Il raid su Jenin è finito. I palestinesi sono soli ad affrontare il trauma

Virginia Pietromarchi

10 luglio 2023 – Al Jazeera

I palestinesi setacciano le macerie delle loro case distrutte e della loro psiche danneggiata.

Jenin, Cisgiordania occupata Ogni mattina Fatima Salahat, madre di quattro figli, si svegliava alle 7, si alzava dal letto ed entrava in punta di piedi nella cucina della sua casa nel campo profughi di Jenin nella Cisgiordania occupata.

Mentre suo marito Zeid era ancora immerso nel sonno lei iniziava la giornata con la musica della star libanese Fairuz, spesso la stessa canzone di continuo.

La via del nostro amore era la sua preferita”, racconta Zeid, un paramedico di 56 anni. Ma ora non riesco a trovare niente in quella canzone. Quei momenti felici sono persi.

Ora Fatima giace su un letto d’ospedale. Riesce a parlare e camminare con difficoltà dopo aver avuto un attacco di panico che secondo i medici è collegato allo stress causato dalla più devastante offensiva militare israeliana sul campo profughi in circa 20 anni.

La scorsa settimana più di 1.000 soldati israeliani hanno preso d’assalto il campo sovraffollato mentre razzi e missili drone hanno colpito case private e infrastrutture pubbliche. Nessuno era in grado di prevedere da dove sarebbe arrivato il bombardamento successivo.

Il secondo giorno dell’attacco Fatima, di 54 anni, ha iniziato a mostrare dei sintomi. Era facilmente irritabile, nervosa e tesa in un costante stato di allerta fino a quando non ha raggiunto un punto di rottura ed è stata portata all’ospedale pubblico di Jenin.

La sua condizione è tutt’altro che un caso isolato. All’indomani dell’offensiva in cui le forze israeliane hanno ucciso 12 palestinesi, gli abitanti si sono trovati non solo a setacciare le macerie delle loro case distrutte ma anche a fare i conti con il pesante carico emotivo inflitto da ogni attacco israeliano.

Un trauma collettivo a più strati

In Occidente lo chiamano disturbo da stress post-traumatico o PTSD. Metto in dubbio l’uso del termine qui perché in Palestina non ci siamo mai trovati nel post“, afferma Samah Jabr, responsabile dell’Unità di Salute Mentale dell’Autorità Nazionale Palestinese.

L’ultimo raid, dicono gli esperti, ha aggiunto un altro strato al trauma collettivo sofferto dai palestinesi che vivono sotto occupazione, esacerbando ferite che non hanno avuto la possibilità di rimarginarsi da generazioni.

Israele ha affermato che il raid aveva lo scopo di “ripulire” un “covo di terroristi”, ma gli esperti delle Nazioni Unite hanno affermato che l’assalto costituisce una punizione collettiva contro i palestinesi e potrebbe configurarsi come un crimine di guerra.

Gli abitanti adulti del campo profughi hanno raccontato ad Al Jazeera di essere perseguitati dagli stessi incubi che hanno seguito le offensive militari israeliane dei decenni passati.

Gli adolescenti, che hanno appena subito l’attacco più aggressivo nel corso della loro giovane vita, ora chiedono di essere accompagnati in bagno e si rifiutano di dormire da soli.

“Il trauma è persistente, cronico, storico ed intergenerazionale”, afferma Jabr. Ha evidenziato come il feroce assalto abbia colpito anche la psiche dei palestinesi fuori Jenin perché le immagini che mostrano migliaia di persone che evacuano il campo nel cuore della notte con solo i vestiti addosso ricordano a molti la Nakba.

La Nakba, che in arabo significa “catastrofe”, si riferisce a quando nel 1948 750.000 palestinesi furono spazzati via dalle loro città e villaggi subendo una pulizia etnica per far posto alla fondazione di Israele.

Il campo di Jenin è stato istituito nel 1953 per rifugiati provenienti da più di 50 villaggi e città nelle parti settentrionali della Palestina, principalmente Haifa e Nazareth. Da allora è stato l’obiettivo di continui raid militari israeliani.

Durante l’Intifada del 2002 le forze israeliane hanno spazzato via intere zone del campo e ucciso 52 palestinesi in 10 giorni di combattimenti, che hanno anche determinato la morte di 23 soldati israeliani.

Più di un quarto della popolazione del campo fu costretto a fuggire da quello che era diventato un campo di battaglia, o “Jeningrad”, come lo definì il defunto leader palestinese Yasser Arafat in riferimento all’assedio nazista della città russa di Stalingrado durante la seconda guerra mondiale.

“D’improvviso è tornata la stessa paura”

“Questa è stata la mia terza Nakba”, ha detto Afaf Bitawi, abitante nel campo, a proposito dell’offensiva israeliana della scorsa settimana.

Pur non essendo ancora nata, la 66enne ha vissuto gli eventi del 1948 attraverso le storie dolorose raccontate dai suoi genitori. Ha anche assistito in prima persona all’impatto persistente dell’occupazione, ricordando ogni dettaglio dell’attacco del 2002 che ha lasciato la sua casa in rovina.

“La stessa identica domanda: dovrei uscire di casa e rischiare di essere colpita da un cecchino, o dovrei abbandonarla e temere che un bulldozer possa demolirla?” dice Bitawi, descrivendo come si è sentita durante il recente raid. “Quella stessa paura, quella stessa domanda e il trauma sono tornati all’istante.”

Gli esperti hanno affermato che questo ciclo continuo di traumi si consolida ulteriormente con ogni successiva operazione militare. E per quanto oggi potrebbe esserci più consapevolezza e disponibilità ad accedere ad un supporto per la salute mentale i bisogni sono enormi.

Secondo i dati dell’Ufficio Centrale di Statistica Palestinese nella Cisgiordania occupata più della metà delle persone di età superiore ai 18 anni soffre di depressione. Nella Striscia di Gaza assediata, la cifra è del 70%.

Le condizioni di vita nel campo di Jenin non aiutano. Più di 11.200 persone vivono ammassate in un’area inferiore a mezzo chilometro quadrato senza un solo spazio verde e con uno dei tassi di disoccupazione più alti di tutti i campi profughi della Cisgiordania occupata.

Alcune ONG danno un po’ di sollievo offrendo sostegno psicologico alle famiglie o organizzando attività ricreative, soprattutto per i bambini. L’anno scorso è stata addirittura lanciata la prima start up per la salute e il benessere mentale, Hakini.

Ma troppo spesso un amico o un parente viene ucciso o veicoli blindati e uomini armati vagano per le strade del campo rendendo impossibile qualsiasi duraturo sollievo dallo stress e provocando nuovi traumi.

Manassa Yacoub, 13 anni, dalla morte dell’amica Sedil Naghniyeh mangia poco o niente. La quindicenne era stata uccisa durante il raid israeliano alla fine di giugno.

Da allora non dorme mai sola. E’ sempre silenziosa. Ha persino paura di usare l’altalena nel nostro cortile. La guarda solo da lontano, dice suo padre Sami Yacoub, 43 anni, proprietario di un negozio di telefonia mobile.

Garantire la persistenza del trauma

Ci sono altri ostacoli nell’affrontare i problemi di salute mentale.

Vivere sotto un’occupazione vecchia di decenni ha creato un’ulteriore pressione a che i palestinesi si impegnassero nella lotta di resistenza – una cosa, dichiarano i palestinesi, che è stata loro imposta da Israele.

Gli israeliani si assicurano che ogni generazione abbia il proprio personale trauma – è un trauma prefabbricato, afferma Nasser Mattat, psicologo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi che nel 2022 ha gestito il pronto intervento di salute mentale per i bambini.

Molti dei combattenti nel campo di Jenin oggi sono gli stessi bambini traumatizzati vent’anni fa, dice.

“Il trauma subito oggi porterà a ulteriori violenze perché non viene affrontato”, conclude Mattat.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Riduzione del numero di permessi di costruzione concessi dallo Stato di Israele ai palestinesi

Redazione di MEMO

13 giugno 2023 – Middle East Monitor

L’agenzia Wafa news ha riferito che durante il primo trimestre di quest’anno la percentuale delle licenze edilizie che lo Stato di Israele ha concesso ai palestinesi nei territori occupati è diminuito del 10%.

L’ufficio centrale di statistiche palestinese ha affermato oggi che nel primo trimestre del 2023 sono stati rilasciati nei territori palestinesi occupati, in totale 2.530 permessi di costruzione, tra cui 1.625 licenze per nuove costruzioni.

I nuovi dati mostrano una diminuzione del 10% del numero di permessi concessi ai palestinesi in confronto all’ultimo trimestre dello scorso anno.

Ai palestinesi sono raramente concesse licenze edilizie dalle autorità israeliane di occupazione, specialmente a Gerusalemme Est occupata.

Inoltre l’istituto centrale di statistica palestinese ha aggiunto che i dati hanno rivelato che il numero dei permessi rilasciati durante il primo trimestre del 2023 è diminuito del 18% in confronto al quarto trimestre del 2022 e di un altro 23% in confronto al primo semestre del 2022.

Ciò è avvenuto dopo che l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha riferito lo scorso mese che nel primo trimestre del 2023 le forze israeliane di occupazione hanno demolito, forzato la popolazione locale a farlo o sequestrato 290 strutture possedute da palestinesi in tutta la Cisgiordania e Gerusalemme Est.

“Tutte le strutture tranne 19 sono state colpite dai provvedimenti per la mancanza di permessi di costruzione che sono quasi impossibili da ottenere da parte dei palestinesi” ha spiegato l’OCHA. “Come conseguenza 413 persone, inclusi 194 bambini, sono stati deportati e le vite o l’accesso ai servizi di altre 11.000 sono state compromesse.”

I permessi di costruzione sono rilasciati a prezzi esorbitanti e insostenibili per la maggior parte dei palestinesi, creando un escamotage che consente allo Stato di Israele di annettere una maggior quantità di terra e lasciare i palestinesi in un limbo impedendo loro di sviluppare le infrastrutture. I palestinesi che fanno richiesta di permessi spesso non hanno risposta per anni oppure vedono la loro richiesta rifiutata.

L’OCHA ha aggiunto che “il numero di strutture colpite nel primo trimestre del 2023 è aumentato del 46% rispetto allo stesso periodo nel 2022, che ha visto già il numero più alto di demolizioni registrato nella Cisgiordania e a Gerusalemme dal 2016.”

