Netanyahu incassa una crisi politica – e un messaggio personale – dall’Alta Corte

Gidi Weitz

19 gennaio 2023, Haaretz 

 

Ribadendo che non si dimetterà dal suo ministero, Arye Dery ha lanciato la bomba al primo ministro

Arye Dery aveva effettivamente previsto il voto in anticipo – 10 a 1. Aveva giustamente previsto che 10 degli 11 giudici nell’udienza degli appelli contro la sua nomina avrebbero ordinato a Benjamin Netanyahu di licenziarlo, e che il giudice Yosef Elron sarebbe rimasto una minoranza contraria.

Per questo, nei giorni precedenti la pubblicazione del verdetto, alti esponenti di Shas [partito politico di ebrei ortodossi di cui Dery è membro, ndt.] hanno lanciato minacce esplicite rivolte anche a Netanyahu: se Dery non sarà ministro, non ci sarà governo.

Il Primo Ministro e il suo alleato capiscono bene di trovarsi ora in una situazione giuridica e politica molto complessa. Per loro il verdetto è un ostacolo quasi insormontabile. O come ha detto un anziano consulente giuridico, “li hanno chiusi da ogni parte e hanno gettato la chiave in un pozzo”.

Quanti sono vicini al Procuratore Generale Gali Baharav-Miara credono che una volta rimosso Dery dal tavolo di governo nessun trucco costituzionale, per quanto creativo, ce lo riporterà.

I giudici hanno addotto due motivi principali per squalificare Dery: il primo è la ripetuta condanna di Dery per violazioni fiscali; il secondo è la sua falsa dichiarazione quando ha affermato che intendeva dimettersi dal potere per sempre, il che aveva portato il Presidente della Corte di Gerusalemme, il magistrato Shmuel Herbst, ad approvare un patteggiamento indulgente. “Non solo queste due cause non si escludono, si sostengono a vicenda”, ha scritto il giudice Ofer Grosskopf.

La menzogna è stata la causa su cui si sono basati i giudici conservatori che Ayelet Shaked [Ministro degli Interni nel precedente governo, ndt.] aveva nominato, e che anche Yariv Levin [già Ministro della Giustizia e portavoce del Parlamento, ndt.] ha giudicato plausibile. Pertanto, anche l’idea strampalata di abrogare la clausola di ragionevolezza [principio costituzionale che sanziona le incoerenze del sistema di governo, ndt.] non libererà Dery dall’avviso di sfratto che gli è stato notificato.

In effetti, anche il giudice Elron non ha detto che la nomina fosse accettabile, ha invece affermato che Netanyahu debba rivolgersi al presidente del Comitato Elettorale Centrale, il giudice Noam Sohlberg, per determinare se Dery è marchiato da condotta immorale.

Quando è stato raggiunto l’accordo, alcuni politici vicini a Dery lo hanno supplicato di non sfidare nuovamente il destino, di rinunciare al seggio in Parlamento e al governo e di mantenere la sua posizione di figura di potere in Shas e attore chiave nella politica israeliana. “Gestisci il partito e i ministri dal tuo ufficio privato, e intanto fai la tua vita”, gli dissero. Dery ha scelto di ignorare il consiglio che avrebbe risparmiato a lui e a Netanyahu l’attuale crisi. Voleva stare vicino al potere, ai bilanci, alle nomine, alle buste sigillate, agli incontri con i vertici delle agenzie di sicurezza, alle decisioni incendiarie e drammatiche.

Nei prossimi giorni i membri del governo e i loro lacchè nei media grideranno probabilmente che l’Alta Corte ha preso una decisione politica e che i giudici cercano di rovesciare il governo per ostacolare il suo piano di indebolire la Corte. È un tuffo nel passato: nel settembre 1993 Dery fu costretto a rinunciare alla carica di Ministro degli Interni nel governo di Yitzhak Rabin. Due collegi della Corte Suprema, guidati dal presidente della Corte Meir Shamgar e dal vicepresidente Aharon Barak, avevano stabilito che il primo ministro dovesse licenziare Dery e il viceministro nominato dallo Shas Rafael Pinhasi a causa delle accuse contro di loro.

