Amal, madre in lutto e casalinga, Dair Jarir

“Qais era di buon cuore ed era molto colpito dalle cose che accadevano intorno a lui.

Tutti i giovani qui, quando hanno visto cosa stava succedendo ad Al-Aqsa… quelle madri e quelle donne trascinate dagli israeliani, gli si è spezzato il cuore e si sono sentiti impotenti.

Quando sono comparse a Nablus la Fossa dei Leoni e a Jenin le Brigate Jenin, i giovani hanno cominciato a credere di avere uno spazio per agire.

Certo, non ne sapevamo nulla, non ne avevamo idea. Ci raccontava che era con i suoi amici. Non sapevamo che avrebbe fatto quello che ha fatto.

Non poteva sopportare di vedere i giovani martirizzati a Jenin, Nablus, e gli assalti ad Al-Aqsa sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso… riposi in Dio la sua anima. Non abbiamo ancora ricevuto il suo corpo.

Qais ha portato la vita nella nostra casa, lui e suo fratello. Ci prendeva in giro e qualche volta era testardo, ma la nostra casa era piena di vita.

Adesso siamo come zombi, non c’è più vita in casa nostra. Se avessimo avuto il suo corpo fin da subito e lo avessimo seppellito sarebbe più facile.

Non penso ad altro che a come è Qais, che aspetto ha, cosa hanno prelevato dal suo corpo e cosa gli hanno lasciato.

A volte mio marito viene e mi trova congelata, con il corpo così freddo anche se fa caldo e mi copre con delle coperte. Ma non riesco a scaldarmi. Dico: ‘Qais è gelato’.

So, e nella nostra religione tutti sappiamo, che l’anima è con Dio, ma… non lo so. Le madri non vogliono mai seppellire i propri figli, ma in questa situazione preferiremmo poterli seppellire.

Quando sarà sepolto, potrò recitare il Corano per lui, visitare la sua tomba e piangere accanto ad essa.

Vogliono torturare le famiglie detenendo i corpi dei martiri… una punizione collettiva per le famiglie”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Israele: la fame utilizzata come arma di guerra a Gaza

Rapporto HRW

18 dicembre 2023 – Human Rights Watch

Ci sono prove che ai civili è deliberatamente negato l’accesso a cibo e acqua.

  • Nella Striscia di Gaza il governo israeliano sta utilizzando la fame dei civili come metodo di guerra, il che costituisce un crimine di guerra.

  • Governanti israeliani hanno fatto dichiarazioni pubbliche, che si riflettono nelle operazioni militari delle forze israeliane, in cui hanno manifestato la loro intenzione di privare i civili di Gaza di cibo, acqua e carburante.

  • Il governo israeliano dovrebbe smettere di attaccare beni necessari alla sopravvivenza della popolazione civile, togliere il blocco della Striscia di Gaza e riattivare [le forniture di] elettricità e acqua.

(Gerusalemme) – Oggi Human Rights Watch ha affermato che nella Striscia di Gaza occupata il governo israeliano sta affamando i civili come metodo di guerra. Le forze israeliane stanno deliberatamente bloccando l’erogazione di acqua, cibo e carburante impedendo nel contempo deliberatamente l’assistenza umanitaria, distruggendo chiaramente zone coltivate e privando la popolazione civile di beni indispensabili alla sopravvivenza.

Da quando combattenti di Hamas hanno attaccato Israele il 7 ottobre 2023 importanti dirigenti israeliani, tra cui il ministro della Difesa Yoav Gallant, il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben.Gvir e quello dell’Energia Israel Katz, hanno fatto dichiarazioni pubbliche che si riflettono nelle operazioni militari delle forze israeliane, manifestando l’intenzione di privare i civili di Gaza di cibo, acqua e carburante. Altri politici israeliani hanno pubblicamente affermato che l’aiuto umanitario a Gaza sarebbe stato condizionato o al rilascio degli ostaggi illegalmente detenuti da Hamas o alla distruzione di Hamas.

Per oltre due mesi Israele ha privato la popolazione di Gaza di cibo ed acqua, una politica incoraggiata o appoggiata da governanti israeliani di alto livello e che riflette l’intenzione di affamare i civili come metodo di guerra,” ha affermato Omar Shakir, direttore per Israele e la Palestina di Human Rights Watch. “I leader mondiali dovrebbero esprimersi contro questo abominevole crimine di guerra, che ha effetti devastanti sulla popolazione di Gaza.”

Human Rights Watch ha intervistato 11 profughi palestinesi di Gaza tra il 24 novembre e il 4 dicembre. Essi hanno descritto le loro gravissime difficoltà per garantirsi le necessità fondamentali. “Non abbiamo cibo, elettricità, internet, assolutamente niente,” ha detto un uomo che ha lasciato il nord di Gaza. “Non sappiamo come siamo riusciti a sopravvivere.”

Nel sud di Gaza gli intervistati hanno descritto la scarsità di acqua potabile, la mancanza di cibo che ha portato a negozi vuoti, lunghe code e prezzi esorbitanti. “Sei alla costante ricerca delle cose necessarie per sopravvivere,” ha detto il padre di due figli. Il 6 dicembre il Programma Alimentare Mondiale dell’ONU (WFP) ha informato che 9 su 10 nuclei familiari nel nord di Gaza e 2 su 3 nella parte meridionale di Gaza avevano passato almeno un giorno e una notte di seguito senza cibo.

Il diritto umanitario internazionale e la legislazione di guerra vietano di affamare i civili come metodo di guerra. Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale prevede che affamare intenzionalmente civili “privandoli di beni indispensabili alla loro sopravvivenza, compreso l’impedimento intenzionale ai soccorsi” è un crimine di guerra. L’intenzione criminale non richiede l’ammissione da parte dell’aggressore, ma può anche essere dedotta dal complesso delle circostanze della campagna militare.

Inoltre il continuo blocco israeliano di Gaza, così come i più di 16 anni di assedio, rappresentano una punizione collettiva della popolazione civile, un crimine di guerra. In base alla Quarta Convenzione di Ginevra, come potenza occupante a Gaza Israele ha il dovere di garantire che la popolazione civile disponga di cibo e medicinali.

Il 17 novembre il WFP ha avvertito dell’“immediata possibilità” di carestia, evidenziando che l’approvvigionamento di cibo ed acqua era in pratica inesistente. Il 3 dicembre ha informato di un “grave rischio di carestia”, segnalando che il sistema alimentare di Gaza era sull’orlo del collasso. E il 6 dicembre ha dichiarato che il 48% dei nuclei famigliari nel nord di Gaza e il 38% delle persone sfollate nel sud aveva registrato “gravissimi livelli di carenza di cibo”.

Il 3 novembre il Consiglio Norvegese per i Rifugiati ha annunciato che Gaza era alle prese con “catastrofiche carenze di acqua, sanità e igiene.” Strutture per la sanificazione e desalinizzazione hanno chiuso le attività a metà ottobre a causa della mancanza di carburante ed elettricità, e secondo l’Autorità Palestinese per le Acque da allora sono rimaste inattive. Secondo l’ONU anche prima del 7 ottobre Gaza non aveva praticamente acqua potabile.

Prima dell’attuale conflitto si stimava che 1.2 milioni dei 2.2 milioni di abitanti di Gaza stessero affrontando una grave insicurezza alimentare, e oltre l’80% dipendeva dall’aiuto umanitario.

Israele mantiene un controllo complessivo su Gaza, anche sul movimento di persone e beni, sulle acque, sullo spazio aereo e sulle infrastrutture del territorio da cui Gaza dipende, così come sull’anagrafe. Ciò lascia la popolazione di Gaza, che Israele ha sottoposto per 16 anni a un blocco illegale, praticamente del tutto dipendente da Israele per l’accesso al carburante, all’elettricità, alle medicine, al cibo e a altre risorse essenziali.

Dopo l’imposizione di un “blocco totale” a Gaza il 9 ottobre, le autorità israeliane il 15 ottobre hanno ripristinato l’approvvigionamento idrico a zone del sud di Gaza e, il 21 ottobre hanno consentito l’arrivo di un ridotto aiuto umanitario attraverso il valico di Rafah con l’Egitto. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu il 18 ottobre ha detto che Israele non avrebbe consentito assistenza sanitaria “in forma di cibo e medicinali” a Gaza attraverso i suoi valichi “finché i nostri ostaggi non saranno riconsegnati.”

Il governo ha continuato a bloccare l’ingresso di carburante fino al 15 novembre, nonostante avvertimenti riguardo alle gravi conseguenze di ciò, che hanno portato alla chiusura di forni per il pane, ospedali, stazioni di pompaggio delle acque reflue, impianti di desalinizzazione e pozzi. Queste strutture, che sono state rese inutilizzabili, sono indispensabili per la sopravvivenza della popolazione civile. Benché in seguito sia stato consentito l’ingresso di limitate quantità di carburante, il 4 dicembre la Coordinatrice Umanitaria per i Territori Palestinesi Occupati dell’ONU Lynn Hastings le ha definite “assolutamente insufficienti”. Il 6 dicembre il gabinetto di guerra di Israele ha approvato un “minimo” incremento nelle forniture di carburante al sud di Gaza.

Il primo dicembre, immediatamente dopo il cessate il fuoco di sette giorni, l’esercito israeliano ha ripreso i bombardamenti contro Gaza ed ha esteso la sua offensiva di terra, affermando che le sue operazioni militari nel sud avrebbero comportato “altrettanta forza” che nel nord. Mentre politici degli Stati Uniti hanno affermato di aver sollecitato Israele a consentire l’ingresso a Gaza di carburante e aiuto umanitario allo stesso livello di quanto visto durante il cessate il fuoco, il Coordinatore delle Attività Governative del Ministero dell’Interno [israeliano] nei territori il primo dicembre ha affermato di aver bloccato ogni ingresso di aiuti. Il 2 dicembre la consegna di aiuti limitati è ripresa, ma sempre a livelli molto insufficienti, secondo l’ufficio per il coordinamento degli Affari Umanitari dell’ONU (OCHA).

Insieme al devastante blocco, gli estesi bombardamenti dell’esercito israeliano sulla Striscia hanno comportato vasti danni o distruzioni di beni necessari alla sopravvivenza della popolazione civile.

Il 16 novembre esperti dell’ONU hanno affermato che i gravi danni “minacciano di rendere impossibile la continuazione della vita dei palestinesi a Gaza”. Significativamente, come ha evidenziato l’OCHA, il bombardamento da parte delle forze israeliane il 15 novembre dell’ultimo mulino per cereali in funzione a Gaza ha fatto sì che nel prossimo futuro a Gaza non sarà reperibile la farina prodotta in loco. Inoltre l’ufficio dell’ONU per i Servizi di Progettazione (UNOPS) ha affermato che la distruzione della rete viaria ha reso ancora più difficile alle organizzazioni umanitarie distribuire aiuti a quanti ne hanno bisogno.