La politica ampiamente praticata dallo Stato di Israele di demolizioni di case colpendo intere famiglie è un atto di punizione collettiva illegale e è in diretta violazione del diritto internazionale in materia di diritti umani.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Soldati israeliani uccidono due palestinesi nei pressi di Nablus

Redazione di Al Jazeera

11 aprile 2023 – Al Jazeera

L’episodio è accaduto mentre Israele dichiarava che avrebbe bandito i visitatori ebrei da Al-Aqsa per il resto del Ramadan.

Il ministro della difesa Yoav Gallant ha dichiarato che dei soldati israeliani hanno ucciso due palestinesi.

“Elogio le azioni dei soldati che hanno eliminato due terroristi che hanno aperto il fuoco contro di loro vicino a Elon Moreh [nei pressi della città di Nablus in Cisgiordania]”, ha detto Gallant martedì su Twitter.

“Il successo della loro operazione ha impedito un attacco contro cittadini israeliani”, ha dichiarato in seguito Gallant. In precedenza, i militari avevano detto che le loro forze avevano “neutralizzato” due uomini e trovato sul posto fucili e pistole.

Fonti locali palestinesi di Nablus hanno riferito ad Al Jazeera che i corpi dei due uomini identificati come Mohammed Abu Dhraa e Soud al-Titi sono stati sequestrati dall’esercito israeliano.

Le fonti sostengono che Al-Titi era un membro delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese, mentre Abu Dhraa era un ex detenuto che ha trascorso sette anni in una prigione israeliana.

Israele trattiene i corpi dei palestinesi come politica punitiva da decenni. Tuttavia le organizzazioni per i diritti umani hanno affermato che dal 2015 si è verificata una crescita significativa di questa pratica.

Secondo il Jerusalem Legal Aid and Human Rights Center [ONG con sede a Ramallah che combatte contro le violazioni dei diritti umani fornendo sostegno legale gratuito, ndt] Israele attualmente trattiene almeno 105 corpi palestinesi negli obitori, un atto che si configura come punizione collettiva delle famiglie a cui, senza una sepoltura, viene spesso preclusa la possibilità di dare un estremo saluto.

Durante lo scorso anno l’esercito israeliano ha effettuato frequenti raid in tutta la Cisgiordania occupata.

Sotto il governo della destra più estrema nella storia di Israele, insediato alla fine dello scorso anno, i raid si sono intensificati, provocando un pesante tributo sui civili.

Da gennaio sono stati uccisi più di 90 palestinesi e sono morti almeno 19 tra israeliani e stranieri.

La tensione è particolarmente alta poiché il mese sacro musulmano del Ramadan e la Pasqua ebraica coincidono.

La scorsa settimana diverse incursioni della polizia israeliana nel complesso della moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme e attacchi ai fedeli palestinesi hanno provocato dei lanci di razzi su Israele con conseguenti attacchi israeliani contro Gaza, il sud del Libano e la Siria.

Secondo una dichiarazione dell’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu martedì Israele ha annunciato che avrebbe vietato ai visitatori e ai turisti ebrei di accedere al complesso della moschea di Al-Aqsa fino alla fine del Ramadan.

Anche negli anni scorsi Israele ha vietato le visite degli ebrei al complesso durante gli ultimi 10 giorni del Ramadan.

La scorsa settimana sospetti palestinesi armati hanno ucciso tre coloni e qualche ora dopo in un attacco è stato investito e ucciso un turista italiano. Nessuna organizzazione ha rivendicato la responsabilità di ambedue gli attacchi.

Lunedì dei palestinesi in lutto si sono ritrovati per il funerale di un ragazzo di 15 anni ucciso dalle forze israeliane durante un raid nel campo profughi di Aqabat Jaber, vicino a Gerico nella Valle del Giordano.

Il ministero della salute palestinese ha affermato che Mohammad Balhan ha riportato ferite da arma da fuoco alla testa, al torace e all’addome.

L’Associazione dei prigionieri palestinesi ha affermato che durante il raid l’esercito israeliano ha arrestato almeno due persone.

“Esortiamo il mondo a ritenere questo governo [israeliano] responsabile dei suoi crimini”, ha detto il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh all’inizio della sessione settimanale del governo.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)

 

 




Le chiusure israeliane a Huwwara soffocano le imprese e gli spostamenti dei palestinesi

Fayha Shalash , Ramallah Palestina occupata

27 marzo 2023 – Middle East Eye

La gioia del Ramadan nella città della Cisgiordania è sconvolta dai blocchi stradali dell’esercito e dalla chiusura dei negozi

Lunedì l’esercito israeliano, in quella che i palestinesi hanno definito una punizione collettiva, ha continuato a imporre chiusure intorno a Huwwara, nel nord della Cisgiordania occupata.

Le strade in entrata e in uscita da Nablus e Huwwara sono state bloccate e ai negozi della città è stato ordinato di chiudere fino a nuovo ordine.

Le chiusure sono state imposte nella tarda serata di sabato dopo che colpi esplosi da un’auto da parte di palestinesi avevano ferito due soldati israeliani.

Gli imprenditori affermano di essere stati i più colpiti.

“Quando i soldati sono venuti a chiudere i nostri negozi non ci hanno permesso di salvare la merce e nemmeno di coprirla, altrimenti avrebbero rotto il vetro e le avrebbero sparato”, ha detto a Middle East Eye Mazen al-Aker, proprietario di un negozio di dolciumi.

Secondo al-Aker le chiusure hanno reso questo Ramadan il peggiore che la città abbia visto da anni.

Diversi proprietari di negozi domenica hanno cercato di riaprire per gli affari sfidando le misure israeliane, ma sono stati dispersi dall’esercito con gas lacrimogeni e granate assordanti.

I video pubblicati sui media locali mostrano la sera [nel momento in cui cessa il digiuno prescritto nel mese di Ramadan, ndt] decine di palestinesi diretti a Huwwara bloccati in lunghe code ai posti di blocco israeliani, il che ha costretto molti a rompere il digiuno del Ramadan sui loro veicoli.

Nel frattempo domenica i coloni israeliani hanno preso d’assalto la città per protestare contro le sparatorie palestinesi.

Alla folla si sono uniti Yossi Dagan, capo del consiglio per gli insediamenti nel nord della Cisgiordania, e il deputato israeliano di estrema destra Zvi Sukkot.

Dagan ha allestito un ufficio improvvisato sulla strada principale per protestare contro quello che ha definito “l’incapacità dell’esercito israeliano di proteggere i coloni”.

Il periodo ‘più difficile’

La sparatoria di sabato è stata la terza contro israeliani in meno di un mese a Huwwara, che si trova sulla principale autostrada nord-sud della West Bank Route 60 utilizzata dai coloni.

Dopo ogni incidente, l’esercito pone la città sotto rigide restrizioni.

Ghaleb Odeh, proprietario di un fast food, ha detto che i suoi negozi sono stati chiusi dall’esercito israeliano per un totale di 12 giorni nel solo mese di marzo.

“L’altro ieri ho preparato 200-300 chilogrammi di carne e pollo da vendere, insieme a centinaia di contenitori di insalate diverse, ma quando è stata emessa la decisione militare israeliana di chiudere i negozi ho dovuto distruggere tutto, il che mi ha causato grandi perdite”, ha detto Odeh a MEE.

“Per la prima volta nella mia vita, ho accumulato un debito di 80.000 shekel [$ 22.437] con i macellai”.

Secondo Odeh, questo è il periodo “più difficile” che Huwwara abbia vissuto da quando ha aperto il suo negozio nel 1995.

Anche quando il ristorante è aperto, ha aggiunto, i continui attacchi dei coloni in città causano pesanti perdite agli esercii commerciali poiché la circolazione dei veicoli è quasi completamente paralizzata.

Huwwara è stata teatro di ripetute violenze da parte dei coloni negli ultimi mesi.

La cittàdina, situata strategicamente al centro dei villaggi a sud di Nablus, ospita 7.000 palestinesi ed è circondata da colonie israeliane.

Il mese scorso è stata al centro di una distruzione senza precedenti da parte dei coloni israeliani dopo che centinaia di essi, con l’appoggio dei soldati, hanno attaccato la città.

Un palestinese è stato ucciso e quasi 400 feriti negli attacchi.

Quasi 700.000 coloni vivono in più di 250 insediamenti e avamposti in Cisgiordania e Gerusalemme est in violazione del diritto internazionale.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Rapporto OCHA del periodo 14 – 27 febbraio 2023

1). In Cisgiordania sono continuati gli episodi di violenza quotidiana che hanno coinvolto palestinesi, coloni israeliani e forze israeliane: 16 palestinesi, di cui tre minori, e tre israeliani sono stati uccisi; 1.089 palestinesi e cinque israeliani sono rimasti feriti.

Dal 1° gennaio al 27 febbraio 2023, nei Territori palestinesi occupati e in Israele sono stati uccisi 63 palestinesi e tredici israeliani, oltre a un cittadino straniero e un soldato israeliano; 2.001 palestinesi e almeno 25 israeliani sono rimasti feriti.

2). Nella città vecchia di Nablus, in un’operazione che ha comportato uno scontro a fuoco con palestinesi, forze israeliane hanno ucciso dieci palestinesi e ferito altri 453, di cui 103 con proiettili veri. Un altro palestinese è morto a causa dell’esposizione a gas lacrimogeni che hanno aggravato la sua condizione medica preesistente. Secondo il Ministero della salute questo è il numero più alto di persone uccise in una singola operazione in Cisgiordania da quando, nel 2005, l’OCHA (ONU) iniziò a registrare i dati (seguono dettagli).

Il 22 febbraio, forze israeliane hanno fatto irruzione nella Città Vecchia di Nablus, dove hanno circondato un edificio ed hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi. Secondo l’esercito israeliano, l’operazione aveva lo scopo di arrestare palestinesi sospettati di pianificare attacchi contro israeliani. Durante l’operazione, le forze israeliane hanno distrutto un edificio, all’interno del quale due palestinesi, che si erano rifiutati di arrendersi, sono stati uccisi. Inoltre, durante la stessa operazione, altri quattro palestinesi sono stati colpiti e uccisi in scontri a fuoco con forze israeliane. L’operazione ha innescato ulteriori scontri tra residenti palestinesi e forze israeliane, durante i quali le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni contro i palestinesi che hanno lanciato contro di loro pietre e bottiglie incendiarie. Di conseguenza, quattro palestinesi, tra cui un ragazzo di 16 anni, sono stati colpiti e uccisi con proiettili veri sparati dalle forze israeliane; altri 453 sono rimasti feriti, di cui 103 da proiettili veri. Secondo i media israeliani, due soldati israeliani sono rimasti feriti. Secondo fonti mediche, le forze israeliane hanno impedito alle ambulanze di accedere all’area. Dopo l’operazione, palestinesi di tutta la Cisgiordania e della Striscia di Gaza hanno tenuto manifestazioni, durante le quali sette palestinesi sono rimasti feriti. Il 24 febbraio, un palestinese è morto per le ferite riportate il giorno prima; le forze israeliane gli avevano sparato con proiettili veri durante una di tali manifestazioni, svolta all’interno del Campo profughi di Al ‘Arrub (Hebron), in cui i palestinesi avevano lanciato pietre contro le forze israeliane.

