L’UNESCO riconosce Hebron e la Tomba dei Patriarchi come luoghi del patrimonio culturale palestinese

Barak Ravid – 7 luglio 2017,Haaretz

 

Israele e gli USA hanno intrapreso intensi tentativi diplomatici per bloccare la risoluzione palestinese; i ministri israeliani accusano l’UNESCO di negare la storia e di essere antisemita

Venerdì l’UNESCO ha votato per il riconoscimento della Città Vecchia di Hebron e della Tomba dei Patriarchi [la moschea di Ibrahim per i palestinesi, ndt.] come siti del patrimonio culturale palestinese.

Nonostante intensi tentativi diplomatici intrapresi nelle scorse settimane, Israele e gli Stati Uniti non sono riusciti a riunire l’appoggio di un numero sufficiente di Stati membri per bocciare l’iniziativa.

Dodici Stati della commissione per il patrimonio culturale dell’umanità hanno votato a favore della risoluzione e tre hanno votato contro.

La risoluzione, proposta dai palestinesi, include due punti importanti. Il primo afferma che la Città Vecchia di Hebron e la Tomba dei Patriarchi sono luoghi del patrimonio culturale palestinese e verranno registrati come tali nell’elenco del patrimonio culturale dell’umanità dell’UNESCO. Il secondo asserisce che i due siti devono essere riconosciuti come luoghi in pericolo, il che significa che ogni anno la commissione per il patrimonio culturale dell’umanità dell’UNESCO si riunirà per discutere del loro caso.

Naftali Bennet, ministro dell’Educazione israeliano e presidente del comitato nazionale dell’UNESCO, ha condannato la decisione, affermando che il legame ebraico con Hebron risale a migliaia di anni fa e non verrà reciso.

“E’ spiacevole ed imbarazzante vedere l’UNESCO negare ogni volta la storia e distorcere la realtà per mettersi al servizio di quelli che cercano di spazzare via lo Stato ebraico dalla mappa geografica,” ha affermato. “Israele non intende rinnovare la cooperazione con l’UNESCO finché continuerà a servire come mezzo per attacchi politici invece di essere un organismo tecnico.”

Il ministro della Difesa Avigdor Lieberman ha definito l’UNESCO una “organizzazione politicamente schierata, ignobile e antisemita, le cui decisioni sono scandalose.”

“Nessuna decisione di questo organismo irrilevante comprometterà il nostro diritto storico sulla “Tomba dei Patriarchi” o il nostro diritto sul Paese. Spero che con l’aiuto del nostro grande amico, gli Stati Uniti, questa organizzazione non venga più finanziata.”

“Questa decisione dimostra ancora una volta che l’Autorità Nazionale Palestinese non cerca la pace ma intende piuttosto incitare contro Israele e calunniarlo,” ha aggiunto.

Un portavoce dei coloni di Hebron ha definito la decisione “ridicola”, “antisemita” e “tipica  del branco di ignoranti dell’UNESCO consumati dall’odio.”

I palestinesi hanno acclamato il voto dell’UNESCO, con il ministro degli Esteri palestinese che l’ha definito “l’unica decisione logica e corretta.”

“Hebron è una città che si trova nel cuore dello Stato di Palestina e ospita un sito inestimabile per il patrimonio culturale dell’umanità e sacro per miliardi di persone delle tre religioni monoteiste in tutto il mondo. La Città Vecchia di Hebron e il luogo sacro è minacciato a causa delle azioni irresponsabili, illegali e altamente dannose di Israele,la potenza occupante, che mantiene in città un regime di separazione e discriminazione in base all’etnia e alla religione.

“Lo Stato di Palestina continuerà a difendere e a celebrare molti importanti siti storici della Palestina come parte del patrimonio culturale dell’umanità, e resisterà ad ogni tentativo di mantenere la Palestina o la sua storia in ostaggio dei progetti e delle azioni di intolleranza ed esclusione.”

Per essere approvata la risoluzione aveva bisogno dell’appoggio di due terzi dei membri della commissione con diritto di voto. La decisione è stata presa con voto segreto dopo che tre Stati lo hanno chiesto durante l’incontro di venerdì.

Israele e gli Stati uniti hanno fatto pressioni su parecchi membri della commissione per il patrimonio culturale dell’umanità e sulla segreteria dell’UNESCO perché il voto fosse segreto, cosa che avrebbe consentito a un maggior numero di Paesi, compreso uno Stato arabo, di votare contro la risoluzione o astenersi dal voto senza pagare un prezzo politico per questo.

Durante l’incontro di venerdì sulla questione è scoppiato uno scontro verbale molto acceso tra l’ambasciatore israeliano all’UNESCO Carmel Shama Hacohen e i delegati palestinese e libanese. La discussione è avvenuta quando Shama Hacohen ha appreso che il voto sarebbe stato solo parzialmente segreto, nel senso che mentre agli Stati non sarebbe stato chiesto di rivelare la propria scelta, il voto non si sarebbe svolto dietro un paravento.

Shama Hacohen ha accusato il delegato polacco che presiedeva l’incontro di aver violato l’impegno riguardo alla segretezza del voto. Ad un certo momento il delegato libanese ha chiesto che Shama Hacohen fosse espulso dall’incontro dagli addetti alla sicurezza.

Alla fine il voto parzialmente segreto è andato avanti come previsto, in quanto i 21 delegati hanno inserito il loro voto in un’urna al centro della sala dell’incontro.

Venerdì un importante diplomatico israeliano ha detto che il delegato polacco che presiedeva l’incontro non ha rispettato la sua promessa di garantire un voto segreto. Ha aggiunto che la mancanza di segretezza e la presenza di telecamere hanno impedito a molti Stati, compreso un Paese arabo, di votare contro la risoluzione.

(traduzione di Amedeo Rossi)




L’errore della guerra israeliana contro Gaza è stato in primo luogo diplomatico

Barak Ravid – 28 febbraio 2017 Haaretz

Il governo israeliano non fece praticamente niente per affrontare la crisi umanitaria a Gaza, che si era aggravata allora e si sta aggravando adesso. La prossima guerra è solo una questione di tempo.

Molti errori sono stati rivelati dal rapporto esauriente e professionale del Revisore dello Stato [incaricato del controllo delle finanze, della gestione finanziaria, del patrimonio e della gestione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici. Ndtr.] sulla guerra a Gaza del 2014, reso pubblico martedì. La lista è lunga: mancanza di preparazione operativa contro i tunnel di Hamas, gravi e persino fondamentali informazioni dello spionaggio nascoste al consiglio di sicurezza, piani operativi dell’esercito deficitari e carenze dell’allora capo di stato maggiore dell’esercito israeliano Benny Gantz e del capo del servizio di spionaggio militare Aviv Kochavi. Tutto questo è importante ed interessante, ma non è il problema principale.

La notizia più importante del rapporto del Revisore generale dello Stato Joseph Shapira riguarda quello che è stato o non è stato fatto dal primo ministro Benjamin Netanyahu, dai suoi ministri della Difesa e degli Esteri dell’epoca – Moshe Ya’alon e Avigdor Lieberman – e dal resto del governo per evitare la guerra. Con tatto ed intelligenza, Shapira e i suoi collaboratori disegnano un grande punto interrogativo sull’impegno dei politici nell’anno che ha portato alla guerra in un’area di loro esclusiva competenza – la politica e la strategia.

