Direttore di un gruppo palestinese per i diritti umani arrestato dall’intelligence israeliana

Redazione di MEE

21 agosto 2022 – Middle East Eye

Israele continua a perseguitare sei organizzazioni per i diritti umani dicendo che sostengono il terrorismo, accuse respinte dall’ONU e da alcuni Stati UE

L’intelligence israeliana ha arrestato il direttore di un’importante associazione palestinese per i diritti umani mentre continua il giro di vite contro molte altre organizzazioni simili.

Secondo un tweet di Defense of Children International – Palestine (DCI Palestine) [ong indipendente che sostiene e promuove i diritti dei minori, ndtr.] Khaled Quzmar, il suo direttore generale sarebbe stato arrestato domenica dal servizio di sicurezza Shin Bet.

“Alle 14.25 ora locale Quzmar ha ricevuto una telefonata da un agente dello Shin Bet che lo convocava per un interrogatorio. Subito dopo è andato alla base militare israeliana di Ofer,” scrive l’organizzazione.

“Un testimone oculare nella base (militare di Ofer) ha visto Quzmar scortato dentro la sede dello Shin Bet intorno alle 15:20. Al legale di Quzmar non è stato permesso di accompagnarlo.”

Aggiunge che dopo due ore in custodia Quzmar è stato rilasciato.

L’arresto è solo l’ultimo episodio di una campagna lanciata da Israele contro varie organizzazioni palestinesi per i diritti umani nei territori palestinesi occupati.

Tolleranza zero verso le associazioni per i diritti umani

Sei gruppi per i diritti umani: Addameer Prisoner Support and Human Rights Association [Associazione Addameer per il sostegno e i diritti umani dei prigionieri], Al-Haq, il Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo], l’Union of Agricultural Work Committees (UAWC) [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo], l’Union of Palestinian Women Committees (UPWC) [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi] e DCI Palestine Defence for Children International [la sezione palestinese dell’associazione Protezione Internazionale dei Minori] sono state definite “organizzazioni terroristiche” da Israele nell’ottobre 2021e da allora sono state oggetto di crescenti controlli.

Molte di queste organizzazioni hanno ricevuto fondi da Paesi UE.

Domenica mattina presto Al-Haq aveva twittato che il suo direttore aveva ricevuto una telefonata di minacce relative al suo lavoro da parte di un agente dell’intelligence israeliano.

Secondo Al-Haq, Shawan Jabarin è stato convocato dallo Shin Bet per un “interrogatorio” e la persona al telefono l’aveva “minacciato di arresto e altre misure se Al-Haq avesse continuato le sue attività “.

Venerdì soldati israeliani hanno fatto irruzione, confiscato oggetti e chiuso gli uffici dei gruppi per i diritti umani in Cisgiordania. Sono stati perquisiti anche gli uffici dell’Union of Health Workers Committees [Unione dei comitati di operatori sanitari], che non è stata definita organizzazione terroristica.

I sei gruppi che sono stati così etichettati hanno negato le accuse di “terrorismo” e specificato che la loro chiusura è stata criticata sia dalle Nazioni Unite che da organizzazioni per i diritti umani.

I ministri degli esteri di Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Olanda, Spagna e Svezia hanno detto che Israele non è riuscito a fornire loro “informazioni sostanziali ” circa le accuse e si sono impegnati a continuare la cooperazione con i gruppi in l’assenza di ogni prova.

Venerdì in un comunicato congiunto hanno affermato: “Siamo profondamente preoccupati per i raid che si sono svolti la mattina del 18 agosto che fanno parte di una preoccupante riduzione degli spazi della società civile sul territorio. Queste azioni non sono accettabili.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




I racconti delle torture in Israele confermano la necessità di una profonda revisione della legislazione sullo Shin Bet

Redazione di Haaretz

24 maggio 2022, Haaretz

La testimonianza di due giovani palestinesi di Gerusalemme est su ciò che accade nelle stanze degli interrogatori dello Shin Bet [l’agenzia di intelligence per gli affari interni dello Stato di Israele, ndtr.] dimostra che l’agenzia di sicurezza continua a utilizzare pratiche proibite, inclusa la tortura. I due, Yazan al-Rajbi di 21 anni e suo cugino Mohammed al-Rajbi di 19, sono stati arrestati con l’accusa di aver lanciato pietre contro la polizia e sono stati interrogati dallo Shin Bet per più di un mese fino a che non hanno confessato le accuse. Sono stati giudicati colpevoli e condannati a otto mesi di carcere. Ciò che li ha persuasi a confessare, hanno detto, è stata una serie di pratiche vietate, inaccettabili in un paese democratico.

“Gli investigatori mi hanno tenuto legato a una sedia con le mani ammanettate dietro la schiena e le gambe legate davanti”, ha detto. “Sono rimasto così per due giorni, senza andare in bagno, senza bere e senza mangiare”, ha detto Yazan al-Rajbi. Dopo alcuni giorni di interrogatorio, gli inquirenti hanno ricevuto dei filmati della sicurezza che mostravano come Yazan si trovasse altrove mentre venivano lanciate le pietre, come aveva detto lui. “Invece di rilasciarmi, hanno iniziato a interrogarmi su un altro caso di lancio di pietre avvenuto cinque giorni dopo il primo”, dice. “Ho chiesto di darmi il mio telefono per poter provare che non ero lì in quel momento, ma l’investigatore ha rifiutato e mi ha dato del bugiardo. Mi hanno interrogato per diversi giorni, ogni volta per 17 o 19 ore di fila”.

Tra una sessione e l’altra, Yazan veniva messo in isolamento in una stanza che lui e altri hanno stimato di circa un metro per due, aggiungendo che il soffitto basso rendeva impossibile stare in piedi. Yazan ha detto che durante un altro interrogatorio gli investigatori lo hanno messo in un armadietto basso di legno. “Avevo la testa fra le gambe, legate”, ha detto, “e le mani ammanettate dietro la schiena.” Le torture e gli abusi sono continuati. Alla fine è crollato e ha “confessato”, un’ulteriore prova che la tortura porta spesso a false confessioni (Nir Hasson, Haaretz 23 maggio). Il cugino di Yazan, Mohammed, ha parlato di torture simili.

Già nel 1999 l’Alta Corte di Giustizia aveva stabilito che lo Shin Bet non è autorizzato a usare mezzi fisici di coercizione durante gli interrogatori, tra cui lasciare nella posizione “Shabach” (cioè “l’ammanettamento del sospettato, fatto sedere su una sedia bassa con la testa coperta da un sacco, suonando musica ad alto volume nella stanza”), o “rana accovacciata” (“accovacciamenti consecutivi e periodici sulla punta dei piedi, ciascuno della durata di cinque minuti a intervalli di cinque minuti”) e privazione del sonno. L’Alta Corte ha lasciato una minima apertura nei casi di “bomba a orologeria”, ma ha chiarito che anche in tali casi la “necessità” non è fonte di autorità per utilizzare quei metodi di interrogatorio – potrebbe servire solo a difendere un inquisitore se quest’ultimo è portato in giudizio. Ma questo non era un caso di “bomba a orologeria”. Il crimine di uno dei giovani era di lanciare alcune pietre, e dell’altro di lanciare una pietra, e lo Shin Bet li avrebbe torturati per ottenere la confessione di un crimine già commesso.

L’ufficio che indaga sulle denunce dei sospetti interrogati deve esaminare questo caso, ma non basta. Questo caso è un’ulteriore prova della necessità di ampliare la documentazione video anche degli interrogatori Shin Bet. Ed è infine giunto il momento di approvare una legge contro la tortura che copra ogni evenienza, perché finché c’è uno spiraglio per interpretare la legge che consenta la tortura, la tortura continuerà.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Israele sa che la farà franca rispetto all’attacco al funerale di Shireen Abu Aqleh

Elizabeth Tsurkov

Lunedì 16 maggio 2022 – The Guardian

Le scene di violenza a Gerusalemme sono un sintomo di una cultura dell’impunità all’interno della leadership israeliana e delle forze di polizia da lei gestite

Molte persone sono rimaste scioccate dalle immagini dell’aggressione della polizia di frontiera israeliana al corteo funebre della celebre giornalista palestinese Shireen Abu Aqleh, non solo per la crudeltà della polizia, ma anche per il suo proposito di non curarsi del danno all’immagine recato dall’attacco. L’uccisione di Abu Aqleh, probabilmente da parte di un cecchino israeliano, la successiva incursione nella sua casa di famiglia e l’intimidazione della polizia nei confronti di suo fratello prima del funerale indicano il crescente senso di impunità che coinvolge i decisori politici e l’esercito israeliano.

La classe dirigente politica israeliana aveva promesso all’amministrazione Biden che il funerale di Abu Aqleh sarebbe stato “rispettoso”. Non sarà probabilmente soddisfatta dei video virali che mostrano poliziotti che tentano di strappare le bandiere palestinesi dalla bara di Abu Aqleh mentre picchiano con i randelli i portatori del feretro, facendolo quasi cadere a terra. Eppure per anni la leadership del Paese non ha subito ripercussioni internazionali per le sue azioni nei territori occupati. Nelle sue miti dichiarazioni sull’assalto al funerale, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha descritto le forze israeliane come “intrufolate nel corteo funebre”, come se fossero dei semplici ospiti non invitati.

Israele può contare sull’inerzia internazionale, mentre qualsiasi azione rivolta a punire i poliziotti o condannare il cecchino che ha sparato ad Abu Aqleh, la quale indossava un giubbotto che indicava chiaramente che era una giornalista, porterà attacchi al governo da parte della destra israeliana. Per oltre un decennio la quasi totale scomparsa della sinistra israeliana ha fatto sì che la competizione politica di un qualche rilievo fosse tutta interna al blocco di destra israeliano. Insieme alla crescente forza dell’estrema destra israeliana (sostenuta dall’ex primo ministro Benjamin Netanyahu) ciò ha portato i principali politici a spostarsi ulteriormente a destra per evitare di perdere il sostegno della loro base.

