Il blocco del Qatar potrebbe avere a che fare con la Palestina più di quanto pensiamo

Nasim Ahmed 16 giugno 2017 Middle East Monitor

I funzionari israeliani devono essersi pestati i piedi a vicenda nella loro corsa per appoggiare il blocco contro il Qatar guidata dai sauditi. “I Paesi arabi sunniti, tranne il Qatar, si trovano sulla nostra stessa barca, in quanto tutti vediamo un Iran con potenza nucleare come la principale minaccia contro tutti noi,” ha detto l’ex-ministro della Difesa israeliano Moshe Ya’alon.

Il blocco ha rappresentato una “nuova linea tracciata nella sabbia mediorientale,” ha twittato l’ex-ambasciatore israeliano nato negli USA Michael Oren, godendosi lo scompiglio regionale. “Non (è) più Israele contro gli arabi, ma Israele e gli arabi contro il terrorismo finanziato dal Qatar,” ha aggiunto.

Il ministro della Difesa Avigdor Lieberman ha descritto la crisi come un opportunità per Israele e “alcuni” Stati del Golfo. “E’ chiaro a chiunque, persino ai Paesi arabi, che il vero pericolo per l’intera regione è il terrorismo,” ha insistito. L’estremista di destra ha aggiunto che il blocco guidato dai sauditi ha tagliato i rapporti con il Qatar “non a causa di Israele, non a causa degli ebrei, non a causa del sionismo,” ma “piuttosto per paura del terrorismo.”

La gioia per la punizione di un Paese che i funzionari israeliani descrivono come una “spina nel fianco” solleva ogni sorta di domande, non ultima il rapporto tra l’assedio imposto al Qatar e la legge presentata dal parlamentare repubblicano Brian Mast per imporre sanzioni riguardo all’appoggio straniero al “terrorismo palestinese”, ed altre proposte.

Presentando la legge bipartisan (H.R. 2712 Palestinian International Terrorism Support Prevention Act of 2017 [Legge per la Prevenzione dell’Appoggio al Terrorismo Internazionale Palestinese]) il deputato Joshua Gottheimer ha affermato: “Sono orgoglioso di guidare questo tentativo di indebolire Hamas, una rete terroristica efferata responsabile della morte di troppi civili innocenti, sia israeliani che americani.” Secondo lui “la nostra legge bipartisan garantisce che chiunque fornisca assistenza a questo nemico degli Stati Uniti e a Israele, il nostro alleato vitale, dovrà fare i conti con la forza e determinazione del nostro Paese.”

Nelle loro conclusioni i sostenitori [della legge] hanno sostenuto che Hamas ha ricevuto un appoggio significativo sia finanziario che militare dal Qatar. Essi hanno citato la conferenza stampa allo Sheraton di Doha in Qatar, in cui Hamas ha presentato il proprio nuovo “Documento dei Principi Generali e delle Politiche”, definito la nuova carta del movimento. “Mentre questo documento intendeva trasmettere al mondo un’immagine più moderata riferendosi ai confini del 1967,” la legge sostiene che il “documento di Hamas, (che) non abroga né sostituisce la carta fondamentale…invoca ancora una prosecuzione del terrorismo per distruggere Israele.”

La legge, che propone di autorizzare sanzioni contro qualunque entità o governo stranieri che forniscano appoggio ad Hamas, continua affermando che “dovrebbe essere la politica degli Stati Uniti impedire ad Hamas, alla Jihad Islamica Palestinese (JIP) o a qualunque loro affiliato o successore di avere accesso alle sue reti di appoggio internazionale.”

Prendendo nota delle implicazioni della legge, vale la pena ricordare che la maggior parte dei propositi di questa nuova norma è in realtà superflua, tranne la parte sul Qatar. Come ha evidenziato il “Centro Arabo” di Washington – un’organizzazione di ricerca per la promozione della comprensione politica, economica e sociale tra gli arabi e gli USA -, la legge proposta introduce sanzioni già previste dall’attuale legislazione. Hamas e la JIP sono entrambe definite come “Organizzazioni Terroristiche Straniere” (FTOs in inglese) ed “Entità Terroristiche Globali Conclamate” (SDGTs in inglese) rispettivamente dallo Stato USA e dal Dipartimento del Tesoro. In questo contesto è già illegale per enti o istituzioni degli USA appoggiare questi gruppi. Perciò le sanzioni proposte in questa legge che riguardano la giurisdizione USA sono superflue.