Il governo deve fungere anche da regolatore delle norme di condotta del gabinetto e agire in modo da generare fiducia”, aveva stabilito Shamgar nel verdetto, e Barak aggiunto: “Ragionevolezza non è un termine fisico o metafisico. La ragionevolezza non è uno stato d’animo. Ragionevolezza è un termine normativo”. Il verdetto di Esther Hayut di mercoledì fa eco alle parole del suo predecessore 30 anni fa.

[Allora,] Dery scelse di risparmiarsi la scena umiliante del licenziamento. “Lo Stato di diritto è un valore fondamentale”, scrisse nella sua lettera di dimissioni, “ma quando un giudice, perfino in uno stato di diritto, si apre la strada con un rullo compressore di potere e malvagità, si può dire che il potere corrompe, e il potere assoluto corrompe assolutamente”.

Rabin si infuriò per il verdetto. Haim Ramon ha detto che quando ne fu informato, il Primo Ministro parlò del vicepresidente del tribunale con parole inadatte alla stampa. Non era solo il vecchio scontro tra i due, aperto [nel 1977] quando l’allora procuratore generale Barak decise di incriminare Leah Rabin per il suo conto bancario all’estero, costringendo l’allora Primo Ministro Rabin a dimettersi ponendo fine al suo primo mandato da premier.

Nel 1993 Rabin si trovava a un bivio storico e aveva un disperato bisogno del sostegno politico di Shas. Appena cinque giorni dopo la pronuncia del verdetto, Rabin e Yasser Arafat firmavano una dichiarazione di principi tra Israele e l’OLP sul prato della Casa Bianca. Il giorno successivo, Shas abbandonò il governo.

Rabin riteneva il verdetto Dery-Pinhasi una sentenza infondata e purista che poteva ostacolare qualsiasi decisiva azione diplomatica, ma non come una licenza per cambiare il regime in base alle proprie esigenze. Né lo stesso Dery la pensava così. Un ministro dichiarò che era inaccettabile che l’Alta Corte si sostituisse al Parlamento e al governo, e l’avvocato difensore del leader dello Shas Dan Avi-Yitzhak ipotizzò che la sentenza avrebbe portato a una riduzione dei poteri dell’Alta Corte, ma in pratica non è cambiato nulla. L’allora leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu, tra l’altro, chiese al Likud [allora all’opposizione, ntd.] di non festeggiare il duro colpo al governo per non offendere Shas. Netanyahu è sempre stato lungimirante.

Questa settimana Dery ha dichiarato che non si sarebbe dimesso volontariamente. Così facendo, ha rilanciato la bomba al Primo Ministro, che mercoledì si è affrettato ad annunciare che si sarebbe mosso per correggere l’ingiustizia fatta al suo alleato.

Alcuni intorno a Netanyahu hanno esaminato la possibilità di chiedere un voto di sfiducia costruttivo e costituire un nuovo governo in cui Dery sarebbe Primo Ministro in alternanza. È molto difficile credere che questo trucco supererà il test Baharav-Miara e l’Alta Corte, soprattutto alla luce del verdetto di mercoledì. E nonostante lo scenario stravagante, questa non è certamente l’opzione preferita del sospettoso Netanyahu, che non ha mai nominato un proprio sostituto se non quando le circostanze gli hanno imposto Benny Gantz.

“Se c’è qualcosa che gli toglie il sonno è la possibilità che Baharav-Miara lo porti all’impeachment perché sta calpestando l’accordo sul conflitto di interessi”, ha detto ad Haaretz un uomo molto vicino a Netanyahu, che aggiunge: “Rabbrividisce all’idea di avere un sostituto già pronto, anche se si chiamasse Arye Dery”.

Rivoluzione di regime

In concomitanza con gli sforzi per risolvere lo scontro su Dery, la coalizione dovrebbe accelerare l’avanzamento della rivoluzione di regime [una serie di cambiamenti nell’assetto dello Stato, ndt.] che sta effettuando. Non sembra un caso che anche in questa sentenza i giudici si siano lasciati uno spiraglio per intervenire in casi estremi sulle Leggi Fondamentali.