Il primo ministro israeliano Naftali Bennett e Netanyahu hanno cercato a tutti i costi di evitare di apparire teneri con le forze di sicurezza israeliane, indipendentemente dai loro crimini. Nel 2016, dopo che il soldato israeliano Elor Azaria venne ripreso dalla telecamera mentre uccideva ad Hebron un aggressore palestinese reso inoffensivo, Netanyahu condannò inizialmente il suo gesto. Successivamente, dopo aver visto i risultati di un sondaggio, ribaltò la sua posizione e chiese la grazia per Azaria. Azaria finì per scontare solo nove mesi in una prigione militare. Dopo il suo rilascio divenne una delle principali celebrità nei circoli di destra. Non sono stati processati dei poliziotti ripresi mentre picchiavano giornalisti a Gerusalemme, o dei soldati coinvolti nella detenzione di un anziano palestinese-americano, che è stato legato, imbavagliato e bendato e che è morto poco dopo sembra in seguito ad un attacco cardiaco.

Questi famosi casi di impunità non sono un’eccezione. I dati raccolti dalla ONG israeliana per i diritti umani Yesh Din mostrano che solo lo 0,7% delle denunce presentate dai palestinesi contro i soldati porta a procedimenti giudiziari, mentre l’80% dei casi viene chiuso senza un’indagine penale. I militari israeliani non hanno motivo di aspettarsi delle conseguenze personali per l’uccisione di una giornalista o per l’attacco al suo funerale, trasmesso in diretta in tutto il mondo.

Prima del funerale di Abu Aqleh la polizia israeliana ha ingiunto alla sua famiglia di impedire che l’evento si trasformasse in una protesta, un chiaro tentativo di dimostrare il dominio di Israele. Non è la prima volta che la classe dirigente e l’esercito israeliani tentano di fare prepotenze simili: all’inizio di quest’anno la leadership israeliana ha permesso ai fedeli ebrei di salire sul Monte del Tempio/Haram al-Sharif [sito religioso situato nella città Vecchia di Gerusalemme importante per l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam, ndtr.] e di pregare lì, violando un precedente accordo con il Waqf islamico [ente deputato al controllo degli edifici religiosi islamici, ndtr.] di Gerusalemme e con la Giordania.

Nel 2017, in un’altra dimostrazione di forza, Israele ha installato metal detector agli ingressi della moschea di al-Aqsa. Le rivolte di massa hanno portato Israele a fare marcia indietro e rimuoverli dopo diverse settimane. Durante il mese del Ramadan i poliziotti israeliani hanno impedito ai palestinesi di sedersi vicino alla Porta di Damasco, un popolare spazio comune, e hanno effettuato arresti di massa di coloro che lo facevano. Di recente lo Shin Bet [agenzia di intelligence per gli affari interni dello Stato di Israele, ndtr.] dopo aver triangolato i loro telefoni ha inviato a dei palestinesi nella moschea di al-Aqsa messaggi con minacce di vendetta per loro presunte partecipazioni a rivolte.

I violenti tentativi della polizia israeliana di rimuovere le bandiere palestinesi issate durante il funerale di Abu Aqleh sono solo l’ultima manifestazione di una politica che mira a schiacciare i segni dell’identità palestinese a Gerusalemme. Nel 2018 il governo israeliano ha stanziato 2 miliardi di shekel (567.307.000 milioni di euro, ndtr.] per “incrementare la sovranità israeliana su Gerusalemme est”, con l’obiettivo di far sì che più scuole passino dall’insegnamento del programma giordano a quello israeliano. Le autorità israeliane hanno costretto le poche scuole della città che ancora insegnavano il programma palestinese a censurare i libri di testo che trattavano la storia palestinese. All’inizio di quest’anno i poliziotti israeliani hanno arrestato studenti palestinesi all’Università Ebraica di Gerusalemme per aver cantato quelle che la polizia sosteneva fossero canzoni nazionalistiche palestinesi.

L’uccisione di Abu Aqleh e la violenza esercitata sulle persone in lutto ha sicuramente causato danni alla reputazione di Israele. Ma a meno che la disapprovazione internazionale non si traduca in un cambiamento politico tangibile la leadership israeliana non ha motivo di smettere di esercitare altri abusi in futuro. I suoi leader sono impegnati a placare una base di destra che richiede a come minimo il pieno sostegno delle forze di sicurezza israeliane. Finché gli alleati di Israele continueranno a tollerare questi abusi, l’impunità rimarrà la regola, non l’eccezione.

Elizabeth Tsurkov è ricercatrice presso il Forum for Regional Thinking, un centro di ricerca israelo-palestinese.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele: due persone uccise * e parecchie ferite in una sparatoria nel centro di Tel Aviv

Lubna Masarwa

7 aprile 2022 – Middle East Eye

La polizia di Giaffa ha affermato di avere in seguito colpito e ucciso l’aggressore, che ha identificato come un ventottenne palestinese di Jenin.

Gerusalemme – Giovedì almeno due persone * [al momento tre ndt] sono state uccise e molte altre ferite in una sparatoria nel centro di Tel Aviv, l’ultimo di una serie di attacchi in Israele nelle ultime settimane. Dieci persone, almeno quattro delle quali in condizioni critiche, sono state ferite e sono state ricoverate in ospedale.

La sparatoria ha avuto luogo in vari punti di via Dizengoff, un frequentatissimo viale pieno di ristoranti e bar.

Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno, ha affermato che in seguito agenti di polizia hanno trovato l’aggressore nascosto nei pressi di una moschea a Giaffa, appena a sud di Tel Aviv.

L’agenzia ha detto che l’attentatore è stato ucciso durante uno scontro a fuoco.

Lo Shin Bet ha identificato l’uomo come un ventottenne palestinese di Jenin, nella Cisgiordania occupata, che secondo quanto affermato era in Israele illegalmente.

Sabato forze israeliane hanno ucciso tre palestinesi durante una sparatoria a Jenin, che ore prima aveva commemorato i 20 anni da un brutale attacco israeliano contro il campo profughi della città, diventato emblematico dell’occupazione israeliana.

Itai Niger, che vive a Tel Aviv nei pressi del luogo dell’attacco ha detto a Middle East Eye che c’era una notevole presenza di polizia in città e che la paura era palpabile.

“Sono sorpreso e spaventato. Non riesco a capirlo. Non so come sarà la mia vita nei prossimi giorni e in futuro,” ha detto Niger.

“È terribile. Dopo quello che è successo gli abitanti di Tel Aviv avranno di fronte una nuova realtà.”

Il fotogiornalista Oren Ziv ha informato dal luogo dell’attacco di un’immediata caccia all’uomo che ha coinvolto centinaia di soldati, agenti di polizia e unità d’élite dell’esercito.

Ziv ha descritto una scena di tensione in città dato che gli abitanti erano intimoriti perché l’aggressore non era ancora stato preso.

Dopo la sparatoria le forze di sicurezza hanno bloccato le uscite di Tel Aviv per effettuare le operazioni di ricerca.

Il collaboratore di MEE Mohammed Wated ha riferito che in un primo tempo le forze di sicurezza hanno piazzato posti di blocco a Wadi Ara, una zona a 60 km da Tel Aviv abitata per lo più da cittadini palestinesi di Israele, e hanno iniziato a interrogare gli automobilisti.

Secondo il suo ufficio il primo ministro Naftali Bennett ha monitorato la situazione dal quartier generale dell’esercito israeliano, che si trova anch’esso nel centro di Tel Aviv.

Timori di un’escalation

L’attacco di giovedì giunge solo una settimana dopo che tre diversi attacchi hanno ucciso 11 israeliani, tra cui dei poliziotti.

Tre dei quattro attentatori, tutti in seguito uccisi, erano palestinesi cittadini di Israele. Il quarto era un palestinese della Cisgiordania occupata.

In seguito alle violenze l’esercito e la polizia israeliani hanno portato l’allerta al livello più alto dal maggio dello scorso anno, con migliaia di soldati e di agenti schierati in tutto Israele e lungo le barriere con la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

Da allora in Cisgiordania sono stati uccisi dal fuoco israeliano sei palestinesi, di cui uno colpito da un colono.

Il picco di violenze coincide con avvertimenti che la prossima settimana le tensioni potrebbero aumentare, in quanto coloni israeliani e attivisti di estrema destra hanno annunciato piani per fare irruzione nella moschea di al-Aqsa durante le festività della Pasqua ebraica per pregare all’interno del sito.

Per sei notti di seguito a Gerusalemme est occupata forze israeliane hanno attaccato i palestinesi presso la Porta di Damasco, un punto di incontro molto frequentato dai palestinesi per riunirsi e socializzare durante il mese sacro del Ramadan. Più di 30 persone, inclusi minorenni, sono state arrestate negli scontri.

Nonostante le tensioni le autorità israeliane all’inizio di questa settimana hanno affermato che alleggeriranno le restrizioni per i palestinesi della Cisgiordania che visitano la moschea di al-Aqsa in vista del primo venerdì del Ramadan che spesso attira decine di migliaia di fedeli.

L’agenzia di notizie palestinese Wafa ha informato che il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha condannato l’attacco di giovedì e ha sottolineato i pericoli di “continuare le ripetute incursioni all’interno della moschea di al-Aqsa e le azioni provocatorie di gruppi di coloni estremisti.”

Durante lo scorso Ramadan la violenza si è acuita quando Israele ha cercato di espellere famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah, un quartiere della Gerusalemme est occupata, perché fossero sostituite da coloni israeliani.

Ciò ha suscitato proteste generalizzate nella Cisgiordania occupata e nella comunità palestinese in Israele e ha portato a una guerra di 11 giorni tra Israele e gruppi armati a Gaza. Secondo l’ONU l’operazione militare israeliana su vasta scala contro la Striscia assediata ha causato la morte di 256 palestinesi, tra cui 66 minorenni. In Israele ci sono state 13 vittime, uccise da razzi lanciati da Gaza.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele accusa dei giornalisti palestinesi di istigazione alla violenza per aver svolto il loro lavoro

Yuval Abraham

5 aprile 2022 – +972 magazine

Dei giornalisti palestinesi sono stati interrogati e imprigionati da Israele per aver documentato proteste, funerali e altri eventi politici, inducendo molti di loro all’autocensura.