Secondo il rapporto, il maggior errore è stato di carattere politico. Queste parti del rapporto sono una lettura estremamente interessante. E’ qui dove la discussione pubblica nei prossimi giorni e settimane si dovrebbe concentrare.

La storia della guerra scoppiata nel luglio 2014 inizia un anno e tre mesi prima – in una riunione del governo dell’aprile 2013. L’allora Coordinatore delle Attività Governative nei Territori [COGAT, l’istituzione che governa nei territori palestinesi occupati. Ndtr.] Eitan Dangot mise in guarda i ministri sulle difficili condizioni umanitarie ed economiche di Gaza, che avrebbero potuto portare a un’esplosione entro i successivi due anni. La profezia di sventura di Dangot non è stata del tutto esatta – si è avverata in meno di un anno e mezzo.

Tra quella riunione di gabinetto e lo scoppio della guerra il governo non fece praticamente niente riguardo alla crisi umanitaria a Gaza, che non fece che peggiorare. Netanyahu, Ya’alon, Lieberman e gli altri ministri non tennero neanche una riunione approfondita sulla questione. Quando i ministri si riunirono per quella che venne erroneamente chiamata una “discussione strategica” sulla politica israeliana verso Gaza, la questione venne esclusivamente presentata come un problema la cui soluzione era esclusivamente militare.

Il ministro degli Esteri non prese parte a quella discussione, il Consiglio Nazionale di Sicurezza fece cattivo uso del suo ruolo e non presentò alternative politiche, Netanyahu e Ya’alon si opposero nettamente ad alternative diplomatiche che avrebbero potuto stabilizzare o migliorare la situazione a Gaza e i membri del governo, tranne Tzipi Livni, rimasero in silenzio, assentirono ed approvarono le indicazioni dell’esercito.

Se l’avvertimento di Dangot era un lato dell’incapacità politica descritta nel rapporto del Revisore dello Stato, l’altro è stata la dichiarazione di Ya’alon durante una discussione nel suo ufficio due giorni dopo che la guerra era scoppiata. Come disse Ya’alon: “Se le difficoltà di Hamas fossero state affrontate qualche mese fa, Hamas avrebbe evitato l’attuale escalation.” Il controllore generale dello Stato ha ripetuto tre volte questa citazione in cui Ya’alon ammise in tempo reale che la guerra avrebbe potuto essere evitata.

Eppure in tutti i mesi che precedettero la guerra non solo il governo non fece praticamente niente per affrontare la crisi umanitaria ed economica di Gaza, ma contribuì a peggiorarla. Fu così quando Netanyahu impose sanzioni contro il governo di unità tra Fatah e Hamas all’inizio del giugno 2014, e tre mesi dopo quando Lieberman decise di dichiarare persona non grata il coordinatore speciale dell’ONU per il processo di pace in Medio Oriente, Robert Serry, solo perché aveva tentato di contribuire a risolvere la crisi del pagamento degli stipendi ai dipendenti pubblici di Gaza. Quel problema era un vulcano pronto ad eruttare.

Nel recente libro di Serry “L’interminabile ricerca della pace israelo-palestinese”, egli descrive come nell’ottobre 2014, due mesi dopo la fine della guerra, quello stesso governo israeliano accettò e persino incoraggiò le Nazioni Unite ad aiutare a risolvere la crisi salariale.

“Del resto quattro mesi dopo che Lieberman mi aveva voluto espellere da Israele, l’ONU agevolò un pagamento umanitario eccezionale a Gaza con acquiescenza e incoraggiamento taciti di Israele,” scrive Serry. “Tra questi due eventi straordinari quell’estate era scoppiata una terribile guerra di 50 giorni senza vincitori e con un costo umano inaccettabile… Ci volle una guerra nella quale Gaza è stata ridotta in rovine perché Israele comprendesse che doveva cambiare rotta.”

Ma Israele non aveva realmente cambiato rotta. Cinquanta giorni di guerra non hanno prodotto il minimo cambiamento nella situazione di Gaza. Dopo 73 morti dal lato israeliano e più di 2.200 tra i palestinesi e gravi danni diplomatici ed economici, siamo tornati al punto di partenza. Nessuna autocelebrazione da parte di Netanyahu in merito ai successi dell’operazione cambierà questo fatto. Tutti i problemi di sicurezza, umanitari e politici a Gaza alla vigilia della guerra sono solo peggiorati nei due anni e mezzo trascorsi da allora.

Dalla fine della guerra Netanyahu, Ya’alon e Lieberman hanno parlato molto ma non hanno fatto praticamente niente per cambiare la politica riguardo a Gaza ed affrontarvi la crisi umanitaria. Il primo ministro ha mandato il viceministro degli Affari Diplomatici Michael Oren nelle capitali europee con una presentazione su possibili progetti per Gaza, ma non ci sono state decisioni strategiche. Nello scorso anno e mezzo il ministro dei Trasporti Yisrael Katz ha tentato di fare una discussione seria nel governo sul suo piano di costruire un’isola al largo di Gaza che possa essere utilizzata come porto marittimo ed aeroporto e aprire Gaza al mondo.

Il capo dell’esercito Gadi Eisenkot , come molti ministri, è favorevole a questo progetto, ma Netanyahu lo sta affossando. Nel frattempo la situazione a Gaza sta peggiorando, la ricostruzione non procede, Hamas si sta armando e il blocco si sta rafforzando. Il disinteresse e la mancanza di decisioni mettono semplicemente le basi della prossima guerra.

Esattamente un anno fa il capo dell’intelligence militare Herzl Halevi si è presentato davanti alla commissione Affari esteri e Difesa della Knesset e ha fatto affermazioni che hanno evocato sensazioni negative già note, come “il peggioramento della situazione economica nella Striscia di Gaza potrebbe portare a un’esplosione rivolta contro Israele.”

Nella situazione attuale, la prossima guerra a Gaza è solo una questione di tempo; i principali ministri del governo hanno già definito una data: la prossima primavera. Se Netanyahu, Lieberman e Naftali Bennett non vogliono che le parole di Halevi diventino un capitolo del prossimo rapporto del Revisore dello Stato, si dovrebbero riunire urgentemente e prendere decisioni politiche che evitino la prossima guerra.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Guerra di Gaza: undici punti chiave dal rapporto molto critico che fa tremare i politici e l’esercito israeliani

Barak Ravid e Gili Cohen – 28 febbraio 2017,Haaretz

L’esercito ha mancato il principale obiettivo . Ministri tenuti all’oscuro . Gravi lacune dell’intelligence su Hamas . Il preoccupante rapporto sulla campagna militare di Israele contro la Striscia di Gaza del 2014.

Nel rapporto sulla guerra reso pubblico martedì il Revisore dello Stato [incaricato del controllo delle finanze, della gestione finanziaria, del patrimonio e della gestione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici. Ndtr.] Joseph Shapira ha scritto che nell’anno precedente lo scoppio della guerra del 2014 con Hamas ed i suoi alleati nella Striscia di Gaza il primo ministro Benjamin Netanyahu, l’allora ministro della Difesa Moshe Ya’alon ed i membri del consiglio per la sicurezza interna non presero in considerazione iniziative diplomatiche riguardo a Gaza per cercare di interrompere l’escalation. In tre diverse occasioni nel rapporto Shapira cita affermazioni, fatte da Ya’alon due giorni dopo lo scoppio della guerra, in cui si afferma che probabilmente si sarebbe potuto evitare la guerra se Israele avesse affrontato per tempo la disperazione nella Striscia.