Inoltre, sottolinea il “Centro Arabo”, anche prendere di mira in modo formale l’Iran è inutile perché Teheran è già stato dichiarato dal Dipartimento di Stato uno Stato che sostiene il terrorismo e c’è già il divieto di esportare armi, servizi finanziari e tecnologici ed aiuti in Iran. Resta solo il Qatar, che in base a questa legge dovrebbe essere l’unico nuovo bersaglio. Il modo furtivo dell’attacco al Qatar non nasconde le vere intenzioni dei sostenitori della legge. “Sono orgoglioso” ha detto Gottheimer, “di appoggiare la “Legge per prevenire l’appoggio al terrorismo internazionale palestinese che farà pagare un prezzo a Paesi come il Qatar per il loro appoggio al terrorismo. Nella lotta contro il terrorismo non ci sono vie di mezzo. Se tu appoggi il terrorismo, prima o poi giustizia verrà fatta.”

Quindi, cosa c’entra questo con Israele? Mentre Israele non è stato in grado di unirsi direttamente alla mossa guidata dai sauditi per imporre il blocco al Qatar, ciò non gli ha impedito di partecipare a un notevole lavoro di pressione dietro le quinte con gli UAE [Emirati Arabi Uniti, ndt.] per ottenere quello che in realtà è una parte della legislazione presentata contro il Qatar e portare avanti il lavoro preparatorio necessario per un blocco di queste dimensioni.

Si afferma che i sostenitori della legge alla Camera includono un certo numero di legislatori che hanno ricevuto sostanziose donazioni dai lobbysti filo-israeliani così come da quelli che sostengono l’Arabia Saudita. In effetti si riferisce che dieci parlamentari USA che appoggiano la legge contro il Qatar hanno ricevuto più di 1 milione di dollari negli ultimi 18 mesi da lobbysti e gruppi di pressione legati ad Israele, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Lo scrittore e commentatore Trita Parsi ritiene che le similitudini tra la “lista dei terroristi” delle Nazioni arabe alleate degli USA e la legge H.R. 2712 dimostra una crescente collaborazione tra gli Stati arabi del Golfo e Israele. “La cooperazione tra gruppi filo-israeliani che sostengono la linea dura, gli EAU e l’Arabia Saudita sta andando avanti da un po’ di tempo,” ha detto Parsi ad Al-Jazeera. La novità, ha proseguito, è vedere i gruppi filo-israeliani come la “Fondazione per la Difesa delle Democrazie” “uscirsene con (articoli) filo-sauditi e fare pressione per loro (i sauditi) al Congresso.”

All’inizio di questo mese è stata riferita anche da “The Intercept” [sito web statunitense di controinformazione legato a Wikileaks, ndt.] la promozione di una narrazione politica per appoggiare l’assedio. Si afferma che mail inviate da un gruppo chiamato “Global Leaks” hanno evidenziato che l’ambasciatore degli EAU negli USA, Yousef Al-Otaiba, e la fondazione – un gruppo di esperti filo-israeliani e neoconservatori – hanno lavorato insieme per demonizzare il Qatar. Le mail ottenute da “The Intercept” mostrano la collaborazione tra la FDD e gli EAU con giornalisti che hanno pubblicato articoli che accusavano il Qatar e il Kuwait di appoggiare il “terrorismo”.

Non è quindi sorprendente che la principale ragione di questo blocco abbia poco senso. Per l’Arabia Saudita e per gli EAU accusare il Qatar di appoggiare il terrorismo è come il bue che dà del cornuto all’asino. Se ci fosse una qualche sostanza alle accuse, allora gli USA non avrebbero appoggiato un recente accordo per gli armamenti con il Qatar e Washington non avrebbe mantenuto lì un’importante base militare. Le ragioni addotte per il blocco non hanno alcun valore. Oltretutto il blocco del Qatar non può essere preso in considerazione separatamente dai tentativi in corso negli USA per eliminare la resistenza palestinese in nome della lotta contro il terrorismo. Né il Qatar né alcun Paese del Golfo trae alcun beneficio da questa situazione di stallo; per il maggior beneficiario bisogna guardare ad Israele.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Quello che Israele teme di Hamas e della crisi con il Qatar

Yuval Abraham

Middle East Eye – giovedì 15 giugno 2017

Israele non ha mai approvato l’appoggio del Qatar ad Hamas.

Ma ora le Nazioni del Golfo stanno chiedendo che Doha smetta di appoggiare il gruppo palestinese – e Israele teme quello che potrebbe succedere.

Hamas, che controlla Gaza dal 2007, è visto come una filiazione della Fratellanza Musulmana, da molto tempo un alleato del Qatar.