Questo articolo è stato pubblicato in collaborazione con Local Call e The Intercept.

Durante la violenta escalation della primavera del 2021 in Israele-Palestina Hazem Nasser ha fatto ciò che gli era stato richiesto: ha iniziato a riprendere. A quel tempo Nasser lavorava come giornalista per la rete televisiva palestinese Falastin Al-Ghad [Palestina Domani, ndtr.], in cui i filmati di Nasser documentavano le crescenti tensioni tra le marce nazionaliste ebraiche, le manifestazioni palestinesi e la brutalità della polizia israeliana a Gerusalemme.

Il 10 maggio Nasser ha deciso di riprendere uno scontro tra manifestanti palestinesi e l’esercito israeliano nella Cisgiordania settentrionale occupata. La giornata è rimasta impressa nella memoria di Nasser, non per lo scontro in sé, né per gli attacchi militari iniziati più tardi quella sera tra Hamas e Israele, ma per quello che gli è successo in seguito.

Nasser stava tornando a casa quando è stato fermato dai soldati israeliani al checkpoint di Huwara [a sud di Nablus, ndtr.] e portato via per essere interrogato. Nasser ha languito in carcere per più di un mese mentre lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interna israeliano, lo interrogava ripetutamente.

“Tutte le domande riguardavano il mio lavoro di giornalista“, ha riferito Nasser. Mettevano sul tavolo le immagini delle mie riprese video, tra cui il funerale di un palestinese, la gente che si radunava per una protesta, una piazza che inneggiava a uno shaheed (martire), una manifestazione con le bandiere di Hamas. Chi mi interrogava mi diceva che non potevo fotografare quelle cose, perché costituivano delle istigazioni alla violenza. Gli rispondevo che sono un giornalista e questo è il mio lavoro: mostrare immagini di cose che accadono e che le testate israeliane fanno la stessa cosa. Lui mi urlava di tacere“.

A metà giugno Nasser, che ha 31 anni e viene dal villaggio di Shweikeh nella Cisgiordania occupata, è comparso davanti a un tribunale ed è stato accusato di istigazione alla violenza. Invece di concentrarsi sul suo lavoro giornalistico, come era stato fatto durante gli interrogatori, l’accusa ha elencato quattro vecchi post su Facebook che egli aveva scritto tra il 2018 e il 2020, periodo in cui ha pubblicato più di 1.000 post. Il capo d’imputazione affermava, tra l’altro, che egli aveva lodato l’assassinio nel 2001 di Rehavam Ze’evi [ex-generale e fondatore del partito di estrema destra Modelet, ndtr.], un ministro del turismo israeliano, e chiamato un “eroe” un militante palestinese accusato di aver ucciso due israeliani.

Una possibile ragione per cui il lavoro di Nasser non compariva nell’atto d’accusa – nonostante fosse stato al centro degli interrogatori – è che neppure nei tribunali militari dell’occupazione israeliana tra i criteri riguardanti l’istigazione vengono inclusi il giornalismo o la semplice documentazione degli eventi. Indipendentemente da ciò, Nasser crede che lo scopo degli interrogatori e delle accuse fossero gli stessi: dissuaderlo dal documentare gli abusi di Israele contro i palestinesi. Non è per niente lunico caso tra i giornalisti palestinesi.

Non fanno distinzione tra giornalista e chi ha un ruolo attivo

Dall’inizio del 2020 in Cisgiordania Israele ha imprigionato almeno 26 giornalisti palestinesi. Nella maggior parte dei casi essi sono stati posti in detenzione amministrativa – un metodo comune utilizzato da Israele per trattenere i palestinesi senza formalizzare le accuse – per un periodo compreso tra sei settimane e un anno e mezzo. Nove di questi giornalisti sono stati incriminati, quasi sempre per istigazione, e hanno trascorso in media circa otto mesi in stato di detenzione.

Secondo Saleh al-Masri, a capo del Journalist Support Committee in Palestine [Comitato di sostegno per i giornalisti in Palestina, ONG che protegge e promuove la libertà di espressione e i diritti dei giornalisti in Palestina, ndtr.], a marzo 2022 nelle carceri israeliane c’erano 10 giornalisti palestinesi con accuse riguardanti la pubblicazione di materiale online – sia come privati ​​​​che attraverso il loro lavoro professionale – considerata “istigazione”. Tre dei giornalisti incarcerati si trovano in detenzione amministrativa, tre sono stati incriminati e quattro sono detenuti e sottoposti ad interrogatori nell’ambito delle indagini (altri sette giornalisti sono stati incarcerati con l’accusa di aver preso parte ad attività violente non aventi nulla a che fare con il lavoro giornalistico) .

Utilizzando interviste, resoconti dei media e documenti legali, +972, Local Call [riviste on line, la seconda in lingua ebraica, fondate e prodotte da un unico gruppo editoriale, impegnate su tematiche di giustizia sociale, diritti e libertà di informazione, ndtr.] e The Intercept [rivista internazionale on line, con sede negli USA, impegnata, tra l’altro, sul tema degli abusi della giustizia e delle violazioni delle libertà civili, ndtr.] hanno esaminato i procedimenti giudiziari contro molti dei giornalisti trattenuti dalle forze di sicurezza israeliane in relazione alla loro pubblicazione di materiale. Nelle interviste con noi, così come con altri media, sette dei giornalisti hanno affermato che durante i loro interrogatori agenti della sicurezza israeliani hanno mostrato loro dei video di notizie che avevano girato, spesso riguardanti scontri tra palestinesi e forze israeliane, cortei politici o funerali. Gli inquirenti hanno detto ai giornalisti che le immagini costituivano “istigazione” e hanno ordinato loro di smettere di documentare quegli eventi.

In alcuni casi i giornalisti sono stati successivamente incriminati con accuse estranee alla loro attività professionale; in altri non è stata presentata alcuna accusa e il giornalista è stato incarcerato senza processo e infine liberato (lo Shin Bet non ha risposto a una richiesta di commento).

“Gli arresti di solito avvengono mentre i giornalisti sono sul campo”, ha affermato Shireen Al-Khatib, l’incaricata del monitoraggio e della documentazione del Palestine Center for Development and Media Freedoms (MADA) [Centro palestinese per lo sviluppo e la libertà dei media, ndtr.], che promuove e difende la libertà di espressione e dei media nei territori occupati.

“Durante l’interrogatorio”, continua, “al giornalista viene detto che le notizie che pubblica su Facebook sono considerate istigazione – e che, sebbene stia solo riportando delle notizie, il fatto che siano rese pubbliche equivale a istigazione. Spesso il giornalista viene accusato di aver partecipato a un evento politico come fotografo o giornalista. Ma [le autorità israeliane] non fanno distinzione tra un giornalista che è sul campo come parte del suo lavoro e un partecipante attivo”.

Al-Khatib, che ha intervistato decine di giornalisti palestinesi interrogati dallo Shin Bet, afferma che il risultato di questo trattamento è che i giornalisti palestinesi vivono in un costante stato di paura che spesso porta all’autocensura.

“Come se il problema fosse la videocamera, non la realtà

Altri giornalisti palestinesi hanno offerto resoconti che coincidono con l’esperienza di Nasser. Sameh Titi, un giornalista di 27 anni del campo profughi di al-Arroub in Cisgiordania, documenta quanto succede nella sua zona per Al Mayadeen, un canale di notizie arabo con sede in Libano che si dice sia allineato con il gruppo armato Hezbollah. Nel dicembre 2019 è stato arrestato dalle forze di sicurezza israeliane.

Titi riferisce che chi lo sottoponeva all’interrogatorio ha aperto il suo profilo Facebook per poi mostrargli le immagini del suo stesso lavoro. “Mi ha mostrato un servizio sulla chiusura dell’ingresso del campo di al-Arroub da parte dell’esercito”, dice Titi. “Chi mi interrogava mi ha detto: ‘Non ti è permesso di riprendere postazioni militari'”. L’inquirente ha anche sollevato il fatto della presenza di Titi a eventi legati al Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP), un gruppo politico di sinistra che Israele considera un’organizzazione terroristica.

Come Titi e altri, Tareq Abu Zeid, un cine-operatore di Jenin, è stato arrestato nell’ottobre 2020 e interrogato dallo Shin Bet nella sua struttura di Petah Tikva. Chi lo interrogava, ha riferito Abu Zeid, gli ha detto che egli era stato arrestato perché le sue riprese diffondevano scontento sociale tra i palestinesi.

“L’intera indagine aveva a che fare con la documentazione da parte di un giornalista, come se il problema fosse la videocamera in sé, non la realtà che documenta”, ha affermato Abu Zeid in un’intervista per Al Jazeera. In tre settimane di interrogatori, gli investigatori hanno sollevato accuse sul lavoro di Abu Zeid con Al-Aqsa TV, una stazione associata al gruppo islamista palestinese Hamas, che Israele considera un’organizzazione terroristica. Al-Aqsa TV è stata bandita da Israele nel 2019.

Fadi Qawasmeh, un avvocato che rappresenta Abu Zeid, ha sostenuto in tribunale che le accuse contro il suo cliente equivalevano a un’applicazione selettiva, dal momento che nessuna azione legale era stata intrapresa contro nessun altro dipendente di Al-Aqsa TV, e l’esercito israeliano sapeva da anni che Abu Zeid lavorava per quella emittente, molto prima che fosse dichiarata illegale. Abu Zeid era già in prigione da quasi 10 mesi quando, nel giugno 2021, la procura militare gli ha offerto un patteggiamento pari al tempo di carcerazione già scontato e una multa di circa 2.300 euro. Abu Zeid ha accettato ed è stato rilasciato dalla prigione il mese successivo.

