La corsa di Israele in Africa: vendere acqua, armi e menzogne

Ramzy Baroud

23 luglio 2019 – Al Jazeera

Israele sta cercando di riscrivere la storia per entrare nei cuori dei cittadini africani, ma non ci riuscirà

Per anni, il Kenya è stato la porta di Israele verso l’Africa. Israele ha usato le forti relazioni politiche, economiche e di sicurezza tra i due Stati per espandere la sua influenza sul continente e mettere altre Nazioni africane contro la Palestina. Malauguratamente la strategia di Israele sembra, almeno in apparenza, avere successo: il sostegno storico e dichiarato dell’Africa alla lotta palestinese sulla scena internazionale sta diminuendo.

Il riavvicinamento del continente a Israele è una sventura, perché, per decenni, l’Africa è stata all’avanguardia nell’opporsi a tutte le ideologie razziste, incluso il sionismo, ideologia alla base della fondazione di Israele sulle rovine della Palestina. Se l’Africa cedesse alle lusinghe e alle pressioni israeliane e accettasse pienamente lo Stato sionista, il popolo palestinese perderebbe un partner prezioso nella lotta per la libertà e i diritti umani.

Ma non tutto è perduto.

Il mese scorso ho visitato Nairobi, capitale del Kenya, per partecipare a incontri con giornalisti, intellettuali, attivisti per i diritti umani e cittadini comuni del Paese, nel tentativo di contrastare parte della propaganda imposta negli ultimi anni dalla macchina israeliana dell’hasbara [propaganda israeliana, ndtr.]. Considerando il successo di Israele nel penetrare i vari strati della società keniota, volevo indagare se fosse ancora in qualche modo possibile una solidarietà.

Alla fine della mia visita sono rimasto piacevolmente sorpreso, poiché ho scoperto che la “storia del successo” di Israele in Kenya e nel resto dell’Africa è superficiale e l’affinità tra Africa e Palestina è troppo profonda perché sia facilmente sradicata da una qualsiasi “campagna d’immagine” da parte di Israele.

La lunga storia della solidarietà africana con la Palestina

Secondo l’analista politico israeliano Pinhas Anbari, la “campagna d’immagine in Africa” di Israele è iniziata dopo che Israele ha fallito nel convincere gli Stati europei a sostenere le sue politiche nei confronti dei palestinesi.

“Quando l’Europa espresse apertamente il suo sostegno alla creazione di uno Stato palestinese”, ha detto Anbara, “Israele ha preso la decisione strategica di rivolgersi all’Africa”.

Ma il sostegno dell’UE a uno Stato palestinese e le critiche occasionali alle colonie ebraiche illegali nei territori occupati non sono state le uniche ragioni alla base della decisione di Israele di concentrarsi sull’Africa.

La maggior parte dei Paesi africani, come la maggior parte dei paesi del sud del mondo, ha votato a lungo a favore delle risoluzioni filo-palestinesi all’Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA), contribuendo ulteriormente al senso di isolamento di Israele sulla scena internazionale. Di conseguenza, riconquistare l’Africa – “riconquistare” perché l’Africa non è sempre stata ostile a Israele e al sionismo – è diventato un modus operandi delle relazioni internazionali israeliane.

Il Ghana riconobbe ufficialmente Israele nel 1956, otto anni appena dopo la sua nascita, e iniziò una tendenza che continuò tra i Paesi africani negli anni seguenti. All’inizio degli anni ’70, Israele aveva conquistato una posizione forte nel continente. Alla vigilia della guerra arabo-israeliana del 1973, Israele aveva rapporti diplomatici con 33 Paesi africani.

“La guerra di ottobre”, tuttavia, ha cambiato tutto. Allora, i Paesi arabi, sotto la guida egiziana, agivano, in certa misura, con una strategia politica unitaria. E quando i Paesi africani dovettero scegliere tra Israele, un Paese nato da intrighi coloniali occidentali, e gli arabi, che soffrivano per mano del colonialismo occidentale quanto l’Africa, scelsero naturalmente la parte araba. Uno dopo l’altro, i Paesi africani iniziarono a recidere i legami con Israele. Ben presto nessuno Stato africano tranne Malawi, Lesotho e Swaziland intrattenne relazioni diplomatiche ufficiali con Israele.