A una delle persone coinvolte nella formulazione della “riforma” questa settimana è stato chiesto cosa potrebbe accadere se l’Alta Corte avesse abrogato il pacchetto legislativo promosso da Netanyahu, dal Ministro della Giustizia Yariv Levin e dal Presidente della commissione per la costituzione del Parlamento Simcha Rothman, e avesse stabilito che le proposte si scontrano frontalmente con le fondamenta del sistema democratico. “Anche contro questa eventualità c’è un improvvisato meccanismo esplosivo “, ha risposto. “Una legislazione rapida per ridurre l’età pensionabile dei giudici della Corte Suprema”, ovvero l’impeachment immediato di diversi giudici, consentendo la nomina di sostituti fedeli al governo.

Questo blitz è tutto finalizzato a uno scopo: districare Netanyahu dal suo processo. I casi di corruzione contro il Primo Ministro possono anche non essere menzionati nel verdetto di Dery, ma vi aleggiano sopra. Non sembra un caso che alcuni giudici abbiano scritto, in un modo o nell’altro, che “il verdetto dell’elettore non sostituisce il verdetto del tribunale, né può sostituirlo”. Questo è un messaggio per Netanyahu: anche se i suoi elettori credono che le accuse siano truccate, non possono sostituirsi ai giudici attraverso il voto e la fiducia riposta nel Primo Ministro dal pubblico votante non gli consente di usare il suo potere di governo per sfuggire alla giustizia .

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Israele diventerà una teocrazia? I partiti religiosi sono i principali vincitori delle elezioni

Judy Maltz

3 novembre 2022 – Haaretz

Israele si appresta ad avere il governo più clericale di sempre, per cui le richieste di haredi e ortodossi probabilmente saranno una priorità della nuova coalizione di Netanyahu, minacciando le precedenti riforme

Salvo eventuali sorprese dell’ultimo minuto, il prossimo governo israeliano sarà di gran lunga il più confessionale della sua storia.

Dei quattro partiti che si prevede faranno parte della nuova coalizione, tre sono religiosi. Due di questi, United Torah Judaism [Ebraismo Unito per la Torah], i cui elettori sono principalmente ashkenaziti [ebrei di origine europea, ndt.] e lo Shas, il cui elettorato è prevalentemente sefardita [ebrei originari dei Paesi musulmani, ndt.], sono partiti ultra-ortodossi che escludono le donne dalle loro liste elettorali. Il terzo, Religious Zionism [Sionismo religioso], l’unione di tre partiti di estrema destra tra i cui dirigenti c’è un discepolo del defunto rabbino suprematista ebraico Meir Kahane, si colloca sul versante tradizionalista dello spettro religioso, tendenzialmente ultra-ortodosso.

Insieme questi tre partiti rappresenteranno più di metà dei seggi della coalizione guidata da Benjamin Netanyahu, che dovrebbe andare al potere nelle prossime settimane.

Aggiungendo ad essi sette parlamentari dello stesso partito di Netanyahu, il Likud, risulta che 40 dei 65 membri previsti della prossima coalizione di governo israeliana saranno ebrei ortodossi, il 61%, molto oltre il loro 17% della popolazione totale. Circa 2/3 di questo contingente ortodosso è composto da haredi [ebrei ultra-ortodossi e molto tradizionalisti, ndt.].

Per questa ragione mercoledì mattina [il giorno dopo le elezioni, ndt.] molti israeliani si sono svegliati chiedendosi se il loro Paese stia per diventare una teocrazia.

“Non vedo Israele diventare un vero e proprio Stato della Torah [insieme di insegnamenti e precetti biblici, ndt.],” afferma il rabbino Uri Regev, presidente e amministratore delegato di Hiddush, organizzazione che promuove la libertà religiosa in Israele. “Ma stiamo per arrivarci molto più vicino che mai prima d’ora.”