Il rapporto di 200 pagine è stato reso pubblico circa un anno e mezzo dopo la fine della guerra nell’agosto 2014. Il rapporto si occupa sia del processo decisionale nel consiglio di sicurezza riguardo a Gaza prima dell’operazione “Margine protettivo”, come la guerra è ufficialmente nota in Israele, e il suo inizio, sia anche del problema riguardante il modo di affrontare i tunnel offensivi a Gaza durante l’operazione “Margine protettivo”, così come della preparazione della reazione di intelligence, tecnologica e operativa a questa minaccia negli anni precedenti le operazioni. Il rapporto di Shapira non si occupa direttamente della condotta della guerra in sé o dei suoi risultati.

Questi sono i punti salienti del rapporto:

 Netanyahu e Ya’alon hanno tenuto all’oscuro i ministri in merito all’attacco strategico di Hamas

Secondo il rapporto speciale sulla guerra del Revisore dello Stato Joseph Shapira reso noto martedì, per mesi prima dell’operazione dell’esercito israeliano del 2014 nella Striscia di Gaza i dirigenti al vertice della politica, dell’esercito e dell’intelligence nascosero informazioni al consiglio di sicurezza in merito a un possibile attacco strategico da parte di Hamas. Se l’attacco fosse stato messo in atto, afferma Shapira, avrebbe costituito un casus belli.

In particolare, sostiene il Revisore nel suo rapporto critico sull’operazione “Margine protettivo”, il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Moshe Ya’alon, il capo di stato maggiore dell’IDF [l’esercito israeliano. Ndtr.] Benny Gantz e i capi dei servizi di sicurezza dello Shin Bet e del Mossad [rispettivamente servizio di intelligence interna ed esterna. Ndtr.]- omisero tutti informazioni su un attacco pianificato dal movimento islamico con base a Gaza. In realtà queste informazioni vennero fornite alla commissione solo all’inizio del luglio 2014, poche ore prima che venisse messa sul tavolo per l’approvazione un’operazione intesa a sventare l’attacco.

Shapira nota che, secondo documenti dello Shin Bet, c’erano già molte prove di un serio attacco di Hamas contro Israele nei mesi prima che l’operazione militare venisse lanciata – informazione che venne fornita al servizio di intelligence militare dell’esercito israeliano.

Netanyahu e Ya’alon non presero in considerazione iniziative diplomatiche per evitare la guerra

Il Revisore ha stabilito che il primo ministro Benjamin Netanyahu, l’allora ministro della Difesa Moshe Ya’alon e i membri del consiglio di sicurezza, negli anni che hanno preceduto lo scoppio della guerra, il 7 luglio, non verificarono la possibilità di fare passi diplomatici per porre fine all’escalation delle ostilità nella Striscia.

Il rapporto di Shapira cita tre affermazioni fatte da Ya’alon due giorni dopo lo scoppio delle ostilità, in cui egli disse che la guerra avrebbe potuto essere scongiurata se Israele avesse fornito una risposta tempestiva alla disperazione della popolazione di Gaza. In una riunione del consiglio dell’8 luglio, l’allora ministro dell’Intelligence e degli Affari Strategici Yuval Steinitz affermò che “ci siamo concentrati sulla tattica, ma ripetutamente – anno dopo anno per nove anni – abbiamo evitato di fare i conti con la situazione strategica che si delineava davanti ai nostri occhi.”

Non furono fissate chiare politiche e strategie del governo su Gaza

Persino quando ci furono discussioni intese a formulare una strategia riguardo alla Striscia, queste furono incomplete e non portarono a nessun risultato concreto. Il 10 ottobre 2013 ci fu un incontro con il capo del servizio di sicurezza dello Shin Bet dell’epoca, Yoram Cohen, che sottolineò che Hamas era in crisi strategica, e allora il primo ministro diede istruzioni al Consiglio Nazionale di Sicurezza di riunirsi per dare un indirizzo alla politica israeliana riguardo a Gaza. Passarono sei mesi prima che si tenesse una simile discussione. Il 13 marzo 2014 questo argomento venne di nuovo affrontato in un incontro del consiglio che si occupò dell’escalation di tensione. L’allora ministro dell’Economia Naftali Bennett affermò che Israele non aveva una strategia riguardo a Gaza; Gilad Erdan, ministro della Pubblica Sicurezza, era d’accordo. Solo il 23 marzo 2014, un anno dopo che il governo era stato formato, ci fu una riunione del consiglio che si occupò di definire obiettivi strategici riguardo alla Striscia. Tuttavia il Revisore ha scoperto che la riunione si occupò solo dell’intensificazione delle azioni dell’esercito israeliano contro Hamas – non di altre possibili forme di condotta, ad esempio in campo diplomatico.

Il consiglio non discusse della crisi umanitaria a Gaza

Nei sedici mesi tra la formazione del governo nel marzo 2013 e lo scoppio delle ostilità nel luglio 2014 il consiglio di sicurezza non tenne neppure un dibattito significativo sulla Striscia di Gaza. La grande maggioranza delle discussioni – anche quelle considerate di carattere “strategico” – riguardarono solo argomenti militari. Il rapporto del revisore sottolinea che l’assenza di un dibattito sui vari aspetti politici della situazione a Gaza fu particolarmente significativa nel contesto dei sempre più numerosi rapporti in merito al deterioramento delle condizioni umanitarie lì, alla crisi economica e al collasso di infrastrutture vitali, compresa la riduzione delle forniture idriche.

Nel dicembre 2013 il segretario militare del primo ministro, Eyal Zamir, scrisse all’allora consigliere per la sicurezza nazionale Yossi Cohen che Netanyahu voleva che organizzasse una discussione del consiglio riguardante la situazione dei civili a Gaza e le sue implicazioni per Israele. Una simile discussione non ebbe mai luogo e fino allo scoppio delle ostilità, sette mesi dopo, il consiglio non dedicò neppure una sessione alla crisi umanitaria nella Striscia. Il Revisore nota che Cohen avrebbe dovuto seguire l’indicazione del primo ministro e critica a questo proposito anche Ya’alon, dato che quest’ultimo era conscio della situazione civile ed umanitaria a Gaza e avrebbe dovuto comprendere il rischio di una escalation della tensione. Ciononostante neppure il ministro della Difesa avviò una discussione a questo proposito nel consiglio. Il rapporto evidenzia tuttavia che Ya’alon dopo lo scoppio della guerra espresse rammarico per non averlo fatto.

L’esercito israeliano fallì nel raggiungimento dell’obiettivo principale: solo metà dei tunnel di Hamas venne distrutta

Il Revisore afferma che la guerra del 2014 non ha messo in luce solo difetti e carenze nella preparazione dell’esercito israeliano per lottare contro i tunnel di attacco scavati da Hamas dalla Striscia di Gaza verso Israele. Sostiene che l’esercito non ha neppure ottenuto gli obiettivi che gli erano stati dati durante l’operazione “Margine protettivo”: distruggere o neutralizzare i cunicoli sotterranei. Infatti, nonostante questa fosse la sua principale missione, l’IDF ne distrusse solo la metà. L’esercito in seguito informò che aveva reso inutilizzabili 32 tunnel.

L’esercito era carente di metodi di combattimento adeguati per affrontare i tunnel

Il Revisore ha stabilito che nessuna dottrina militare, tecnica di combattimento né ordine specifico furono messi in campo per affrontare i tunnel di Hamas. Solo nel luglio 2014, mentre i combattimenti erano in corso, il corpo dei genieri dell’esercito israeliano emise linee guida per localizzare e distruggere le strutture.