Forni per la panificazione e mulini, l’agricoltura e le strutture idriche e di depurazione sono stati distrutti, “ ha detto il 23 novembre alla Associated Press Scott Paul, un importante consigliere per le politiche umanitarie di Oxfam America.

Le azioni militari israeliane a Gaza hanno avuto un effetto devastante anche sul settore agricolo. Secondo Oxfam i massicci bombardamenti, accompagnati dalla carenza di combustibile e acqua, insieme all’espulsione di oltre 1.6 milioni di persone verso il sud di Gaza, hanno reso praticamente impossibili le attività agricole. In un rapporto del 28 novembre l’OCHA ha affermato che nel nord il bestiame sta morendo di fame a causa della mancanza di foraggio e acqua, e che i campi sono sempre più abbandonati e danneggiati per la mancanza di carburante per pompare acqua per l’irrigazione. I problemi esistenti, come la scarsità di acqua e l’accesso ridotto alla coltivazione della terra nei pressi della barriera di confine, hanno aggravato le difficoltà che gli agricoltori locali, molti dei quali sono stati sfollati, dovevano già affrontare. Il 28 novembre l’Ufficio Centrale di Statistica palestinese ha affermato che Gaza sta soffrendo una perdita nella produzione agricola di almeno 1.6 milioni di dollari al giorno.

Il 28 novembre il Settore della Sicurezza Alimentare Palestinese, guidato dal WFP e dalla FAO, hanno informato che oltre un terzo dei terreni agricoli nel nord [di Gaza] è stato danneggiato dalle ostilità. Immagini satellitari esaminate da Human Rights Watch indicano che dall’inizio dell’offensiva di terra israeliana il 27 ottobre terreni agricoli, compresi orti, serre e coltivazioni nel nord di Gaza sono stati distrutti, a quanto pare dalle forze israeliane.

Il governo israeliano dovrebbe smettere immediatamente di affamare i civili come metodo di guerra, afferma Human Rights Watch. Dovrebbe attenersi al divieto di attacchi contro beni necessari alla sopravvivenza della popolazione civile e togliere il blocco della Striscia di Gaza. Il governo dovrebbe ripristinare l’accesso all’acqua e all’elettricità e consentire l’ingresso di cibo, medicinali e carburante disperatamente necessari a Gaza, anche attraverso il valico di Kerem Shalom.

I governi coinvolti dovrebbero chiedere a Israele di porre fine a queste violazioni. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Canada, la Germania e altri Paesi dovrebbero anche sospendere l’assistenza militare e la vendita di armamenti a Israele finché le sue forze continueranno a commettere impunemente gravi e massicce violazioni che rappresentano crimini di guerra contro i civili.

Con l’uso crudele della mancanza di cibo come arma di guerra il governo israeliano sta aggravando la punizione collettiva dei civili palestinesi e il blocco degli aiuti umanitari,” ha affermato Shakir. “La crescente catastrofe umanitaria a Gaza richiede una risposta urgente e concreta da parte della comunità internazionale.”

Il contesto

Gli attacchi guidati da Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre hanno ucciso almeno 1.200 israeliani e cittadini di altri Paesi, e più di 200 persone sono state prese in ostaggio, azioni che rappresentano crimini di guerra. Il bombardamento e l’offensiva di terra di Israele che ne sono derivati hanno provocato, secondo le autorità di Gaza, più di 18.700 palestinesi uccisi, tra cui più di 7.700 minorenni.

L’OCHA ha informato che al 10 dicembre il bombardamento della Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano ha distrutto più di metà delle infrastrutture civili, comprese più di 50.000 unità abitative, come affermato dal ministero dei Lavori Pubblici e dell’Edilizia a Gaza, così come ospedali, scuole, moschee, panetterie, reti idriche, fognarie ed elettriche. Secondo l’OCHA nella Striscia di Gaza solo il 4 e 5 novembre sette strutture idriche, tra cui serbatoi d’acqua a Gaza City, nel campo profughi di Jabalia e a Rafah, sono state direttamente colpite ed hanno subito gravissimi danni.

I ripetuti e palesemente illegali attacchi dell’esercito israeliano contro strutture, personale e trasporti sanitari hanno ulteriormente distrutto il settore medico-sanitario di Gaza, colpendo quindi la possibilità per la popolazione di accedere a cure salvavita, compresa la prevenzione di malattie, deperimento e morte legati alla malnutrizione, esacerbando le terribili conseguenze della mancanza di cibo. “Se non riusciamo a rimettere in piedi questo sistema sanitario vedremo più persone morire di malattie che per i bombardamenti,” ha affermato il 28 novembre Margareth Harris, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Conseguenze sul piano umanitario

Il 13 ottobre le autorità israeliane hanno emanato un ordine impossibile da rispettare di evacuazione dal nord di Gaza entro 24 ore a più di un milione di persone. Da allora, e mentre le condizioni nel nord peggioravano, centinaia di migliaia di persone sono state sfollate nei governatorati di Rafah e Khan Younis nel sud, dove è diventato sempre più difficile garantire i mezzi di sopravvivenza. In base alle leggi umanitarie internazionali l’evacuazione deve essere attuata in condizioni che garantiscano che gli sfollati abbiano accesso senza impedimenti all’aiuto umanitario, compresi cibo e lavoro sufficienti. In caso contrario ciò rappresenta un’espulsione forzata.

Le conseguenze umanitarie delle azioni militari di Israele a Gaza sono state molto gravi. Durante le prime otto settimane di ostilità il nord di Gaza è stato il centro dell’intensa offensiva di terra e aria dell’esercito israeliano. Salvo che durante il cessate il fuoco di sette giorni iniziato il 24 novembre, durante il quale convogli dell’ONU hanno portato ridotte quantità di farina e gallette ad alto contenuto energetico, l’arrivo degli aiuti al nord è stato in gran parte interrotto. Secondo l’OCHA tra il 7 novembre e almeno fino al 15 novembre nessuna dei forni per il pane del nord era in funzione a causa della mancanza di carburante, acqua, farina di frumento e per danni strutturali.

Secondo il WFP a Gaza c’è un grave rischio di carenza di cibo e di carestia. Funzionari dell’ONU hanno affermato che 1.9 milioni di persone, oltre l’85% della popolazione di Gaza, sono sfollati interni, aggiungendo che in una zona meridionale sempre più ridotta nella Striscia di Gaza le condizioni potrebbe diventare “persino più infernali”.

Il 5 dicembre il capo dei servizi umanitari dell’ONU Martin Griffiths ha affermato che la campagna dell’esercito israeliano nel sud di Gaza ha portato a condizioni “apocalittiche”, rendendo impossibili significativi interventi umanitari.

Il 6 dicembre l’unico impianto di desalinizzazione nel nord di Gaza ha smesso di funzionare e l’acquedotto che fornisce acqua al nord da Israele è rimasto chiuso, accentuando i rischi di disidratazione e di malattie trasmesse dall’acqua derivanti dal consumo di acqua da sorgenti non sicure. Il 14 dicembre gli ospedali sono stati particolarmente colpiti, con solo un ospedale su 24 nel nord di Gaza in funzione e in grado di accettare nuovi pazienti, anche se fornendo servizi limitati.

Dall’11 ottobre in tutta Gaza la crisi umanitaria si è aggravata con una persistente interruzione della corrente elettrica, così come con una serie di blocchi delle comunicazioni che ha impedito alle persone l’accesso ad affidabili informazioni sulla sicurezza, sui servizi medici d’urgenza e ha ostacolato gravemente le operazioni umanitarie. Il 18 novembre l’OCHA ha affermato che l’interruzione delle telecomunicazioni tra il 16 e il 18 novembre, il quarto dal 7 ottobre, “ha portato a un quasi totale blocco della già problematica distribuzione di assistenza umanitaria, compresa l’assistenza salvavita a persone ferite o intrappolate sotto le macerie in conseguenza degli attacchi aerei e degli scontri”. Il 14 dicembre c’è stato un’altra interruzione delle telecomunicazioni. “

Immagini satellitari visionate da Huma Rights Watch indicano che fin dall’inizio dell’offensiva di terra dell’esercito israeliano il 27 ottobre orti, serre e terreni coltivati sono stati distrutti, a quanto pare dalle forze israeliane, aggravando le preoccupazioni per la gravissima insicurezza alimentare e la perdita di mezzi di sussistenza. Immagini satellitari indicano che la distruzione di terreni agricoli è continuata nel nord di Gaza durante il cessate il fuoco di sette giorni iniziato il 24 novembre e terminato il 1 dicembre, quando l’esercito israeliano aveva il controllo diretto della zona.

Mentre durante il cessate il fuoco di 7 giorni terminato il primo dicembre per la prima volta dal 7 ottobre il governo israeliano ha consentito l’ingresso nella Striscia di Gaza di un continuo e leggermente maggiore afflusso di aiuti umanitari, compreso gas da cucina, aveva in precedenza deliberatamente impedito l’ingresso di generi di soccorso nelle quantità necessarie per oltre un mese, imponendo un assedio che ha colpito tutta la popolazione civile. Ciò ha contribuito a una situazione umanitaria catastrofica con conseguenze di vasta portata, con oltre l’80% della popolazione sfollata internamente, molta della quale ospitata in condizioni di sovraffollamento, malsane e insalubri nei rifugi dell’ONU nel sud. Gli aiuti che sono entrati durante il cessate il fuoco “sono stati a malapena percepiti rispetto alle enormi necessità di 1.7 milioni di sfollati,” ha detto il 27 novembre il portavoce dell’ONU Stephane Dujarric.

Durante il cessate il fuoco sono entrati a Gaza circa 200 camion al giorno, comprese quattro cisterne che trasportavano 130.000 litri di carburante e quattro di gas da cucina. In confronto prima del conflitto entrava a Gaza ogni giorno una media di 500 camion di cibo e prodotti e 600.000 litri di carburante al giorno, necessari solo per far funzionare gli impianti per l’acqua e la desalinizzazione. Come sono ripresi i bombardamenti e le forze israeliane sono avanzate verso sud, l’accesso agli aiuti è stato di nuovo seriamente ostacolato. Il 5 dicembre per il terzo giorno consecutivo l’OCHA ha informato che a Gaza solo il governatorato di Rafah aveva ricevuto una ridotta distribuzione di aiuti. Ha affermato che nel vicino governatorato di Khan Younis la distribuzione di aiuti è stata largamente interrotta a causa dell’intensità degli scontri.

Testimonianze di civili a Gaza

Human Rights Watch ha parlato con 11 civili sfollati dal nord di Gaza verso la presunta sicurezza nel sud a causa dei pesanti bombardamenti, del timore di imminenti attacchi aerei o perché Israele ha ordinato loro di andarsene. Molti affermano di essersi spostati varie volte prima di arrivare a sud, mentre lungo il loro viaggio hanno lottato per trovare un rifugio adeguato e sicuro. Nel sud hanno trovato rifugi sovraffollati, mercati vuoti, prezzi alle stelle e lunghe file per ridotte quantità di pane e acqua potabile. Per proteggere la loro identità in tutte le interviste Human Rights Watch utilizza pseudonimi.