Lo scopo era di impedire il mio lavoro di giornalista – e ha funzionato”

Titi, il giornalista di Al Mayadeen, è stato infine accusato di tre reati, alcuni dei quali legati al suo lavoro giornalistico e altri no.

L’accusa contro di lui citava la sua “presenza a una riunione illegale” per aver partecipato a diversi funerali di giovani palestinesi uccisi. Nel 2019 Titi aveva seguito il funerale di Omar al-Badawi, un presunto membro del FPLP ucciso dall’esercito israeliano (secondo un’indagine interna dell’esercito, al-Badawi non rappresentava alcun pericolo per i soldati ed essi non avrebbero dovuto aprire il fuoco.)

L’accusa sosteneva che il funerale sarebbe stato organizzato dal FPLP e quindi Titi avrebbe infranto la legge trovandosi sul luogo. L’accusa non menzionava il fatto che Titi stesse seguendo il funerale come giornalista, che giornalisti israeliani e internazionali si occupiano regolarmente di tali funerali e che quel giorno lui si trovasse insieme a centinaia di altri [colleghi, ndtr.].

Oltre al suo lavoro di documentazione dei funerali, l’accusa gli ha addebitato il fatto che nel 2016, nel suo campus universitario presso l’Università di Hebron, Titi avesse partecipato ad attività organizzate da un gruppo studentesco affiliato ad Hamas.

L’accusa sosteneva anche che due post di Titi su Facebook costituissero istigazione. In uno del 2018 Titi aveva condiviso una foto di palestinesi che erano stati uccisi dall’esercito – l’accusa descriveva i morti come “terroristi” – scrivendo: “Guardati dalla morte naturale, non morire se non a causa di proiettili”. In un post del 2017 Titi aveva menzionato la partecipazione a un concorso letterario per il gruppo studentesco legato ad Hamas. Titi ha detto che durante i suoi interrogatori i post sui social media non gli erano stati affatto mostrati.

Nel 2020 Titi ha presentato appello; è stato imprigionato per sei mesi e multato per 5.000 shekel, circa 1.375 euro.

Ho smesso di occuparmi di persone uccise e/o funerali. Ho paura di riprendere scontri con l’esercito e non riprendo postazioni militari o soldati”, aggiunge. “Lo scopo è sempre stato quello di impedire il mio lavoro di giornalista – e ha funzionato”.

Documentare è istigare

Molte delle disavventure dei giornalisti finiscono in patteggiamenti con i pubblici ministeri militari israeliani. Nasser, il giornalista di Falastin Al-Ghad, ne ha accettato uno alla conclusione del processo, dopo che il giudice ha stabilito che i post di Nasser su Facebook raggiungono a malapena la “soglia minima” per [il reato di, ndtr.] istigazione. Nasser sarebbe stato condannato a tre mesi di reclusione, nell’attesa che gli venisse riconosciuto lo sconto per il periodo passato in carcere.

“Nasser ha scelto di confessare per essere rilasciato”, spiega Mazen Abu Aoun, il suo avvocato. I giudici stabiliscono quasi sempre che i giornalisti rimangano in custodia fino alla fine del procedimento. Li incarcerano per mesi, poi la procura militare offre loro un patteggiamento: confessi alcuni dei reati e la pena ammonterà al numero di giorni che hai già scontato. Dopodiché vieni rilasciato immediatamente. Così tutti accettano“.

Alla fine, tuttavia, il tempo scontato da Nasser non ha ridotto il suo periodo di detenzione. Sebbene abbia accettato il patteggiamento, una settimana prima della data di rilascio ha appreso che lo Shin Bet aveva emesso contro di lui un ordine di detenzione amministrativa che lo avrebbe tenuto dietro le sbarre.

Nasser ha languito in carcere senza un secondo processo – e neanche nuove accuse – per altri cinque mesi. “Non avevano nulla su cui incriminarmi”, ha detto. A maggio la Cisgiordania era in fiamme e come giornalista ho documentato tutto sul campo. Sono stato arrestato per impedirmi di documentare. L’atto stesso di documentare rappresenta ai loro occhi un’istigazione.

Da quando è stato rilasciato nel dicembre 2021, dopo otto mesi di prigione, Nasser non pubblica quasi nulla su Facebook. È preoccupato che altre accuse false possano allontanarlo di nuovo dalla sua famiglia, un’eventualità che non può accettare. “Sono sposato e ho un figlio”, ha spiegato Nasser. “Mi hanno arrestato quando lui aveva otto mesi e mi hanno rilasciato quando era già in grado di parlare”.

Yuval Abraham è un giornalista che lavora a Gerusalemme.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele: annunciati i funerali per le vittime di accoltellamento di Beersheba

Redazione

23 marzo 2022 – Middle East Eye

Due donne e due uomini sono morti dopo un attacco da parte di un cittadino palestinese di Israele del Naqab, dove è cresciuta la tensione rispetto ai piani di espellere i residenti beduini.

Israele terrà i mercoledì i funerali delle quattro vittime di un accoltellamento e di un attacco con un’auto nella regione meridionale del Naqab (conosciuta in Israele come il Negev).

Le quattro vittime, due donne e due uomini, sono morte martedì dopo una serie di attacchi iniziati fuori da un centro commerciale nella città di Beersheba.

sono stati effettuati da un cittadino palestinese di Israele della vicina città di Hura.

L’uccisione di Doris Yahbas, 49 anni, Menachem Yechezkel, 67 anni, Laura Yitzhak, 43 anni, e del rabbino Moshe Kravitzky, 50 anni, è stato il peggior attacco ai civili israeliani degli ultimi anni.

Il funerale di Yahbas avrebbe dovuto essere celebrato a Gilat, ma, secondo il Jerusalem Post, la famiglia ha chiesto ai media di non riferire sul funerale.

Follia omicida

Il sospettato, identificato come il 34enne Mohammed Abu al-Qian, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco da passanti armati dopo otto minuti di una follia omicida che lo ha visto accoltellare e speronare persone in più località.

L’ospedale di Soroka di Beersheba ha riferito che due donne ferite nell’attacco erano entrambe in condizioni stabili.

La tribù beduina di Abu al-Qian – a cui apparteneva l’aggressore – ha “fermamente” condannato l’attacco, dicendo che “non rappresenta i membri della tribù rispettosi della legge che hanno sempre creduto nella convivenza”.

La polizia afferma di aver arrestato, in collaborazione con membri dell’agenzia di sicurezza interna israeliana Shin Bet, due fratelli di Abu al-Qian sospettati di non aver allertato le forze di sicurezza di un attacco imminente. Dovrebbero comparire in tribunale mercoledì.

Organizzazioni ebraiche e palestinesi hanno duramente condannato l’attacco di martedì.

“Questo non è il modo in cui il popolo arabo in generale, e nel Negev in particolare, agisce nella sua giusta lotta contro l’espropriazione e l’oppressione in corso”, ha twittato Aida Touma-Sliman, parlamentare del partito arabo Lista Unita.

“Metto in guardia contro l’istigazione razzista e l’uso di questo crimine per giustificare l’istituzione di milizie razziste che perseguiteranno gli arabi”.

Mercoledì, durante una riunione del Comitato degli interni della Knesset, il politico di estrema destra Itamar Ben-Gvir ha dovuto essere espulso con la forza dopo aver redarguito con urla il politico palestinese Waleed Taha, accusandolo di “istigazione”.

“Il sangue dei residenti del Negev è sulle tue mani”, ha detto Ben-Gvir a Taha.

“Hai incitato il Negev contro Israele. Non hai legittimità e non tacerò su questo”, ha aggiunto.

Alta tensione

La tensione è aumentata nel Naqab a causa dei piani del governo di espellere i beduini palestinesi dalle loro case per attuare una serie di progetti di sviluppo.

L’attacco di martedì arriva una settimana dopo che la polizia israeliana sotto copertura ha ucciso Sanad Salem al-Harbad, un cittadino palestinese di Israele di Rahat, nel sud di Israele.

Il quotidiano Haaretz la scorsa settimana ha riportato che attivisti di estrema destra, tra tensioni crescenti, hanno istituito un’unità civile armata di ranger per “salvare il Negev dalla problematica assenza di sicurezza personale”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




‘Eravamo come fratelli’: il campo profughi inorridito dopo che l’esercito spara ad un palestinese che stava passeggiando

Yuval Abraham

10 marzo 2022 – +972 Magazine

Amar Shafiq Abu Afifa stava facendo una passeggiata quando i soldati israeliani lo hanno inseguito e gli hanno sparato alla testa, aggiungendolo al triste bilancio di vittime subìto dal campo profughi di al-Arroub.

Una settimana dopo che i soldati israeliani hanno colpito a morte il diciottenne Amar Shafiq Abu Afifa, il suo amico d’infanzia Mohammed, di 17 anni, è ritornato nel luogo dove è stato ucciso. Mentre saliva sulla collina verso la boscaglia dove è morto Abu Afifa, Mohammed cercava qualcosa tra l’erba alta. Erano stati esattamente in quella zona il giorno prima della sparatoria, dice, ed avevano scritto i loro nomi sull’erba con delle pietre. “Io ho scritto la lettera inglese M per Mohammed e Amar ha scritto il suo nome in arabo.”

Poi siamo saliti sulle rocce, sdraiandoci lì come lapide per un’amicizia spezzata. Hanno fatto un selfie durante quella passeggiata, che adesso è lo sfondo dello schermo del cellulare di Mohammed. I due ragazzi si abbracciano sorridendo alla telecamera. “Eravamo come fratelli”, dice a +972 Mohammed, che era insieme al suo amico quando gli hanno sparato in testa. “Sono ancora sotto shock.”

Le truppe israeliane hanno sparato a Abu Afifa il primo marzo, mentre camminava in cima ad una collina isolata fuori dal campo profughi di al-Arroub nella Cisgiordania occupata, dove sono cresciuti sia lui che Mohammed. Abu Afifa è stato ucciso mentre scappava, come lo stesso esercito ha ammesso in una dichiarazione. Il certificato di morte di Abu Afifa, emesso dal Ministero dell’Interno israeliano, registra una ferita da proiettile alla testa ed un’altra ad una gamba.