Tani Frank, direttore del Judaism and State Policy Center [Centro per l’Ebraismo e la Politica dello Stato] presso l’istituto Shalom Hartman di Gerusalemme, concorda: “Vedremo sicuramente i partiti haredi spingere in quella direzione,” dice. “Ma ciò non avverrà tutto d’un tratto, perché sono sufficientemente furbi da sapere che ci sarebbe una grande reazione se cercassero di ottenere tutto quello che possono ci sarebbe una fortissima reazione.”

A dire il vero in Israele non c’è mai stata una separazione tra religione e Stato. Questioni relative a matrimonio e divorzio, per esempio, rientrano sotto la competenza delle autorità religiose, nel caso degli ebrei il Gran Rabbinato controllato dagli ortodossi. Con poche eccezioni il trasporto pubblico non circola durante il sabato, e quel giorno la maggior parte dei negozi al dettaglio è chiusa. Dato che in Israele è riconosciuto solo l’ebraismo ortodosso, i movimenti riformatori e conservatori non hanno accesso ai finanziamenti del ministero dei Servizi Religiosi.

Qualunque progresso fatto negli ultimi anni per promuovere la libertà e il pluralismo religiosi è stato per lo più imposto dai tribunali.

Tra gli esempi più significativi c’è stata la fondamentale sentenza dell’Alta Corte di Giustizia del marzo 2021, che ha riconosciuto le conversioni non ortodosse per ottenere la cittadinanza. E grazie a precedenti decisioni della corte in Israele rabbini non ortodossi, come quelli ortodossi, possono essere stipendiati dallo Stato ed è vietata la discriminazione di genere nella sfera pubblica.

Il grande timore è che i partiti religiosi della nuova coalizione di Netanyahu cerchino di indebolire il potere giudiziario attraverso una “clausola escludente” che consentirebbe alla Knesset di ribaltare decisioni della corte come queste. Ciò potrebbe cancellare molti dei progressi fatti negli ultimi anni per promuovere la libertà religiosa in Israele.

“Finora i tribunali sono stati un attore principale nella promozione di questioni come i diritti degli omosessuali e delle donne, ma se questa coalizione porterà avanti i suoi progetti di istituire la clausola escludente, saranno fondamentalmente in grado di fare quello che vogliono,” afferma Shuki Friedman, vice presidente del Jewish People Policy Institute [Istituto di Politica del Popolo Ebraico] con sede a Gerusalemme.

Friedman crede che, oltre che promuovere la clausola escludente, il nuovo governo cercherà di ribaltare immediatamente le riforme religiose approvate dal governo uscente, soprattutto una revisione molto importante del sistema della certificazione casherut [cibi che rispondono ai precetti religiosi, ndt.], che ha attirato la fiera opposizione del rabbinato.

Se il governo uscente avesse tenuto fede alla sua promessa di rilanciare l’accordo sul Muro del Pianto, che intendeva facilitare la preghiera egualitaria nel luogo santo ebraico, questa nuova coalizione avrebbe probabilmente dato priorità al suo annullamento. Ma, dato che negli ultimi 16 mesi non è stato fatto alcun progresso nel rilancio dell’accordo, almeno su questo problema c’è poco da annullare.

“Diciamo pure che questo nuovo governo rappresenta il chiodo definitivo sulla bara dell’accordo riguardante il Kotel [il Muro del Pianto in ebraico, ndt.],” afferma Uri Keidar, direttore esecutivo di Israel Hofsheet, una ong attiva nella promozione della libertà religiosa e del pluralismo ebraico.

Le promesse di Netanyahu

Allora, dove il nuovo governo israeliano dirigerà probabilmente i suoi sforzi in materia di rapporti tra la religione e lo Stato nei prossimi anni (ammesso che duri così a lungo)?

Frank crede che si concentrerà inizialmente su politiche che riguardino e beneficino direttamente la comunità ultra-ortodossa. “Ci sarà molto più denaro per le scuole haredi, comprese quelle che non insegnano materie fondamentali come inglese e matematica,” prevede. In effetti Netanyahu ha già promesso ai dirigenti haredi che non subordinerà i finanziamenti statali per le loro scuole al fatto che insegnino queste materie fondamentali.

Frank pensa anche che i partiti haredi faranno pressione su Netanyahu perché revochi una riforma iniziata dal governo uscente che minaccia il controllo rabbinico sui servizi di telefonia mobile nella comunità ultra-ortodossa.