Devo camminare per tre chilometri per avere 4 litri (di acqua)” dice il trentenne Marwan, scappato il 9 novembre a sud con la moglie incinta e due figli. “E non c’è cibo. Se lo trovassimo, sarebbe in scatola. Nessuno di noi sta mangiando bene.”

Quello che abbiamo è tutto troppo poco,” dice Hana, 36 anni, scappata dalla sua casa nel nord a Khan Younis, nel sud con suo padre, la moglie di lui e suo fratello l’11 ottobre. Dice che nel sud non sempre hanno accesso ad acqua potabile e sono obbligati a bere acqua non potabile e salata.

Lavarsi è diventato un lusso, afferma, a causa della mancanza di mezzi per scaldare l’acqua, per cui devono andare a cercare della legna. Nelle situazioni disperate, dice, finiscono persino col bruciare vecchi vestiti per cucinare. Il processo di preparazione del pane presenta delle difficoltà a causa della scarsità di ingredienti che non possono permettersi. “Facciamo del pane cattivo perché non abbiamo tutti gli ingredienti e non possiamo comprarli,” afferma.

Majed, 34 anni, scappato a sud con la moglie e quattro figli sopravvissuti verso il 10 di novembre dice che, mentre la situazione nel sud è disastrosa, è incomparabile con quello che lui e la sua famiglia hanno dovuto sopportare nel nord. Sono stati in una zona nei pressi dell’ospedale al-Shifa a Gaza City per oltre un mese dopo che il 13 ottobre la loro casa era stata bombardata uccidendo il figlio di sei anni di Majed:

In quei 33 giorni non abbiamo mangiato pane perché non c’era farina,” afferma. “Non c’era acqua, a volte compravamo acqua per 10 (dollari) a tazza. Non sempre era potabile. A volte (l’acqua che abbiamo bevuto) era del bagno e altre del mare. I mercati della zona erano vuoti. Non c’era neppure cibo in scatola.”

Taher, 32 anni, scappato con la sua famiglia l’11 novembre, descrive condizioni simili a Gaza City nelle prime settimane di novembre: “La città era priva di ogni cosa, di cibo e acqua,” dice. “Se trovavi cibo in scatola i prezzi erano altissimi. Abbiamo deciso di mangiare solo una volta al giorno per sopravvivere. Abbiamo finito i soldi. Abbiamo deciso di avere solo l’indispensabile, di avere meno di tutto.”

Standard internazionali e le prove di azioni deliberate

Affamare i civili come metodo di guerra è vietato in base all’articolo 54 (1) del Primo Protocollo Aggiuntivo della Convenzione di Ginevra (Protocollo I) e dell’articolo 14 del Secondo Protocollo Aggiuntivo della Convenzione di Ginevra (Protocollo II). Benché Israele non abbia aderito ai protocolli I e II, il divieto viene riconosciuto come riflesso del diritto umanitario consuetudinario internazionale sia in conflitti internazionali che non internazionali. Le parti di un conflitto non devono “provocare deliberatamente (una carestia)” o provocare deliberatamente “il fatto che la popolazione soffra la fame, in particolare privandola delle fonti o dei rifornimenti di cibo.”

Alle parti in guerra è vietato anche attaccare i beni indispensabili per la sopravvivenza della popolazione civile, come cibo e medicinali, zone agricole e impianti dell’acqua potabile. Sono obbligate a fornire assistenza umanitaria rapida e senza restrizioni a tutti i civili in stato di necessità e a non bloccare deliberatamente gli aiuti umanitari o limitare la libertà di movimento del personale dell’assistenza umanitaria. In ognuna delle precedenti quattro guerre a Gaza dal 2008 Israele ha garantito il flusso di acqua potabile ed elettricità a Gaza ed ha aperto i valichi israeliani per la distribuzione di aiuti umanitari.

Le prove dell’intenzione di utilizzare deliberatamente la mancanza di cibo come metodo di guerra possono essere rintracciate nelle affermazioni pubbliche di politici coinvolti nelle operazioni militari. Ci si può aspettare che i seguenti politici israeliani di alto livello possano aver giocato un ruolo significativo nel definire le politiche rispetto a consentire o bloccare il cibo e altri beni di prima necessità per la popolazione civile.

Il 9 ottobre il ministro della Difesa Yoav Gallant ha detto: “Stiamo imponendo un assedio totale contro (Gaza). Niente elettricità, niente cibo, niente acqua, niente carburante, tutto chiuso. Stiamo combattendo contro animali umani e dobbiamo agire di conseguenza.”

Il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir il 17 ottobre ha detto in un tweet: “Finché Hamas non rilascerà gli ostaggi, l’unica cosa che dovrebbe entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivo dal cielo, neppure un grammo di aiuto umanitario.”

Il ministro dell’Energia Israel Katz, che ha raccontato di aver ordinato il taglio di elettricità e acqua, ha detto l’11 ottobre:

Per anni abbiamo fornito a Gaza elettricità, acqua e carburante. Invece di ringraziarci, hanno inviato migliaia di animali umani a massacrare, uccidere, violentare e rapire bambini, donne e anziani. Per questo abbiamo deciso di interrompere la fornitura di acqua, elettricità e carburante e ora l’impianto di produzione di energia locale è crollato e a Gaza non c’è elettricità. Continueremo a mantenere un rigido assedio finché Israele e il mondo non saranno liberati della minaccia di Hamas. Ciò che è stato non ci sarà più.”

Il 12 ottobre Katz ha detto:

Aiuti umanitari a Gaza? Neppure un interruttore verrà acceso, non verrà aperta neppure una valvola, neppure un camion di carburante entrerà finché gli ostaggi israeliani non torneranno a casa. Umanità contro umanità. Che nessuno ci dia lezioni di moralità.”

Il 16 ottobre ha detto:

Ho appoggiato l’accordo tra il primo ministro Netanyahu e il presidente Biden per la fornitura di acqua al sud della Striscia di Gaza perché è in linea anche con gli interessi israeliani. Sono totalmente contrario a togliere il blocco e a lasciar entrare a Gaza prodotti per ragioni umanitarie. Il nostro impegno è verso le famiglie degli assassinati e gli ostaggi rapiti, non verso gli assassini di Hamas e la gente che li ha aiutati.”

Il 4 novembre il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha dichiarato che “per nessuna ragione” deve entrare carburante a Gaza. Poi, come riportato dal Jerusalem Post, ha definito la decisione del gabinetto di guerra israeliano di consentire l’ingresso nella Striscia di una piccola quantità di carburante “un grave errore” e ha affermato: “Si ponga termine immediatamente a questo scandalo e si impedisca che carburante entri nella Striscia”.

In un video postato in rete il 4 novembre il colonnello Yogev Bar-Shesht, vice capo dell’Amministrazione Civile [ente militare che governa i territori occupati, ndt.] ha affermato in un’intervista da Gaza: “Chiunque torni qui, se ritornerà in seguito, troverà terra bruciata. Niente case, niente agricoltura, niente di niente. Non hanno futuro.”

Il 24 novembre, in un’intervista televisiva con la CNN, Mark Regev, consigliere del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha affermato che Israele ha privato Gaza di carburante dal 7 ottobre per rafforzare la posizione di Israele quando si tratterà di negoziare con Hamas il rilascio degli ostaggi. “Se lo avessimo fatto (consentire l’ingresso di carburante) … non avremmo mai avuto la restituzione dei nostri ostaggi,” ha detto.

Il 1 dicembre il coordinatore delle attività di governo nei territori del ministero dell’Interno, generale Ghassan Alian, ha affermato che l’ingresso di carburante e aiuti a Gaza era stato interrotto dopo che Hamas aveva violato le condizioni dell’accordo di cessate il fuoco. Il suo ufficio ha confermato la sua dichiarazione in risposta a una domanda del Times of Israel sostenendo: “”Dopo che l’organizzazione terroristica Hamas ha violato l’accordo e in più ha sparato contro Israele, l’ingresso di aiuti umanitari è stato bloccato nel modo previsto dall’accordo.”

Fin dal 7 ottobre altre fonti ufficiali hanno chiesto di limitare l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza, affermando che ciò è utile agli obiettivi dell’esercito israeliano.

Il primo ministro Netanyahu il 5 dicembre ha risposto a una domanda riguardo al fatto che Israele potrebbe perdere un’arma di pressione contro Hamas se consentisse l’ingresso di maggiori aiuti umanitari a Gaza affermando: “Gli sforzi bellici sono sostenuti da quelli umanitari… ciò perché seguiamo le leggi di guerra in quanto sappiamo che, se ci fosse un collasso – epidemie, pandemie e infezioni dovute alla falda freatica – ciò porrebbe fine alla guerra.”

Il ministro della Difesa Gallant ha affermato: “Ci viene chiesto di consentire il minimo dal punto di vista umanitario perché la pressione militare possa continuare.”

Tzachi Hanegbi, consigliere per la sicurezza nazionale di Israele, ha detto il 17 novembre a una conferenza stampa: “Se c’è un’epidemia, i combattimenti finiranno. Se ci sono una crisi umanitaria e una protesta internazionale, in quelle condizioni non riusciremo a continuare a combattere.”

Il 18 ottobre l’ufficio del primo ministro ha annunciato che Israele non avrebbe impedito agli aiuti umanitari di entrare a Gaza dall’Egitto in seguito a pressioni degli USA e di altri alleati internazionali:

Alla luce della richiesta del presidente Biden Israele non ostacolerà soccorsi umanitari dall’Egitto finché si tratterà solo di cibo, acqua e medicinali per la popolazione civile del sud della Striscia di Gaza.”

Distruzione della produzione agricola e impatto sulla produzione di cibo

Durante le operazioni di terra nel nord di Gaza a quanto sembra le forze israeliane hanno distrutto la produzione agricola accentuando la carenza di cibo con effetti a lungo termine. Ciò ha incluso la distruzione di coltivazioni, campi e serre.

L’esercito israeliano ha affermato di condurre operazioni militari nella zona di Beit Hanoun, e anche in una zona agricola imprecisata a Beit Hanoun, per scoprire tunnel e altri obiettivi militari.

Campi e frutteti a nord di Beit Hanoun, per esempio, sono stati i primi ad essere danneggiati durante le ostilità in seguito alle operazioni di terra israeliane alla fine di ottobre. Bulldozer hanno scavato nuove strade, aprendo la via per veicoli militari israeliani.

Da metà novembre, dopo che le forze israeliane hanno preso il controllo della stessa area nel nordest di Gaza, immagini satellitari mostrano che frutteti, campi e serre sono stati sistematicamente distrutti, lasciando sabbia e polvere. L’8 dicembre Human Rights Watch ha chiesto un commento all’esercito israeliano, ma non ha ricevuto risposta.