L’emirato ha trasferito centinaia di milioni di dollari a Gaza, assistendo al contempo Hamas dal punto di vista diplomatico e offrendo ospitalità ai suoi dirigenti e militanti in esilio. In maggio il gruppo ha presentato la revisione della sua carta fondamentale a Doha.

Dopo l’ultima guerra a Gaza, nel 2014, il Qatar ha destinato un miliardo di dollari a favore della ricostruzione, di progetti umanitari, per i costi dell’elettricità e per i salari dei dipendenti pubblici.

Alcuni analisti politici affermano che Israele ha consentito il trasferimento di fondi a Gaza – sotto assedio israeliano dal 2007 – per i suoi effetti stabilizzanti, che impediscono o forse rimandano un collasso totale nella Striscia devastata dalla guerra.

Una risposta israeliana contrastante

Le sanzioni contro il Qatar del 4 giugno sono state salutate come una vittoria da gran parte dell’opinione pubblica e dai media israeliani. Ma la risposta del governo è stata stranamente in sordina.

Eli Avidar, ex-capo della delegazione israeliana in Qatar, ha detto a MEE che Israele dovrebbe sostenere decisamente l’Arabia Saudita ed altri contro il Qatar: “E’ un’opportunità per farla finita con questa storia. Israele dovrebbe esercitare pressioni su Washington, spingere il Qatar a smettere di finanziare il terrorismo, ma non lo sta facendo.”

Continuo a chiedermi: ‘Perché Israele non è più attivo ed esplicito nell’attivarsi contro il Qatar?’”

Il ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, è stato l’unico uomo di governo ad aver commentato la crisi. Il 5 giugno, un giorno dopo che il Qatar è stato isolato, ha affermato che l’iniziativa “apre molte possibilità di collaborazione nella lotta contro il terrorismo.”

Un portavoce del ministero degli Esteri ha detto a MEE che ha avuto indicazioni ufficiali di non commentare la situazione e le sue ripercussioni per Israele e la Palestina.

Cosa c’è dietro questa risposta passiva? Molti studiosi, analisti e fonti dell’intelligence indicano che Israele potrebbe avere più da perdere che da guadagnare dalla crisi.

Yoel Guzansky e Kobi Michael, dell’Istituto Israeliano per le Ricerche sulla Sicurezza all’università di Tel Aviv, hanno affermato che la crisi è “la più grave dalla fondazione, nel 1981, del Consiglio per la Cooperazione nel Golfo.”

Sostengono che Israele ha un duplice approccio nei confronti del Qatar: “Da una parte, c’è ostilità per il suo appoggio ad Hamas e per l’ospitalità che offre ai suoi dirigenti…Dall’altra, Israele attribuisce grande importanza al sostegno qatariota alla ricostruzione della Striscia e al denaro che fornisce per gli stipendi ed i servizi pubblici al suo interno.

L’interesse israeliano è di appoggiare una mediazione americana che ponga fine alla questione indebolendo il ruolo dell’Iran e di Hamas, ma senza danneggiarne seriamente le azioni positive verso la Striscia di Gaza e di mediazione con Hamas.”

Il loro documento identifica tre possibili esiti che Israele vuole evitare: un rapporto più forte tra l’Iran e Hamas, una crisi umanitaria a Gaza e la presa del potere dell’Autorità Nazionale Palestinese a Gaza.

  1. Timore dell’Iran

Molti osservatori temono che il vuoto creato dall’assenza del Qatar possa obbligare Hamas a cercare un fonte alternativa di sostegno finanziario e si rivolga all’Iran.

Il rapporto di Yoel Guzansky e Kobi Michael sostiene che “Israele comprende che ci sono più vantaggi che svantaggi nella cooperazione con il Qatar, in quanto il Qatar indebolisce l’influenza dell’Iran su Hamas e sulla Striscia di Gaza.”

Shaul Yanai, un ricercatore israeliano sulle questioni mediorientali all’università di Haifa, ha detto a MEE: “Non c’è un segnale di pericolo più grave per l’Egitto, i sauditi, il Kuwait, l’America di Trump e Israele che un’organizzazione palestinese alleata dell’Iran.”

All’inizio di quest’anno Khaled al-Qaddumi, rappresentante di Hamas in Iran, ha detto ad Al-Monitor che l’Iran sta fornendo un continuo aiuto finanziario al movimento, nonostante la polarizzazione su scala regionale tra sciiti e sunniti, e che ci sono incontri regolari.

L’inizio del 2017 ha inaugurato una nuova era nelle relazioni tra Hamas e l’Iran, che può essere descritta come positiva e rivolta al futuro,” ha affermato.