3). Durante il periodo in esame altri quattro palestinesi, tra cui due minori, sono stati uccisi da forze israeliane o sono morti per le ferite riportate in precedenza (seguono dettagli).

Il 14 febbraio, forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo profughi di El Far’a a Tubas, e nel corso di uno scontro a fuoco con palestinesi, hanno ucciso un ragazzo di 17 anni che, secondo l’esercito israeliano, aveva sparato contro di loro; accusa contestata da un testimone oculare e da Organizzazioni per i diritti umani.

Durante lo stesso episodio, un ragazzo di 13 anni è stato morso e ferito da un cane delle forze armate israeliane.

Lo stesso giorno, un palestinese è morto per le ferite riportate il 1° gennaio 2021; in quelle circostanze, accadute nella Comunità Ar Rakeez di Masafer Yatta (Hebron), mentre cercava di impedire la confisca di un generatore elettrico, un soldato israeliano gli aveva sparato al collo .

Il 20 febbraio, un tredicenne palestinese è deceduto per le ferite riportate l’8 febbraio 2023; durante scontri tra palestinesi ed esercito israeliano che scortavano coloni israeliani alla tomba di Giuseppe, nella città di Nablus, un soldato israeliano gli aveva sparato con proiettili veri.

Ad oggi, il numero totale di minori palestinesi uccisi da forze israeliane in Cisgiordania nel 2023 è di dodici (12), rispetto ai due uccisi nel 2022, in un arco di tempo equivalente.

Il 23 febbraio, un altro palestinese è deceduto per le ferite riportate il 12 febbraio durante un’operazione di ricerca-arresto che aveva provocato uno scontro a fuoco tra forze israeliane e palestinesi nel Campo profughi di Jenin.

4). A Nablus, due coloni israeliani e un palestinese sono stati uccisi lo stesso giorno, in due diversi episodi (seguono dettagli).

Il 26 febbraio, due fratelli israeliani dell’insediamento colonico di Har Barcha, mentre stavano percorrendo la strada 60 nella città di Huwwara (Nablus), sono stati uccisi da un uomo armato, ritenuto palestinese. Successivamente, per trovare l’autore, forze israeliane hanno lanciato una caccia all’uomo, imponendo restrizioni agli spostamenti in Città e nell’area circostante (vedi sotto). A seguito dell’attacco, coloni israeliani, secondo quanto riferito, provenienti dagli insediamenti colonici di Yitzhar, Bracha, Kfar Tappuah e altri avamposti di insediamenti adiacenti, hanno lanciato pietre ed hanno aggredito fisicamente abitanti della città di Huwwara e dei villaggi vicini; inoltre hanno appiccato il fuoco a proprietà palestinesi. Nel villaggio di Za’tara, un palestinese è stato colpito e ucciso vicino alla sua casa e un altro è rimasto ferito, entrambi con proiettili veri sparati da coloni israeliani o da forze israeliane. Altri nove palestinesi sono stati feriti da coloni israeliani, tra cui un minore e una donna, e sono stati causati ingenti danni alle proprietà palestinesi. Almeno 37 case abitate hanno subito danni, comprese alcune date alle fiamme da coloni israeliani, provocando lo sfollamento di otto famiglie palestinesi e di parte di altre cinque famiglie. Inoltre, almeno otto strutture commerciali, comprese sei officine di riparazione auto, sono state incendiate, insieme a 55 veicoli privati palestinesi e 1.200 veicoli rottamati. Inoltre, a Huwwara, coloni hanno attaccato un camion dei pompieri, impedendo loro di entrare in città; il veicolo è stato danneggiato e uno dei vigili del fuoco è rimasto ferito. Secondo le forze israeliane un soldato è rimasto ferito da coloni che lo hanno aggredito fisicamente e hanno tentato di investirlo.

5). Il 27 febbraio, in una sparatoria registrata vicino a Gerico, un israeliano, che detiene anche la cittadinanza statunitense, è stato ucciso da un uomo armato (ritenuto palestinese). Lo stesso uomo ha continuato a guidare, sparando contro altri due veicoli, ma non sono stati riportati feriti. Successivamente, forze israeliane hanno lanciato una caccia all’uomo per trovare l’autore, imponendo restrizioni agli spostamento nella città di Gerico (vedi sotto). Ciò porta a tredici, oltre a un cittadino straniero e un soldato, gli israeliani uccisi, dall’inizio dell’anno, in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est e Israele; nel 2022, nello stesso arco di tempo non erano state registrate uccisioni.

6). In Cisgiordania, durante il periodo in esame, 1.068 palestinesi, tra cui almeno 102 minori, sono stati feriti da forze israeliane, di cui 119 colpiti da proiettili veri (seguono dettagli).

Oltre ai 453 palestinesi feriti da forze israeliane, il 22 febbraio, nell’operazione nella Città Vecchia di Nablus, altri 39 feriti sono stati registrati durante dieci operazioni di ricerca-arresto e altre operazioni condotte da forze israeliane in tutta la Cisgiordania.

In altri quindici episodi, registrati a Betlemme, Hebron, Nablus e Tubas, 451 palestinesi sono stati feriti da forze israeliane, in seguito all’ingresso di coloni israeliani, accompagnati da forze israeliane, nelle stesse Comunità palestinesi; la maggior parte dei feriti è stata curata per inalazione di gas lacrimogeni. Il novanta per cento di questi feriti è stato registrato nella città di Huwwara, tra il 26 e il 27 febbraio, contestualmente all’attacco di coloni.

Altri 125 dei feriti totali sono stati registrati in varie manifestazioni, compresa quella che contestava la creazione di un avamposto israeliano presso la Comunità Wadi Seeq (Ramallah), e contro l’espansione degli insediamenti e le restrizioni di accesso legate agli insediamenti a Beit Dajan e Beita (entrambe a Nablus), e Kafr Qaddum (Qalqilya) e in altre manifestazioni contro l’operazione Nablus che hanno provocato la morte di undici palestinesi.

Complessivamente, 866 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, 120 sono stati colpiti da proiettili veri, 19 sono stati feriti da proiettili di gomma, 55 da schegge, cinque sono stati aggrediti fisicamente, due sono stati colpiti da granate sonore e uno è stato colpito da candelotti lacrimogeni.

7). In Cisgiordania, altri otto palestinesi, tra cui due minori, sono stati feriti da coloni israeliani; persone conosciute come coloni, o ritenute tali, hanno danneggiato proprietà palestinesi in altri 39 casi. Oltre ai palestinesi feriti da forze israeliane e da coloni nei già citati episodi collegati a coloni (seguono dettagli).

Tra il 14 e il 25 febbraio, coloni israeliani hanno ferito cinque palestinesi, tra cui un minore. Due dei feriti sono stati provocati da proiettili veri sparati da coloni.

In altri 24 episodi registrati a Ramallah, Betlemme, Hebron, Gerusalemme e Nablus, secondo testimoni oculari e fonti delle Comunità locali, più di 300 alberi sono stati vandalizzati su terre palestinesi, comprese le terre prossime agli insediamenti israeliani e agli avamposti degli insediamenti israeliani di nuova costituzione; sono state forate le gomme di venticinque auto di proprietà palestinese; coloni israeliani hanno scritto sui muri di tre case, hanno dato fuoco alle coltivazioni in un terreno agricolo, hanno rubato attrezzature agricole e danneggiato serbatoi d’acqua.

Inoltre, tra il 26 e il 27 febbraio, in seguito alla uccisione di due coloni (di cui sopra), in Cisgiordania sono stati segnalati altri 18 episodi di violenza: coloni israeliani hanno ferito tre palestinesi, tra cui una donna, hanno lanciato pietre, hanno vandalizzando 17 veicoli palestinesi ed hanno forato le gomme di altri sette o dato fuoco a proprietà palestinesi vicino a Tubas, Hebron, Ramallah, Salfit e Nablus.

8). Vicino a Nablus, una donna israeliana è rimasta ferita e il suo veicolo ha subito danni, secondo quanto riferito, ad opera di palestinesi che hanno sparato al suo veicolo. In altri cinque casi, due coloni israeliani sono rimasti feriti e sono stati causati danni ad almeno cinque veicoli israeliani da persone conosciute come palestinesi, o ritenute tali, che hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani che viaggiavano sulle strade della Cisgiordania.

9). A Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, che sono quasi impossibili da ottenere, le autorità israeliane hanno demolito, confiscato o costretto le persone a demolire 66 strutture comprese 18 strutture residenziali Ventidue (22) delle strutture erano state fornite da donatori come assistenza umanitaria. Di conseguenza, 60 palestinesi, tra cui 29 minori, sono stati sfollati e sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di oltre 200 altri (seguono dettagli).

Quarantanove (49) delle strutture si trovavano in Area C, di cui sedici (tutte finanziate da donatori) demolite in un unico episodio registrato nella Comunità di Lifjim a Nablus; tre famiglie, comprendenti 17 persone, tra cui dieci minori, sono state sfollate. Altre 17 strutture sono state demolite a Gerusalemme Est, di cui otto demolite dai proprietari, per evitare il pagamento di multe alle autorità israeliane. Il mese di febbraio 2023 ha registrato il maggior numero di strutture demolite a Gerusalemme est, dall’aprile 2019, in un solo mese; con un totale di 36 strutture demolite, a fronte di una media mensile di undici demolizioni nel 2022.

10). Il 16 febbraio, nell’Area C della città di Hebron, per motivi punitivi, le autorità israeliane hanno demolito con esplosivi l’appartamento al quarto piano di un edificio residenziale a più piani, sfollando una famiglia composta da quattro persone, tra cui tre minori. L’appartamento apparteneva alla famiglia dell’uomo che sparò e uccise un colono israeliano il 29 ottobre 2022 a Hebron. Dall’inizio del 2023, per motivi punitivi, sono state demolite sei case e una struttura agricola, rispetto alle undici case e tre strutture demolite in tutto il 2022; erano state tre in tutto il 2021 e sette nel 2020. Le demolizioni punitive sono una forma di punizione collettiva e in quanto tali sono illegali ai sensi del diritto internazionale in quanto prendono di mira le famiglie di un autore, o presunto autore.