La dichiarazione del portavoce dell’esercito israeliano sosteneva che Abu Afifa e Mohammed si erano avvicinati ad un posto di avvistamento vicino alla colonia israeliana di Migdal Oz e che i soldati “li hanno inseguiti…e hanno avviato una procedura di fermo che include sparare al sospettato”.

Ma quando gli inviati di +972 hanno visitato la zona è stato chiaro che la sparatoria è avvenuta a circa 100 metri dal posto di avvistamento – che è semplicemente un gazebo costruito illegalmente a circa 400 metri dalla colonia. Sulla collina c’è anche una piccola torre di comunicazione che sembra essere il posto in cui i soldati hanno teso l’imboscata.

Un soldato è sbucato dagli alberi”, dice Mohammed. “Pensavamo che là non ci fosse nessuno, per cui ci siamo spaventati. Ci ha urlato di fermarci e ha immediatamente sparato in aria. Eravamo così spaventati che ci siamo messi a correre. Allora lui ha aperto il fuoco pesantemente. Non c’era alcun senso. Ho sentito colpi di mitraglia. Tutto è accaduto in pochi secondi. A quel punto non sapevo ancora che Amar fosse morto.”

L’esercito ha detto a +972 che la polizia militare ha avviato un’inchiesta, ma non ha fornito ulteriori dettagli. Secondo l’Ong (israeliana) per i diritti umani Yesh Din, le probabilità che un’inchiesta della polizia militare porti ad un’incriminazione sono inferiori al 4%. Dei 785 casi indagati dalla polizia militare tra il 2013 e il 2018 solo 31 hanno portato ad incriminazioni.

Non riuscivo a smettere di piangere’

Abu Afifa era uno di 7 fratelli. I suoi genitori, Shafiq e Samiha, nel loro salotto hanno una fotografia del figlio morto, che hanno posto su un drappo al suo funerale. Shafiq dice che l’esercito israeliano ha trattenuto il corpo di suo figlio per 10 ore, prima di telefonargli alle 3 del mattino per andare a prendere il corpo di Amar al cancello di una colonia. “Non riuscivo a smettere di piangere”, dice. Quando gli altri hanno incominciato a ricordare Abu Afifa, sua madre Samiha si è scusata ed è uscita dalla stanza.

Il campo profughi di al-Arroub, dove vive la famiglia di Abu Afifa, si trova tra Betlemme e Hebron nel sud della Cisgiordania. Ospita circa 11.000 palestinesi le cui famiglie furono espulse nel 1948 da villaggi come al Faluja e Iraq al-Manshieh, in quella che ora è la parte meridionale di Israele vicino a Kiryat Gat.

Il campo è come una gabbia”, dice Mohammed. “Non c’è dove andare, dove fuggire.” Durante la loro passeggiata il giorno prima della sparatoria, ricorda, avevano discusso del futuro. “Amar frequentava già l’università con molto successo ed io stavo pensando di abbandonare la scuola. Lui mi esortava a rimanere per ottenere il diploma di scuola superiore. Ecco di che cosa parlavamo. Lui veniva a casa mia tutte le settimane per aiutarmi con i compiti.”

Abu Afifa si è diplomato alla scuola superiore l’anno scorso e si è immediatamente iscritto all’università a Ramallah per studiare medicina. “Il suo sogno era diventare medico o infermiere”, dice suo padre. Abu Afifa qualche mese fa ha lasciato gli studi, ritenendo che l’impegno economico fosse troppo pesante per i suoi genitori. Si è iscritto ad un college più piccolo e più economico molto vicino al campo.

Come ragazzo di un campo non hai opportunità di un futuro diverso”, dice il fratello maggiore di Abu Afifa, Issa. “Anche se studi, comunque finisci a fare un lavoro manuale”.

Shafiq, che lavora presso l’UNRWA come operatore ecologico, aggiunge: “Per questo volevo costruire qualcosa di diverso per i miei figli. Ho faticato ogni giorno nel mio disgustoso lavoro per mandare Amar all’università. Dicevo, almeno lui potrebbe avere qualcosa…adesso non so che fare.” Aggiunge: “Mi ammazzo di lavoro. Non ho mai smesso di raccogliere immondizia. Neanche dopo che Amar è morto. Non ho scelta. Devo procurarmi da vivere.”

Una minaccia durante il funerale

Durante il funerale di Abu Afifa un funzionario dello Shin Bet (servizi interni israeliani di intelligence, ndtr.), che si faceva chiamare “Capitano Nidal”, ha telefonato a Shafiq. “Ha detto di essere un investigatore in servizio nell’area di Hebron”, ricorda Shafiq. “Gli ho detto che ero al funerale e gli ho chiesto: ‘Che cosa volete?’. Lui ha risposto: ‘Ora state molto attenti ai vostri figli’. Suonava come una minaccia. Gli ho detto: ‘Viviamo in gabbia, voi avete sparato a mio figlio e adesso mi minacciate?’ Ho avuto l’impressione di non essere niente per lui. Ed ho riattaccato. Da allora non ho più sentito lo Shin Bet.”

Mohammed afferma che non c’è alcun giovane la cui vita non sia stata toccata dallo Shin Bet in un modo o nell’altro. “Ogni villaggio in Cisgiordania ha un capitano che tiene sotto controllo i giovani, soprattutto quelli coinvolti in disordini”, spiega. “Al mio villaggio è in servizio il Capitano Kerem. Telefona ai ragazzi della mia classe. Segue i nostri gruppi di chat su Telegram.”

Il timore di Mohammed riguardo allo Shin Bet è il motivo per cui ha chiesto di usare solo il suo nome di battesimo in questa intervista. “Può farti quel che vuole”, dice a proposito del Capitano Kerem. Lo Shin Bet non ha risposto alla nostra richiesta di un commento.

Oltre alla sorveglianza dello Shin Bet, nel campo profughi di al-Arroub ogni settimana ci sono scontri con l’esercito israeliano. La Route 60, una strada costruita a fianco del campo, è uno dei luoghi preferiti dai ragazzi per tirare pietre alle auto israeliane di passaggio.

Negli ultimi due anni è in costruzione una nuova strada che oltrepasserà il campo più lontano. Nel frattempo i soldati hanno creato dei posti di blocco “mobili” all’entrata del campo ed anche molto all’interno. Chi scrive guida attraverso il campo almeno una volta a settimana e l’anno scorso c’era sempre un posto di blocco con auto palestinesi in coda per passarlo. Lungo la strada proveniente dal campo è stata messa una postazione militare. Le incursioni notturne sono la routine e spesso scoppiano anche scontri.

Normalmente gli scontri vedono lanci di pietre e a volte di bottiglie molotov da parte dei giovani e spari con proiettili veri da parte dei soldati. Mentre io e Issa camminavamo per le tortuose strade del campo, lui indicava una casa dopo l’altra. “Qui non c’è una singola famiglia che non abbia perso un figlio”, dice. Da parte sua Abu Afifa aveva cominciato ad evitare le proteste per concentrarsi sui suoi studi.

Un lungo e triste elenco

Negli ultimi nove anni ad al-Arroub sono stati colpiti undici palestinesi, di cui tre minorenni. Lubna al-Hanash, di 21 anni, è stata colpita nel 2013 mentre camminava nel terreno del college di al-Arroub; l’esercito ha aperto il fuoco dopo che qualcuno ha lanciato una bottiglia molotov contro un’auto israeliana di passaggio, e invece ha ucciso lei.

Iyad Fadailat, di 28 anni, è stato ucciso nel 2014. Si è imbattuto in un posto di blocco mobile appena fuori da casa sua e ha avuto una rissa con i soldati. Gli hanno sparato mentre scappava; l’esercito ha sostenuto che aveva tentato di sottrarre un fucile. Mohammed Jawabra, di 19 anni, è stato colpito nella sua casa nel 2014; i soldati stavano facendo un’imboscata su un tetto lì accanto ed hanno aperto il fuoco quando avrebbero visto una figura sospetta che puntava un’arma improvvisata, ma una successiva indagine di B’Tselem ha smentito l’accusa.

Omar Madi, di 15 anni, è stato colpito nel febbraio 2016 da un soldato di guardia alla torre di controllo lungo la strada; l’esercito ha affermato che stava tirando pietre contro la torre. Omar al-Badawi, di 22 anni, è stato colpito nel 2019 mentre cercava di spegnere un fuoco innescato da una bottiglia molotov che qualche ragazzino aveva lanciato contro dei soldati lì accanto; in seguito l’esercito ha ammesso che non vi era motivo di sparare.

Risibili, sproporzionate, o altro, l’esercito ha fornito giustificazioni per ognuna delle ultime 10 uccisioni di abitanti di al-Arroub – tutte ovviamente eseguite nel contesto di un’occupazione militare lunga 50 anni. Non in questo caso. Il lungo e triste elenco del campo registra ora un’altra voce: Amar Shafiq Abu Afifa, di 18 anni. Causa della morte: colpito alla testa mentre passeggiava nel bosco con il suo migliore amico.

Yuval Abraham è un giornalista e attivista che vive a Gerusalemme.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




A Nablus soldati israeliani aprono il fuoco contro un’auto uccidendo dei palestinesi

Al-Jazeera

8 febbraio 2022 – Al Jazeera

L’Autorità Nazionale Palestinese condanna l’assassinio di tre palestinesi nella Cisgiordania occupata, definendolo un “crimine efferato”.

Il Ministero della Salute palestinese ha affermato che l’esercito israeliano ha ucciso tre palestinesi a Nablus, nella Cisgiordania occupata, suscitando la condanna dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP).

Martedì il ministero ha affermato che “tre cittadini sono stati martirizzati nella città di Nablus in seguito ad una sparatoria mirata dell’esercito israeliano”. Secondo l’agenzia stampa palestinese Wafa [il ministero, ndtr.] ha identificato le vittime come Ashraf Mubaslat, Adham Mabrouka e Mohammad Dakhil.