Fino ad allora le forze militari improvvisarono o basarono il proprio modo di operare su metodi che erano stati utilizzati in precedenza per far fronte ai tunnel per il contrabbando sulla frontiera tra Gaza ed Egitto. Solo nel dicembre 2014, quattro mesi dopo che la guerra era finita, il quartier generale del comando della fanteria e dei paracadutisti emise ordini di combattimento che stabilivano i principi di azione in zone in cui si trovano molteplici tunnel.

L’esercitò non predispose piani con largo anticipo per una situazione in cui i combattenti avrebbero dovuto affrontare questi tunnel al momento dell’ingresso nella Striscia, come parte di un’operazione di terra – benché ci fosse un’alta probabilità di una simile battaglia. Oltretutto, secondo il Revisore, anche dopo che un simile piano fu predisposto, venne formulato poco prima dell’operazione “Margine protettivo”, per cui alcune delle brigate coinvolte nella battaglia ricevettero le linee guida dopo che la guerra era iniziata.

L’aviazione non era preparata a eliminare i tunnel di Hamas

L’IAF [l’aviazione militare israeliana. Ndtr.] aveva mezzi limitati e mancava delle competenze, delle informazioni e di linee guida operative adeguate – così come delle relative capacità e formazione – per affrontare la minaccia dei tunnel di Hamas. Il generale Amikam Norkin, che all’epoca dell’operazione a Gaza era il capo di stato maggiore dell’IAF (e che alla fine di quell’anno doveva diventare il nuovo comandante dell’aviazione israeliana), all’epoca della campagna militare disse che le forze aeree non avevano sufficienti informazioni che permettessero di formulare tattiche operative per affrontare i tunnel.

Ciononostante, durante una sessione tenuta durante la guerra, il consiglio raccomandò che fossero attaccati dall’aria, benché i comandi della difesa sapessero che ciò non avrebbe distrutto tutti i percorsi dei cunicoli sotterranei e avrebbe di fatto ostacolato future operazioni di terra contro di loro – che fu ciò che effettivamente successe. Tuttavia, secondo il Revisore, questa informazione non venne fornita ai membri del consiglio prima che raccomandassero attacchi aerei.

L’intelligence israeliana diede priorità alla minaccia dei tunnel solo dopo la guerra

La minaccia rappresentata dai tunnel di Hamas non fu considerata una priorità assoluta dall’intelligence di Israele fino all’inizio del 2015, mesi dopo la fine dell’operazione “Margine protettivo”.

Benché il primo ministro Netanyahu ed i responsabili del sistema di difesa avessero definito i tunnel una minaccia strategica contro il Paese, non vennero considerati come parte di importanti attività di intelligence. Ciò ebbe effetti sull’assegnazione di risorse alle agenzie di spionaggio con lo scopo di affrontare la minaccia.

Il Revisore nota che il capo dell’intelligence militare dell’IDF, generale Aviv Kochavi, e il capo dello Shin Bet Cohen avrebbero dovuto fare di questo problema una priorità assoluta per i servizi di intelligence, e aggiunge che i livelli politici – il primo ministro e il ministro della Difesa – avrebbero dovuto sovrintendere a questo processo.

Lo Shin Bet e l’intelligence militare iniziarono a incrementare le loro attività di raccolta di informazioni riguardo alle strutture sotterranee alla fine del 2013, dopo che in un anno furono scoperti tre tunnel scavati da Hamas che si estendevano all’interno del territorio israeliano. Il Revisore commenta che nonostante ciò l’informazione generale passata all’interno delle unità di combattimento dell’IDF durante la guerra del 2014, compresa quella sui tunnel, era un “importante risultato di intelligence”.

 Significative lacune dell’intelligence su Hamas a Gaza

Da metà 2013 fino allo scoppio delle ostilità nel luglio 2014 e durante la campagna stessa, lo Shin Bet e l’intelligence militare presentarono gravi e significative lacune riguardo alla raccolta di informazioni a Gaza. Queste lacune, secondo il rapporto del Revisore, riguardarono sia i tunnel sotterranei che l’identificazione dei bersagli per l’aviazione, come anche “un’altra area” – presumibilmente riguardante piani e attività dei capi dell’ala miliare di Hamas a Gaza.

Specificamente, ci furono carenze nei tentativi di raccogliere informazioni da parte dell’intelligence militare e dello Shin Bet concernenti i tunnel dal 2008 fino all’operazione “Margine protettivo”. In particolare, il Revisore ha identificato significative lacune nelle informazioni passate alle unità di combattimento riguardo ai tunnel difensivi a Gaza (per esempio, tunnel nella Striscia che non passavano sotto il confine fin dentro Israele). Ciò ebbe un effetto sul modo in cui ci si occupò dei tunnel prima e durante l’operazione. Oltretutto le informazioni riguardanti queste lacune non furono trasmesse ai membri del consiglio fino allo scoppio delle ostilità.

Lo sviluppo della tecnologia per trovare i tunnel fu ritardato; il ritardo continua tuttora

La ricerca di una soluzione tecnologica che potesse essere utilizzata per individuare i tunnel sotterranei continuò per anni e l’apparato della difesa era fiero di aver preso in considerazione praticamente tutte le possibilità. Anche quando venne trovato un simile sistema – e l’esercito ed il ministero della Difesa definirono la sua messa in pratica una questione urgente – l’esercito israeliano fu lento nell’impiegarlo.

Fin dalla fine del 2012 il ministero della Difesa commissionò ad un’impresa di impegnarsi in questo sforzo, stabilendo che la prima fase dovesse essere completata entro il febbraio 2014. Tuttavia, nel momento in cui scoppiò la guerra a Gaza questa fase non era ancora stata ultimata; oltretutto l’attrezzatura in questione venne utilizzata solo in zone limitate.

Persino dopo la conclusione dell’operazione ci furono ritardi nell’installazione del sistema. Solo alla fine del marzo 2015, un anno dopo la data stabilita, iniziò l’attività di installazione lungo il confine di Israele con Gaza – ma il ritardo continuò. A metà 2016 il sistema era ancora operativo solo in parte e il lavoro ora è in via di completamento.

Il consigliere per la sicurezza nazionale (oggi capo del Mossad) viene duramente criticato: non svolse la sua funzione

Uno dei principali destinatari delle frecciate del Revisore dello Stato è Yossi Cohen, consigliere per la sicurezza nazionale durante l’operazione “Margine protettivo” ed attuale capo del “Mossad”, il servizio di spionaggio. Almeno in cinque passaggi del suo rapporto il Revisore cita Cohen per problemi nel funzionamento del consiglio di sicurezza, dei quali fu personalmente responsabile, durante il corso della guerra.

In questo contesto, in tre diverse parti del suo rapporto il Revisore menziona i tunnel. Benché Cohen fosse al corrente della gravità della minaccia rappresentata dai cunicoli sotterranei, non avviò una discussione né suggerì che il primo ministro Netanyahu sollevasse questo argomento perché venisse seriamente preso in considerazione nelle riunioni del consiglio. Il rapporto aggiunge che, mentre preparava le discussioni del consiglio, Cohen non ritenne che l’esercito presentasse ai membri piani operativi per affrontare i tunnel.