11). In diverse località della Cisgiordania, forze israeliane hanno limitato gli spostamenti dei palestinesi, interrompendo l’accesso di migliaia di persone a mezzi di sussistenza e servizi (seguono dettagli).

Il 26 febbraio, in seguito alla uccisione di due coloni israeliani (di cui sopra), l’esercito israeliano ha imposto la chiusura della città di Huwwara (Nablus) e ha chiuso i checkpoints nelle vicinanze; ha inoltre ostruito l’ingresso del villaggio di Beita (Nablus) con blocchi di cemento, ostacolando il movimento di più di 19.000 palestinesi.

Il 27 febbraio, in seguito all’uccisione di un israeliano, avvenuta lo stesso giorno, vicino a Gerico, l’esercito israeliano ha dispiegato posti di blocco volanti davanti a tutte le entrate/uscite della città di Gerico, inclusi blocchi di cemento, ostacolando il movimento di almeno 50.000 palestinesi.

In due episodi separati, registrati il 17 e il 24 febbraio, forze israeliane hanno limitato il movimento di oltre 10.000 palestinesi, chiudendo i cancelli stradali all’ingresso dei villaggi di Azzun (Qalqilya) e An Nabi Salih (Ramallah), rispettivamente per quattro e tre ore.

12). Nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana o al largo della costa, in almeno 33 occasioni, forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso; quattro pescatori sono stati arrestati e un peschereccio è stato sequestrato; non sono stati riportati feriti o danni. In un altro caso, quattro minori palestinesi sono stati arrestati da forze israeliane mentre cercavano di entrare in Israele attraverso la recinzione perimetrale. Inoltre, il 26 febbraio, si sono svolte manifestazioni lungo la recinzione perimetrale di Israele con Gaza, contro l’operazione di Nablus che ha provocato la morte di undici palestinesi (vedi sopra). I palestinesi hanno bruciato pneumatici e lanciato pietre e altri oggetti contro la recinzione e le forze israeliane, posizionate dall’altra parte della recinzione, hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni, ferendo quattro palestinesi, tra cui un minore.

13). Sempre nella Striscia di Gaza, il 23 febbraio, gruppi armati palestinesi hanno lanciato sei razzi e altri proiettili verso il sud di Israele; cinque razzi sono stati intercettati dal sistema israeliano Iron Dome e uno è caduto in un’area aperta in Israele. Secondo quanto riferito, forze israeliane hanno lanciato attacchi aerei contro siti militari appartenenti a gruppi armati della Striscia di Gaza. Non sono stati segnalati feriti.

Questo rapporto riflette le informazioni disponibili al momento della pubblicazione. I dati più aggiornati e ulteriori analisi sono disponibili su ochaopt.org/data.

Ultimi sviluppi (al di fuori del periodo di riferimento)

Questa sezione si basa su informazioni iniziali provenienti da diverse fonti. Ulteriori dettagli confermati saranno forniti nel prossimo rapporto.

Il 1° marzo, un palestinese è deceduto per le ferite da arma da fuoco riportate il giorno precedente, quando, durante un’operazione di ricerca-arresto nel Campo profughi di Aqbat Jaber (Gerico), era stato colpito dalle forze israeliane, nel contesto di uno scontro a fuoco con palestinesi.

Il 2 marzo, le forze israeliane hanno condotto un’operazione di ricerca-arresto nel villaggio di Azzun (Qalqilya), dove hanno colpito, con arma da fuoco, e ucciso un minore palestinese.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




A Gerusalemme non c’è nessuna spirale di violenza, solo un’oppressione mortale del mio popolo da parte di Israele

Jalal Abukhater

martedì 7 febbraio 2023 – The Guardian

Dalle demolizioni di case alla detenzione militare, la violenza che noi palestinesi affrontiamo quotidianamente riflette lo squilibrio di potere tra occupante e occupato

I bulldozer sono quasi quotidianamente in azione. Nei quartieri palestinesi di Gerusalemme, la mia città, le forze israeliane demoliscono case quasi ogni giorno. L’espropriazione e la discriminazione sono una realtà di lunga data qui nella parte orientale della città, da 56 anni sotto l’occupazione militare israeliana, ma con il nuovo governo israeliano di estrema destra Gerusalemme ha visto un picco di demolizioni: nel solo mese di gennaio sono stati distrutti più di 30 edifici.

Le notizie che giungono dalla nostra regione nelle capitali occidentali e nei media tendono a parlare prevalentemente di spargimenti di sangue e il popolo palestinese sta attraversando alcuni dei giorni più violenti, distruttivi e letali degli ultimi tempi. Nella Cisgiordania occupata il 2022 è stato l’anno più letale in quasi due decenni. A gennaio altri 31 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano. Disperazione, frustrazione e angoscia aleggiano su tutti noi come una nuvola scura. Ma i numeri da soli non esprimono la portata di questa crudeltà.

I numeri delle vittime e i luoghi comuni su spirali di violenza riportati da media male informati, prevenuti o servili non sono corretti o sufficienti per trasmettere lo squilibrio di potere tra un occupante e un occupato. La violenza a cui noi palestinesi siamo esposti quotidianamente non proviene solo dalle armi dell’esercito israeliano, ma è insieme profonda e strutturale.

Non ci sono cicli di demolizioni di case” o espulsioni per ritorsione” – i palestinesi non confiscano proprietà israeliane né imprigionano migliaia di israeliani con l’impiego di tribunali militari. Qualsiasi approccio che suggerisca una simmetria di potere o di responsabilità – è concettualmente e moralmente sbagliato.

Un microcosmo di questa violenza strutturale si trova proprio qui, nella mia città natale, Gerusalemme. Il mese scorso un palestinese armato ha ucciso sette israeliani nell’insediamento coloniale di Neve Yaakov nella Gerusalemme est occupata. Il ministro della sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir, si è successivamente impegnato a intensificare le demolizioni delle case palestinesi costruite senza permessi, formulando tale mossa come una risposta all’attacco.

La maggior parte delle case palestinesi sono prese di mira per assenza di autorizzazione; infatti, nella mia città, almeno un terzo delle abitazioni palestinesi non dispone del rilascio di un’autorizzazione da parte di Israele, il che in qualsiasi momento pone a rischio di sfollamento forzato 100.000 residenti di Gerusalemme est occupata.

Infatti, dall’inizio dell’occupazione israeliana di Gerusalemme est nel 1967, praticamente non è stata condotta alcuna pianificazione pubblica riguardante i quartieri palestinesi. Nella parte orientale della città sono state costruite con ogni tipo di sostegno governativo cinquantacinquemila case per gli ebrei israeliani mentre per i palestinesi ne sono state costruite meno di 600. Questa politica ha assicurato non solo che i palestinesi avessero alloggi inadeguati, ma anche che nella città rappresentassero una minoranza.

Nonostante i palestinesi costituiscano oltre il 37% dei residenti di Gerusalemme, solo l’8,5% del terreno della città è destinato ai loro bisogni residenziali (e anche lì il potenziale edificabile è limitato). Tra il 1991 e il 2018, solo il 16,5% di tutti i permessi di costruzione di alloggi rilasciati dal comune di Gerusalemme hanno riguardato quartieri palestinesi nella zona est occupata e annessa illegalmente. La cosiddetta costruzione illegale o non autorizzata da parte dei palestinesi è una risposta alla cronica carenza di alloggi basata sulla discriminazione.

Più di recente, Ben-Gvir e il vicesindaco di Gerusalemme, Aryeh King, hanno annunciato l’imminente demolizione di un edificio abitativo a Wadi Qaddum, Silwan [quartiere di Gerusalemme est, ndt.], sulla base del fatto che è stato costruito su un terreno destinato a “sport e tempo libero”, e non ad uso residenziale. Una volta iniziata, sauna demolizione di grandi dimensioni, con lo sfollamento di circa 100 residenti. Solo negli ultimi 10 anni a Gerusalemme Est sono stati demoliti 1.508 edifici palestinesi, facendo sì che 2.893 persone, metà delle quali minorenni, restassero senza casa.

Anche la Cisgiordania occupata è segnata da una realtà brutale.

Nella cosiddetta Area C (60% della Cisgiordania) [sotto il temporaneo completo controllo israeliano secondo gli accordi di Oslo del 1993, ndt.] non è consentita quasi alcuna costruzione palestinese. Le autorità israeliane demoliscono costantemente case, strade, cisterne, pannelli solari e altro ancora di proprietà palestinese. Gli insediamenti coloniali, considerati illegali dal diritto internazionale, sono in espansione, mentre i palestinesi sono confinati in enclavi frammentate.

Con l’aumento del numero di demolizioni ed espulsioni a Gerusalemme e in Cisgiordania sono minacciate intere comunità. Ma dovremmo ricordare che il costo più evidente è a livello individuale: il singolo nucleo famigliare che perde tutto ciò che ha al mondo. I muri crollano, i bambini piangono e i genitori si affrettano a capire cosa fare o dove andare dopo. È una catastrofe ed è continua.

La mancanza di un’autorizzazione impossibile da ottenere non è l’unico pretesto per demolire proprietà palestinesi; le autorità di occupazione israeliane stanno anche distruggendo o sigillando le case come forma di punizione collettiva, severamente vietata dal diritto internazionale. Gli atti di espulsione forzata di una popolazione occupata costituiscono un crimine di guerra. E’ una crudeltà incredibile.

Queste demolizioni ed evacuazioni sono una parte della violenza strutturale che noi palestinesi affrontiamo ogni giorno. Questo governo israeliano può mettere in atto nuove crudeli manifestazioni dell’occupazione, ma le basi sono state gettate dalle coalizioni che si sono succedute al governo dal 1967, dai laburisti al Likud.

Ecco perché noi palestinesi non ci sentiamo sollevati per la folla di israeliani che protestano contro le riforme giudiziarie proposte. Per decenni le nostre terre sono state confiscate e le persone sfollate da politici israeliani eletti di vari partiti, con approvazione da parte di ogni livello del sistema giudiziario. Occupazione e politiche razziste ci sono state imposte da chi si trova all’interno dell’attuale coalizione di governo e da molti che attualmente ne stanno fuori.