Secondo un rapporto da Nablus di Rania Zabaneh di Al Jazeera Un testimone oculare con cui abbiamo parlato ha detto che l’esercito [israeliano] ha sparato contro l’auto su cui si trovavano i tre palestinesi. Ha affermato di aver continuato a sentire degli spari per più di un minuto”.

Quando siamo arrivati ​​sul posto l’auto, interamente crivellata di proiettili, stava per essere portata via. All’ospedale dove sono stati portati i corpi i medici hanno detto che hanno avuto difficoltà a riconoscere le vittime a causa delle ferite provocate dagli spari.

L’inviata di Al Jazeera ha affermato che “Il ministro della difesa israeliano ha elogiato l’esercito per l’operazione portata a termine”.

Dei testimoni hanno riferito all’agenzia Anadolu che l’incidente ha coinvolto un membro delle forze speciali israeliane che, a bordo di un veicolo civile, ha preso d’assalto il quartiere cittadino di al-Makhfieh e ha aperto il fuoco contro l’auto.

Il Ministero degli Affari Esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese ha chiesto un’indagine internazionale sugli omicidi mentre il consiglio dell’ANP ha descritto il fatto come un “crimine efferato”.

Il ministero degli esteri ha ritenuto il governo israeliano e il primo ministro Neftali Bennett pienamente e direttamente responsabili di questo crimine”.

“Il silenzio della comunità internazionale nei confronti delle violazioni e dei crimini israeliani fornisce una copertura a questi atti criminali e incoraggia l’occupante israeliano a continuare la sua guerra aperta contro i palestinesi”, si legge in una nota.

Israele, da parte sua, ha affermato che i tre uomini erano “militanti” palestinesi responsabili di recenti attentati.

L’agenzia di sicurezza per gli affari interni Shin Bet ha detto che i tre erano a bordo di un veicolo e sono stati uccisi in uno scontro con le forze di sicurezza. Nessun israeliano è stato ucciso o ferito nella sparatoria, ha aggiunto.

Organizzazioni palestinesi e internazionali per i diritti umani hanno condannato da tempo quella che descrivono come una politica caratterizzata dallo sparare per uccidere e da un uso eccessivo della forza.

B’Tselem, un’organizzazione israeliana per i diritti umani, ha affermato di aver registrato lo scorso anno in Cisgiordania 77 morti palestinesi per mano dell’esercito israeliano. Più della metà delle persone uccise non era implicata in alcun attacco, ha aggiunto.

Attacchi dei coloni

Alla fine dell’anno scorso i soldati israeliani hanno ucciso un palestinese durante un’incursione nel quartiere di Ras al-Ain a Nablus.

Nel dicembre 2021 militari israeliani hanno ucciso un palestinese nel villaggio di Beita, in Cisgiordania, durante una protesta contro gli insediamenti coloniali illegali. Le forze israeliane hanno ucciso un minore palestinese dopo un presunto speronamento d’auto ad un posto di blocco militare nel nord della Cisgiordania.

Nello stesso periodo un ebreo ultraortodosso sarebbe rimasto ferito da coltellate inferte da un palestinese fuori dalle mura della Città Vecchia di Gerusalemme.

Una settimana prima un membro di Hamas avrebbe aperto il fuoco nella Città Vecchia uccidendo un israeliano. Entrambi i sospetti sono stati uccisi dai soldati israeliani.

Nel frattempo, all’inizio di questo mese, Amnesty International ha affermato in un nuovo rapporto che Israele sta commettendo “il crimine di apartheid contro i palestinesi” e deve essere ritenuto responsabile per il trattamento degli stessi come “un gruppo razziale inferiore”.

I palestinesi sono stati anche colpiti da una recrudescenza dei violenti attacchi da parte dei coloni israeliani in Cisgiordania e Gerusalemme est.

Israele occupò Gerusalemme Est e la Cisgiordania nella guerra mediorientale del 1967. I territori ora ospitano più di 700.000 coloni ebrei che vivono in 164 insediamenti e 116 avamposti, che i palestinesi individuano come parte del loro futuro Stato indipendente.

Sulla base del diritto internazionale tutte le colonie ebraiche nei territori occupati sono considerate illegali.

I palestinesi, insieme alla maggior parte della comunità internazionale, considerano le colonie uno dei principali ostacoli alla pace.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La commemorazione dell’assassinio di Rabin in un crescendo di odio e istigazione.

 

Adnan Abu Amer

25 ottobre 2021 – Middle East Monitor

 

Gli israeliani commemorano il 26° anniversario dell’assassinio dell’ex primo ministro Yitzhak Rabin. Questa commemorazione avviene in una situazione senza precedenti di drastica polarizzazione con reciproci scambi di accuse. Inoltre negli ultimi tempi si levano voci che esprimono la loro paura di un ritorno alla stessa atmosfera di istigazione [alla violenza, ndt] che precedette l’assassinio: il primo del suo genere nella storia di Israele.

Pochi giorni fa in Israele si sono tenuti alcuni eventi per commemorare questo anniversario alla presenza di molte personalità politiche le quali hanno convenuto che qualsiasi israeliano che abbia vissuto la notte dell’omicidio di Rabin non dimenticherà mai quel momento. Fu uno shock che nessuna parola può descrivere, poiché un ebreo aveva ucciso un altro ebreo. Inoltre Rabin era rappresentato, per molte generazioni di israeliani, dall’immagine caratterizzante della sua irruzione nella moschea di Al-Aqsa durante la guerra del 1967.

Un sondaggio sulle opinioni di molti israeliani nel commentare questo ricordo ha mostrato che dopo tutti questi anni è come se gli israeliani si vendicassero gli uni degli altri: l’odio e la divisione tra di loro stanno aumentando. Potrebbero persino perdere lo stesso Israele a causa di tutto questo. È vero che gli israeliani mettono tutti i loro sforzi nel rafforzare la sicurezza di Israele dall’esterno, ma non si rendono conto che stanno per perdere il loro stato dall’interno.

L’anniversario dell’omicidio di Rabin lancia un avvertimento agli israeliani su come dovrebbe essere il dibattito tra destra e sinistra, quali sono i limiti di questo dibattito e le sue linee rosse: in sostanza, senza arrivare ad alzare le mani gli uni sugli altri. Rabin non era di sinistra quando è stato assassinato ma, piuttosto, era qualcuno che comprendeva i pericoli di uno stato binazionale con i palestinesi, quindi si affrettò a fare un accordo con loro. Le istigazioni [alla violenza, ndt] sono oggi molto simili a quelle a cui Israele assistette alla vigilia del suo assassinio, perché gli istigatori stanno usando lo stesso vocabolario e la stessa terminologia.

Quanto ai membri della destra israeliana, accusano coloro che commemorano l’assassinio di Rabin di mettere in piedi un circo politico. È vero che si astengono dal chiamarlo traditore – come gli estremisti della destra lo avevano accusato di essere all’epoca – ma sono d’accordo nell’affermare che la sua posizione politica rispetto ai palestinesi era sbagliata. Contemporaneamente vi sono odio dilagante, divisione e discorsi volgari contro gli avversari politici.

Inoltre la destra israeliana considera la commemorazione dell’assassinio di Rabin un’occasione per attaccare coloro che lo commemorano. Questo ha spinto alcuni dei suoi leader a boicottare la commemorazione; ciò ha reso evidente che non esiste una linea di demarcazione netta tra legittime dichiarazioni politiche e affermazioni incendiarie che potrebbero portare all’assassinio politico; inoltre screditare qualsiasi opposizione israeliana alla politica del governo in carica può condurre ad effetti negativi tra le masse israeliane e spianare la strada verso altri crimini politici.

Ventisei anni dopo l’assassinio di Rabin la società israeliana è più divisa che mai e le istigazioni [all’odio, ndt] intestino hanno raggiunto nuove vette. Il periodo seguente all’assassinio è considerato uno dei momenti più drammatici della storia di Israele. Quando Rabin fu trasferito in ospedale in condizioni critiche, gli israeliani speravano in due cose: che Rabin sopravvivesse e che l’assassino non fosse ebreo, ma tutte le loro speranze furono spazzate via.

Yigal Amir, l’assassino di Rabin, era un nazionalista estremista a cui era stato fatto il lavaggio del cervello. Credeva che uccidere Rabin avrebbe seppellito il processo di accordo con i palestinesi e salvato Israele dalle conseguenze catastrofiche che ciò avrebbe comportato. Ha continuato a crederlo anche quando era dietro le sbarre ed è per questo che è stato considerato uno dei più pericolosi assassini politici della storia moderna.

L’assassinio di Rabin e, 6 mesi dopo, la sconfitta alle elezioni del suo successore, Shimon Peres, a favore di Netanyahu hanno portato al crollo del processo di Oslo, con Israele che è passato a destra e vi è rimasto per un quarto di secolo. Oggi, mentre Israele celebra la memoria di Rabin, le istigazioni della destra del Likud e di altri partiti, che portarono all’assassinio di Rabin, non si sono fermate. Al contrario sono aumentate le segnalazioni dei servizi di sicurezza dello Shin Bet [servizio di intelligence interno israeliano, ndtr.] di maggiori possibilità di violenza causate dalle istigazioni della destra contro il primo ministro, Naftali Bennett.

Anche gli alti funzionari della polizia israeliana non esitano a dire che questi giorni ricordano loro ciò che ha preceduto l’uccisione di Rabin. L’odio e la divisione che vediamo nelle strade sono più pericolosi di quanto non fossero in quel momento e squillano campanelli d’allarme che avvertono della possibilità di un altro assassinio politico, mentre gli attivisti del Likud vagano per le strade indossando magliette con la scritta: “Quelli di sinistra sono traditori ‘. Il figlio dell’ex primo ministro, Yair Netanyahu, ha ripetutamente twittato contro gli oppositori di suo padre, accusandoli di rappresentare una minaccia esistenziale per Israele e descrivendoli come “cattivi quanto l’Iran”.