Inoltre, ignorando una direttiva del primo ministro, Cohen non stabilì una data per una discussione sul deterioramento della situazione umanitaria a Gaza. Il Revisore ha scoperto che durante le riunioni del consiglio, soprattutto quelle dedicate a stabilire una politica nei confronti della Striscia di Gaza, il consiglio di sicurezza nazionale non propose alternative diplomatiche o di altro genere ai piani presentati dai militari. Nonostante il consiglio, sotto la direzione di Cohen, avesse aumentato il proprio potere, il Revisore ha individuato varie carenze che gli impedirono di funzionare in base al suo mandato.

Nel suo rapporto il Revisore afferma che le sessioni del consiglio relative all’operazione del 2014 furono quasi totalmente dominate da proposte presentate dall’esercito, e il consiglio per la sicurezza nazionale non svolse il suo ruolo come stabilito dalla legge: proporre alternative come contrappeso rispetto al sistema della difesa – proposte che avrebbero consentito ai membri del consiglio una comprensione più complessiva dei problemi e delle lacune in modo che fossero sufficientemente informati quando avessero disegnato e approvato un qualunque piano d’azione.

Martedì notte il deputato della Knesset Avi Dichter (del Likud), presidente della commissione della Knesset per gli Affari Esteri e la Difesa, ha affermato che la commissione controllerà questioni che sono già state affrontate o stanno per essere affrontate per migliorare le capacità operative nei sistemi politici, della sicurezza e militari citati nel rapporto.

Ha affermato che il monitoraggio della commissione si estenderà anche a problemi che non vengono citati nel rapporto, ma di cui il sistema di sicurezza si sta occupando.

Dichter ha detto che ciò verrà fatto per garantire che l’esercito, il sistema di sicurezza ed il governo siano preparati per future minacce che sono state sottoposte alla commissione. (Jonathan Lis)

L’opposizione israeliana convoca Netanyahu alla Knesset sul rapporto di Gaza

L’opposizione ha ottenuto le 40 firme di deputati necessarie secondo le regole della Knesset per convocare il primo ministro Benjamin Netanyahu ad una sessione della Knesset per discutere dei risultati del rapporto. La sessione è prevista entro circa tre settimane.

Chiedendo al presidente del parlamento, il deputato Yuli Edelstein (del Likud), di mettere in calendario la sessione, la deputata Merav Michaeli, capogruppo dell’Unione Sionista [coalizione tra il partito Laburista e Kadima. Ndtr.], ha affermato: “In base a quanto riferito finora, i gravi riscontri del rapporto attestano un fallimento del primo ministro e del governo da lui guidato, così come una mancanza di politiche riguardo a Gaza e carenze nella strategia relativa alla sicurezza ed alla diplomazia, che portarono all’errata gestione dell’operazione.

“Il primo ministro deve comparire in parlamento e rendere conto a tutta l’opinione pubblica israeliana dei risultati del rapporto e del fallimento nel garantire la sicurezza dei cittadini israeliani,” ha aggiunto. (Jonathan Lis)

 Il capo dell’IDF: l’esercito sta traendo insegnamento dal rapporto e agendo per migliorare la capacità operativa a Gaza

Il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, generale Gadi Eisenkot, durante una cerimonia per onorare i migliori impiegati civili dell’esercito, ha affermato che l’esercito “sta imparando dal rapporto del Revisore dello Stato, che ha ricevuto qualche tempo fa, sta formulando un piano di lavoro e agendo per migliorare costantemente le proprie capacità operative sul fronte della Striscia di Gaza.”

Eisenkot ha anche detto: “In quanto vicecapo dello stato maggiore e corresponsabile degli esiti della battaglia, ho visto di persona che i soldati dell’esercito israeliano e i loro comandanti, in terra, mare e cielo, in primo luogo e soprattutto il comandante di stato maggiore Benny Gantz, lavoravano giorno e notte per raggiungere gli obiettivi del combattimento e garantire la sicurezza del nostro Paese.”

Eisenkot ha detto che l’esercito non era immune da critiche sull’operazione. “Ma dobbiamo ricordare che questa è gente eccellente che ha dedicato la propria vita alla sicurezza di Israele e ha contribuito a un futuro migliore per il popolo di questo Paese.” (Jonathan Lis)

Ya’alon: il consiglio di sicurezza durante la guerra di Gaza fu il peggiore che io abbia visto

Martedì l’ex ministro della Difesa Moshe Ya’alon, in risposta al rapporto del Revisore dello Stato sull’operazione “Margine protettivo” a Gaza, ha affermato che la condotta del consiglio di sicurezza durante la guerra a Gaza nell’estate del 2014 fu scadente e irresponsabile.

Secondo Ya’alon lo stesso rapporto è “politicizzato” e durante la guerra le sue azioni come ministro della Difesa, come quelle del primo ministro Benjamin Netanyahu e del capo di stato maggiore dell’esercito Benny Gantz, evitarono un disastro.

“Questo è un rapporto che analizza aspetti parziali della complessa campagna. Ignora più ampie considerazioni perché è stato preso in ostaggio da politici con interessi (esterni), che hanno fornito all’ufficio del Revisore dello Stato informazioni di parte e inquinato il processo di analisi,” ha aggiunto.

Ya’alon ha definito il consiglio di sicurezza durante “Margine protettivo” il peggiore ed il più irresponsabile che abbia mai visto. “Lo dico in quanto ho partecipato al consiglio fin dal 1995. Era un consiglio superficiale, politicizzato e populista. Un consiglio di fuga di notizie, di gente che parlava con un doppio discorso – uno all’interno e l’altro per l’opinione pubblica. Questa situazione trasformò le discussioni in una grande farsa, che, se non fosse stato per il primo ministro, per il capo di stato maggiore e per me, avrebbe potuto benissimo terminare in un disastro,” ha affermato.

Ya’alon ha definito il consiglio di sicurezza un “asilo infantile” e ha detto che sarebbe stato possibile trovare una soluzione allora, “in tempo reale”.

“Oggi sono orgoglioso di essere stato insieme al primo ministro ed al capo di stato maggiore di fronte alle dure critiche dell’opinione pubblica e all’eversione politica e personale, mentre i nostri soldati erano sotto il fuoco nemico,” ha detto Ya’alon.

“Oggi stiamo ricevendo critiche per questo, all’epoca questo ha salvato la campagna. I campioni di giravolte non riuscirono a trascinarci in un’ (operazione) “Scudo di difesa 2″ [sanguinosa offensiva dell’esercito israeliano in Cisgiordania del 2002. Ndtr.] in Giudea e Samaria [denominazione israeliana della Cisgiordania. ndtr.], in una terza Intifada e neanche in un’occupazione della Striscia,” ha aggiunto. (Amos Harel)

 Netanyahu: il rapporto omette le vere lezioni che devono essere tratte dalla guerra

In risposta al rapporto, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto: “La quiete senza precedenti che ha prevalso (sul lato israeliano della frontiera con Gaza) a partire dall’operazione “Margine protettivo” è una prova dei risultati.” Secondo Netanyahu le vere e significative lezioni che devono essere tratte dalla guerra non compaiono nel rapporto di Shapira.

“Le vere lezioni sono già state attentamente messe in pratica -in modo responsabile e in silenzio,” ha aggiunto il primo ministro. Egli ha sostenuto che la minaccia dei tunnel a Gaza fu esposta nel dettaglio ai membri del consiglio di sicurezza in 13 diversi incontri. “Se ne discusse in tutta la loro gravità, prendendo in considerazione tutta la gamma degli scenari strategici ed operativi.”