Nel contempo Ahmed Yousef, ex importante consigliere del leader di Hamas Ismail Haniyah, ha detto a Ma’an che la crisi qatariota – così come l’alleanza tra Israele, l’America e gli Stati sunniti – “incoraggerà i movimenti islamici, come la Fratellanza Musulmana, a fare nuove alleanze con Paesi potenti della regione, come l’Iran, per proteggersi.”

Oltre a ciò, Guzansky e Michael affermano che il desiderio del campo sunnita di vedere l’Autorità Nazionale Palestinese sostituire Hamas nella Striscia non è condiviso da Israele, che, secondo chi lo critica, ha lavorato per mantenere la separazione tra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

  1. Timori di un’altra Guerra

Nel 2014 Israele ha scatenato l’operazione “Margine protettivo” contro Gaza, un attacco di 50 giorni che intendeva indebolire Hamas. Ha causato la morte di più di 2.139 palestinesi, circa un quarto dei quali bambini, di 64 soldati e di 6 civili israeliani.

Un ufficiale israeliano di alto grado, che ha lavorato con il Mossad [il servizio segreto israeliano che opera all’estero, ndtr.] per molti anni e che ha chiesto di rimanere anonimo, ha detto a MEE che, mentre il governo israeliano vuole che il Qatar smetta di finanziare Hamas, “non vuole una crisi umanitaria a Gaza, anche se vi ci stiamo avvicinando.”

Questa situazione potrebbe portarci allo stesso punto del 2014, quando Hamas è stato spinto in un angolo e l’unico posto a cui potessero sparare era Israele. Suppongo che Israele tema questo scenario, non vuole la destabilizzazione a Gaza.”

Yanai avverte anche che un Hamas disperato che perde il sostegno finanziario, insieme a discorsi su elezioni all’interno della tesa coalizione di governo israeliano, provocherebbe una miscela esplosiva. “Potrebbe rappresentare il terreno fertile per una guerra. Politici disperati tendono a fare la guerra.”

Una seconda fonte dell’intelligence israeliana – la cui ruolo è riservato – ha detto a MEE che Israele, come fa ogni estate, si sta preparando per una guerra a Gaza– ma che non si aspetta che ci sia quest’anno.

Da parte sua Hamas è ancora indebolito dall’ultimo scontro nel 2014. E Israele?

E’ contro i nostri interessi,” afferma la fonte dell’intelligence. “Israele desidera mantenere lo status quo nella Striscia:”

Dal 2004 Israele ha condotto sette offensive contro Gaza in risposta a razzi lanciati dalla Striscia. I critici affermano che questo status quo di guerra è alimentato da una mancanza di soluzioni diplomatiche del problema dei rifugiati palestinesi e dall’occupazione militare israeliana.

  1. Timore dell’Autorità Nazionale Palestinese

Domenica il governo israeliano ha accettato di ridurre la fornitura di elettricità a Gaza su richiesta del presidente dell’ANP Abbas.

L’iniziativa è vista come un tentativo da parte dell’ANP, che controlla la più vasta Cisgiordania, di indebolire il suo rivale politico. Secondo la Reuters, Tareq Rashmawi, il portavoce dell’ANP, ha chiesto che Hamas trasferisca all’ANP ogni responsabilità delle istituzioni di governo a Gaza.”

Ma lunedì Israel Katz, ministro israeliano e membro del governo per il Likud, all’annuale Convenzione Israeliana per la Pace ha criticato questa riduzione [di energia elettrica, ndt.], affermando che “Israele non ha una politica nei confronti di Gaza.”

E il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che Israele “non vuole assistere a un’escalation” a Gaza, descrivendola come “una disputa interna palestinese.”

L’ufficiale che ha lavorato con il Mossad ha ribadito questa opinione: “Mi risulta difficile spiegare la politica israeliana verso Gaza,“ ha detto, “non ha una logica.”

La riduzione della fornitura di elettricità potrebbe essere una sorta di pressione tattica su Hamas, in modo che accetti di restituire i corpi dei soldati israeliani e i tre israeliani che tengono prigionieri.”

Ma Hamas ha raggiunto il punto critico.

Lunedì ha detto su Twitter che la decisione “accelererebbe l’aggravamento e l’esplosione della situazione nella Striscia.”

Una fonte dell’intelligence israeliana ha detto a MEE che un altro scontro a Gaza è solo questione di tempo. “Se non quest’anno, sarà il prossimo, e sennò, quello dopo ancora di sicuro.”

(traduzione di Amedeo Rossi)