Oggi, a più di un quarto di secolo dall’assassinio di Rabin, gli israeliani sembrano ancora più divisi tra destra e sinistra e lacerati tra sostenitori di Rabin e del processo di Oslo da lui guidato e oppositori che consideravano la consegna della terra ai palestinesi un peccato imperdonabile contro la Torah. Questo mostra quanto sia tesa l’atmosfera e come gli israeliani siano lacerati tra i due poli. In questo senso l’atmosfera attuale è molto peggio, sia a causa della velocità del collasso interno, sia perché non è più solo una divisione tra destra e sinistra, ma piuttosto tra gli individui di due campi contrapposti, il che rende la situazione più pericolosa.

È vero che metà degli israeliani sta dietro a questo campo, mentre l’altra metà lo vede come una forza distruttiva, che rappresenta una vera minaccia esistenziale per il futuro di Israele. In realtà, nessuna delle due parti è pronta a muoversi. Inoltre, in questo momento c’è una miscela tra le amare recriminazioni di questa intransigenza e la profonda crisi economica e le relative proteste in corso in tutto Israele. Questa miscela a sua volta spinge il tutto sull’orlo di un’esplosione; qualunque cosa di sinistra è una scintilla per appiccare il fuoco.

Gli eventi interni a cui Israele sta assistendo in questi giorni contribuiscono ad alimentare le proteste in tutto lo Stato. La maggior parte della violenza in Israele consiste in tentativi di investire i manifestanti, sparare gas lacrimogeni e spray al peperoncino, lancio di pietre e occasionali scontri. Pertanto l’atmosfera è molto volatile; sembra aspettare solo che qualcuno lanci un fiammifero.

Tutto ciò conferma che Israele potrebbe andare incontro ad un altro assassinio politico. La colla che univa le varie tribù israeliane in un’unica nazione non esiste più. Ciò è dimostrato dal fatto che, a seguito della lezione appresa dall’assassinio di Rabin, lo stesso Naftali Bennett è ben protetto dai servizi di sicurezza: infatti la più grande minaccia viene dalle proteste nelle strade di Israele.

Al fondo dell’anniversario dell’assassinio di Rabin giace la constatazione che le possibilità di cercare di prendere di mira qualcun altro in Israele sono in aumento. La situazione sta diventando molto scivolosa, i freni si stanno indebolendo e sembra che Israele non abbia modo di uscire da questa crisi ingestibile.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

 

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Ci prendono di mira per una ragione: siamo riusciti a cambiare il paradigma

Yuval Abraham

25 ottobre 2021 – +972 magazine

Dopo essere state messe all’improvviso fuorilegge in quanto “organizzazioni terroristiche”, le associazioni palestinesi per i diritti umani parlano a +972 del perché le accuse israeliane non solo sono infondate, ma rappresentano un atto di persecuzione politica.

La scorsa settimana, quando il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha firmato un ordine esecutivo che dichiara “organizzazioni terroristiche” sei associazioni palestinesi per i diritti umani, il governo non si è nemmeno preoccupato di fingere che si trattasse di un procedimento corretto. Con un rapido colpo di penna le ong – Al-Haq, Addameer, Bisan Center, Defense for Children International-Palestine, the Union for Agricultural Work Committees e the Union of Palestinian Women’s Committees – sono state istantaneamente messe fuori legge senza neppure un processo né la possibilità di rispondere alle accuse contro di loro.

Eppure la grande maggioranza dei mezzi di informazione israeliani, invece di mettere in discussione la dubbia natura di questa iniziativa, ha semplicemente copiato la dichiarazione ufficiale del ministero della Difesa sull’argomento, che accusa le sei organizzazioni di essere legate al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), un partito e un movimento laico e marxista-leninista definito un gruppo terroristico da Israele.

Il governo sostiene che le ong hanno riciclato fondi destinati a interventi umanitari e li hanno trasferiti invece a scopi militari, accusando inoltre i funzionari delle organizzazioni di essere, o essere stati, dell’ FPLP. Per anni anche associazioni israeliane di destra, nel tentativo di troncare i finanziamenti dall’estero, hanno cercato di mettere in rapporto queste organizzazioni con il FPLP.

La decisione del ministero della Difesa è basata su informazioni raccolte dallo Shin Bet [servizio di intelligence interna, ndtr.], che non le ha rese pubbliche. Ma, secondo fonti a conoscenza del caso giudiziario, le prove del servizio segreto sarebbero basate sulla testimonianza di un unico impiegato licenziato per corruzione da una delle associazioni.

Tuttavia esistono parecchie prove che contraddicono la versione dello Shin Bet. Negli ultimi 5 anni, su pressione del governo israeliano e di ong filo-israeliane, vari governi europei e fondazioni private che finanziano la società civile palestinese hanno condotto approfonditi controlli su ognuna delle sei organizzazioni. Nessuno ha trovato prove di uso scorretto dei fondi.

Oltretutto le stesse organizzazioni prese di mira descrivono un quadro totalmente diverso dalle accuse sollevate dallo Shin Bet, con molte prove a loro sostengo.

Ho parlato con presidenti o importanti membri di cinque ong, tutti noti attivisti, avvocati e intellettuali che criticano duramente sia il regime israeliano che l’Autorità Nazionale Palestinese (l’ Union of Palestinian Women’s Committees [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi] ha rifiutato di parlare con Local Call, il sito in ebraico di +972, in cui è stato originariamente pubblicato questo articolo). Rigettando totalmente le accuse israeliane, essi descrivono questi ultimi attacchi come parte della pluriennale persecuzione politica della società civile palestinese da parte di Israele per zittire il loro lavoro.

“Non abbiamo niente da nascondere”

“Siamo l’unica organizzazione per i diritti umani che si concentra sui minori in Palestina,” dice Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma per la trasparenza di Defense for Children International-Palestine, fondata nel 1991.

“Il nostro lavoro è duplice,” spiega. “Il primo è giuridico: rappresentiamo circa 200 minori all’anno nei tribunali israeliani e palestinesi. Il secondo è politico: dal 2000 abbiamo documentato l’uccisione di oltre 2.200 minorenni palestinesi per mano delle forze militari israeliane, in particolare a Gaza.”

Il comunicato del ministero della Difesa distribuito ai giornalisti in seguito all’annuncio di Gantz non specifica la ragione precisa per cui DCI-Palestine, un’associazione molto rispettata e attiva nelle commissioni ONU e nel Congresso USA, sia stata etichettata come “organizzazione terrorista”.

“In passato siamo stati attaccati, ma ciò è avvenuto tramite gruppi di destra come NGO Monitor,” aggiunge Abu Eqtaish, in riferimento all’organizzazione che controlla le attività delle associazioni sociali palestinesi e della sinistra che criticano le politiche israeliane per bloccare le loro fonti di finanziamento. NGO Monitor afferma che DCI-Palestine “guida una campagna che sfrutta i minori per promuovere la demonizzazione di Israele ed è legata al gruppo terroristico FPLP. Molte delle sue accuse sono false e fanno parte dei tentativi di calunniare Israele con accuse di ‘crimini di guerra’ e di promuovere il BDS.”

Abu Eqtaish definisce le accuse contro DCI-Palestine “assurde”, sottolineando che non ci sono prove che la sua organizzazione finanzi l’FPLP. “Israele e le associazioni di destra si sono rivolte a tutti i governi e alle fondazioni che ci finanziano per mettere in dubbio la nostra legittimità come organizzazione. Invece di preoccuparci di denunciare le violazioni dell’occupazione contro i minori, abbiamo dovuto difendere noi stessi.”

Secondo Abu Eqtaish, in passato tutti gli enti che finanziano DCI-Palestine, compresi i governi di Italia e Danimarca, così come l’Unione Europea, hanno condotto indagini indipendenti riguardo alle affermazioni di Israele. “Ci hanno chiesto di produrre prove che le denunce erano senza fondamento, e noi gliele abbiamo fornite. Non abbiamo niente da nascondere. Tutti i nostri bilanci sono pubblici.”

Anche un tribunale britannico ha scoperto che queste accuse sono false. Nel 2020 ha ordinato a UK Lawyers for Israel [Avvocati del Regno Unito per Israele], un’organizzazione che opera in modo simile a NGO Monitor, di ritrattare le sue affermazioni secondo cui DCI-Palestine appoggerebbe l’ FPLP o gli trasferirebbe fondi. Il tribunale ha anche chiesto a UK Lawyers for Israel di dichiarare pubblicamente che DCI-Palestine non ha “attualmente stretti legami, e non fornisce alcun apporto finanziario o materiale ad alcuna organizzazione terroristica.”

“Utilizzando questa strategia non sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi, e per questo l’hanno modificata,” dice Abu Eqtaish. “In luglio forze dell’esercito hanno fatto irruzione negli uffici dell’associazione a Ramallah e hanno confiscato computer e documenti giudiziari riguardanti minori. Ci siamo rivolti a un tribunale militare per chiedere la restituzione della documentazione. Il tribunale ha respinto la richiesta.”

Egli conclude: “Adesso nell’organizzazione stiamo cercando di capire quali passi intraprendere. Sappiamo che queste accuse sono infondate. L’attacco contro l’organizzazione è soprattutto un’aggressione contro i suoi scopi: evidenziare i crimini dell’occupazione contro i minorenni e chiedere alla comunità internazionale di punire Israele per essi.”

“Chiunque sa dove va a finire ogni singolo shekel”

Fondata nel 1979, Al-Haq è la più antica e grande ong palestinese per i diritti umani e il sostegno giudiziario nei territori occupati. Secondo Hisham Sharbati, operatore sul campo di Al-Haq che ha lavorato con l’organizzazione per 12 anni, la ragione della recente definizione da parte di Israele è esclusivamente politica. “Al-Haq ha un ruolo molto importante nel fornire informazioni contro Israele alla Corte Penale Internazionale dell’Aia,” spiega. “A causa delle nostre attività molti nel mondo stanno chiaramente definendo Israele uno ‘Stato di apartheid’. È per questo che siamo perseguitati.”