Il leader dell’opposizione chiede a Netanyahu di dimettersi

Il leader dell’opposizione Isaac Herzog (dell’ Unione Sionista) ha detto che il quadro presentato dal rapporto “dovrebbe provocare paura e preoccupazione nel cuore di ogni cittadino di Israele.” Ha chiesto a Netanyahu di trarne le conclusioni e di dimettersi.

Herzog ha descritto il rapporto come professionale, dettagliato e privo di tendenziosità politica. “Il rapporto rivela chiaramente come il primo ministro Netanyahu e il consiglio (di sicurezza) che guidava fallirono nel loro compito di comprendere le minacce, definire una strategia, comprendere la realtà (e) preparare in modo corretto soldati e civili, sopratutto i residenti del Sud. La dirigenza del Paese condusse una disputa politica sulle spalle di ognuno di loro per scopi personali, non sono stati all’altezza delle responsabilità a loro affidate,” ha detto il leader dell’Unione Sionista. “Il Revisore ha irrevocabilmente rilevato che quello non fu un incidente, un errore o un passo falso sporadico, ma piuttosto un modo di comportarsi e un errore durato anni.”

Herzog ha definito il rapporto “strategico” e “importante” ed ha affermato che dovrebbe essere letto come una critica e “non trasformare il Revisore in un nemico del popolo.” Ed ha aggiunto: “Diranno presto che Shapira dovrebbe essere stroncato invece di ascoltare le critiche e studiarle. Evidenzia errori sostanziali.”

Riguardo a Tzipi Livni, il suo numero due nell’Unione Sionista, che era membro del consiglio di sicurezza all’epoca della guerra, Herzog ha detto: “Appoggio le azioni di Tzipi Livni, che lavorò nel consiglio di sicurezza come ci si potrebbe aspettare da un dirigente della diplomazia e della difesa, e se ci fossero state altre due o tre persone come Tzipi, dovrebbe essere ragionevole (ammettere) che quel consiglio avrebbe funzionato in modo diverso, raggiungendo risultati molto migliori.”

Tzipi Livni: “E’ necessario un totale cambiamento nel modo di pensare”

Tzipi Livni, numero due dell’Unione Sionista, ha detto che, invece di attaccare il Revisore dello Stato Joseph Shapira, in risposta al suo rapporto il governo dovrebbe agire per metterlo in pratica: “Israele ora ha bisogno di una strategia riguardo a quali risultati militari e diplomatici sono necessari e quale sia il punto di uscita nelle future operazioni riguardo a Gaza ed in generale,” ha affermato.

“E’ così che mi sono comportata durante la (guerra) – in silenzio, senza far filtrare notizie e senza critiche dei media. E’ necessario un totale cambiamento nel modo di pensare. Invece di slogan che danneggiano solo l’esercito israeliano e le capacità di deterrenza, occorre definire obiettivi strategici e passi diplomatici.”

Il presidente Rivlin: correggere le lacune esposte dal rapporto

Il presidente [della repubblica israeliana] Reuven Rivlin ha chiesto che siano corrette le lacune esposte dal rapporto. Il presidente ha detto martedì in una conferenza dell’Istituto delle Politiche del Popolo Ebraico: “Non è tempo di scambiarsi accuse. E’ tempo di imparare le lezioni e rafforzare l’esercito israeliano in modo che possa continuare ad essere il nostro muro di difesa.”

Rivlin ha aggiunto che il rapporto del Revisore dello Stato dovrebbe essere studiato piuttosto che cercare di attaccarne i contenuti. “Siamo tutti bravi col senno di poi e sarebbe necessario investire le nostre energie per trarne conclusioni e metterle in pratica.”

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Il discorso di Kerry è stato magnificamente sionista, a favore di Israele e in ritardo di tre anni

Nota redazionale: il presente articolo rappresenta posizioni che non corrispondono alle opinioni condivise da Zeitun, in quanto, come afferma lo stesso Barak Ravid fin dal titolo, Kerry ha confermato la sua adesione alla logica sionista. Quindi gli aspetti che il giornalista ritiene positivi dal nostro punto di vista non lo sono affatto. Inoltre è evidente che le responsabilità di un mancato accordo tra le parti non può ricadere equamente su Netanyahu e Abu Mazen, data l’enorme differenza di potere tra i due ed il fatto che il mediatore, in questo caso Kerry, si è sempre dimostrato acquiescente rispetto all’espansione delle colonie israeliane nei Territori occupati. Lo status quo in realtà ha rappresentato la continuazione dei cambiamenti sul terreno imposti da Israele. Anzi, nessun presidente e nessun segretario di Stato statunitensi sono stati sbeffeggiati come Obama e Kerry da un governo israeliano, senza che ciò abbia provocato serie reazioni da parte della superpotenza.

Nonostante queste ed altre obiezioni riteniamo utile tradurre questo articolo in quanto smentisce le informazioni e le interpretazioni del discorso di Kerry circolate sui nostri media, che, facendo eco alle proteste di Netanyahu e dei suoi ministri e diplomatici, hanno sostenuto che si è trattato di un duro attacco contro Israele.

 Barak Ravid – 29 dicembre 2016,Haaretz

Se lo avesse messo sul tavolo [delle trattative] nel 2014, lo schema presentato da Kerry avrebbe potuto spingere Israele ed i palestinesi ad un accordo. Ma le risposte ipocrite di Netanyahu e Abbas hanno dimostrato perché i suoi sforzi per la pace sono falliti | Analisi

Il segretario di Stato USA John Kerry ha scelto di dedicare la maggior parte del suo discorso ai suoi personali legami con Israele fin dalla sua prima visita quando era un giovane senatore 30 anni fa. Ha detto di essere salito a Masada, di aver nuotato nel Mar Morto, di essere andato da un sito biblico all’altro, di aver visto le atrocità dell’Olocausto allo Yad Vashem e ha persino parlato di come guidò un aereo dell’aviazione militare su Israele per comprendere le sue necessità in materia di sicurezza.

Non ci sono molti altri politici americani che conoscano Israele quanto John Kerry. Non c’è un solo politico americano in carica che abbia scavato quanto Kerry così in profondità nel conflitto israelo-palestinese e lo abbia studiato e tentato di risolverlo. Queste cose erano chiaramente riflesse nel suo discorso. Il segretario di Stato ha fatto un’analisi convincente dello stato delle cose attuale del processo di pace. Ha evidenziato la profonda sfiducia tra le parti, la disperazione, la rabbia e la frustrazione dei palestinesi, e l’isolamento e l’indifferenza da parte israeliana.

Il discorso di Kerry è stato magnificamente sionista e filo-israeliano. Chiunque appoggi davvero la soluzione dei due Stati e un Israele ebraico e democratico dovrebbe approvare le sue considerazioni ed appoggiarle. E’ un caso duplice, senza mezzi termini. Non c’è da sorprendersi che quelli che si sono affrettati a condannare Kerry, persino prima che parlasse e ancor di più dopo, siano stati il segretario di Habayit Hayehudi [partito di estrema destra dei coloni israeliani. Ndtr.] Naftali Bennett ed i capi della lobby delle colonie. Nel suo discorso Kerry ha notato che è questa minoranza che sta guidando il governo israeliano e l’apatica maggioranza verso la soluzione dello Stato unico.