Questa violenza è la nostra realtà e affrontare una tale realtà è un primo passo necessario nella nostra lotta per la dignità e la giustizia. Incolpare le vittime o chiudere il dialogo [con loro] non farà che prolungare la nostra sofferenza. Non è una spirale di violenza, è un sistema di apartheid e deve essere trattato come tale dal mondo esterno.

Jalal Abukhater è un giornalista di Gerusalemme

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Rapporto OCHA del periodo 10 – 30 Gennaio 2023

Questo rapporto copre eccezionalmente tre settimane.

1). In Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, durante il periodo di riferimento, sono stati uccisi 31 palestinesi, 6 israeliani e un cittadino straniero; sono rimasti feriti 441 palestinesi e nove israeliani, compreso un membro delle forze israeliane.

2). Durante una operazione condotta da forze israeliane nel Campo profughi di Jenin sono stati uccisi dieci palestinesi, tra cui due minori e una donna, e altri 26 sono rimasti feriti: tutti colpiti con proiettili veri. Questo è il numero più alto di palestinesi uccisi in una singola operazione da quando, nel 2005, l’OCHA iniziò a registrare in Cisgiordania il numero di vittime. Lo stesso giorno, un undicesimo palestinese è stato ucciso da forze israeliane nella città di Ar Ram (Gerusalemme), nel corso di una protesta contro l’operazione condotta a Jenin (seguono dettagli). Il 26 gennaio, forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo. Secondo l’esercito israeliano, citato dai media israeliani, l’operazione era finalizzata all’arresto di palestinesi sospettati di pianificare attacchi contro israeliani. Durante l’operazione le forze israeliane hanno circondato un edificio; ne è nato uno scambio a fuoco con palestinesi, tre dei quali sono stati uccisi e un altro è stato arrestato; tutti e quattro sono stati rivendicati dalla Jihad islamica come affiliati. Altri tre palestinesi sono stati uccisi in scontri a fuoco con forze israeliane: costoro sono stati rivendicati come affiliati sia dalla Brigata dei martiri di Al-Aqsa che dalla Jihad islamica. Inoltre, tre palestinesi, tra cui due minori (16 e 17 anni) e una donna palestinese di 61 anni, sono stati colpiti e uccisi con proiettili veri da forze israeliane, benché, secondo quanto riferito, non costituissero alcuna minaccia immediata. Durante l’operazione di cui sopra, le forze israeliane hanno sparato gas lacrimogeni nelle vicinanze dell’ospedale di Jenin, colpendo l’unità pediatrica e rendendo necessaria l’evacuazione dei pazienti, compresi i minori. Quando le forze israeliane hanno sparato con missili a spalla contro l’edificio residenziale dove sono stati uccisi i tre palestinesi, sono stati distrutti diversi appartamenti, provocando lo sfollamento di tre persone. Durante l’operazione nessun soldato israeliano ha riportato ferite. Un palestinese, rivendicato come affiliato dalla Brigata dei martiri di Al-Aqsa, è deceduto il 29 gennaio per le ferite da arma da fuoco riportate il 26 gennaio nel Campo profughi di Jenin. Dopo l’operazione, in tutta la Cisgiordania, i palestinesi hanno tenuto manifestazioni; nel corso di alcune di esse i partecipanti hanno lanciato pietre e mortaretti contro le forze israeliane che, a loro volta, hanno sparato lacrimogeni, proiettili di gomma e proiettili veri. Un palestinese è stato ucciso vicino alla città di Ar Ram (Gerusalemme) durante una protesta contro l’operazione di Jenin e almeno altri 147 sono rimasti feriti (vedi sotto).

3). In un insediamento israeliano a Gerusalemme est, un palestinese ha sparato, uccidendo sei israeliani, tra cui un minore, e un cittadino straniero (per un totale di sette vittime); cinque israeliani sono rimasti feriti in questo e in un altro attacco palestinese, sempre in Gerusalemme est (seguono dettagli). Il 27 gennaio, un palestinese ha sparato, uccidendo sei israeliani, tra cui un ragazzo di 14 anni, e un cittadino straniero; ne ha quindi feriti altri tre nell’insediamento israeliano di Neve Ya’acov a Gerusalemme est. L’aggressore è stato successivamente colpito e ucciso dalla polizia israeliana. Dal 2008 questo è l’attacco più mortale condotto da palestinesi contro israeliani.

Il 28 gennaio, a Silwan, Gerusalemme est, un palestinese di 13 anni ha sparato, ferendo due israeliani, prima di essere colpito e ferito. Sono state segnalate altre due sparatoria: una vicino ad Almog, un insediamento israeliano a sud di Gerico, e un secondo contro un autobus israeliano sulla strada 60 vicino all’insediamento di Karmei Tsur, a nord di Hebron. Non sono stati segnalati feriti, solo danni al bus. Sulle strade della Cisgiordania, in ulteriori tre episodi separati, almeno tre veicoli israeliani sono stati danneggiati da pietre o bottiglie incendiarie lanciate da persone conosciute come palestinesi, o ritenute tali.

4). In Cisgiordania, forze israeliane hanno ucciso sette palestinesi, tra cui un ragazzo; altri due palestinesi sono morti per le ferite riportate durante operazioni di ricerca-arresto e altre operazioni condotte da forze israeliane (seguono dettagli). L’11 gennaio, nel Campo profughi di Balata (Nablus), durante uno scontro a fuoco seguito a un’incursione sotto copertura di un’unità dell’esercito israeliano, forze israeliane hanno sparato con proiettili veri, ferendo un palestinese che in seguito è morto per le ferite riportate.

Il 12 gennaio, nel Campo profughi di Qalandiya (Gerusalemme), durante un’operazione di ricerca-arresto, un palestinese è stato ucciso da forze israeliane mentre cercava di impedire loro di arrestare il figlio.

Il 16 gennaio, forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo profughi di Ad Duheisha (Betlemme), innescando scontri con palestinesi che hanno lanciato pietre e bottiglie molotov, mentre le forze israeliane hanno sparato proiettili veri e lacrimogeni: un ragazzo palestinese di 14 anni è rimasto ucciso, colpito da proiettili veri.

Il 19 gennaio, forze israeliane hanno effettuato una operazione nel Campo profughi di Jenin, dove hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi; due palestinesi sono stati uccisi, tra cui un insegnante che stava cercando di aiutare uno dei palestinesi feriti durante l’operazione. Durante la stessa operazione, secondo quanto riferito, un soldato israeliano è stato ferito da un ordigno esplosivo lanciato da un palestinese e tre palestinesi sono stati arrestati.

Il 12 gennaio, forze israeliane hanno fatto irruzione nella città di Qabatiya (Jenin), dove hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi, due dei quali sono stati colpiti e uccisi.

Inoltre, il 14 e il 25 gennaio, un palestinese è morto per le ferite riportate il 2 gennaio ad opera delle forze israeliane a Kafr Dan (Jenin); un altro è stato ucciso nel Campo profughi di Shu’fat (Gerusalemme), colpito da proiettili veri sparati da forze israeliane durante scontri tra manifestanti e forze israeliane; entrambi sono rimasti uccisi durante demolizioni punitive di case di due palestinesi che avevano ucciso soldati israeliani prima di essere uccisi a loro volta.

5). In episodi separati, alcuni dei quali avvenuti ai checkpoints militari israeliani prossimi a Ramallah, Qalqilya e Hebron, forze israeliane hanno ucciso altri sette palestinesi, compreso un minore (seguono dettagli). Il 14 gennaio, nei pressi di Al Fandaqumiya (Jenin), forze israeliane hanno inseguito due palestinesi, colpendoli ed uccidendoli nel loro veicolo; secondo l’esercito israeliano, avevano aperto il fuoco contro soldati nei presi di Jaba’ (Jenin).

Il 15 gennaio, a un checkpoint volante disposto all’ingresso di Silwad (Ramallah), forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese; secondo testimoni oculari, è stato colpito da una distanza ravvicinata, dopo essere sceso dall’auto per controllare il figlio, che era stato spruzzato da forze israeliane con spray al peperoncino. Secondo i media israeliani, le forze israeliane hanno inizialmente affermato che l’uomo aveva lanciato pietre o aveva cercato di sottrarre l’arma ad un soldato; tuttavia, successivamente hanno ammesso che l’uccisione potrebbe essere stata ingiustificata.

Il 17 gennaio, un palestinese ha aperto il fuoco contro soldati in servizio ad un checkpoint militare vicino all’ingresso di Halhul (Hebron); è stato colpito e ucciso. Secondo le forze israeliane, che ne hanno trattenuto il corpo, l’uomo era sospettato di aver sparato contro un autobus il 15 gennaio. Durante l’episodio, due passanti palestinesi sono stati colpiti e feriti con proiettili veri dalle forze israeliane.

In un altro episodio, accaduto il 30 gennaio al checkpoint militare di Al Salaymeh, nell’area H2 della città di Hebron, forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese che, secondo le forze israeliane, aveva cercato di fuggire dopo essere passato con l’auto sul piede di un soldato.

Altri due distinti episodi sono stati registrati nei pressi dell’insediamento israeliano di Kedumim a est di Qalqiliya. Nel primo, accaduto il 25 gennaio, forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese che, secondo le forze israeliane, aveva cercato di accoltellare soldati israeliani posizionati a un checkpoint. Nel secondo caso, accaduto il 29 gennaio, una guardia dell’insediamento israeliano ha sparato, uccidendo un palestinese che, secondo le forze israeliane, era stato avvistato vicino all’insediamento con una pistola. In nessuno dei cinque episodi sopra descritti è stato registrato alcun ferimento di israeliani.

Il 27 gennaio, un sedicenne palestinese è deceduto per ferite: il 25 gennaio era stato colpito da forze israeliane durante una manifestazione palestinese tenutasi nell’area di Silwan a Gerusalemme Est per protestare contro una demolizione punitiva avvenuta nel Campo profughi di Shu’fat (altri dettagli sotto).

6). Nei pressi degli avamposti di insediamenti di nuova costituzione a Hebron e Ramallah, coloni israeliani hanno sparato, uccidendo due palestinesi: il primo aveva accoltellato un colono israeliano; il secondo aveva tentato l’accoltellamento (seguono dettagli). L’11 gennaio, nei pressi di un nuovo avamposto colonico costruito su un terreno appartenente a palestinesi di As Samu’ (Hebron), un palestinese ha aggredito e ferito con un coltello un colono israeliano; a sua volta l’aggressore è stato colpito, con arma da fuoco, e ucciso da un altro colono.