Gli agricoltori della zona avevano piantato coltivazioni come alberi di agrumi, patate, pitaya [frutti originari dell’America centro-meridionale, ndt.] e fichi d’india, contribuendo al sostentamento dei palestinesi di Gaza. Altre coltivazioni includono pomodori, cavoli e fragole. Alcuni appezzamenti sono stati distrutti in un giorno. Gli alberi di agrumi, come i cactus della pitaya, richiedono anni di cure per maturare prima di dare frutti.

Immagini satellitari ad alta definizione mostrano che sono stati usati bulldozer per distruggere campi e piantagioni. Si vedono camion e montagne di terra sui limiti dei precedenti appezzamenti.

Che si tratti di distruzioni deliberate, di danni dovuti alle ostilità o all’impossibilità di irrigare o lavorare la terra, nel nord di Gaza i terreni agricoli sono stati drasticamente ridotti fin dall’inizio delle operazioni di terra israeliane.

Anche nel sud di Gaza aziende agricole e contadini sono stati colpiti. Action Against Hunger [ong francese che lotta contro la fame nel mondo, ndt.] ha scoperto che delle 113 aziende agricole del sud di Gaza interpellate tra il 19 e il 31 ottobre il 60% ha affermato che le proprie attività o coltivazioni sono state danneggiate, il 42% di non avere accesso all’acqua per irrigare i campi e il 43% di non essere in grado di raccogliere i prodotti.

Rettifica

18/12/2023: Questo comunicato stampa è stato aggiornato per riportare la data di ottobre in cui il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che Israele non avrebbe consentito assistenza umanitaria a Gaza “nella forma di cibo e medicinali” attraverso i suoi valichi “finché gli ostaggi (israeliani) non saranno restituiti.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele-Palestina: l’esercito israeliano effettua un nuovo raid mortale in Cisgiordania mentre cresce il bilancio di morti a Gaza

Fayha Shalash, Ramallah

14 Novembre 2023, Middle East Eye

Un attacco di 15 ore a Tulkarem provoca la morte di sette palestinesi e porta il bilancio delle vittime in Cisgiordania a quasi 200 in cinque settimane

Martedì le forze israeliane hanno ucciso sette palestinesi durante un raid di 15 ore nella città occupata di Tulkarem in Cisgiordania.

L’incursione ha comportato il bombardamento di una casa a colpi di droni, il lancio di gas lacrimogeni in un ospedale, il blocco delle ambulanze che soccorrevano i feriti e la distruzione massiccia di strade e negozi.

Questo nel contesto di un’escalation della violenza israeliana contro i palestinesi in Cisgiordania che procede insieme alla campagna di bombardamenti nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre.

L’ultimo raid a Tulkarem, nel nord della Cisgiordania, è iniziato lunedì sera, quando le forze speciali israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi della città e sparato a due palestinesi all’interno di un bar.

Sono stati identificati come Mahmoud Hadaida, 25 anni, e Hazem al-Hosari, 29 anni, padre di tre figli e proprietario di un supermercato vicino al campo.

Abu Suhaib al-Hosari, suo zio, ha detto a Middle East Eye che Hazem era seduto con il suo amico in un noto bar quando le truppe israeliane li hanno presi di sorpresa e gli hanno sparato a distanza ravvicinata.

“Quando abbiamo ricevuto la notizia, ho lasciato il campo con il fratello di Hazem; siamo andati in ospedale e ho visto che era stato colpito al petto”, ha detto Abu Suhaib.

“Era ambizioso e sempre allegro, ma come tutti i palestinesi era oppresso dall’occupazione israeliana e dalla sua continua aggressione ovunque”, ha aggiunto.

Immediatamente dopo la sparatoria l’esercito israeliano ha inviato larghi rinforzi al campo, scatenando scontri con palestinesi armati.

Nella notte un attacco di droni ha colpito una casa nel campo, uccidendo almeno tre persone.

Nel frattempo, i bulldozer militari hanno raso al suolo le strade del campo, vandalizzando rotonde e vetrine di negozi, mentre i cecchini prendevano posizione sui palazzi più alti.

I residenti sono stati costretti a rimanere in casa durante il raid, compresa la famiglia di Hazem che per ore non è riuscita a raggiungere l’ospedale per dargli l’addio.

In un comunicato la Mezzaluna Rossa Palestinese (PRCS) ha dichiarato che al suo personale è stato impedito di raggiungere i feriti, ciò che ha causato la morte di molti.

In un caso, le jeep militari hanno fermato un’ambulanza della PRCS diretta all’ospedale, arrestando una persona ferita all’interno.

All’ingresso dell’ospedale Thabet Thabet le forze israeliane hanno sparato gas lacrimogeni, come mostrano i filmati pubblicati dai media locali.

Punizione colletiva”

Nelle ultime settimane Tulkarem è stata obiettivo frequente delle forze israeliane.

Il mese scorso l’esercito israeliano ha fatto irruzione nel campo profughi di Nur Shams, a est della città di Tulkarem, in un’operazione durata 24 ore che ha lasciato 13 palestinesi uccisi ed estese distruzioni.

Dal 7 ottobre le forze israeliane hanno ucciso 196 palestinesi in Cisgiordania, quasi lo stesso numero di persone uccise tra gennaio e settembre.

Hassan Khreisha, ex vicepresidente del Consiglio Legislativo Palestinese, ha affermato che l’esercito israeliano sta aumentando le sue aggressioni in Cisgiordania dato che l’attenzione del mondo è rivolta all’attacco su Gaza.

Distruggere le infrastrutture e radere al suolo le strade significa imporre una punizione collettiva e smantellare l’incubatrice popolare della resistenza”, ha detto Khreisha a MEE.

Eppure tutte le volte Israele fallisce e non elimina la resistenza all’interno dei campi”, ha aggiunto.

L’atteggiamento “isterico” con cui l’esercito agisce in Cisgiordania, ha spiegato Khreisha, è in parte dovuto al tentativo di inviare il messaggio che sostenere la lotta armata comporta pagare un prezzo.

Durante il raid di martedì l’esercito israeliano ha distribuito manifesti con la scritta “il terrorismo sta distruggendo il campo” nel tentativo di rivolgere l’opinione pubblica contro i combattenti della resistenza locale.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il capo dell’UNRWA ha affermato che il 70% delle vittime di Gaza sono minori e donne

Redazione di MEMO

1 novembre 2023 – Middle East Monitor

Il commissario generale dell’agenzia United Nations Relief and Works Organisation for Palestine Refugees [Soccorso e Lavoro per i Rifugiati Palestinesi] (UNRWA) delle Nazioni Unite Philippe Lazzarini ha affermato che il 70% dei martiri palestinesi che sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani in corso sulla Striscia di Gaza dal 7 ottobre sono minori e donne, ammonendo che non c’è alcun posto sicuro a Gaza.

Egli ha sottolineato che stati colpiti chiese, moschee, ospedali, strutture civili che ospitano persone sfollate sono, descrivendo gli attacchi israeliani come una punizione collettiva contro i palestinesi che vivono sotto assedio.

Per parte sua, la direttrice esecutiva dell’United Nations Children’s Fund [Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia] (UNICEF) Catherine Russell ha indicato che l’aggressione israeliana ha provocato l’uccisione di più di 3.400 e il ferimento di almeno 6.300 minori.

Ha aggiunto che questo bilancio dimostra che sono stati uccisi o feriti 420 minori al giorno, evidenziando che “questi numeri dovrebbero sconvolgerci nel profondo.”

[Russell] ha affermato che le incursioni israeliane hanno provocato la completa o parziale distruzione di almeno 221 scuole e di più di 177.000 case.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Guerra Israele-Palestina: come i media statunitensi legittimano la barbarie di Israele contro i palestinesi

Gregory Shupak

20 ottobre 2023, Middle East Eye

Presentando la campagna terroristica di Israele contro i palestinesi come se fosse giustificabile, i media statunitensi fanno la loro parte nel farla continuare

I recenti editoriali apparsi sui principali giornali liberal statunitensi hanno regolarmente presentato l’incessante terrore di massa che Israele infligge ai palestinesi come legittimo.

I media hanno appoggiato l’assalto israeliano a Gaza e il finanziamento americano dell’attacco criticando allo stesso tempo coloro che propongono opinioni anche leggermente dissenzienti. La stampa americana ha ripetutamente conferito alla violenza israeliana un aspetto virtuoso, anche quando falcidia le persone – generosità non concessa alla controparte palestinese.

Il 12 ottobre il Washington Post ha pubblicato un editoriale in cui elogiava il presidente americano Joe Biden per la sua “condanna senza riserve del terrorismo di Hamas”, affermando: “A questo riguardo, le ferme parole di Biden sono anche in gradito contrasto con le ambiguità di un piccolo numero di membri di sinistra del suo stesso partito al Congresso che la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha espressamente sconfessato.”

Il collegamento alle parole di Jean-Pierre segnala che le “ambiguità” contestate dal Washigton Post sono le affermazioni che “suggeriscono che l’attacco di Hamas contro Israele dovrebbe essere considerato nel contesto delle precedenti azioni di Israele”, o che “si oppongono sui social media agli aiuti militari statunitensi per Israele e chiedono un immediato cessate il fuoco nel conflitto.”

Il giorno prima della pubblicazione di quest’editoriale le associazioni per i diritti umani Mezan, al-Haq e il Centro Palestinese per i Diritti Umani avevano documentato congiuntamente che solo nel periodo tra il mezzogiorno del 10 e dell’11 ottobre Israele aveva distrutto gli interi quartieri di al-Qarm, Ezbet Abdrabbo e al-Sikka, con le squadre di soccorso che “recuperano dozzine di corpi” mentre “altri sono ancora sotto le macerie”; “hanno preso di mira l’Università islamica di Gaza e hanno bombardato l’edificio del Programma di Borse di Studio Al-Fakhoura”, attacchi che hanno ucciso 57 palestinesi, tra cui 20 bambini. Hanno inoltre segnalato gli attacchi aerei e i bombardamenti di Israele sui terreni agricoli del Distretto dell’Area Centrale e sulle “aree residenziali, in particolare nei tre campi profughi densamente popolati di Al-Bureij, Al-Nusairat e Deir al-Balah”, uccidendo almeno 49 palestinesi 15 dei quali bambini.

Per il Post, “equivocare” sulla questione se gli Stati Uniti debbano finanziare tali atrocità o cercare di mettervi fine con un cessate il fuoco è “[in]accettabile”.

Giustificare il linguaggio “genocida”.

Nel suo editoriale più recente, il Washington Post esprime preoccupazione per i palestinesi ma continua a sostenere la campagna militare di Israele: “Dopo il massacro dei suoi civili, Israele – come qualsiasi altro Stato – ha tutto il diritto di rispondere militarmente”.

Per il Washington Post la violenza dell’occupante è giusta e quella degli occupati no: Israele può “rispondere militarmente” alle forze palestinesi che uccidono israeliani ma i palestinesi non hanno lo stesso diritto, anche dopo 75 anni di pulizia etnica, anche sotto un regime di apartheid.

