La falsa rivoluzione di Madonna: Eurovision, egemonia culturale e resistenza

Ramzy Baroud

22 maggio 2019Palestine Chronicle

Lo scorso marzo è mancata all’età di 51 anni Rim Banna, famosa cantante palestinese che ha musicato le poesie palestinesi più commoventi. Banna ha colto nel modo più nobile e melodioso la lotta dei palestinesi per la libertà. Se potessimo immaginare gli angeli che cantano, lo farebbero come lei.

Quando Banna è morta, tutti i palestinesi hanno pianto la sua scomparsa. Benché pochi mezzi di comunicazione internazionali abbiano dato la notizia della sua morte a un’età relativamente giovane, il fatto che sia stata vinta dal cancro non ha ottenuto molta attenzione o discussione. Tristemente la morte di un’icona palestinese di resistenza culturale che ha ispirato un’intera generazione, a cominciare dalla prima Intifada nel 1987, è stata a malapena notata come un fatto degno di nota e di riflessione, persino tra quanti pretendono di perorare la causa palestinese.

Confrontatela con Madonna, un’“artista” che si è impegnata per l’auto-esaltazione, la fama personale e l’arricchimento. Quest’ultima ha rappresentato i valori morali più degradati, utilizzando l’intrattenimento a buon mercato e soddisfacendo le più basse caratteristiche comuni per rimanere il più a lungo possibile famosa nel mondo della musica.

Mentre Banna aveva una causa, Madonna non ne ha nessuna. E, mentre Banna rappresenta la resistenza culturale, Madonna simbolizza l’egemonia culturale globalizzata – in questo caso, l’imposizione della cultura consumistica occidentale sul resto del mondo.

L’egemonia culturale definisce la relazione degli USA e di altre culture occidentali con il resto del mondo. Non è cultura come nelle conquiste intellettuali e artistiche collettive di quelle società, ma come una serie di strumenti ideologici e culturali utilizzati dalle classi dominanti per mantenere la dominazione su [popoli] svantaggiati, colonizzati ed oppressi.

Madonna, Michael Jordan, i Beatles e la Coca-Cola, rappresentano molto più di semplici interpreti e di una bevanda frizzante: sono anche uno strumento per garantire il dominio culturale, quindi economico e politico. Il fatto che in qualche città in giro per il mondo, soprattutto nell’emisfero sud, la Coca Cola scorra “più liberamente dell’acqua” la dice lunga sullo strumento economico e sulla dimensione politica dell’egemonia culturale.

Questa questione è diventata problematica quando Madonna ha deciso di esibirsi in Israele, come ha fatto varie volte in passato, in quanto parte della competizione canora Eurovision. Sapendo chi è e da che parte sta, la sua decisione non dovrebbe aver rappresentato una sorpresa – dopotutto nel suo concerto del settembre 2009 a Tel Aviv cantò avvolta in una bandiera israeliana.

Ovviamente è fondamentale che ad artisti del suo calibro ed ai partecipanti, che rappresentavano 41 diversi Paesi, venga ricordata la loro responsabilità morale verso i palestinesi occupati ed oppressi. È anche importante che ci si opponga ai continui tentativi di Israele di mascherare la sua apartheid e i suoi crimini di guerra in Palestina.

Infatti non si dovrebbe consentire che continui l’insabbiamento delle violazioni israeliane dei diritti umani utilizzando l’arte – noto anche come “art-washing” -, mentre Gaza è sotto assedio e i bambini palestinesi vengono colpiti e uccisi quasi ogni giorno, senza rimorso e senza responsabilità legale.

Questa è la ragione per cui questi eventi artistici sono importanti per il governo e la società israeliani. Israele ha utilizzato l’Eurovision come distrazione rispetto allo spargimento di sangue in evidenza non lontano dalla location di Tel Aviv. Quelli che si sono adoperati per garantire il successo dell’evento, sapendo benissimo come Israele lo stia utilizzando in quanto opportunità per normalizzare la sua guerra contro i palestinesi, dovrebbero seriamente vergognarsi.

Ma, d’altra parte, dovremmo essere sorpresi? Eventi musicali come Eurovision non si trovano forse al cuore dello schema globalizzante dell’egemonia culturale centrata sull’Occidente, con l’unico proposito di imporre una visione capitalistica del mondo, in cui la cultura occidentale è consumata come una merce, non diversamente da un panino McDonald o da un paio di jeans Levi?

Chiedere alla sessantenne Madonna di evitare di intrattenere l’apartheid israeliana può essere considerato utile come strategia mediatica, perché contribuisce a mettere in luce, anche se solo momentaneamente, un problema che altrimenti sarebbe stato assente dai titoli dei giornali. Tuttavia, concentrando l’attenzione su Madonna e qualunque siano i principi dei diritti umani che lei in apparenza appoggia, abbiamo anche assunto il rischio di nobilitare inavvertitamente lei e i valori consumistici che rappresenta. Oltretutto, in questa traiettoria centrata su Madonna, abbiamo anche ignorato la resistenza culturale della Palestina, il nucleo centrale che sta dietro il “sumud” (fermezza) palestinese nel corso di un secolo.

Mentre è importante mantenere pressione su quanti sono impegnati nell’appoggiare politicamente, economicamente e culturalmente Israele, questi sforzi dovrebbero essere secondari rispetto all’appoggio alla cultura della resistenza dei palestinesi. Comportarsi come se le buffonate sul palco di Madonna rappresentassero una cultura vera, ignorando nel suo complesso la cultura palestinese, è fare come gli studiosi che affrontano la decolonizzazione dal punto di vista dei colonizzatori, non dei colonizzati. La verità è che le Nazioni non possono liberarsi realmente della mentalità colonialista senza che le loro narrazioni prendano il centro del palcoscenico in termini di politica, cultura e ogni altro aspetto della conoscenza.

L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza capire e, ancor di più, senza sentire ed appassionarsi,” scrisse l’intellettuale antifascista italiano Antonio Gramsci. Ciò comporta che l’intellettuale e l’artista sentano “le passioni elementari del popolo, le comprendano e, quindi, le spieghino e le giustifichino.”

La verità è che fare appello al senso morale di Madonna senza immergerci appassionatamente nell’arte di Banna non farà, a lungo termine, il bene dei palestinesi. In ultima analisi solo sposare la cultura della resistenza palestinese terrà a bada i messaggi culturali egocentrici, egemonici e a buon mercato delle Madonna di tutto il mondo.

Ramzy Baroud è giornalista, scrittore e redattore di Palestine Chronicle. Il suo ultimo libro è The Last Earth: A Palestinian Story [L’ultima terra: una storia palestinese] (Pluto Press, Londra, 2018). Ha conseguito un dottorato di ricerca in Studi Palestinesi presso l’Università di Exeter ed è studioso non residente presso il Centro Orfalea per gli studi globali e internazionali, Università di California, Santa Barbara.

(traduzione di Amedeo Rossi)