Il 21 gennaio, nei pressi di un avamposto colonico di nuova costituzione vicino a Kafr Ni’ma (Ramallah), un altro palestinese è stato colpito e ucciso da un colono israeliano; come mostrato in un filmato pubblicato sui media israeliani, il palestinese aveva tentato un accoltellamento. I corpi di entrambi i palestinesi sono stati trattenuti dalle autorità israeliane.

7). In Cisgiordania, durante il periodo di riferimento, 422 palestinesi, tra cui almeno 49 minori, sono stati feriti da forze israeliane; 74 di loro (18%) sono stati colpiti da proiettili veri (seguono dettagli). Dei feriti, 249 (59 %) sono stati registrati in varie manifestazioni, comprese quelle contro l’espansione degli insediamenti e le restrizioni di accesso relative agli insediamenti vicino a Kafr Qaddum (Qalqilya), Beit Dajan, Beita e Jurish (tutte a Nablus) e altre manifestazioni contro l’operazione Jenin che ha comportato la morte di dieci palestinesi (vedi sopra).

In altri sette episodi separati, tutti registrati nel governatorato di Nablus, 95 palestinesi sono rimasti feriti in seguito all’ingresso di coloni israeliani nelle Comunità palestinesi, accompagnati dalle forze israeliane.

Altri 70 feriti si sono avuti in operazioni di ricerca-arresto e in altre operazioni condotte da forze israeliane; tre si sono verificati durante demolizioni (vedi sotto); altri cinque feriti sono stati registrati a Tulkarm, Jenin e Qalqilya, quando forze israeliane hanno sparato proiettili veri contro palestinesi che cercavano di attraversare varchi nella Barriera per raggiungere il loro posto di lavoro in Israele. Complessivamente, 288 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, 74 sono stati colpiti da proiettili veri, 45 sono stati feriti con proiettili di gomma, sei sono stati aggrediti fisicamente, uno è stato colpito da una granata assordante, quattro da lacrimogeni e quattro da schegge.

8). Coloni israeliani hanno ferito 18 palestinesi, tra cui almeno un minore, in nove episodi, e persone conosciute come coloni israeliani, o ritenute tali, hanno causato danni a proprietà palestinesi in altri 42 casi (oltre a quelli feriti da forze israeliane nel summenzionato episodio riferito a coloni / seguono dettagli). Il 27 gennaio, sulla strada 60 vicino all’ingresso di Beita (Nablus), cinque palestinesi sono stati colpiti e feriti con proiettili veri sparati da coloni israeliani che hanno aperto il fuoco su un gruppo di palestinesi.

L’11 e il 28 gennaio, su una strada principale, vicino a Huwwara e Qusra (entrambe a Nablus), coloni israeliani hanno preso a sassate un veicolo palestinese, ferendo tre palestinesi.

Il 13 gennaio, in prossimità della Comunità di Al Mu’arrajat East (Ramallah), coloni israeliani hanno attaccato con bastoni e manganelli escursionisti palestinesi, ferendo due donne.

Il 18 gennaio, nelle vicinanze della Comunità di Khirbet Bir Al Idd di Masafer Yatta (Hebron), coloni israeliani hanno ferito due pastori palestinesi ed hanno attaccato il loro bestiame.

Il 20 gennaio, nel villaggio di Jurish (Nablus), coloni avevano collocato delle roulottes per impossessarsi di terreni di proprietà palestinese; ne è seguito uno scontro, con reciproco lancio di pietre, tra coloni israeliani e palestinesi e due palestinesi e un colono sono rimasti feriti.

Il 28 gennaio, a Qusra, coloni israeliani hanno attaccato i residenti palestinesi con pietre: due palestinesi sono rimasti feriti e sono stati segnalati danni a due veicoli e a una casa.

Il 27 e il 29 gennaio, in altri due distinti episodi, coloni israeliani hanno attaccato palestinesi che viaggiavano sulle strade vicino a Salfit e Huwwara, aggredendoli fisicamente e spruzzandoli con gas al peperoncino, ferendo due uomini e provocando danni ai loro veicoli.

In altri diciassette episodi, più di 1.500 alberi sono stati vandalizzati su terreni palestinesi, alcuni dei quali vicino a insediamenti israeliani, comprese aree in cui l’accesso palestinese richiede l’approvazione dell’esercito israeliano (comunemente indicato come “previo coordinamento”).

In altre tredici occasioni, persone conosciute come coloni, o ritenute tali, hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi, danneggiandone almeno ventuno. Altre proprietà palestinesi sono state danneggiate in dodici episodi registrati nei pressi di Al Ganoub e A Seefer (entrambi a Hebron), Kisan (Betlemme), Ras ‘Ein al ‘Auja (Gerico) e Beit Sira, Al Mazra’a al Qibliya, Turmus’ayya (tutti a Ramallah); secondo testimoni oculari e fonti della Comunità locale, questi includevano strutture agricole, trattori, raccolti e bestiame.

9). A Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, che sono quasi impossibili da ottenere, le autorità israeliane hanno demolito, confiscato o costretto la gente a demolire 88 strutture, comprese 21 abitazioni. Tre delle strutture erano state fornite da donatori come assistenza umanitaria. Di conseguenza, 99 palestinesi, tra cui 54 minori, sono stati sfollati e i mezzi di sussistenza di oltre 21.000 altri ne sono stati colpiti. Cinquantacinque delle strutture si trovavano in Area C, comprese cinque strutture demolite in base al Military Order 1797, che fornisce solo un preavviso di 96 ore e motivi molto limitati per impugnare legalmente una demolizione. Le restanti ventisei strutture sono state demolite a Gerusalemme est, di cui otto sono state distrutte dai loro proprietari, per evitare il pagamento di multe alle autorità israeliane. In Area B della Cisgiordania, le autorità israeliane hanno sigillato due pozzi d’acqua artigianali in costruzione, uno ad Habla e un altro a Kaqr Laqif (entrambi a Qalqiliya); entrambi i pozzi avrebbero fornito la principale fonte di acqua potabile e irrigazione per almeno 1.500 famiglie palestinesi in quattro Comunità.

10). Il 25 gennaio forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo profughi di Shu’fat, e il 28 gennaio a Ras al ‘Amud, entrambi a Gerusalemme est, dove hanno demolito o sigillato due edifici a più piani appartenenti a famiglie i cui membri avevano ucciso un soldato israeliano il 19 ottobre 2022, e sei israeliani e un cittadino straniero il 27 gennaio 2023. Di conseguenza, due famiglie, composte da 13 persone, tra cui cinque minori, sono state sfollate. Durante la demolizione nel Campo profughi di Shu’fat, i palestinesi hanno lanciato pietre contro le forze israeliane, che hanno sparato proiettili veri: un palestinese è stato ucciso (riportato sopra). Dall’inizio dell’anno, le autorità israeliane hanno demolito o sigillato, per motivi punitivi, quattro case e un’altra struttura, rispetto alle undici in tutto il 2022 e tre nel 2021. Queste includono tre strutture in Area B e due a Gerusalemme est. Queste demolizioni punitive sono una forma di punizione collettiva, proibita dal diritto internazionale e spesso innescano scontri tra le Comunità palestinesi e le forze israeliane, con conseguenti vittime.

11). Nel sud di Hebron una scuola finanziata da donatori è a rischio imminente di demolizione. Il 18 gennaio, l’Alta Corte di giustizia israeliana ha stabilito che il piano delle autorità israeliane di demolire la scuola può procedere a partire dal 28 gennaio. La scuola finanziata da donatori è frequentata da 47 minori della Comunità beduina palestinese di Khashm Al Karem, situata in un’area designata come “Zona a fuoco 917” nel sud di Hebron.

12). In Cisgiordania le chiusure continuano a interrompere l’accesso di migliaia di palestinesi a mezzi di sussistenza e servizi. A seguito di un attacco con armi da fuoco, accaduto il 28 gennaio nei pressi di Almog (un insediamento israeliano a sud di Gerico) dove non sono stati segnalati feriti o danni, forze israeliane hanno dispiegato checkpoints volanti davanti a tutti gli ingressi e le uscite della città di Gerico, e successivamente hanno chiuso tutti e cinque i punti di accesso da e per Jericho City per un giorno intero (28 gennaio). Da allora sono stati eretti cinque checkpoints, compreso l’utilizzo di blocchi di cemento, e gli ingressi principali della città sono presidiati da forze israeliane. Ai checkpoints sono state effettuate lunghe perquisizioni, soprattutto all’uscita dalla città di Gerico. Ciò ha limitato il movimento di circa 50.000 persone, costringendo i residenti a utilizzare strade sterrate alternative e lunghe deviazioni per accedere a cliniche, scuole e mercati. In altri due circostanze, il 23 e il 29 gennaio, nell’area H2 della città di Hebron, forze israeliane hanno chiuso l’As Salaymeh (Checkpoint 160) per diverse ore durante l’orario scolastico. Ciò ha limitato gli spostamenti di circa 1.200 residenti della zona ed ha pregiudicato l’accesso di circa 300 studenti alle undici scuole vicine. In una di queste occasioni, le forze israeliane hanno applicato limiti di età, consentendo di attraversare il checkpoint solo ai minori sotto i 13 anni. Il 15 gennaio, l’esercito israeliano ha bloccato, con cumuli di terra e blocchi di cemento, l’ingresso della Comunità di Khirbet ‘Atuf a Tubas, ostacolando il movimento di almeno 120 palestinesi; secondo quanto riferito in risposta al lancio di pietre palestinesi contro veicoli israeliani.

13). Nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana o al largo della costa, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso, in almeno 56 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento; non sono stati segnalati feriti o danni. In una occasione, bulldozer militari israeliani hanno spianato terreni all’interno di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale a est di Khan Younis.

14). Sempre nella Striscia di Gaza, il 25 e 26 gennaio, gruppi armati palestinesi hanno lanciato una serie di razzi e proiettili verso il sud di Israele; i razzi sono stati intercettati o sono caduti in aree aperte a Gaza e in Israele. Forze israeliane hanno lanciato una serie di attacchi aerei contro siti militari appartenenti a gruppi armati della Striscia di Gaza. Non sono stati segnalati feriti da entrambe le parti, ma sono stati provocati danni ai siti presi di mira a Gaza.

Questo rapporto riflette le informazioni disponibili al momento della pubblicazione. I dati più aggiornati e ulteriori analisi sono disponibili su ochaopt.org/data.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Coloni, l’esercito scatena la vendetta in Cisgiordania

Tamara Nassar

29 gennaio 2023 – The Electronic Intifada

I coloni israeliani hanno attaccato i palestinesi in tutta la Cisgiordania occupata per vendicare l’uccisione di sette israeliani da parte di un palestinese armato venerdì in una colonia nella Gerusalemme est occupata.