Negli ultimi quattro anni, il segretario di Stato americano spesso ha agito goffamente, ossessivamente e persino con un tocco di messianismo, ma lo ha fatto per una causa buona e giusta. Ha tentato con tutte le sue forze di porre fine a 100 anni di conflitto per garantire un futuro a Israele, il maggiore alleato dell’America, ed alle sofferenze dei palestinesi. Purtroppo i suoi due partner in questa missione, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente dell’autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, semplicemente non l’hanno voluto tanto quanto lui. Negli ultimi quattro anni, Abbas e Netanyahu sono stati uno l’immagine riflessa dell’altro. Si sono impegnati nel conservare lo status quo, sono rimasti trincerati sulle loro posizioni e non hanno voluto prendere neanche il minimo rischio o spostarsi di un millimetro per cercare di ottenere un miglioramento.

Il discorso di Kerry è stato lungo e dettagliato, ma il suo centro è stato il piano per la pace che ha presentato. Il progetto non intendeva essere una soluzione imposta, ma includere i principi fondamentali su cui dovrebbe essere condotto il futuro dei negoziati israelo-palestinesi. Era centrato sul documento complessivo formulato nel marzo 2014 dopo parecchi mesi di colloqui con entrambe le parti.

Quando si leggono le parole di Kerry, si vede immediatamente che egli ha accettato un numero significativo di richieste di Israele, in primo luogo e soprattutto quella secondo cui ogni futuro accordo di pace includa il riconoscimento palestinese di Israele come Stato ebraico. Kerry ha anche affermato che una soluzione del problema dei rifugiati dovrebbe essere giusto e praticabile, che non minacci le caratteristiche dello Stato di Israele. Egli ha detto che ogni futura frontiera dovrebbe essere basata sul fatto di lasciare in mani israeliane i principali blocchi di colonie; ha messo in evidenza che l’accordo definitivo deve costituire la fine del conflitto e precludere qualunque ulteriore richiesta palestinese, ed ha sottolineato che le misure per la sicurezza devono essere una componente fondamentale di ogni accordo.

Nel contempo lo schema di Kerry include una serie di compromessi richiesti ad Israele, il primo e principale è consentire che Gerusalemme sia la capitale di entrambi gli Stati. Kerry ha chiarito che i confini dello Stato palestinese dovrebbero essere basati su quelli del 1967 con un scambio consensuale di territori delle stesse dimensioni, e che Israele deve riconoscere le sofferenze dei rifugiati palestinesi.

Il principale problema dello schema di Kerry è che lo ha presentato troppo tardi. Egli sa di aver fatto un errore quando, nel marzo 2014, non ha messo ufficialmente sul tavolo [delle trattative] il suo documento quadro contenente gli stessi principi che ha enumerato nel suo discorso. I suoi principali consiglieri ammettono che Kerry, se potesse tornare indietro di 33 mesi, proporrebbe questo progetto di pace alle due parti e imporrebbe loro di negoziare su queste basi.

Questa mossa “prendere o lasciare” a quel tempo avrebbe obbligato entrambe le parti a prendere decisioni strategiche. Un simile passo avrebbe anche definito lo schema di Kerry come base per ogni futuro colloquio. Per quanto importante, il fatto di averlo presentato solo tre settimane prima che Donald Trump entri alla Casa Bianca ha solo un valore simbolico.

Come in altri esempi del passato, Netanyahu non si è neanche preso il disturbo di ascoltare le osservazioni di Kerry o di valutarle nel merito. Ha risposto con affermazioni aggressive contenenti pesanti critiche personali a Kerry. C’è chi dirà che la profondità di queste dichiarazioni riflette la profondità delle indagini su di lui [Netanyahu è indagato per corruzione. ndtr.] .

Le critiche di Netanyahu sono condite di ipocrisia e cinismo. I principi che Kerry ha elencato nel suo discorso sono gli stessi che Netanyahu aveva accettato nel marzo 2014. Il primo ministro aveva delle riserve, che aveva previsto di esprimere pubblicamente, ma in pratica aveva accettato di negoziare sulla base di un progetto molto simile. Ad oggi Netanyahu rifiuta di ammetterlo.

Il suo gemello politico, Abbas, ha reagito con la stessa ipocrisia. Quando il presidente USA Barack Obama ha presentato lo schema ad Abbas nel marzo 2014, Abbas ha promesso di pensarci e di tornare da Obama. Obama sta ancora aspettando. Persino dopo il discorso di Kerry di mercoledì Abbas ha rifiutato di dire se per lui lo schema è accettabile o meno.

Il presidente eletto Trump, che sembrava aver accettato la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU della scorsa settimana sulle colonie, rispondendo con un tweet formulato in modo generico, non ha potuto esimersi dal commentare il discorso di Kerry. Solo un attimo prima che Kerry iniziasse il suo discorso, Trump ha lanciato tre tweet che hanno reso evidente il suo dissenso.

Negli ultimi mesi Trump ha ripetutamente detto che uno dei suoi obiettivi è raggiungere una pace tra Israele e i palestinesi. Ha chiarito che vuole chiudere “la madre di ogni problema” e porre fine alla “guerra infinita” tra le due parti. Trump ha persino nominato inviato speciale per il processo di pace il suo avvocato e stretto collaboratore Jason Greenblatt. Trump e Greenblatt presto scopriranno che se vogliono fare questo storico accordo, assomiglierà molto a quello delineato da Kerry nel suo discorso.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




La Gran Bretagna ha tirato le fila e Netanyahu ha avvertito la Nuova Zelanda che sarebbe stata una dichiarazione di guerra: nuovi dettagli sulla battaglia di Israele contro il voto dell’ONU

di Barak Ravid – 28 dicembre 2016,Haaretz

La gran Bretagna ha lavorato segretamente con i palestinesi e ha spinto la Nuova Zelanda a portare avanti la risoluzione, e una telefonata di Netanyahu a Putin ha innescato un vero dramma alla sede dell’ONU un’ora prima del voto.

Venerdì scorso, poche ore prima del voto del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulle colonie, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha telefonato al ministro degli Esteri neozelandese Murray McCully. La Nuova Zelanda, insieme a Senegal, Malaysia e Venezuela, ha promosso la ripresentazione al voto della risoluzione da cui l’Egitto si era ritirata il giorno precedente.

Poche ore prima un importante funzionario del ministero degli Esteri di Gerusalemme ha telefonato all’ambasciatore della Nuova Zelanda in Israele, Jonathan Curr, e l’ha avvertito che se l’iniziativa della Nuova Zelanda fosse arrivata al voto, Israele avrebbe potuto chiudere la propria ambasciata a Wellington per protesta. L’ambasciatore Curr ha preso nota di ciò ed ha informato il suo governo, ma all’alba a New York Israele ha capito che le cose stavano ancora andando avanti.

La telefonata di Netanyahu a McCully è stata praticamente l’ultimo tentativo di evitare il voto, o almeno di rimandarlo e guadagnare un po’ di tempo. Diplomatici occidentali affermano che la conversazione è stata dura e molto tesa e Netanyahu si è lasciato andare a dure minacce, forse senza precedenti nelle relazioni tra Israele e un altro Paese occidentale.

“E’ una decisione scandalosa. Sto chiedendo che non la appoggiate e non la promuoviate,” ha detto Netanyahu a McCully, secondo diplomatici occidentali che hanno chiesto l’anonimato a causa della delicatezza dell’argomento. “Se continuate a promuovere questa risoluzione dal nostro punto di vista si tratterà di una dichiarazione di guerra. Romperà le relazioni e ci saranno conseguenze. Richiameremo il nostro ambasciatore a Gerusalemme.” McCully ha rifiutato di rinunciare al voto. “Questa risoluzione è coerente con la nostra politica e noi la porteremo avanti,” ha detto a Netanyahu.