Un editoriale del New York Times del 14 ottobre sostiene fermamente gli attacchi di Israele, affermando che Israele “è determinato a spezzare il potere di Hamas e in questo sforzo merita il sostegno degli Stati Uniti e del resto del mondo”. Gli autori proseguono affermando che “la fine del controllo di Hamas su Gaza è un passo essenziale”.

L’editoriale del New York Times contiene specificazioni quali: Israele “non dovrebbe perdere di vista il suo impegno a salvaguardare coloro che non hanno imbracciato le armi”.

Il comitato editoriale contraddice le proprie affermazioni sul presunto “impegno” di Israele a proteggere i civili citando il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant che definisce i palestinesi “animali umani”, cosa che gli autori giustificano dicendo che l’osservazione avviene “in un’atmosfera di intensa emozione”.

Naturalmente, Gallant non è l’unico funzionario israeliano ad usare un linguaggio genocida dopo l’escalation della guerra contro la Palestina. Il portavoce militare israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha affermato che Israele ha sganciato “centinaia di tonnellate di bombe” su Gaza e che “l’accento è sui danni e non sulla precisione”.

Il presidente israeliano Isaac Herzog ha detto: “C’è là un’intera nazione che è responsabile. Non è vera questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti. Non è assolutamente vera”. Ha aggiunto: “Stiamo difendendo le nostre case, stiamo proteggendo le nostre case, questa è la verità, e quando una nazione protegge la sua casa combatte e noi combatteremo finché non gli spezzeremo le reni”.

Non solo i leader israeliani hanno ripetutamente segnalato di non aver intenzione di “tutelare” i non combattenti, ma Israele li ha deliberatamente massacrati in massa.

Ad esempio il giorno prima della pubblicazione dell’editoriale il pluripremiato gruppo per i diritti umani Defense for Children International Palestine ha riferito che nell’attacco contro Gaza Israele aveva ucciso fino a quel momento quasi 600 bambini palestinesi, un terzo del bilancio complessivo delle vittime.

Affermazioni assurde

Anche se Israele respinge qualsiasi impegno a proteggere i civili sia nelle parole che nei fatti, il New York Times mette ripetutamente in buona luce la politica militare israeliana a fronte di quella delle forze palestinesi, scrivendo che “Israele si sta preparando a mandare i suoi giovani uomini e donne in battaglia, dove affronteranno un nemico che non rispetta le stesse regole di guerra a cui loro si sono impegnati.”

Dire che la violenza dello Stato israeliano è moralmente superiore a quella dei gruppi di resistenza palestinesi trasmette il chiaro messaggio che la prima è legittima mentre la seconda no.

Il New York Times ha fatto la stravagante affermazione secondo cui “Israele sta combattendo per difendere una società che valorizza la vita umana e lo stato di diritto”.

Dal momento che non viene fatta alcuna affermazione del genere sui “valori” palestinesi, il messaggio è che massacrare i palestinesi sia legittimo: se la società palestinese (o importanti settori di essa) valorizza la criminalità omicida, allora è implicito che sia auspicabile venga spazzata via da una forza che si presume più civile.

Nel frattempo, due giorni prima che l’editoriale andasse in stampa, Human Rights Watch (HRW) ha affermato che Israele aveva utilizzato il fosforo bianco – che, al contatto, può “bruciare le persone, termicamente e chimicamente, fino alle ossa” – sia sul porto di Gaza City che in aree rurali lungo la linea dell’armistizio tra Israele e il Libano.

HRW ha affermato che l’uso del fosforo bianco a Gaza, una delle aree più densamente popolate del mondo, “amplifica il rischio per i civili e viola il divieto del diritto umanitario internazionale di esporre i civili a rischi inutili”.

Come ha osservato HRW, Israele ha utilizzato quest’arma a Gaza anche nel 2009 e nell’attuale ciclo di combattimenti Israele ha “tagliato elettricità, acqua, carburante e cibo a Gaza in violazione al divieto del diritto umanitario internazionale contro la punizione collettiva”.

Per “una società che valorizza la vita umana e lo stato di diritto”, Israele compie un’enorme quantità di uccisioni e di violazioni della legge.

Una patina etica

Allo stesso modo il Los Angeles Times ha dichiarato che “Israele ha tutto il diritto di usare la forza militare per prevenire” attacchi come quelli compiuti da Hamas il 7 ottobre e che Israele “deve rimanere fedele ai suoi valori facendo tutto il possibile per ridurre al minimo le sofferenze degli innocenti residenti palestinesi di Gaza.”

Il pezzo applaude Biden per aver affermato che chiederà al Congresso “un pacchetto di sostegno senza precedenti per la difesa di Israele” e per aver vagamente suggerito a Israele di riflettere se l’uccisione di migliaia di palestinesi aiuterà a “raggiungere i [suoi] obiettivi”.

L’editoriale poi afferma: “Che Israele non prenda di mira i civili è di scarso conforto per le famiglie delle persone uccise o ferite”.

Forse gli autori ritengono che sia magnanimo menzionare le circa 3.000 vite palestinesi che Israele ha ucciso in 11 giorni. Ma tali simpatie sono peggio che inutili quando sono confezionate con una menzogna che giustifica tutte le uccisioni e crea alibi per tutte le uccisioni future: ad esempio, due giorni prima dell’editoriale l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) osservava: “Molti edifici residenziali in aree densamente popolate sono stati presi di mira e distrutti” da Israele, tra cui un “edificio residenziale a Jabalia, nel nord di Gaza, dove sono stati uccisi dieci palestinesi; un edificio residenziale nella zona Musabah di Rafah, dove almeno 11 palestinesi, tra cui donne e bambini, sono stati uccisi; e l’edificio di un’organizzazione di beneficenza a Rafah, dove sono stati uccisi 11 palestinesi e molti altri sono rimasti feriti. Il 16 ottobre, al mattino, secondo quanto riferito, le forze israeliane hanno preso di mira un edificio residenziale a Khan Yunis, uccidendo 22 palestinesi.”

Inoltre il 15 ottobre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato: “Quattro ospedali nel nord di Gaza non funzionano più a causa di danni e attacchi. 21 ospedali nella Striscia di Gaza hanno ricevuto istruzioni dalle forze israeliane di evacuare. L’OMS ribadisce che devono essere prese tutte le precauzioni per proteggere gli operatori sanitari e le strutture sanitarie, compresi i pazienti e i civili che vi trovano rifugio.”

Queste fantasie su un presunto risparmiare i civili da parte di Israele e sui suoi presunti “valori” umani presentano tutta la crudeltà – le uccisioni spietate, le raccapriccianti ferite fisiche e psichiche, il sadismo dell’assedio – come incidenti in buona fede lungo il percorso verso una giusta causa; è retorica intesa a mascherare la brutalità israeliana con una patina etica.

Ma la causa di Israele è la violenza coloniale. La violenza dell’espropriazione, della tortura e di un massacro dopo l’altro. Perché nessuno Stato etnico in cui i palestinesi rimangano una minoranza perseguitata nella propria patria è possibile senza una violenza spietata e incessante.

Presentando tutta questa barbarie come se fosse giustificabile, i media statunitensi stanno facendo la loro parte affinché continui.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Gregory Shupak insegna Inglese e Studi sui Media all’Università di Guelph-Humber a Toronto. È autore del libro The Wrong Story: Palestine, Israel, and the Media [La storia sbagliata: Palestina, Israele e i media].

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




L’invasione di terra a Gaza è una catastrofe annunciata

Gideon Levy

15 ottobre 2023, Haaretz

Israele sta per lanciare una catastrofica invasione di terra nella Striscia di Gaza – o l’avrà già iniziata quando apparirà questo articolo. L’invasione rischia di finire in un fallimento di portata tale che Israele e Gaza non hanno mai sperimentato. Le immagini provenienti da Gaza negli ultimi giorni sembrerebbero un trailer. Potremmo assistere ad un massacro di massa.

Un gran numero di soldati israeliani verrebbe ucciso inutilmente. Gli abitanti di Gaza si troverebbero ad affrontare una seconda Nakba, i cui primi segnali sono già evidenti sul campo. Nessuno potrebbe uscire vincente da questi orrori.

Di ora in ora le immagini provenienti da Gaza si fanno più terrificanti. I media israeliani, ormai arruolati nella lotta, tradiscono il loro ruolo impedendo al loro pubblico di vedere quello che sta realmente accadendo.

Si accontentano delle noiose e interminabili chiacchiere dei generali.

Ma il fatto che Israele non mostri quanto avviene a Gaza non significa che non vi sia in corso una catastrofe. Sabato più di un milione di persone, metà delle quali bambini, sono fuggite per salvarsi la vita o sono rimaste in un gesto suicida nelle loro case bombardate.

Anziani, donne, bambini, disabili, malati sono fuggiti verso sud, a piedi, sui cofani delle auto, sugli asini o in motocicletta, con pochissimi beni. Le persone si stanno dirigendo verso la loro rovina e lo sanno.

Non c’è nessuno nell’enorme corteo diretto a sud che creda di avere ancora una casa in cui tornare. Non c’è nessuno a cui non vengano in mente le scene della Nakba vissute dalle loro famiglie della generazione precedente, 75 anni fa. Sabato Gaza somigliava al Nagorno-Karabakh.

Dove andranno i palestinesi di Gaza? Dove si nasconderanno? Dove troveranno rifugio? In mare, forse. Non c’è elettricità né acqua, medicine o internet.

Questa espulsione è una punizione collettiva di massa che offre una premonizione di ciò che avverrà.

Israele sostiene che dal nord della Striscia di Gaza Hamas deve essere spazzato via, e poi si sposterà a sud. A due milioni di persone, o a quelle che rimarranno in vita, verrà quindi ordinato di fuggire di nuovo al nord per ripulire il sud.

La missione sarà compiuta. Le forze di difesa israeliane prenderanno nota della massa di vittime provocata e affermeranno che la maggior parte di esse faceva parte di Hamas. Si dirà che ogni adolescente era membro di Hamas. Più di 600 minori palestinesi sono stati uccisi già sabato pomeriggio, prima di qualsiasi invasione di terra. Non erano di Hamas.

Israele avrà vinto. Gaza sarà rasa al suolo. La rete di tunnel sotterranei di Hamas verrà sgombrata. Gli animali umani saranno assassinati. Il tanfo di morte che si alzerà dalla Striscia si mescolerà alle scene di chi muore di fame e di chi sta per morire negli ospedali stracolmi.

E il mondo continuerà a sostenere Israele. Israele è stato barbaramente attaccato e non aveva alternative. Gli ostaggi israeliani potrebbero pagarne il prezzo con la vita.

E il mattino spunterà su una Gaza in rovina. E poi cosa? Chi vi assumerà le redini del governo? Rappresentanti dell’Agenzia Ebraica [ente parastatale israeliano, ndt.]? Collaborazionisti di Gaza? E cosa ci guadagnerà Israele? E questo per non parlare di una guerra su più fronti che potrebbe anche scoppiare e cambiare completamente le regole del gioco.