Ecco alcuni degli altri possibili cambiamenti dello status quo religioso da parte di questo nuovo governo:

Legge del Ritorno: i partiti religiosi hanno a lungo fatto pressione per un cambiamento che limiterebbe notevolmente l’idoneità per l’aliyah [l’immigrazione ebraica in Israele, ndt.] e la cittadinanza in base alla Legge del Ritorno. Secondo l’attuale versione qualunque individuo con almeno un nonno/a o il coniuge di questa persona ebreo/a è idoneo all’immigrazione in Israele.

I partiti religiosi credono che nella sua forma attuale questa legge incoraggi troppi “non ebrei” a immigrare. In base alla loro proposta, la cosiddetta clausola del/della nipote verrebbe eliminata e al suo posto verrebbero autorizzate a fare l’aliyah solo persone con almeno un genitore ebreo.

“Penso persino che essi andranno oltre nella modifica della Legge del Ritorno,” prevede Keidar. Frank ritiene tuttavia che Netanyahu potrebbe respingere simili modifiche. “Conservare la clausola del/la nipote è di estrema importanza per gli immigrati russofoni,” dice, evidenziando che questa comunità rappresenta la grande maggioranza degli immigrati in Israele. “E i russofoni garantiscono ancora al Likud circa 4 o 5 seggi a ogni elezione, perciò egli non può ignorarli.”

Conversione: cinque anni fa lo Shas presentò una proposta di legge che avrebbe dato al rabbinato il controllo esclusivo sulle conversioni in Israele e avrebbe messo fuorilegge le conversioni non-ortodosse. Questa legge non è mai andata avanti nell’iter legislativo, ma, dato il potere che i partiti ultra-ortodossi avranno nella nuova coalizione, Regev sostiene che essi cercheranno di riattivarla. E una volta approvata la clausola escludente, ammesso che lo facciano, potrebbero allora revocare la sentenza dell’Alta Corte che riconosce le conversioni non-ortodosse.

Questa sentenza riguarda solo un piccolo numero di persone che si convertono ogni anno in Israele attraverso i movimenti riformato e conservatore. Ciononostante è stata considerata epocale per il riconoscimento implicito della legittimità delle denominazioni non-ortodosse. Frank pensa che Netanyahu ci penserà due volte prima di appoggiare leggi che cancellino questo riconoscimento, a causa delle tensioni che provocherebbero nei rapporti di Israele con la diaspora ebraica, i cui dirigenti hanno accolto con grande favore la sentenza dell’Alta Corte.

Il trasporto pubblico di sabato: il governo israeliano uscente ha fatto poco per promuovere il trasporto pubblico di sabato, anche se nelle ultime settimane la ministra dei Trasporti Merav Michaeli [segretaria del partito laburista israeliano, ndt.] aveva promesso che la metropolitana leggera ancora in costruzione a Tel Aviv avrebbe circolato nel giorno festivo ebraico. Negli ultimi anni vari Comuni israeliani, insieme a organizzazioni di base, hanno inaugurato linee di autobus che circolano di sabato.

Keidar pensa che il nuovo governo darà la priorità alla lotta contro queste iniziative. In effetti i partiti haredi hanno già manifestato l’interesse a ottenere il ministero dei trasporti nel prossimo governo.

Vari sondaggi d’opinione realizzati da Hiddush hanno rilevato che una vasta maggioranza di israeliani, compresi elettori del Likud, è a favore in vario modo del trasporto pubblico di sabato. “Chiaramente concessioni di questa sorte che Netanyahu verrà sollecitato a fare dai suoi partner di coalizione ultra-ortodossi non solo saranno a dispetto della maggioranza della popolazione, ma anche contrarie alla volontà dei suoi stessi elettori, e questa è una cosa di cui egli dovrà tener conto,” dice Regev, che è un rabbino riformato.

