Issawiya, la cittadina palestinese che resiste alle punizioni collettive di Israele

Hanadi Qawasmi – ISSAWIYA, Gerusalemme est occupata

Lunedì 12 agosto 2019 – Middle East Eye

L’ultima campagna israeliana contro questo quartiere della conurbazione di Gerusalemme est, una delle più lunghe e violente della sua storia recente

Nel quartiere palestinese di Issawiya le auto della polizia israeliana non sono tollerate.

Nel comune ogni traccia della presenza poliziesca degenera rapidamente in scontri, con giovani palestinesi che lanciano pietre e molotov contro i veicoli, mentre le forze israeliane fanno uso di proiettili veri, di pallottole d’acciaio ricoperte di gomma e di lacrimogeni.

Questo quartiere, che conta più di 15.000 abitanti, è ben noto ai palestinesi come un faro della resistenza civile all’occupazione israeliana.

Issawiya è una delle zone più ribelli di Gerusalemme,” dichiara a Middle East Eye Fadi Elayan, un abitante trentatreenne della cittadina.

La polizia obbedisce alla logica in base alla quale se Issawiya viene sottomessa e il suo rifiuto dell’occupazione è ridotto al silenzio, il resto di Gerusalemme sarà domato.”

La portata della determinazione della polizia israeliana nel demonizzare questa zona periferica è stata svelata lo scorso martedì, quando si è saputo che, durante una serie televisiva di reality show sulla polizia, alcuni agenti hanno messo un fucile M-16 nella casa di un abitante di Issawiya e in seguito hanno sostenuto di averlo scoperto lì.

Durante gli ultimi due mesi Issawiya è stata bersaglio di una violenta e dirompente repressione israeliana lanciata poco dopo l’Aid al-Fitr [festa musulmana per la fine del Ramadan, ndtr.] con il pretesto di garantirvi la sicurezza.

Da allora la cittadina è bersaglio di una politica di punizione collettiva: più di 250 arresti politici, centinaia di vessazioni perpetrate dalle forze israeliane ai danni di veicoli e negozi, decine di abitanti feriti dagli spari israeliani e il funerale per un giovane palestinese.

Il 27 giugno, durante un’incursione notturna, la polizia israeliana ha ucciso Mohammad Samir Obaid, provocando viva indignazione tra gli abitanti della cittadina. Due testimoni oculari hanno dichiarato a MEE che nel momento in cui è stato ucciso questo palestinese di 20 anni non rappresentava alcuna minaccia.

Il giorno prima le immagini di un soldato ricoperto di pittura rossa lanciata dai giovani della cittadina erano state ampiamente condivise dai palestinesi sulle reti sociali.

Repressione concertata

Tale repressione non è un fatto raro per la cittadina: di fatto non passa un anno senza azioni simili da parte delle forze israeliane.

Ma secondo gli abitanti l’ultima campagna è una delle più lunghe e violente della storia recente del quartiere – dura consecutivamente da più di 50 giorni ed è stata messa in atto da diversi organi militari e civili israeliani.

Le incursioni delle forze israeliane sembrano una sfilata organizzata: quattro grossi SUV arrivano nel quartiere, insieme a guardie di frontiera e a volte a un reparto a piedi, gli agenti lanciano delle bombe assordanti nelle strade per disperdere i giovani e seminare la paura, poi procedono a un’operazione di controllo e perquisizione umiliante e aggressiva.

La polizia di frontiera, le forze speciali, la polizia stradale, così come le autorità municipali e fiscali israeliane si danno da fare durante tutta la giornata, concentrandosi sui giovani nelle strade e sugli abitanti che ritornano a casa dopo il lavoro.

Come il resto di Gerusalemme est, Issawiya è passata sotto occupazione israeliana nel 1967 ed oggi è circondata da ogni parte dalle colonie israeliane e dalle loro infrastrutture, che in base al diritto internazionale sono tutte illegali.

L’autostrada 1, che si trova al limite est del quartiere, è stata costruita per collegare le colonie della Cisgiordania occupata a Gerusalemme e Tel Aviv.

A sud Issawiya è a cavallo del campus dell’Università Ebraica. A nord e a ovest si trovano le colonie della Collina Francese e di Tsameret HaBira. 