In seguito, la solidarietà del continente con la Palestina è andata anche oltre. L’Organizzazione dell’Unità Africana – il precursore dell’Unione Africana – nella sua dodicesima sessione ordinaria, tenutasi a Kampala nel 1975, fu il primo organo internazionale a riconoscere su larga scala il razzismo intrinseco nell’ideologia sionista di Israele, adottando la Risoluzione 77 (XII) [di sostegno alla popolazione palestinese e forte condanna di Israele, ndtr]. La stessa risoluzione è citata nella risoluzione UNGA 3379, adottata nel novembre dello stesso anno, che stabiliva che “il sionismo è una forma di razzismo e discriminazione razziale”. La risoluzione 3379 è rimasta in vigore fino a quando non è stata revocata dall’Assemblea nel 1991, dietro una veemente pressione americana.

Purtroppo, la solidarietà dell’Africa con la Palestina ha iniziato a erodersi negli anni ’90. In quegli anni il processo di pace sponsorizzato dagli Stati Uniti ebbe un grosso slancio, dando luogo agli Accordi di Oslo e ad altri accordi che normalizzarono l’occupazione israeliana senza dare ai palestinesi i diritti umani fondamentali. Con molti incontri e strette di mano tra palestinesi e raggianti funzionari israeliani, presentati regolarmente sui media, molte Nazioni africane ebbero l’illusione che una pace duratura fosse finalmente a portata di mano. Alla fine degli anni ’90, Israele aveva riattivato i legami con ben 39 Paesi africani. Mentre i palestinesi perdevano sempre più terra grazie a Oslo, Israele ottenne molti nuovi alleati importanti in Africa e in tutto il mondo.

Eppure per Israele una “lotta per l’Africa” a tutto campo – come alleata politica, partner economico e cliente delle sue tecnologie della “sicurezza” e di armamenti – non si è manifestata apertamente che poco tempo fa.

La lotta di Israele per l’Africa

Il 5 luglio 2016, Benjamin Netanyahu ha dato il via alla corsa di Israele per l’Africa con una storica visita in Kenya, che ha fatto di lui il primo ministro israeliano a visitare l’Africa negli ultimi 50 anni. Dopo aver trascorso un po’ di tempo a Nairobi, dove ha partecipato al Forum economico Israele-Kenya accanto a centinaia di leader israeliani e kenioti, si è trasferito in Uganda, dove ha incontrato i leader di altri Paesi africani tra cui il Sud Sudan, il Ruanda, l’Etiopia e la Tanzania. Nello stesso mese, Israele ha annunciato il ripristino dei rapporti diplomatici tra Israele e Guinea.

La nuova strategia israeliana è iniziata lì. Sono seguite altre visite ad alto livello in Africa e annunci trionfali su nuove joint venture e investimenti economici.

Tuttavia, il primo ministro israeliano ha presto rilevato come gli sforzi diplomatici ed economici per conquistare l’Africa fossero insufficienti. Quindi, si è arreso alla riscrittura della storia per migliorare la posizione di Israele nel continente.

Nel giugno 2017, Netanyahu ha preso parte alla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), che si tiene nella capitale liberiana Monrovia. “Africa e Israele godono di una naturale affinità”, ha affermato Netanyahu nel suo discorso. “Abbiamo, sotto molti aspetti, storie simili. Le vostre Nazioni hanno sofferto duramente sotto il dominio straniero. Avete vissuto guerre e massacri orribili. La nostra storia è molto simile.”

Con queste parole, Netanyahu ha cercato non solo di coprire la brutta faccia del colonialismo sionista e di ingannare gli africani, ma anche di derubare i palestinesi della loro storia.

Nonostante l’evidente falsità delle “storie simili” di Netanyahu, l’offensiva del fascino di Israele in Africa è proseguita di successo in successo. Nel gennaio di quest’anno, ad esempio, il Ciad, nazione a maggioranza musulmana e geograficamente la più importante dell’Africa centrale, ha stabilito legami economici con Israele.

Cercando di affermarsi come partner delle Nazioni africane, Israele ha fornito alcuni aiuti a beneficio degli africani, come la fornitura di tecnologie solari, idriche e agricole alle regioni bisognose. Tuttavia, questi contributi hanno avuto un alto costo.

Quando, ad esempio, nel dicembre 2016, il Senegal ha sottoscritto la risoluzione 2334 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che condannava la costruzione di insediamenti ebrei illegali nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est, Netanyahu ha richiamato l’ambasciatore israeliano a Dakar e prontamente cancellato tutti i progetti di irrigazione a goccia del Mashav [l’Agenzia israeliana per lo Sviluppo e la Cooperazione Internazionale, ntr.] – i progetti erano stati precedentemente “ampiamente pubblicizzati come parte importante del contributo di Israele alla ‘lotta contro la povertà in Africa’ “.