Matrimonio: solo un mese fa un tribunale israeliano ha riconosciuto la validità dei “matrimoni dell’ Utah” [dal gennaio del 2020, nello Stato dello Utah è possibile sposarsi online, ndt.]. La sentenza ha fornito un modo economico alle coppie israeliane per evitare la proibizione del matrimonio civile nel Paese. Finora il matrimonio civile era riconosciuto solo se celebrato fuori dal territorio israeliano. Keidar pensa che la nuova coalizione agirà per ribaltare questa sentenza, ripristinando in tal modo il controllo del rabbinato sui matrimoni.

Diritti LGBTQ: non si prevede che il nuovo governo arrivi fino al punto da mettere fuorilegge l’omosessualità, ma potrebbe cercare di annullare alcuni dei progressi fatti nella promozione dei diritti degli omosessuali da parte del governo uscente e di quelli che l’hanno preceduto, afferma Keidar.

Ciò potrebbe includere l’annullamento del divieto alla terapia della conversione [terapia pseudoscientifica intesa a modificare l’orientamento sessuale delle persone omosessuali per farle diventare eterosessuali, ndt.], tagliando il finanziamento pubblico delle terapie ormonali per persone transgender e il ripristino del divieto alla donazione del sangue per le persone omosessuali. “Non immagino che Netanyahu prenda iniziative drastiche contro le persone LGBTQ perché molte votano Likud,” afferma Frank. “Ma non vedremo assolutamente continuare i rapporti cordiali che sono esistiti tra la comunità LGBTQ e il governo uscente.”

Aborto: non si prevede che il nuovo governo segua la linea degli Stati Uniti e istituisca il divieto assoluto dell’aborto, ma Keidar crede probabile che diventi più attivo nel scoraggiarlo. “Probabilmente vedremo molti più finanziamenti pubblici andare alle organizzazioni che assistono le giovani donne con gravidanze indesiderate perché le portino a termine,” sostiene.

Keidar dice che, anche se il nuovo governo riuscisse a indebolire il potere giudiziario, non avrà carta bianca nell’imporre restrizioni di carattere religioso sulla popolazione laica. “Ci sarà una reazione e lo abbiamo già visto accadere quando hanno cercato di chiudere attività commerciali di sabato nei quartieri laici. La gente è scesa in strada a protestare.”

Nonostante la crescente influenza delle comunità ortodosse e ultra-ortodosse, Keidar nota che gli ebrei laici continuano ad essere la comunità più grande in Israele, rappresentando (secondo i dati pubblicati lo scorso mese dall’Ufficio Centrale di Statistica) il 36% della popolazione. Le comunità ortodosse e ultra-ortodosse rappresentano ognuna circa un altro 8,5% della popolazione.

Tra le iniziative più importanti introdotte dalla coalizione uscente per promuovere il pluralismo religioso in Israele c’è stata la creazione di una nuova “Amministrazione per il Rinnovamento Ebraico” nel ministero per gli Affari della Diaspora. Il suo bilancio di 60 milioni di shekel (circa 17 milioni di euro) intendeva appoggiare, tra le altre cause, le attività dei movimenti riformati e conservatori nel Paese. Il nuovo governo probabilmente troverà altri utilizzi, più in linea con il suo programma ortodosso, per questi fondi, il che sarebbe una grave battuta d’arresto per il pluralismo ebraico.

Tuttavia Rakefet Ginsberg, direttrice esecutiva del movimento conservatore in Israele, rifiuta di credere che il nuovo governo cercherà di chiudere le sue attività: “Voglio sperare che ci sia la comprensione del fatto che i nostri movimenti non pregiudicano l’ebraicità dello Stato, ma al contrario l’arricchiscono.”

Anna Kislanski, direttrice esecutiva del movimento riformato in Israele, sembra meno fiduciosa: “I risultati di queste elezioni sono molto inquietanti per quanti di noi non vengono dal movimento ortodosso,” afferma. “Siamo preoccupati della mancanza di accettazione che questo governo potrebbe dimostrare verso gli arabi, le donne, gli omosessuali e in effetti chiunque non la pensi come il movimento ortodosso.”

Avverte che la frattura tra Israele e l’ebraismo della diaspora potrebbe approfondirsi ulteriormente, considerando il grande seguito del movimento riformato fuori da Israele.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)