La cittadina è sottoposta a restrizioni, come blocchi stradali e perquisizioni arbitrarie, che sconvolgono la vita quotidiana.

Punire la cittadina e i suoi abitanti”

Quando procedono a degli arresti, le autorità israeliane non esitano a ricorrere alla forza, aggredendo i giovani, sfondando le porte delle case prima di perquisirle e procedendo a perquisizioni violente.

Fonti locali hanno dichiarato a Middle East Eye che negli ultimi due mesi, soprattutto durante retate notturne, sono stati arrestati dalla polizia non meno di 250 giovani maschi.

La maggioranza di loro è stata arrestata per brevi periodi e poi rilasciata, spesso su cauzione, e posta agli arresti domiciliari per periodi variabili, a volte fino a una settimana.

Secondo l’avvocato Mohammad Mahmoud, che li rappresenta davanti ai tribunali israeliani, almeno cinque di essi sono ancora detenuti.

L’avvocato Mahmoud ha dichiarato a MEE che questi giovani devono rispondere di diverse accuse, come partecipazione a manifestazioni e a scontri con le forze israeliane, compreso il lancio di pietre e di molotov, in particolare dopo l’annuncio della morte di Obaid.

Sempre secondo il loro avvocato, le cauzioni di quelli che sono stati liberati superano i 60.000 shekel (più di 15.000 €).

Mohammad Abu al-Hummos, un attivista politico di Issawiya, ritiene che le misure israeliane siano assolutamente arbitrarie e costituiscano una forma di punizione collettiva. Rappresentano il “desiderio della polizia dell’occupazione israeliana di procedere a una qualunque perquisizione o detenzione, poco importa il motivo, semplicemente per punire la cittadina e le sue famiglie,” ha dichiarato a MEE.

Un padre convocato dalla polizia per un bambino

Il 30 luglio la storia di Mohammad Elayyan, 4 anni, è diventata virale sulle reti sociali quando lui e suo padre sono stati convocati dalla polizia israeliana per un interrogatorio.

Il nonno del bambino, Nayef Elayan, ha dichiarato in un’intervista che Mohammad giocava per la strada con altri bambini quando un veicolo della polizia israeliana ha fatto irruzione nella zona.

Più tardi, durante la giornata, le forze israeliane si sono recate al domicilio di Mohammad alla ricerca del bambino, sostenendo che aveva lanciato delle pietre contro di loro. Quando si sono resi conto che aveva 4 anni e che in base alla legge non poteva essere arrestato, hanno consegnato a suo padre, Rabiaa, un mandato di comparizione per l’indomani mattina, chiedendogli di portare con sé Mohammad.

Per appoggiare il padre e il figlio un gruppo di abitanti di Issawiya li ha accompagnati al commissariato di polizia di via Salah al-Din, la principale arteria commerciale di Gerusalemme est.

A causa della crescente pressione popolare, le autorità israeliane non hanno incontrato il bambino, ma hanno interrogato il padre.

Quest’ultimo ha dichiarato che dei poliziotti l’avevano minacciato che non avrebbe mai più visto suo figlio se quest’ultimo avesse lanciato loro delle pietre.

I bambini non costituiscono una minaccia,” ha dichiarato Fadi Elayyan, uno dei parenti di Mohammed.

Quello che avviene è un tentativo di terrorizzare le famiglie di Issawiya – dai giovani agli anziani.” 

Perquisita la casa di una persona malata

Un giorno dopo il caso di Mohammad, la polizia israeliana ha convocato un altro abitante palestinese di Issawiya per azioni di cui era accusato suo figlio di 6 anni.

Secondo l’agenzia di stampa ufficiale dell’Autorità Nazionale Palestinese, WAFA, Firas Obaid ha ricevuto un mandato di comparizione nel commissariato della polizia israeliana per essere interrogato riguardo a suo figlio Qais, accusato di aver tentato di lanciare pietre contro la polizia israeliana che stava di pattuglia nella cittadina.