Israele si sta imbarcando in un’operazione militare pericolosa e senza alcuna prospettiva di successo. Può chiedere al suo alleato a Washington cosa hanno prodotto le insensate guerre intraprese dall’America per cambiare i regimi nel mondo, quante persone sono state uccise inutilmente e chi ha preso il potere con le armi americane. Ma non abbiamo bisogno dell’America e nemmeno di pensare alla catastrofe palestinese per capire che siamo sulla soglia di un disastro storico anche per Israele.

Se questa missione verrà effettivamente portata a termine, e Israele ribalterà i governanti e gli abitanti della Striscia di Gaza, la cosa rimarrà impressa per generazioni nella coscienza del mondo arabo, del mondo musulmano e del Terzo Mondo. Una seconda Nakba impedirebbe a centinaia di milioni di persone in tutto il mondo di accettare Israele. Potrebbero esserci alcuni regimi arabi che all’inizio darebbero prova di moderazione, ma l’opinione pubblica nei loro Paesi non permetterebbe di mantenere a lungo tale moderazione.

Il prezzo verrebbe pagato da Israele, e sarà più alto di quanto Israele attualmente pensi. Israele sta per imbarcarsi in una guerra catastrofica –potrebbe persino averlo già fatto.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il mito Israeliano dell'”esercito più etico” al mondo

Neve Gordon

16 ottobre 2023 – Al jazeera

La manipolazione del diritto internazionale consente a Israele di eludere la condanna per i suoi crimini di guerra.

Mentre Israele ordinava a un milione e centomila palestinesi, molti dei quali figli e nipoti di rifugiati, di lasciare le loro case nel nord di Gaza prima delloffensiva di terra, mi sono chiesto quante altre uccisioni e distruzioni saranno necessarie per soddisfare questa pulsione di morte.

Israele intende chiaramente infliggere una punizione in seguito al terribile attacco di Hamas. Nellimmaginario israeliano il 7 ottobre sarà ricordato per sempre come il giorno in cui Hamas massacrò più di 1.300 persone. I combattenti di Hamas sono entrati negli insediamenti e nelle città israeliane uccidendo centinaia di bambini, uomini e donne. L’attacco ad un festival musicale nel deserto ha causato la morte di oltre 250 israeliani.

Dal punto di vista giuridico questi attacchi costituiscono una serie di crimini di guerra palesi ed eclatanti e quindi è naturale che i leader di tutto il mondo li abbiano denunciati come atroci atti di violenza.

Tuttavia, lattacco di Israele a edifici e infrastrutture civili e luccisione di più di 2.300 bambini, uomini e donne palestinesi è stato accolto dal silenzio dei leader occidentali. Inoltre, la decisione di Israele di tagliare lelettricità, limitare la fornitura dacqua e radere al suolo gran parte della Striscia di Gaza non ha suscitato quasi alcuna critica da parte dellOccidente, anche se queste azioni costituiscono anchesse flagranti crimini di guerra.

Per capire perché la morte di civili palestinesi non riesca a generare indignazione morale tra le élite occidentali e cosa probabilmente accadrà ai palestinesi di Gaza quando le truppe israeliane attraverseranno il confine dobbiamo dare uno sguardo alle narrazioni israeliane dominanti in occasione degli assalti passati.

Nel 2014, ad esempio, durante linvasione israeliana di Gaza, furono uccisi più di 2.200 palestinesi, 556 dei quali minorenni a confronto con i 64 israeliani uccisi in quell’ondata di violenza.

Allora, come è possibile che, anche dopo che Israele ebbe scatenato nel 2014 una violenza così sproporzionata e letale, lOccidente continuasse a credere quasi all’unanimità che lesercito israeliano sia lesercito più etico al mondo, mentre i palestinesi sono stati inesorabilmente considerati aggressori violenti? Perché i leader occidentali non denunciano mai pubblicamente Israele per crimini di guerra?

La risposta è complessa perché ci sono diversi fattori in gioco. Ma uno di questi è la manipolazione incredibilmente astuta del diritto bellico da parte di Israele, che ha contribuito con successo a inquadrare la violenza israeliana come etica.

Le manipolazioni giuridiche di Israele si basano su una serie di ambiguità ed eccezioni all’interno del diritto internazionale, che rivelano come le leggi di guerra favoriscano gli Stati rispetto agli attori non statali e i forti rispetto ai deboli e di conseguenza potrebbero non essere lo strumento migliore per proteggere i civili a Gaza.

Facciamo alcuni esempi concreti. Gli ordini permanenti dati ai soldati che entrarono nella Striscia di Gaza nel 2014 erano chiari: i palestinesi che non avevano prestato ascolto agli avvertimenti di Israele di evacuare le loro case e fuggire a sud diventavano obiettivi militari legittimi. Un soldato ha spiegato allorganizzazione israeliana Breaking the Silence che:

In realtà non cerano regole di ingaggioCi dissero: non dovrebbero esserci civili. Se vedete qualcuno, sparate. Se la persona rappresentasse o meno una minaccia non era nemmeno messo in discussione; e questo per me ha un significato. Se spari a qualcuno a Gaza è ok, non è un grosso problema. Prima di tutto perché è Gaza, e in secondo luogo perché questa è una guerra. Anche questo ci venne chiarito: ci dissero: ‘non abbiate paura di sparare, e misero in chiaro che non esistevano civili non conniventi”.

Si potrebbe pensare che un ordine militare che consenta di sparare indiscriminatamente contro i civili sarebbe considerato illegale ai sensi del diritto internazionale, in particolare alla luce del principio di distinzione (il fondamento del diritto bellico che invita le parti in guerra a distinguere in ogni momento tra civili e combattenti e vieta lattacco intenzionale ai civili) e dato che oltre la metà dei 2,3 milioni di palestinesi che attualmente vivono nella Striscia di Gaza sono minorenni.

Lironia è che Israele in realtà utilizza il diritto di guerra per presentarsi come attore morale. Come ha fatto allinizio di questa settimana, nel 2014 lesercito israeliano ordinò a centinaia di migliaia di palestinesi di lasciare le loro case e di viaggiare verso sud ben sapendo che tra coloro che vivono nella zona ci fossero migliaia di anziani e malati e che il lasso di tempo concesso per liberare l’area non sarebbe stato sufficiente.

Ma Israele sa anche che avvertire i civili palestinesi e ordinare loro di andarsene gli permetterà di negare lesistenza stessa dei civili nel nord di Gaza. Questo è esattamente il significato della frase non ci sono civili non conniventi, poiché marchia tutti coloro che sono rimasti nella zona (anche se i civili sono ancora la maggioranza e non possono andarsene, come hanno affermato le Nazioni Unite sullattuale situazione) come partecipanti alle ostilità” o come scudi umani volontari. Secondo alcune interpretazioni del diritto di guerra tale terminologia rende questi civili “passibili di uccisione”.

E poiché la pretesa di eticità si basa sul rispetto delle leggi di guerra la violenza letale che i soldati israeliani usano contro i civili che rimangono nelle loro case viene quindi congegnata come moralmente giustificabile e persino etica.

Accanto a questa visione giuridica Israele diffonde anche una narrazione coloniale che presenta i palestinesi come animali umaniche non comprendono le leggi della guerra. Combinando questi cliché coloniali e il gergo giuridico si inquadrano i palestinesi come barbari immorali che meritano di morire. Questa mossa retorica, a sua volta, interpreta i soldati israeliani come lopposto, vale a dire, i combattenti civilizzati” e morali.

Inoltre, il collegamento del diritto internazionale con i luoghi comuni coloniali, o quello che potremmo chiamare una visione giuridico-coloniale, aiuta a giustificare lesecuzione di gravi violenze. Circa un mese fa il programma 60 Minutes della CBS News ha intervistato Shira Etting, una pilota israeliana attiva nelle proteste contro i tentativi del governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di riformare la giustizia israeliana. Se si pretende che i piloti possano alzarsi in volo per lanciare bombe e missili sulle case sapendo che potrebbero uccidere bambini, ha detto, è indispensabile che essi abbiano la massima fiducia nei [politici] che prendono quelle decisioni”.

Etting non concepisce in alcun modo una intenzionalità nell’uccisione di minori. Eppure riconosce che quando lei e i suoi colleghi piloti partono per una missione nei cieli di Gaza sanno che può benissimo finire, come spesso capita, che i missili lanciati uccidano dei civili.

In altre parole, i piloti israeliani, come Etting, sanno quando sganciano massicci bombardamenti sui centri urbani di uccidere dei minorenni ma non avendo intenzionedi ucciderli, il diritto internazionale così come i media come CBS News e i leader occidentali considerano le loro azioni moralmente integre. Questo nonostante il bombardamento effettuato da questi piloti abbia provocato la morte di un numero esponenzialmente maggiore di civili, compresi minorenni, rispetto a un attacco di Hamas. I media occidentali li dipingono come eroi che non intendevano uccidere i non combattenti, evenienza eufemisticamente chiamata danno collaterale”.

Si noti tuttavia che allinterno di questa visione giuridico coloniale non sono solo gli autori della violenza ad essere considerati differenti sul piano etico, ma anche le vittime di questa violenza. Le vittime israeliane hanno nomi e storie di vita che sono state tragicamente interrotte. Queste vittime, in altre parole, vengono presentate come persone degne di essere compiante.

Al contrario, le vittime palestinesi restano senza nome; e tendono a essere presentate come semplici numeri piuttosto che come esseri umani in carne ed ossa le cui vite meritino di essere ugualmente compiante. Anche questo contribuisce a perpetuare il mito dellesercito israeliano come etico.

In definitiva, quindi, non solo coloro che utilizzano le armi dei forti sono considerati più etici perché uccidono persone innocenti a distanza, ma anche perché il discorso giuridico coloniale considera le persone uccise come animali umani”, danno collateraleo come dati statistici.

Finché i morti saranno disumanizzati in questo modo e, di conseguenza, presentati come indegni di essere compianti, la pulsione di morte continuerà senza sosta. Questa, temo, è la ricetta per una punizione genocida.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono allautore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Neve Gordon è docente di diritto internazionale alla Queen Mary University di Londra. È anche autore di Israel’s Occupation [L’occupazione israeliana, ndt.] e coautore di The Human Right to Dominate [Il diritto umano di dominare, ndt.].

[traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




L’operazione Al-Aqsa ha cambiato il rapporto tra Palestina e Israele 

Ramzy Baroud

10 ottobre 2023 Middle East Monitor

A prescindere dalla precisa strategia del Movimento di Resistenza Islamico Palestinese, di Hamas, o di qualsiasi altra fazione palestinese in generale, l’audace campagna militare all’interno di Israele di sabato 7 ottobre è stata possibile solo perché i palestinesi sono semplicemente stufi. Israele, ricordiamolo, ha imposto alla Striscia di Gaza un assedio totale da 17 anni.