Israele non solo si è servito così di progetti come questi per punire le nazioni africane quando queste abbiano mancato di fornire supporto cieco a Israele nei contesti internazionali, ha anche usato le sue nuove relazioni per trasformare l’Africa in un nuovo mercato per la vendita di armi.

Paesi africani come Ciad, Niger, Mali, Nigeria e Camerun, tra gli altri, sono diventati clienti delle tecnologie israeliane di “antiterrorismo”, gli stessi strumenti mortali attivamente utilizzati per reprimere i palestinesi nella loro eterna lotta per la libertà.

E tutto questo mentre Israele continua a promuovere la medesima mentalità razzista e coloniale che ha asservito e soggiogato l’Africa per centinaia di anni. La cosa sembra essere sfuggita ai leader africani che si sono messi in fila per ricevere sussidi e appoggio israeliani nella loro dubbia “guerra al terrorismo”. Inoltre, lo sfacciato razzismo anti-africano che impronta in generale la politica e la società israeliane non sembra avere alcuna conseguenza per il crescente fan-club di Israele in Africa.

Molti governi africani, compresi quelli di Nazioni a maggioranza musulmana, stanno dando a Israele esattamente ciò che vuole: un modo per uscire dal suo isolamento e legittimare l’apartheid.

“Israele si sta facendo strada nel mondo islamico”, ha detto Netanyahu durante la prima visita di un leader israeliano nella capitale del Ciad, Ndjamena, il 20 gennaio 2019. “Stiamo facendo la storia e stiamo trasformando Israele in una potenza globale in crescita”.

I palestinesi e gli arabi, naturalmente, hanno una parte di colpa in tutto ciò, per aver abbandonato i loro alleati africani nell’ inseguimento insensato, dopo le promesse di Stati Uniti e Occidente, di una pace che non si è mai realizzata. La politica araba è enormemente cambiata dalla metà degli anni ’70. Non solo i Paesi arabi non parlano più con una sola voce e, quindi, non hanno una strategia unificata per quanto riguarda l’Africa o il resto del mondo, ma alcuni governi arabi stanno attivamente tramando con Tel Aviv e Washington contro i palestinesi. La conferenza economica del Bahrain, che si è tenuta a Manama dal 25 al 26 giugno, è stata l’ultimo di questi eventi.

La stessa leadership palestinese ha allontanato la propria attenzione politica dal sud del mondo, soprattutto dopo la firma degli Accordi di Oslo. Per decenni, l’Africa ha avuto poca importanza nei calcoli angusti e auto-referenziali dell’Autorità Nazionale Palestinese. Per l’ANP, solo Washington, Londra, Madrid, Oslo e Parigi avevano un’importanza strategica – un errore politico deplorevole sotto tutti gli aspetti. Questo errore storico deve essere corretto prima che la storia del successo di Israele escluda i palestinesi da qualsiasi influenza in Africa e nel resto del sud del mondo.

Eppure, nonostante i molti successi nell’attirare governi africani nella propria rete di alleati, Israele non è riuscito a entrare nei cuori degli africani, che ancora vedono la lotta palestinese per la giustizia e la libertà come un’estensione della propria lotta per la democrazia, l’uguaglianza e i diritti umani.

È vero, Israele ha ottenuto il sostegno di parte della classe dirigente in Africa, ma non è riuscito a conquistare il popolo africano, che rimane dalla parte dei palestinesi. Durante la mia visita di 10 giorni nel loro Paese, i kenioti di ogni estrazione sociale mi hanno dimostrato il loro sostegno alla Palestina nel modo più confortante, autentico e naturale. 

A Nairobi, studenti, accademici e attivisti per i diritti umani si rapportano al popolo palestinese non come osservatori esterni simpatizzanti della loro lotta, ma come partner in una battaglia collettiva per giustizia, libertà e diritti. La sanguinosa lotta del Kenya contro il colonialismo britannico, la sua orgogliosa guerra di liberazione e i molti sacrifici per ottenere la libertà sono un’immagine quasi speculare dell’attuale lotta palestinese contro un altro nemico coloniale e razzista.

La Palestina sarà sempre vicina al cuore di tutti gli africani a causa della dolorosa e orgogliosa storia di colonialismo e resistenza che condividiamo. Con questa considerazione, i palestinesi dovrebbero rendersi conto del fatto che Israele sta attivamente cercando di riscrivere la loro storia e privarli della solidarietà di popoli che forse comprendono la loro situazione meglio di chiunque altro.

Sarebbe un’ingiustizia morale alla quale non dovrebbe essere permesso di avere la meglio. 

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Ramzy Baroud è editorialista noto a livello internazionale, consulente per i media e scrittore.

(traduz. di Luciana Galliano)