Ciò è avvenuto mentre il governo israeliano è in procinto di armare migliaia di altri suoi cittadini, una mossa che sicuramente porterà a più uccisioni e violenze sommarie.

Come risposta alla sparatoria di venerdì il governo israeliano ha anche promesso di “potenziare” i suoi insediamenti coloniali illegali in Cisgiordania, usando lo spargimento di sangue come pretesto per confiscare e colonizzare ulteriormente la terra palestinese, un’altra mossa che sicuramente alimenterà altra violenza.

Nel frattempo le forze di occupazione hanno iniziato a imporre una punizione collettiva alla famiglia dell’uomo armato sigillandone la casa in preparazione di una demolizione come vendetta.

Israele sta anche minacciando più punizioni collettive crimini di guerra ai sensi del diritto internazionale inclusa la negazione dei benefici della sicurezza sociale ai parenti dei presunti aggressori palestinesi e la deportazione delle loro famiglie.

Questi tipi di punizione collettiva sono una caratteristica essenziale del sistema di apartheid israeliano, poiché vengono usati solo contro i palestinesi.

La furia dei coloni

Domenica gruppi di coloni hanno attaccato con pietre auto palestinesi sulle strade di diverse località della Cisgiordania, tra cui un incrocio vicino alla colonia di Yitzhar, vicino a Nablus.

i coloni hanno attaccato i palestinesi con spray al peperoncino e, secondo quanto riferito, un palestinese è stato leggermente ferito dal lancio di pietre dei coloni ebrei.

Domenica notte una casa e un’auto sono state date alle fiamme nel villaggio di Turmusaya vicino a Ramallah.

Una seconda casa nello stesso villaggio è stata vandalizzata.

Secondo quanto riferito, la polizia israeliana sta indagando sull’incidente, ma ci sono poche possibilità che qualcuno possa essere incolpato.

I proprietari di entrambe le case sono cittadini palestinesi americani e il personale addetto alla manutenzione è intenzionato a notificare gli attacchi all’ambasciata americana.

Secondo Ynet, una pubblicazione israeliana, nel villaggio i coloni hanno anche scritto con le bombolette “vendetta” e “morte agli arabi”.

Dei palestinesi hanno riferito ai media che i soldati israeliani nell’area hanno assistito senza reagire allo scatenarsi della furia dei coloni.

Nel frattempo nel villaggio di Aqraba, vicino a Nablus, dei coloni hanno sradicato e rubato più di 100 alberelli di ulivo.

Inoltre ad Aqraba e Majdal Bani Fadil, un altro villaggio vicino, dei coloni hanno dato fuoco a delle auto.

A Nablus i coloni hanno vandalizzato un’ambulanza palestinese.

E’ stato riferito che hanno anche danneggiato e distrutto le tende utilizzate dagli agricoltori nella Valle del Giordano.

Gli attacchi vendicativi dei coloni israeliani fanno seguito all’uccisione, venerdì, di sette israeliani a Neve Yaakov, un insediamento coloniale nella Gerusalemme est occupata, da parte di Khayri Alqam, 21 anni.

Secondo quanto riferito, Alqam, che è stato colpito a morte dai soldati, si chiamava come suo nonno, ucciso nel 1998 insieme ad altri tre palestinesi dal colono israeliano Haim Perelman.

Nonostante ciò Perelman venne successivamente rilasciato. Vive in una colonia per soli ebrei in Cisgiordania.

Le uccisioni di venerdì a Neve Yaakov hanno fatto seguito all’attacco israeliano al campo profughi di Jenin di giovedì, in cui le forze di occupazione hanno ucciso nove palestinesi, tra cui due minori e una donna . Nell’attacco israeliano sono rimaste ferite almeno 20 persone.

Una decima persona è morta domenica per le ferite riportate. Secondo quanto riporta il Ministero della Salute palestinese giovedì le forze israeliane hanno sparato allo stomaco a Omar Tariq al-Saadi, 24 anni.

Fomentare ulteriore violenza

L’Unione Europea ha condannato fermamente l’attacco a Neve Yaakov come un atto di “folle violenza e odio”.

Bruxelles ha anche affermato falsamente e in modo provocatorio che l’attacco è avvenuto “in una sinagoga di Gerusalemme” uccidendo e ferendo persone “mentre assistevano alla cerimonia dello Shabbat [servizio liturgico tradizionale del sabato ebraico, ndt]”.

Ma i resoconti dei media israeliani affermano tutti indistintamente che la sparatoria è avvenuta in una strada “vicino a una sinagoga”.

E invece l’UE ha approvato retroattivamente l’attacco letale di Israele a Jenin, affermando che Bruxelles “riconosce pienamente le legittime preoccupazioni di sicurezza di Israele, come evidenziato dagli ultimi attacchi terroristici”.

In realtà, le sparatorie di venerdì sono seguite al massacro di Jenin, che un funzionario delle Nazioni Unite ha descritto come “la più letale delle operazioni israeliane in Cisgiordania almeno dal 2005”.

Come ha scritto domenica Gideon Levy, editorialista del quotidiano israeliano Haaretz, “tutti sapevano che l’operazione a Jenin avrebbe scatenato una pericolosa ondata di violenza”.[vedi Zeitun]

Levy afferma che “non è possibile invadere il campo profughi di Jenin senza un massacro”, aggiungendo che “nessun massacro nel campo potrebbe passare sotto silenzio”.

L’organizzazione palestinese per i diritti umani Al-Haq ha documentato numerose violazioni del diritto internazionale da parte delle forze israeliane durante il micidiale raid nel campo profughi di Jenin.

In un caso gli aggressori israeliani hanno sparato a un minore palestinese e dopo la sua morte “un veicolo militare ha investito il suo corpo recidendogli l’orecchio destro e mutilandogli il volto”.

Dopo il massacro di Jenin, i media israeliani hanno riportato diversi tentativi da parte dei palestinesi di attaccare soldati o coloni israeliani.

L’anno 2022 ha visto il maggior numero di palestinesi uccisi dalle forze e dai coloni israeliani in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, dalla seconda intifada quasi due decenni fa.

Secondo il monitoraggio di The Electronic Intifada, nel corso dell’anno 207 palestinesi sono stati uccisi dall’esercito, dalla polizia e dai coloni israeliani in Cisgiordania, a Gaza e all’interno di Israele, o sono morti per le ferite riportate negli anni precedenti.

Finora, nel 2023, Israele ha ucciso in media un palestinese al giorno, un fatto poco rilevato nella copertura dei media occidentali, ma che sta portando alla violenza.

Incremento della violenza

Sabato nel quartiere di Silwan, nella Gerusalemme est occupata, un altro palestinese avrebbe sparato, ferendoli, a un soldato fuori servizio e suo padre.

I media hanno identificato nel tredicenne Mahmoud Aleiwat l’autore degli spari.

La famiglia del ragazzo nega che possa essere stato coinvolto nella sparatoria, anche se si dice che abbia lasciato un messaggio a sua madre chiedendo perdono.

Il soldato aveva l’arma con sé e ha sparato al ragazzo. Anche un altro colono gli ha sparato.

Il soldato ferito è in condizioni gravi ma stabili e, secondo quanto riferito, suo padre è in condizioni discrete.

Secondo Haaretz il ragazzo accusato della sparatoria è cosciente e sta ricevendo delle cure.

Giorni prima un parente di Mahmoud Aleiwat era è stato ucciso dalle forze israeliane.

Wadie Abdul Aziz Abu Rumouz, 17 anni, è stato colpito al petto il 25 gennaio. Le autorità israeliane hanno sottoposto Wadie agli arresti persino mentre si trovava nel reparto di terapia intensiva.

E’ morto venerdì a causa delle ferite.

Israele sta ora progettando di demolire la casa della famiglia del ragazzo di 13 anni, così come quella di Khayri Alqam.

Nel frattempo, sabato un giovane palestinese è stato colpito e ucciso da una guardia di sicurezza nei pressi dell’insediamento di Kedumim, nel nord della Cisgiordania.

Karam Ali Salman, 18 anni, aveva cercato di entrare nell’insediamento coloniale armato di pistola, ha affermato l’esercito. Il suo video è stato condiviso dai media locali.

Mostra una persona che cammina con cautela attraverso un campo portando un oggetto.

I media israeliani non hanno riferito di feriti tra i coloni.

Kedumim, che è costruito su terreno privato palestinese, ospita l’abitazione del Ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich.

In un altro incidente i soldati israeliani hanno sparato a un camionista palestinese che, secondo loro, stava tentando un attacco ma in seguito hanno ammesso che non era così.

L’esercito ha riferito che nessuno è rimasto ferito nell’incidente.

Nonostante l’aumento vertiginoso dello spargimento di sangue, Israele e i suoi alleati sembrano determinati a non imparare che ulteriori uccisioni e oppressione di palestinesi non placheranno mai la resistenza, ma solo la alimenteranno.

Ha contribuito all’inchiesta Ali Abunimah.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele sta per adottare provvedimenti punitivi contro i palestinesi in seguito agli attacchi mortali a Gerusalemme

Bethan McKernan da Gerusalemme

29 gennaio 2023 – The Guardian

Il primo ministro Benjamin Netanyahu annuncia misure dopo gli attacchi più gravi [negli ultimi] anni.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato una serie di misure punitive contro i palestinesi in seguito all’attacco terroristico più grave a Gerusalemme da anni, nel corso del quale un aggressore armato ha ucciso sette persone davanti a una sinagoga.

In una dichiarazione rilasciata domenica dopo l’incontro settimanale del governo, l’ufficio di Netanyahu ha comunicato che l’agenzia di sicurezza israeliana valuterà “misure di deterrenza addizionali riguardanti le famiglie dei terroristi che esprimano sostegno al terrorismo”, inclusa la revoca del diritto di residenza a Gerusalemme e della cittadinanza israeliana e norme che permetteranno ai datori di lavoro il licenziamento immediato, senza bisogno di un procedimento giudiziario, dei dipendenti che hanno “sostenuto il terrorismo”.

Altri provvedimenti illustrati dal governo includono la privazione per i famigliari degli assalitori di sicurezza sociale e prestazioni sanitarie, modifiche delle norme per facilitare la demolizione delle case dei palestinesi che compiono attacchi terroristici e il “rafforzamento delle colonie” nella Cisgiordania occupata, su cui non sono forniti ulteriori dettagli.