La storia dell’assedio è per lo più presentata in due modi nettamente diversi. Per alcuni si tratta di un atto disumano di “punizione collettiva”; per altri è un male necessario affinché Israele possa proteggersi dal cosiddetto terrorismo palestinese. Nel racconto, tuttavia, manca del tutto il fatto che 17 anni sono sufficienti perché un’intera generazione cresca sotto assedio, si arruoli nella Resistenza e combatta per la libertà.

Secondo Save the Children, quasi metà dei 2,3 milioni di palestinesi che vivono oggi a Gaza sono minori. La cosa è spesso citata per definire la sofferenza di una popolazione che non è mai uscita dalla piccola e impoverita Striscia di 365 chilometri quadrati [corrispondente alla provincia di Prato, ndt.]. Di nuovo, anche se i numeri possono sembrare precisi, vengono spesso utilizzati per raccontare una piccola parte di una storia complessa.

Questa generazione di Gaza, cresciuta o nata dopo l’imposizione dell’assedio, ha vissuto almeno cinque importanti e devastanti guerre, in cui bambini come loro, insieme alle loro madri, ai padri e fratelli sono stati il bersaglio principale e quindi le vittime principali.

Nemmeno i tentativi di protestare pacificamente contro l’ingiustizia dell’assedio radunandosi in gran numero presso la recinzione che separa Gaza assediata da Israele sono stati autorizzati dallo Stato occupante. Le proteste di massa, conosciute come la Grande Marcia del Ritorno hanno ricevuto come risposta i proiettili dei cecchini israeliani. Immagini di giovani che trasportavano altri giovani che sanguinavano per ferite da arma da fuoco e gridavano “Dio è grande” erano diventate una scena normale lungo la recinzione. Man mano che le vittime aumentavano, nel tempo l’interesse dei media per la storia semplicemente svaniva.

Le centinaia di combattenti che all’alba di sabato scorso sono entrate in Israele attraverso quattro diversi punti di ingresso erano gli stessi giovani palestinesi che non conoscono altro che la guerra, l’assedio e il bisogno di proteggersi a vicenda. Hanno anche imparato a sopravvivere a tutti i costi, nonostante la scarsità o la totale mancanza di quasi tutto a Gaza, comprese l’acqua pulita e un’adeguata assistenza medica.

È qui che la storia di questa generazione si interseca con quella di Hamas, della Jihad islamica e di altri gruppi palestinesi.

Certo, Hamas ha scelto i tempi e la natura della sua campagna militare inserendola in una strategia molto precisa. Questo, tuttavia, non sarebbe stato possibile se Israele non avesse lasciato a questi giovani palestinesi altra scelta se non quella di contrattaccare.

I video che circolavano sui social media mostravano combattenti palestinesi che urlavano in arabo, con quel caratteristico, spesso aspro accento di Gaza: “Questo è per mio fratello” e “Questo è per mio figlio”. Hanno gridato queste e molte altre affermazioni rabbiose mentre sparavano contro coloni e soldati israeliani in preda al panico. Molti di questi ultimi, a quanto pare, avevano abbandonato le loro postazioni e si erano dati alla fuga.

L’impatto psicologico di questa guerra supererà sicuramente quello dell’ottobre 1973, quando gli eserciti arabi ottennero rapide conquiste contro Israele, anche allora a seguito di un attacco a sorpresa. Questa volta l’impatto devastante sul pensiero collettivo israeliano si rivelerà essere un punto di svolta, dal momento che la “guerra” coinvolge un solo gruppo palestinese, non un intero esercito o tre messi insieme.

L’attacco a sorpresa dell’ottobre 2023, tuttavia, è direttamente collegato alla guerra arabo-israeliana dell’ottobre 1973. Scegliendo il cinquantesimo anniversario di quello che gli arabi considerano un grande trionfo contro Israele, la Resistenza palestinese ha voluto inviare un messaggio chiaro: la causa palestinese è ancora la causa di tutti gli arabi. Tutte le dichiarazioni rilasciate dagli alti comandanti militari e dai leader politici di Hamas erano cariche di questo simbolismo e di altri riferimenti ai paesi e ai popoli arabi.

Il discorso pan-arabo non è casuale ed è comparso nelle dichiarazioni di Mohammed Deif, comandante delle brigate Al-Qassam, di al-Arouri comandante fondatore di Al-Qassam Saleh, del capo dell’Ufficio politico di Hamas Ismail Haniyeh e di Abu Obeida, il portavoce mascherato delle Brigate. Tutti hanno esortato all’unità e hanno insistito sul fatto che la Palestina non è che una componente di una più ampia lotta araba e islamica per la giustizia, la dignità e l’onore collettivo. Hamas ha chiamato la sua campagna “Al-Aqsa Flood” ricentrando l’unità palestinese, araba e musulmana attorno ad Al-Quds [nome arabo di Gerusalemme, ndt.], Gerusalemme e tutti i suoi luoghi santi.

Tutti sembravano scioccati, compreso proprio Israele, non dall’attacco di Hamas in sé ma dal coordinamento e dall’audacia di un’operazione relativamente massiccia e senza precedenti. Invece di attaccare di notte, la Resistenza ha attaccato all’alba. Invece di colpire Israele utilizzando i numerosi tunnel sotto Gaza, hanno semplicemente guidato, fatto parapendio, remato via mare e, in molti casi, attraversato a piedi il preteso confine.

L’elemento sorpresa è diventato ancora più sconcertante quando i combattenti palestinesi hanno messo in discussione i fondamenti stessi della guerriglia: invece di combattere una “guerra di manovra” hanno combattuto, anche se temporaneamente, una “guerra di posizione”, mantenendo per molte ore le aree di cui avevano ottenuto il controllo dell’interno di Israele.

In effetti, per i gruppi di Gaza, l’aspetto psicologico della guerra era essenziale quanto il combattimento fisico. Centinaia di video e immagini sono diventate virali sui social media, come se si sperasse di ridefinire il rapporto tra palestinesi, solitamente le vittime, e Israele, l’occupante militare.

L’insistenza sul non uccidere anziani e bambini è stata sottolineata dai comandanti sul campo. Questo non era destinato solo ai palestinesi. È stato anche un messaggio al pubblico internazionale, che la Resistenza Palestinese si atterrà alle regole universali della guerra.

Il numero di palestinesi che Israele uccide, e ucciderà in futuro, come rappresaglia per l’operazione Al-Aqsa sarà tragico, ma non salverà la reputazione a brandelli di un esercito indisciplinato, una società divisa e una leadership politica concentrata esclusivamente sulla propria sopravvivenza.

È troppo presto per giungere a conclusioni generali sugli esiti di questa guerra senza precedenti. Ciò che è chiarissimo, tuttavia, è che il rapporto di fondo tra l’occupazione israeliana e i palestinesi occupati di qui in poi è cambiato, probabilmente in modo permanente.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Rapporto OCHA del periodo 8 – 21 agosto 2023

Versione Originale

1). In Cisgiordania, durante operazioni condotte da forze israeliane, alcune delle quali comportavano scontri a fuoco con palestinesi, sono rimasti uccisi sei palestinesi, compreso un minore (seguono dettagli).

Il 10 agosto, un’unità israeliana sotto copertura ha fatto irruzione nella città di Nablus, dove è seguito uno scontro a fuoco con palestinesi, uno dei quali, ventitreenne, è rimasto ucciso.

L’11 agosto, forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo profughi di Tulkarem ed hanno sparato, uccidendo un palestinese di 25 anni. Almeno altri tre sono rimasti feriti, di cui due colpiti da proiettili veri. Secondo un’Organizzazione per i diritti umani, l’uomo ucciso non era coinvolto nello scontro a fuoco tra forze israeliane e palestinesi.

Il 15 agosto, durante un’operazione di ricerca-arresto condotta nel Campo profughi di Aqabet Jaber Camp (Gerico), forze israeliane hanno sparato, uccidendo due palestinesi, tra cui un ragazzo di 16 anni. È stato segnalato uno scontro a fuoco tra forze israeliane e palestinesi che lanciavano pietre; un palestinese è stato arrestato.

Il 17 agosto, nella città di Jenin, un’unità israeliana sotto copertura ha fatto irruzione in un edificio residenziale e ha ucciso un palestinese che, secondo l’esercito israeliano, aveva sparato contro di loro. Durante il ritiro delle forze israeliane è stato segnalato uno scontro a fuoco: ne sono conseguiti due feriti, tra cui una passante che è stata colpita da proiettili veri; inoltre due palestinesi sono stati arrestati e un membro delle forze israeliane è stato ferito da un ordigno esplosivo artigianale.

Il 19 agosto, un palestinese di 20 anni è morto a causa delle ferite riportate il 16 agosto, nel Campo profughi di Balata (Nablus), dove era stato colpito durante un’operazione delle forze israeliane. Durante tale operazione aveva avuto luogo uno scontro a fuoco tra palestinesi e forze israeliane; queste ultime avevano danneggiato numerosi edifici. Inoltre altri cinque palestinesi erano rimasti feriti, compreso un minore.

Ad oggi, nel 2023, il numero (172) di palestinesi uccisi in Cisgiordania e in Israele da forze israeliane ha superato il numero totale di uccisi in tutto il 2022 (155); anno che aveva già visto il numero più alto di vittime in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, dal 2005.

2). Tre israeliani sono stati uccisi in due attacchi condotti a Nablus e Hebron (seguono dettagli).

Il 19 agosto, a Huwwara (Nablus), un padre e un figlio israeliani di Ashdod (Israele) sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco da un uomo, ritenuto palestinese, che è fuggito. Forze israeliane hanno arrestato il proprietario e due lavoratori dell’autolavaggio dove è avvenuto l’omicidio.

Il 21 agosto, in un attacco a fuoco lungo la strada 60 a sud della città di Hebron, palestinesi hanno sparato, uccidendo una donna israeliana e ferendo un colono israeliano. Gli autori del reato sono fuggiti.

Il 22 agosto, forze israeliane hanno arrestato nella città di Hebron due palestinesi sospettati di aver effettuato l’attacco a fuoco e il giorno successivo hanno effettuato un sopralluogo presso le loro case di famiglia; secondo quanto riferito, in preparazione della loro demolizione punitiva. In seguito ad entrambi gli episodi, forze israeliane hanno lanciato cacce all’uomo, chiudendo i checkpoint e gli ingressi delle città limitrofe (vedi sotto).

In un ulteriore episodio, avvenuto il 20 agosto, nei pressi del villaggio di Turmusa’yya (Ramallah), palestinesi hanno lanciato pietre contro un veicolo israeliano, ferendo un colono israeliano e poi appiccando il fuoco al suo veicolo. Ciò porta a 29 il numero di israeliani uccisi, finora nel 2023, da palestinesi (o in attacchi palestinesi) in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e in Israele (oltre a un cittadino straniero) rispetto a un totale di sei vittime registrato nello stesso periodo del 2022.