In un altro episodio molto pubblicizzato tre settimane fa, le forze israeliane hanno cercato di arrestare Iyad Attiyah, un giovane uomo di 24 anni colpito dalla sindrome di Williams, un disturbo genetico raro che può causare problemi fisici e cognitivi. Sua madre, Laila Attiyah, ha dichiarato a MEE che la polizia aveva effettuato un’irruzione a casa loro dopo mezzanotte alla ricerca di suo figlio.

Iyad è stato convocato dai servizi di intelligence, un’ingiunzione che è stata annullata solo quando i servizi sociali sono intervenuti e hanno presentato documenti che provano la sua malattia.

Motivi ridicoli” 

Nel quadro della recente repressione, la polizia stradale israeliana è stata messa di guardia ad ognuno degli ingressi di Issawiya.

Gli agenti fermano arbitrariamente i veicoli per effettuare dei lunghi controlli della vettura, della patente, dell’assicurazione e della carta d’identità, prima di infliggere multe dai 250 ai 1000 shekel (da 65 a 255 euro), rendendo così più pesante il peso economico a scapito degli abitanti.

Secondo Mohammad Abu al-Hummos, durante improvvisi controlli sono state revocate decine di libretti di circolazione a causa di presunte infrazioni al codice della strada per i “motivi più ridicoli”.

In una situazione normale nei quartieri non palestinesi ragioni del genere non comporterebbero dei reati o l’annullamento di un libretto di circolazione,” sostiene. “Ci sono dei veicoli che hanno semplicemente superato di un mese il periodo di immatricolazione, cosa che non è illegale, ma ciononostante i loro proprietari ricevono delle multe.”

Giovedì scorso la polizia ha fermato un autobus che trasportava bambini dagli 8 ai 12 anni in viaggio per una gita ricreativa.

L’autista è stato accusato di aver commesso un’infrazione, il suo libretto di circolazione è stato revocato e cinque giovani che accompagnavano i bambini come guide sono stati arrestati.

Neppure i negozi sono stati risparmiati. Le squadre israeliane del Comune e della finanza hanno effettuato parecchie perquisizioni nei negozi, soprattutto sulla strada principale, ed hanno controllato le autorizzazioni, le attrezzature ed i pagamenti delle imposte.

Come reazione, i commercianti hanno cercato di evitare di ricevere troppe multe del fisco chiudendo i propri negozi e aprendoli solo dopo la partenza della polizia.

Di conseguenza l’attività commerciale della cittadina è stata notevolmente rallentata.

Messaggio di resistenza

Interrogate sulle ragioni della repressione israeliana, le famiglie di Issawiya hanno sottolineato la posizione contro l’occupazione adottata da molto tempo dal quartiere.

La cittadina è una delle più note a Gerusalemme per le sue reazioni alle aggressioni delle forze israeliane, e le azioni dei suoi cittadini non si limitano a respingere le misure prese da Israele in nome della sicurezza.

Le famiglie di Issawiya rifiutano anche la presenza delle istituzioni “civili” israeliane, come un centro comunitario finanziato dal governo nella cittadina.

I giovani di Issawiya, per inviare a Israele un messaggio di resistenza, hanno più volte incendiato il centro comunitario, in particolare l’ultima volta dopo l’assassinio di Obaid.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Figlia mia, queste sono lacrime di lotta

Bassem Tamimi

29 dicembre 2017 Haaretz

Il padre di Ahed Tamimi: “Sono fiero di mia figlia. Lei è una combattente per la libertà e guiderà la resistenza al dominio di Israele nei prossimi anni”

Anche questa notte, come sempre da quando dozzine di soldati hanno fatto irruzione a casa nostra nel mezzo della notte, mia moglie Nariman, mia figlia sedicenne Ahed e Nur, la cugina di Ahed, la passeranno dietro le sbarre. Anche se è al suo primo arresto, Ahed conosce bene le vostre prigioni. Mia figlia ha vissuto tutta la sua vita alla tetra ombra delle prigioni israeliane – dalla mia lunga detenzione durante la sua infanzia ai ripetuti arresti di sua madre, suo fratello e degli amici, alla nascosta ed evidente minaccia implicita nella continua presenza dei vostri soldati nelle nostre vite. Dunque il suo arresto era solo una questione di tempo. Una tragedia inevitabile pronta ad accadere.