Tutte le misure sono illegali ai sensi del diritto internazionale e probabilmente contribuiranno ad alimentare le tensioni fra la popolazione palestinese e con l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) che controlla parti della Cisgiordania occupata, in un momento in cui la regione è già pericolosamente vicina all’escalation sul campo.

Lo scontro a fuoco di venerdì nel quartiere [in realtà una colonia, ndt.] di Neve Yaakov, nella Gerusalemme Est occupata, costata la vita a sette persone, mentre tre sono rimaste ferite, ha fatto seguito al più grave raid dell’esercito israeliano in Cisgiordania da decenni. L’attacco insolitamente feroce contro combattenti nel campo profughi di Jenin ha causato la morte di nove palestinesi, inclusi due civili, e scatenato un’ondata di violente rappresaglie all’alba di venerdì con lo scambio di razzi fra la Striscia di Gaza, controllata dagli islamisti, e Israele.

Dopo l’attacco della sinagoga sono stati riportati parecchi altri incidenti, fra cui l’attacco con armi da fuoco in cui sono state ferite due persone vicino alla Città Vecchia di Gerusalemme da parte di un tredicenne palestinese, il ricovero in ospedale di quattro palestinesi aggrediti da un colono israeliano vicino a Nablus e la sparatoria di sabato in un ristorante di coloni vicino a Gerico senza vittime, ma in cui l’assalitore è stato ucciso.

Domenica è stato ucciso un palestinese armato che si stava avvicinando a una colonia nell’area di Nablus, mentre case e auto sono state danneggiate e incendiate in vari villaggi palestinesi vicino a Ramallah.

Il primo ministro ha anche annunciato che la sua amministrazione varerà norme per semplificare l’iter per ottenere il porto d’armi per i cittadini israeliani, spiegando che la misura ridurrà la violenza perché “abbiamo visto più e più volte… che civili eroici, armati e addestrati salvano vite”.

Netanyahu ha dichiarato che Israele non cerca l’escalation, ma che fornirà una risposta “potente, rapida e precisa” all’attacco di venerdì a Gerusalemme. In previsione di altri attacchi da emulazione e price tag [attacchi di ritorsione contro palestinesi ad opera di gruppi di coloni, ndt.] nella città contesa e in Cisgiordania sono stati impiegati battaglioni aggiuntivi dell’esercito.

Sabato il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas ha incolpato Israele del picco di violenze. In seguito al raid a Jenin l’ANP ha dichiarato che sospenderà la cooperazione per la sicurezza con Israele, una decisione presa anche in passato con scarso successo.

Domenica all’alba la polizia israeliana ha messo i sigilli e si appresta a demolire la casa della famiglia dell’aggressore alla sinagoga ucciso mentre fuggiva dalla luogo dell’attacco. Si crede che Alqam Khayri, 21 anni, abbia agito da solo; anche se gruppi di militanti palestinesi hanno elogiato la sua azione, nessuno ha rivendicato la responsabilità dell’attacco. Un totale di 42 persone, tra cui suoi famigliari, sono stati arrestate in relazione all’episodio.

Membri del parlamento israeliano minacciano una raffica di provvedimenti che costituiscono una punizione collettiva contro persone innocenti solo perché sono collegate all’uomo che ha commesso un attacco mortale,” ha detto in una dichiarazione HaMoked, un’associazione israeliana no profit che si occupa principalmente dei diritti legali dei palestinesi.

[La legge israeliana] permette di demolire o mettere i sigilli a una casa. Tuttavia l’esercito deve notificarlo in anticipo alla famiglia, permettendo loro di presentare ricorso e, se respinto, di fare appello all’Alta Corte di Giustizia. Nulla di tutto ciò è stato fatto in questo caso.”

La sparatoria alla sinagoga di venerdì è la prima prova per la neoeletta coalizione governativa di estrema destra di Netanyahu, la cui campagna elettorale si è basata sulla promessa di rendere Israele più sicuro dopo la serie di attacchi palestinesi con coltelli e pistole la scorsa primavera. Elementi del nuovo governo hanno anche promesso di annettere la Cisgiordania ed estendere il controllo ebraico sul complesso sacro del Monte del Tempio [la Spianata delle Moschee per i musulmani, ndt.] a Gerusalemme, spesso un focolaio di violenze.

Lunedì Netanyahu riceverà Antony Blinken, Segretario di Stato USA, una visita a Gerusalemme pianificata da tempo, ma che ora sarà dominata dagli sforzi per disinnescare l’infiammabile situazione di sicurezza.

Ci si aspetta che i colloqui tratteranno anche dell’Iran, della posizione di Israele sulla guerra in Ucraina, dello stallo del processo di pace con i palestinesi e delle preoccupazioni internazionali per i piani del governo israeliano per minare i poteri della Corte Suprema del Paese.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Perché i poliziotti israeliani sono un “partner strategico” per l’Unione Europea?

David Cronin

4 novembre 2022 – Electronic Intifada

I sostenitori di Israele, che ci crediate o no, fanno una o due cose giuste.

La ripetuta affermazione che il loro amato Stato abbia a cuore l’innovazione contiene un granello di verità. Quale altro oppressore considera Facebook e Twitter strumenti tanto essenziali da allertare il mondo sulla loro brutalità?

L’8 ottobre, le forze di polizia israeliane hanno effettivamente ammesso di soggiogare in massa i civili.

L’esercito ha pubblicato su Internet foto dei suoi agenti che contribuivano a isolare il campo profughi di Shuafat vicino a Gerusalemme.

La punizione collettiva è vietata dalle Convenzioni di Ginevra e da altre norme del diritto internazionale. Ogni volta che ricorre a punizioni collettive, Israele commette un crimine di guerra.

Eludendo un controllo democratico, l’Unione Europea ha stretto un’alleanza formale con la polizia israeliana.

L’UE ha addirittura firmato a settembre un accordo per approfondire i rapporti con la polizia israeliana, solo poche settimane prima che quelle forze di sicurezza si vantassero implicitamente di aver commesso un crimine di guerra nel campo di Shuafat.

Grazie a questo accordo, Israele può scambiare con Europol, l’agenzia di polizia dell’UE, dati personali sui palestinesi che vivono sotto occupazione.

L’accordo è stato stilato abbastanza rapidamente per quelli che sono gli standard dell’UE. I negoziati volti a siglarlo sono iniziati nel novembre 2021.

Più o meno nello stesso periodo dell’inizio dei colloqui, Israele ha inviato a Bruxelles una delegazione di 30 diplomatici di alto rango.

Cooperazione ancora più stretta”

Tra i tanti funzionari che hanno incontrato c’era Laurent Muschel, del dipartimento Migrazione e Affari Interni della Commissione europea (l’esecutivo dell’UE).

Una nota informativa preparata per le discussioni con Muschel – ottenuta grazie alle norme sulla libertà di informazione – afferma che “Israele è un Paese partner strategico per l’UE nella cooperazione in materia di sicurezza”.

L’accordo firmato a settembre di quest’anno fa seguito a un “accordo di lavoro” del 2018 tra Israele e l’Europol.

La nota informativa per Muschel sostiene che dovrebbe esserci “una cooperazione ancora più stretta” con Israele.

Sottolinea che l’Europol assiste le autorità nazionali dei governi dell’UE nell’identificazione dei “legami transfrontalieri” con la criminalità organizzata. Il “contributo israeliano in questi casi continua ad essere della massima importanza”, si aggiunge.

Dall’entrata in vigore dell’accordo del 2018 Israele ha istituito un ufficio di collegamento presso la sede dell’Europol all’Aia. Tali passi rappresentano “un notevole potenziale” per “promuovere il contributo operativo”, afferma la nota informativa.

L’accordo del 2018 fornisce un elenco di crimini su cui Israele e l’Europol potrebbero collaborare. Includono terrorismo e crimini di guerra.

Prevede, inoltre, che le informazioni scambiate tra le due parti non debbano essere raccolte in “palese violazione dei diritti umani.

Uno scherzo?

Qualcuno ha voluto scherzare?

Le forze di polizia israeliane – come già notato – commettono attivamente crimini di guerra, e servono uno Stato che etichetta come terrorismo ogni forma di resistenza alla sua sistematica violenza.

Israele usa sistematicamente la tortura contro i palestinesi nelle cosiddette indagini sul terrorismo, metodi che ufficialmente sono sanzionati e perseguiti ma questo nell’impunità.

Il fatto che le forze di polizia israeliane abbiano sede nella Gerusalemme Est occupata dovrebbe essere sufficiente per escludere che si possa trattare con loro.

Nonostante sulla carta si sia opposta alla colonizzazione israeliana di Gerusalemme Est, l’UE ha accolto come interlocutore una forza di polizia che svolge un ruolo fondamentale nella colonizzazione.

E cosa si intende in questo contesto per “palese violazione dei diritti umani”? L’UE vuole seriamente che Israele sia un po’ più discreto nel modo in cui sottomette i palestinesi?

Le forze di polizia israeliane non sono l’unica istituzione spregevole a godere ultimamente dell’abbraccio metaforico dei rappresentanti dell’UE.

L’ambasciata dell’UE a Tel Aviv ha appena stabilito una collaborazione – e non per la prima volta – con l’European Leadership Network, forse l’organizzazione dal nome più ingannevole dell’esercito di lobbisti professionisti israeliani.

Sia l’ambasciata che l’European Leadership Network hanno recentemente ospitato una conferenza per “diplomatici, funzionari ed esperti”. Tra i pochi dettagli pubblicati sull’evento è stato riferito che si è discusso dell’aggressione della Russia contro l’Ucraina.

È certo che i partecipanti erano troppo educati per denunciare l’aggressione di Israele contro i palestinesi. Figure di spicco dell’European Leadership Network hanno raccolto fondi per sostenere l’aggressione.

A un certo punto, il gruppo contava tra i suoi dirigenti persino Michael Herzog, ora ambasciatore di Israele negli Stati Uniti, che ha avuto un ruolo significativo nella pianificazione del bombardamento del 2002 su Gaza in cui sono stati uccisi otto bambini.

Non ci si può aspettare che l’UE ripudi i macellai di bambini palestinesi. Israele, dopo tutto, è un “partner strategico”.

David Cronin è redattore associato di The Electronic Intifada. I suoi libri includono Balfour’s Shadow: A Century of British Support for Sionism [L’ombra di Balfour: un secolo di sostegno britannico al sionismo ] e Israel e Europe’s Alliance with Israel: Aiding the Occupation [Israele e l’alleanza dell’Europa con Israele: aiutare l’occupazione].

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)