3). In Cisgiordania, durante il periodo in esame, sono stati feriti da forze israeliane 559 palestinesi (21 colpiti con proiettili veri), tra cui almeno 148 minori. La maggior parte dei feriti (192) sono stati segnalati durante una demolizione punitiva, durata più di sei ore, nel Campo profughi di Askar (Nablus), durante la quale le forze israeliane hanno utilizzato proiettili veri, proiettili metallici rivestiti di gomma e lacrimogeni, mentre i palestinesi hanno lanciato pietre. Altri 195 feriti si sono verificati nel corso di undici operazioni di ricerca-arresto e altre operazioni condotte da forze israeliane Cisgiordania, di cui due segnalate nel villaggio di Beita (Nablus) come parte di una vasta caccia all’uomo per i sospettati della sparatoria del 19 agosto a Huwwara. Durante una di queste operazioni, forze israeliane hanno sparato e ferito sei palestinesi con proiettili veri, compreso un palestinese colpito alla nuca mentre cercava di aiutare un’altra persona ferita. Secondo le autorità israeliane, su questa sparatoria è stata aperta un’indagine. In altri due episodi, forze israeliane hanno ferito 100 palestinesi, in seguito all’ingresso di coloni israeliani, accompagnati da forze israeliane, nel villaggio di Qaryut (Nablus) e nella Tomba di Giuseppe nella città di Nablus. Altri 69 feriti sono stati segnalati durante manifestazioni contro l’espansione degli insediamenti a Beit Dajan (Nablus) e le restrizioni di accesso causate dall’insediamento a Kafr Qaddum (Qalqilya). Altri due feriti palestinesi, tra cui un minore e un uomo con disabilità mentale, si sono verificati quando palestinesi hanno lanciato pietre contro forze israeliane posizionate a un checkpoint militare all’ingresso della città di Qalqilya; le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni. I restanti ferimenti sono stati riportati a Gerusalemme Est, dopo che forze israeliane hanno sparato e ferito alla testa, con proiettili veri, un ragazzo palestinese di 14 anni. Secondo le forze israeliane il ragazzo aveva lanciato una bottiglia incendiaria; questa accusa è stata contestata da fonti della Comunità locale. Complessivamente, 505 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno, 21 sono stati colpiti da proiettili veri, 14 sono stati feriti da proiettili di gomma, 14 da schegge, tre da bombolette di gas lacrimogeni e due sono stati aggrediti fisicamente. Dall’inizio dell’anno, in Cisgiordania, sono stati feriti, con armi da fuoco, da forze israeliane un totale di 705 palestinesi, quasi il doppio del numero registrato nello stesso periodo del 2022 (411).

4). In Cisgiordania quattro palestinesi sono stati feriti da coloni israeliani, e persone conosciute come coloni, o ritenute tali, hanno danneggiato proprietà palestinesi in altri 19 casi. A ciò si aggiungono le vittime palestinesi delle forze israeliane nei suddetti episodi collegati a coloni, registrati a Nablus (seguono dettagli).

Il 21 agosto, un palestinese è rimasto ferito e il suo veicolo ha subito danni quando coloni israeliani hanno lanciato pietre nei pressi del villaggio di Halhul (Hebron). Lo stesso giorno, tre palestinesi sono rimasti feriti e i loro veicoli hanno subito danni quando coloni israeliani hanno lanciato pietre vicino al checkpoint di Beit El DCO, all’ingresso di Ramallah. Secondo fonti della Comunità, più di 40 alberi e alberelli sono stati vandalizzati durante il periodo in esame su terreni palestinesi prossimi agli insediamenti israeliani, in due casi, a Kafr ad Dik (Salfit) e Al Khadr (Betlemme). Dieci casi registrati a Kisan (Betlemme), Rujeib, Khirbet Tana e Burin (tutti a Nablus), Al Jwaya (Hebron), Farkha (Salfit) e Al Farisiya-Nab’a al Ghazal (Tubas), includevano casi di coloni che, introdottisi nelle Comunità, causavano danni a strutture agricole, colture, muri in pietra, reti idriche e serbatoi d’acqua, oltre al ferimento di bestiame. In altri sei episodi, coloni israeliani hanno lanciato pietre e hanno danneggiato sei veicoli palestinesi.

5). Nel governatorato di Ramallah le autorità israeliane hanno demolito una scuola finanziata da donatori (seguono dettagli). Il 17 agosto, le autorità israeliane hanno demolito una scuola finanziata da donatori e frequentata da studenti della Comunità di pastori sfollati di Ein Samiya (Ramallah). La scuola ospitava 17 bambini, di età compresa tra i sei e i 12 anni, della Comunità di Ein Samiya. All’inizio di maggio, i membri della Comunità, composta da 132 persone, tra cui 68 minori, si sono trasferiti in aree in cui, secondo quanto riferito, si sentivano più sicure, citando la violenza dei coloni come motivo principale della loro partenza. Dal 2010, nell’Area C della Cisgiordania e Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno effettuato 41 demolizioni/confische contro 22 scuole.

6). Oltre alla scuola di cui sopra, a Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania le autorità israeliane, citando la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, che sono quasi impossibile da ottenere, hanno demolito, confiscato o costretto le persone a demolire altre 33 strutture, comprese dieci case. Di conseguenza, 22 palestinesi, tra cui dieci minori, sono stati sfollati e sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di oltre 100 altri.

Tre delle strutture colpite erano state fornite da donatori in risposta a precedenti demolizioni avvenute nella Comunità di Isteih (Gerico) e nella Comunità di Humsa Al Farsheh (Nablus). Ventinove (29) delle strutture interessate sono state demolite in Area C, comprese quattro strutture demolite a Ein Shibli (Nablus), situate in una area dichiarata da Israele riserva naturale, dove la costruzione palestinese è vietata.

Altre due strutture sono state demolite nella Comunità di Humsa Al Farsheh (Nablus) situata in un’area chiusa per scopi di addestramento militare (“zona di fuoco”), dove è vietata la costruzione palestinese. Questa designazione si applica a circa il 18% del territorio della Cisgiordania, principalmente nella Valle del Giordano.

Altre quattro strutture sono state demolite a Gerusalemme Est, provocando lo sfollamento di due famiglie, composte da nove persone, tra cui tre minori. Due delle strutture demolite a Gerusalemme Est sono state distrutte dai proprietari per evitare il pagamento di multe alle autorità israeliane.

7). L’8 agosto, forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo profughi di Askar (Nablus), in area B, e hanno demolito per motivi punitivi la casa di famiglia di un uomo accusato di aver ucciso due coloni israeliani nel febbraio 2023. Una famiglia composta da quattro persone, tra cui una minore, è stata sfollata. Durante la demolizione durata più di sei ore, un totale di 197 palestinesi sono rimasti feriti, tra cui 75 minori, ad opera delle forze israeliane; vedere i dettagli sopra. Dall’inizio del 2023, 16 case e una struttura agricola sono state demolite per motivi punitivi, rispetto a 14 strutture demolite in tutto il 2022 e tre nel 2021. Le demolizioni punitive sono una forma di punizione collettiva e come tali sono illegali secondo il diritto internazionale.

8). Forze israeliane hanno limitato il movimento in varie località della Cisgiordania, impedendo l’accesso di migliaia di palestinesi ai mezzi di sussistenza e ai servizi (seguono dettagli).

In seguito agli attacchi a fuoco in cui sono rimasti uccisi tre israeliani, forze israeliane hanno lanciato una caccia all’uomo, comprese frequenti operazioni notturne di ricerca-arresto, ed hanno costituito checkpoint volanti a tutti gli ingressi/uscite delle città di Nablus e Hebron e dei villaggi circostanti, ostacolando il movimento dei palestinesi per almeno tre giorni. L’ingresso al villaggio di Yanun (Nablus) è stato tenuto rigorosamente chiuso per un totale di cinque giorni, senza che quasi nessuno potesse uscire. Le eccezioni erano riservate a studenti e insegnanti, i quali hanno dovuto, comunque, affrontare ritardi significativi. In due occasioni, i militari hanno consentito ai residenti, attraverso il coordinamento e per tempi limitati, l’accesso ai mercati per l’acquisto di medicinali essenziali, cibo e foraggio.

Il 9 agosto, forze israeliane hanno installato tre nuovi cancelli stradali nell’area di Al Marba’a, sulla strada che porta ai villaggi di Tell, Burin e Madama (tutti a Nablus), e hanno posizionato blocchi di cemento all’ingresso di Burin e Madama, limitando gli spostamenti di oltre 11.000 palestinesi.

Dal 14 agosto, nella città di Hebron, forze israeliane hanno chiuso due cancelli stradali lungo la strada 60, per circa quattro ore al giorno, limitando l’accesso dei palestinesi alla città di Hebron.

9). Nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale di Israele o al largo della costa, in almeno otto casi, forze israeliane hanno aperto il “fuoco di avvertimento”. Durante questi episodi due pescatori, tra cui un minore, sono rimasti feriti e sono stati arrestati da forze navali israeliane, mentre la loro barca e le relative attrezzature sono state confiscate. Durante gli stessi episodi sono stati arrestati anche altri quattro pescatori.

10). Sempre nella Striscia di Gaza, il 21 agosto, in occasione del 54° anniversario dell’incendio della moschea di Al-Aqsa, palestinesi hanno manifestato lungo la recinzione perimetrale di Israele. Sono stati bruciati pneumatici e lanciate pietre e ordigni esplosivi verso la recinzione israeliana. Forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e bombolette di gas lacrimogeno, ferendo 19 palestinesi, tra cui 12 minori.

Ultimi sviluppi

Questa sezione si basa sulle informazioni iniziali provenienti da diverse fonti. Ulteriori dettagli confermati saranno forniti nel prossimo rapporto.

– Il 22 agosto, ad Az Zababida (Jenin), durante un’operazione di ricerca-arresto, forze israeliane hanno sparato, uccidendo un ragazzo palestinese di 17 anni.

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Note a piè di pagina

1- Vengono conteggiati separatamente i palestinesi uccisi o feriti da persone che non sono membri delle forze israeliane; ad esempio da civili israeliani o da lanci di razzi palestinesi non riusciti; così come coloro la cui causa immediata di morte o l’identità dell’autore del reato rimangono controverse, poco chiare o sconosciute. In questo periodo di riferimento, un palestinese ucciso da un colono israeliano viene conteggiato separatamente.

2- Le vittime israeliane in questi rapporti includono persone ferite mentre correvano verso i rifugi durante gli attacchi missilistici palestinesi. I cittadini stranieri uccisi negli attacchi palestinesi e le persone la cui causa immediata di morte o l’identità dell’autore rimane controversa, poco chiara o sconosciuta, vengono conteggiati separatamente.

La protezione dei dati dei civili da parte di OCHA include gli episodi avvenuti al di fuori dei territori palestinesi occupati (oPt) solo se hanno coinvolto i residenti dei territori occupati come vittime o autori.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it