Diversi mesi fa, durante un viaggio in Sud Africa, abbiamo proiettato al pubblico in sala un video sulla lotta del nostro villaggio, Nabi Saleh, contro il controllo forzato di Israele. Quando si sono riaccese le luci, Ahed si è alzata per ringraziare le persone del loro sostegno.

Notando che qualcuno fra il pubblico aveva gli occhi pieni di lacrime, Ahed disse: “ Anche se siamo vittime del regime israeliano, siamo molto fieri di aver scelto di combattere per la nostra causa, nonostante i costi che sappiamo. Sapevamo dove ci avrebbe condotto questa strada, ma la nostra identità, come popolo e come individui, è radicata in questa lotta, e ne trae ispirazione. Al di là della sofferenza e della quotidiana oppressione dei prigionieri, dei feriti e assassinati, conosciamo anche l’enorme forza che ci deriva dall’appartenere a un movimento di resistenza; la dedizione, l’amore, i piccoli momenti sublimi che ci dà la scelta di mandare in frantumi l’invisibile muro della passività.

Non voglio che mi si veda come vittima, non voglio dare alle loro azioni il potere di definire chi sono e cosa sarò. Scelgo di decidere da me come mi vedrete. Non vogliamo il vostro sostegno a causa di qualche lacrima fotogenica, ma perché abbiamo scelto la lotta e la nostra lotta è giusta. Questo è l’unico modo per cui un giorno potremo smettere di piangere.”

Mesi dopo quei fatti in Sud Africa, quando ha sfidato i soldati armati dalla testa ai piedi, non è stata un’improvvisa rabbia per il ferimento mortale del quindicenne Mohammed Tamimi, poco tempo prima, a pochi metri di distanza, a motivarla. Nemmeno è stata la provocazione di quei soldati che entravano a casa nostra. No. Quei soldati, o altri identici come ruolo e azioni, sono entrati in casa nostra, indesiderati e mai invitati ospiti, da quando Ahed è nata. No. Lei li ha fronteggiati perché questo è ciò che abbiamo scelto, perché la libertà non è data come carità, perché nonostante il prezzo sia altissimo siamo disposti a pagarlo.

Mia figlia ha appena 16 anni. In un altro mondo, nel vostro mondo, la sua vita sarebbe del tutto diversa. Nel nostro mondo, per il nostro popolo, Ahed rappresenta una nuova generazione di giovani combattenti per la libertà. Questa generazione dovrà impegnarsi su due fronti di lotta. Da una parte hanno ovviamente il compito di continuare a sfidare e combattere il colonialismo israeliano in cui sono nati sino a quando esso crollerà. Dall’altra, devono affrontare con coraggio la stagnazione politica e il degrado che ci circonda. Devono diventare l’arteria viva che farà rivivere la nostra rivoluzione e la risusciterà dalla morte implicita in una crescente cultura della passività affermatasi in decenni di inattività politica.

Ahed è una delle tante giovani donne che nei prossimi anni condurrà la resistenza al dominio israeliano. A lei non importa di avere i riflettori puntati su di sé a causa del suo arresto, ma è interessata ad un autentico cambiamento. Lei non è il prodotto di uno dei vecchi partiti o movimenti, e con le sue azioni sta inviando un messaggio: per sopravvivere, dobbiamo affrontare onestamente le nostre debolezze e vincere le nostre paure.

In questa situazione, la responsabilità più grande per me e per la mia generazione è di sostenerla e farle spazio; di trattenerci e non cercare di corrompere e imprigionare questa giovane generazione nella vecchia cultura e nelle ideologie in cui siamo cresciuti noi.

Ahed, nessun genitore al mondo desidera vedere la propria figlia passare i suoi giorni in cella. Tuttavia, non c’è nessuno più fiero di quanto io sia di te, Ahed. Tu e la tua generazione siete abbastanza coraggiosi da vincere, alla fine. I tuoi atti e il tuo coraggio mi riempiono di rispetto, e mi vengono le lacrime agli occhi. Ma, come tu chiedi, queste non sono lacrime di tristezza o rimpianto, sono lacrime di lotta.

Bassem Tamimi è un attivista palestinese

(Traduzione di Luciana Galliano)