Solo un mese prima, quando McCully ha visitato Israele ed ha incontrato Netanyahu, lo ha trovato un uomo completamente diverso. Netanyahu era gentile, amichevole e molto cordiale. Ha fatto vedere a McCully la famosa presentazione PowerPoint che aveva mostrato in un giro di incontri di formazione per i media la scorsa estate. Con un puntatore laser in mano, Netanyahu ha detto a McCully che Israele sta estendendo le proprie relazioni estere, entrando nella regione e facendosi amici in Africa, Asia e America latina.

I diplomatici occidentali affermano che McCully, che durante gli ultimi due anni aveva considerevolmente spinto sulla questione israelo-palestinese al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha parlato con Netanyahu della risoluzione che il suo Paese voleva promuovere. Era una versione molto più morbida e moderata di quella che è stata approvata lo scorso venerdì. La risoluzione della Nuova Zelanda parlava del congelamento delle costruzioni nelle colonie, ma anche di congelare le iniziative dei palestinesi all’ONU e alla Corte Penale Internazionale dell’Aya, e chiedeva negoziati diretti senza precondizioni.

Netanyahu l’ha categoricamente rifiutata. Se fosse dipeso da lui, il problema palestinese non sarebbe affatto stato sollevato durante l’incontro. Il suo messaggio a McCully era simile ha quanto ha detto continuamente in pubblico nelle scorse settimane. Il mondo non si preoccupa molto della questione palestinese. L’automatica maggioranza contro Israele all’ONU sta per diventare una cosa del passato. Un diplomatico occidentale ha affermato: “Il voto di venerdì ha provato il contrario e ha mostrato che l’affermazione di Netanyahu era sbagliata.”

Colloqui con diplomatici occidentali ed israeliani rivelano molti dettagli interessanti a proposito del quello che è successo dietro le quinte nella sede ONU di New York tra giovedì pomeriggio, quando l’Egitto ha annunciato il ritiro della risoluzione sulle colonie, e venerdì mattina, quando Nuova Zelanda, Senegal, Malaysia e Venezuela hanno annunciato che avrebbero continuato a insistere perché si votasse.

Secondo i diplomatici occidentali ed israeliani, dal momento in cui l’Egitto ha fatto marcia indietro giovedì, Nuova Zelanda, Senegal, Malaysia e Venezuela hanno subito pressioni per portarla avanti comunque. I palestinesi sono stati i primi a fare pressioni, ma sono stati affiancati dagli Stati del Golfo e dalla Gran Bretagna. I diplomatici occidentali affermano che la Gran Bretagna ha incoraggiato la Nuova Zelanda a continuare a insistere per il voto anche senza l’appoggio dell’Egitto.

La Gran Bretagna ha iniziato ad attivarsi sulla risoluzione pochi giorni prima. I diplomatici israeliani dicono che da informazioni ricevute dal ministero degli Esteri di Gerusalemme, consulenti legali e diplomatici inglesi hanno lavorato direttamente con i palestinesi nella stesura della risoluzione anche prima che venisse distribuita dall’Egitto per la prima volta mercoledì pomeriggio. Secondo i diplomatici israeliani, la Gran Bretagna ho ha fatto in segreto e senza informare Israele.

A Gerusalemme si sospetta che la Gran Bretagna abbia lavorato durante tutti quei giorni per gli americani per garantire che la risoluzione fosse gradita al presidente USA Barack Obama, ma senza che dovesse intervenire direttamente per formularla.

“Sappiamo come leggere le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza,” ha detto un importante diplomatico israeliano. “Non è un testo scritto dai palestinesi o dall’Egitto, ma da una potenza occidentale. “L’ambasciatore israeliano negli USA, Ron Dermer, lunedì ha affermato durante interviste con media americani che Israele ha le prove che l’amministrazione Obama stava dietro la risoluzione e l’ha stilata. Non è chiaro se questo era ciò che intendeva dire.

Diplomatici occidentali hanno in parte confermato la descrizione dei loro colleghi israeliani. Sostengono che la Gran Bretagna ha effettivamente giocato un ruolo importante nella formulazione della risoluzione e nella sua revisione con i palestinesi. Tuttavia dicono di non avere le prove che dietro tutta la manovra ci sia stata l’amministrazione USA.

“La Gran Bretagna ha contribuito ad abbassare i toni del testo in modo che corrispondesse al limite accettabile per gli americani e potesse così essere approvata senza un veto,” sostiene uno dei diplomatici occidentali.

La conversazione telefonica di Netanyahu con il ministro degli Esteri neozelandese non ha posto fine ai tentativi di impedire il voto venerdì pomeriggio. Poche ore prima del voto, il primo ministro ha chiamato il presidente russo Vladimir Putin ed ha tentato di convincerlo. Solo il giorno prima Israele aveva acconsentito ad una richiesta russa e si è astenuto da un voto nell’Assemblea Generale dell’ONU su una risoluzione riguardante crimini di guerra in Siria.

Non è del tutto chiaro cosa sia avvenuto nella conversazione tra Netanyahu e Putin, ma meno di un’ora prima del voto un vero dramma ha avuto luogo nella sede ONU di New York. Mentre gli Stati-membri del Consiglio di Sicurezza stavano preparando il proprio discorso prima del voto e la discussione pubblica che si era tenuta immediatamente prima, l’ambasciatore russo all’ONU Vitaly Churkin improvvisamente ha chiesto una consultazione riservata.

Un diplomatico occidentale afferma che Churkin ha stupito gli altri ambasciatori dei 14 Stati-membri del Consiglio di Sicurezza quando ha proposto di rimandare il voto a dopo Natale. Non c’è stata una discussione sufficiente sulla stesura della risoluzione, ha sostenuto Churkin, e ha detto di essere sorpreso della fretta di alcuni Paesi per votare al più presto. Martedì mattina il vice ambasciatore russo in Israele, Alexy Drobinin, lo ha confermato in un’intervista con la radio dell’esercito

Drobinin ha detto alla radio dell’esercito che la Russia ha fatto delle obiezioni per la tempistica della risoluzione e che il rappresentante della Russia a New York è stato l’unico ad aver chiesto di continuare la discussione. Drobinin ha affermato che bisognerebbe prendere in considerazione che dopo poche settimane ci sarebbe stata una nuova amministrazione negli Stati Uniti e che la Russia non era contenta del modo in cui la risoluzione era stata portata al voto. Ha sostenuto che il problema non era il contenuto, ma la tempistica e il fatto che la risoluzione riguardsse solo una delle molte questioni cruciali del conflitto.

Ma le osservazioni di Churkin non sono state ascoltate. All’incontro la maggior parte dei rappresentanti le ha respinte e ha chiesto di andare avanti sulla votazione come previsto. Un diplomatico occidentale ha detto che l’ambasciatore russo, che ha capito di non essere riuscito a ottenere appoggio, si è ritirato ed ha sintetizzato la consultazione con una notazione tipicamente cinica sulla proposta abbandonata dall’Egitto – ha detto di non aver mai visto in vita sua tanta gente desiderosa di adottare così in fretta un orfano.

L’incontro è finito, gli ambasciatori sono entrati nella sala del Consiglio di Sicurezza e pochi minuti dopo hanno approvato la risoluzione.

(traduzione di Amedeo Rossi)