A Gerusalemme non c’è nessuna spirale di violenza, solo un’oppressione mortale del mio popolo da parte di Israele

Jalal Abukhater

martedì 7 febbraio 2023 – The Guardian

Dalle demolizioni di case alla detenzione militare, la violenza che noi palestinesi affrontiamo quotidianamente riflette lo squilibrio di potere tra occupante e occupato

I bulldozer sono quasi quotidianamente in azione. Nei quartieri palestinesi di Gerusalemme, la mia città, le forze israeliane demoliscono case quasi ogni giorno. L’espropriazione e la discriminazione sono una realtà di lunga data qui nella parte orientale della città, da 56 anni sotto l’occupazione militare israeliana, ma con il nuovo governo israeliano di estrema destra Gerusalemme ha visto un picco di demolizioni: nel solo mese di gennaio sono stati distrutti più di 30 edifici.

Le notizie che giungono dalla nostra regione nelle capitali occidentali e nei media tendono a parlare prevalentemente di spargimenti di sangue e il popolo palestinese sta attraversando alcuni dei giorni più violenti, distruttivi e letali degli ultimi tempi. Nella Cisgiordania occupata il 2022 è stato l’anno più letale in quasi due decenni. A gennaio altri 31 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano. Disperazione, frustrazione e angoscia aleggiano su tutti noi come una nuvola scura. Ma i numeri da soli non esprimono la portata di questa crudeltà.

I numeri delle vittime e i luoghi comuni su spirali di violenza riportati da media male informati, prevenuti o servili non sono corretti o sufficienti per trasmettere lo squilibrio di potere tra un occupante e un occupato. La violenza a cui noi palestinesi siamo esposti quotidianamente non proviene solo dalle armi dell’esercito israeliano, ma è insieme profonda e strutturale.

Non ci sono cicli di demolizioni di case” o espulsioni per ritorsione” – i palestinesi non confiscano proprietà israeliane né imprigionano migliaia di israeliani con l’impiego di tribunali militari. Qualsiasi approccio che suggerisca una simmetria di potere o di responsabilità – è concettualmente e moralmente sbagliato.

Un microcosmo di questa violenza strutturale si trova proprio qui, nella mia città natale, Gerusalemme. Il mese scorso un palestinese armato ha ucciso sette israeliani nell’insediamento coloniale di Neve Yaakov nella Gerusalemme est occupata. Il ministro della sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir, si è successivamente impegnato a intensificare le demolizioni delle case palestinesi costruite senza permessi, formulando tale mossa come una risposta all’attacco.

La maggior parte delle case palestinesi sono prese di mira per assenza di autorizzazione; infatti, nella mia città, almeno un terzo delle abitazioni palestinesi non dispone del rilascio di un’autorizzazione da parte di Israele, il che in qualsiasi momento pone a rischio di sfollamento forzato 100.000 residenti di Gerusalemme est occupata.

Infatti, dall’inizio dell’occupazione israeliana di Gerusalemme est nel 1967, praticamente non è stata condotta alcuna pianificazione pubblica riguardante i quartieri palestinesi. Nella parte orientale della città sono state costruite con ogni tipo di sostegno governativo cinquantacinquemila case per gli ebrei israeliani mentre per i palestinesi ne sono state costruite meno di 600. Questa politica ha assicurato non solo che i palestinesi avessero alloggi inadeguati, ma anche che nella città rappresentassero una minoranza.

Nonostante i palestinesi costituiscano oltre il 37% dei residenti di Gerusalemme, solo l’8,5% del terreno della città è destinato ai loro bisogni residenziali (e anche lì il potenziale edificabile è limitato). Tra il 1991 e il 2018, solo il 16,5% di tutti i permessi di costruzione di alloggi rilasciati dal comune di Gerusalemme hanno riguardato quartieri palestinesi nella zona est occupata e annessa illegalmente. La cosiddetta costruzione illegale o non autorizzata da parte dei palestinesi è una risposta alla cronica carenza di alloggi basata sulla discriminazione.

Più di recente, Ben-Gvir e il vicesindaco di Gerusalemme, Aryeh King, hanno annunciato l’imminente demolizione di un edificio abitativo a Wadi Qaddum, Silwan [quartiere di Gerusalemme est, ndt.], sulla base del fatto che è stato costruito su un terreno destinato a “sport e tempo libero”, e non ad uso residenziale. Una volta iniziata, sauna demolizione di grandi dimensioni, con lo sfollamento di circa 100 residenti. Solo negli ultimi 10 anni a Gerusalemme Est sono stati demoliti 1.508 edifici palestinesi, facendo sì che 2.893 persone, metà delle quali minorenni, restassero senza casa.

Anche la Cisgiordania occupata è segnata da una realtà brutale.

Nella cosiddetta Area C (60% della Cisgiordania) [sotto il temporaneo completo controllo israeliano secondo gli accordi di Oslo del 1993, ndt.] non è consentita quasi alcuna costruzione palestinese. Le autorità israeliane demoliscono costantemente case, strade, cisterne, pannelli solari e altro ancora di proprietà palestinese. Gli insediamenti coloniali, considerati illegali dal diritto internazionale, sono in espansione, mentre i palestinesi sono confinati in enclavi frammentate.

Con l’aumento del numero di demolizioni ed espulsioni a Gerusalemme e in Cisgiordania sono minacciate intere comunità. Ma dovremmo ricordare che il costo più evidente è a livello individuale: il singolo nucleo famigliare che perde tutto ciò che ha al mondo. I muri crollano, i bambini piangono e i genitori si affrettano a capire cosa fare o dove andare dopo. È una catastrofe ed è continua.

La mancanza di un’autorizzazione impossibile da ottenere non è l’unico pretesto per demolire proprietà palestinesi; le autorità di occupazione israeliane stanno anche distruggendo o sigillando le case come forma di punizione collettiva, severamente vietata dal diritto internazionale. Gli atti di espulsione forzata di una popolazione occupata costituiscono un crimine di guerra. E’ una crudeltà incredibile.

Queste demolizioni ed evacuazioni sono una parte della violenza strutturale che noi palestinesi affrontiamo ogni giorno. Questo governo israeliano può mettere in atto nuove crudeli manifestazioni dell’occupazione, ma le basi sono state gettate dalle coalizioni che si sono succedute al governo dal 1967, dai laburisti al Likud.

Ecco perché noi palestinesi non ci sentiamo sollevati per la folla di israeliani che protestano contro le riforme giudiziarie proposte. Per decenni le nostre terre sono state confiscate e le persone sfollate da politici israeliani eletti di vari partiti, con approvazione da parte di ogni livello del sistema giudiziario. Occupazione e politiche razziste ci sono state imposte da chi si trova all’interno dell’attuale coalizione di governo e da molti che attualmente ne stanno fuori.

Questa violenza è la nostra realtà e affrontare una tale realtà è un primo passo necessario nella nostra lotta per la dignità e la giustizia. Incolpare le vittime o chiudere il dialogo [con loro] non farà che prolungare la nostra sofferenza. Non è una spirale di violenza, è un sistema di apartheid e deve essere trattato come tale dal mondo esterno.

Jalal Abukhater è un giornalista di Gerusalemme

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)