Sharbati cita il fatto che all’inizio del mese Gantz si è incontrato con il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas a Ramallah e hanno parlato di ‘costruire fiducia’. “Che razza di costruzione della fiducia c’è quando (Gantz) attacca le associazioni della società civile palestinese in questo modo? Questa iniziativa intende privare il popolo palestinese di alcune delle organizzazioni più importanti che ha per difendere i propri diritti contro l’occupazione e contro l’Autorità Nazionale Palestinese.”

Né la dichiarazione del ministro della Difesa israeliano né il documento poco più dettagliato che è stato in seguito inviato ai giornalisti fanno riferimento ad Al-Haq, nonostante sia la più grande delle sei organizzazioni. Non è ancora per niente chiaro su quali basi Al-Haq sia stata messa fuorilegge.

Le accuse contro Al-Haq devono essere state originate da un’altra fonte. Nel 2015, mentre le pressioni internazionali contro Israele stavano montando, il governo destinò decine di milioni di shekel all’ormai abolito ministero degli Affari Strategici per guidare una “campagna contro gli effetti della delegittimazione e del boicottaggio contro Israele,” con Gilad Erdan, ora ambasciatore USA in Israele, nominato a capo dell’istituzione.

Una delle principali attività del ministero era etichettare le associazioni della società civile palestinese come affiliate ai terroristi per far pressione sui governi europei perché tagliassero i finanziamenti. Secondo rapporti ufficiali pubblicati dal ministero, le sei organizzazioni messe sulla lista nera la scorsa settimana erano uno dei principali obiettivi.

Il ministero degli Affari Strategici pubblicò rapporti con titoli come “Terroristi in giacca e cravatta”, “Soldi insanguinati” e “Rete di Odio”, riprendendo i messaggi di vari gruppi di destra. In particolare NGO Monitor accusò il direttore generale di Al-Haq, Shawan Jabarin, di essere attivista dell’FPLP. Eppure il ministero non ha ancora fornito una qualunque prova dei rapporti dell’ong con la violenza.

“Sono nell’organizzazione da 12 anni e nessuna persona di Al-Haq è stata arrestata durante questo periodo,” afferma Sharbati. “Il nostro lavoro è totalmente legale e trasparente. I nostri finanziatori ricevono relazioni dettagliate. Siamo sotto stretta osservazione e chiunque sa dove va a finire ogni singolo shekel.”

Riguardo alle accuse secondo cui alcuni degli operatori dell’organizzazione sarebbero membri dell’FPLP, Sharbati afferma: “Se qualcuno è stato attivo nell’FPLP, è stato messo in prigione ed è stato rilasciato qualche mese dopo, che c’è di male? Ciò significa che non dovrebbe lavorare da nessuna parte? Se qualcuno ha fatto qualcosa di illegale arrestatelo. Ma non ci sono prove di illeciti.”

“Assolutamente manipolatorio”

Il Bisan Center è un piccolo centro di ricerca palestinese di sinistra. È formato da otto accademici e guidato da Ubai Aboudi, che scrive di economia e sociologia.

“Siamo stati fondati nel 1986 da un gruppo di studiosi e scienziati,” spiega Aboudi. “Sosteniamo i diritti di comunità emarginate, facciamo pressione contro il riscaldamento globale, promuoviamo l’uguaglianza di genere e ci opponiamo alle politiche di occupazione di Israele.”

Aboudi è stato arrestato due volte negli ultimi due anni: una volta da Israele e poi dall’Autorità Nazionale Palestinese. Durante il primo arresto alla fine del 2019 il tribunale militare israeliano lo ha accusato di essere membro dell’FPLP. “Non avevano prove e il giudice ha deciso che c’erano problemi con gli indizi,” sottolinea.

Tuttavia Aboudi alla fine ha accettato di patteggiare ed è stato in prigione per 4 mesi (secondo varie associazioni per i diritti umani i tribunali militari israeliani, che operano come braccio integrato nel controllo di Israele sui palestinesi sotto occupazione, hanno una percentuale tra il 95% e il 99% di condanne).

“Non ho alcun rapporto con il FPLP, ma sono padre e volevo tornare prima possibile dai miei tre figli, per cui ho accettato il patteggiamento,” spiega. All’epoca la detenzione amministrativa di Aboudi aveva scatenato una campagna internazionale e circa un migliaio di scienziati e studiosi aveva firmato una petizione per la sua liberazione.

Quest’anno Aboudi è stato arrestato due volte dall’ANP per aver protestato contro l’uccisione di Nizar Banat, un attivista e critico del governo picchiato a morte in giugno quando era nelle mani delle forze di sicurezza palestinesi.

Un mese dopo l’esercito israeliano ha fatto irruzione negli uffici del Bisan Center a Ramallah ed ha confiscato i computer. Secondo il comunicato stampa del ministero della Difesa, Bisan è stato dichiarato “organizzazione terroristica” perché membri dell’FPLP hanno tenuto riunioni nei suoi uffici. Inoltre, sostiene la dichiarazione, il precedente direttore del Centro, I’tiraf Rimawi, era membro del braccio armato dell’FPLP. Rimawi è stato imprigionato per tre anni e mezzo in quanto membro del gruppo studentesco dell’FPLP, quando non era dipendente del Bisan Center.

“Questa prospettiva (israeliana) è assolutamente manipolatoria,” dice Aboudi. “Come può un’intera organizzazione essere responsabile delle azioni che una persona avrebbe commesso fuori dal lavoro? Se uno lavora in una banca degli Stati Uniti e viola la legge, allora la banca viene chiusa?”

Riguardo all’uso di locali di Bisan per riunioni dell’FPLP, Aboudi afferma: “Il nostro ufficio non serve ad alcuno scopo che non riguardi le nostre ricerche. Non è mai stato utilizzato da milizie armate e il centro non ha alcun rapporto con azioni violente. Legga le nostre ricerche, la nostra visione del mondo si basa sull’uguaglianza e sulla giustizia sociale.”

Come le altre associazioni, Aboudi afferma che la pretesa di Israele secondo cui i gruppi agiscono come “ancora di salvezza” e come procacciatori di fondi per l’FPLP è una totale invenzione e che “il bilancio del centro è pubblico e a disposizione di tutti.”

A maggio, nota Aboudi, Israele ha invitato rappresentanti di ambasciate estere ed ha chiesto che smettano di finanziare le organizzazioni palestinesi per i diritti umani. In seguito a ciò il governo belga ha condotto un controllo dei finanziamenti che invia a Bisan, ed ha stabilito che non ci sono basi per le accuse del governo. “Tutti i nostri finanziamenti, circa 800.000 shekel [circa 21.600 €] all’anno, vanno alle ricerche ed agli stipendi,” sostiene.

Come per le altre organizzazioni, i dipendenti di Bisan ora temono che, in seguito alla dichiarazione di Israele, i finanziatori del resto del mondo esiteranno ad appoggiare il centro, che fallirà. “Questa è sempre stata la lotta principale del (primo ministro) Naftali Bennett e della (ministra degli Interni) Ayelet Shaked: perseguitare le organizzazioni palestinesi dei diritti umani,” afferma Aboudi.

“I loro rapporti con i gruppi dei coloni di estrema destra, come NGO Monitor e Regavim, sono profondi. Per anni hanno pensato di mettere fuorilegge le associazioni palestinesi per i diritti umani. Ora si sono ritrovati con l’opportunità di farlo, e l’hanno colta al volo.”

“L’occupazione è la fonte della violenza”

L’Union of Agricultural Work Committees [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo] è stata fondata nel 1986. Tra le altre aree di attività, assiste i contadini palestinesi che coltivano le proprie terre nell’Area C, i due terzi della Cisgiordania che sono sotto totale controllo israeliano, in cui sono costruite e si espandono le colonie israeliane e dove Israele impedisce sistematicamente lo sviluppo dei palestinesi. Secondo il direttore dell’UAWC Abu Seif, Il suo lavoro è la ragione per cui sono stati messi fuorilegge.

“Israele vuole annettere l’Area C,” afferma. “Il nostro lavoro rafforza la presenza palestinese lì, in una zona in cui non è gradita. È per questo che da anni ci stanno perseguitando.”

Abu Seif continua: “Regavim (un’organizzazione israeliana di destra) ci ha attaccato quotidianamente, perché aiutiamo i contadini palestinesi a coltivare circa 3.000 dunam [300 ettari] di terreno all’anno e ad aprire strade agricole che mettono in relazione le aree A, B e C. Tutto il nostro lavoro viene fatto su terra privata, per aiutare gli agricoltori. Per ragioni politiche Israele impedisce loro di sfruttare i propri terreni, per espellerli.

Israele ha accusato due ex-dipendenti di UAWC di essere coinvolti nella morte di Rina Shenrab, una diciassettenne israeliana, in Cisgiordania nell’agosto 2019. Il ministro della Difesa ha citato l’assassinio dell’adolescente come la ragione dell’indicazione dell’unione come “organizzazione terroristica”.

“Erano due persone su un’organizzazione con 120 dipendenti, in cui nel corso degli anni hanno lavorato in migliaia,” afferma Abu Seif in merito alle accuse. “Non è che l’organizzazione abbia deciso di operare in quel modo. In quanto associazione rifiutiamo la violenza e diciamo che l’occupazione ne è la causa.”

Secondo Abu Seif per anni Israele ha cercato motivazioni relative alla sicurezza da utilizzare come scusa per chiudere varie associazioni palestinesi che operano nell’Area C.

Alla fine del 2020 la Commissione per gli Esteri e la Difesa della Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] si è riunito per discutere della lotta del governo contro queste organizzazioni. Durante la riunione il deputato Zvi Hauser [del partito di destra Nuova Speranza, ndtr.] ha evidenziato che la discussione era “di interesse nazionale prioritario” perché “ciò determinerà i futuri confini dello Stato.”

“Non si tratta solo di una lotta per la terra e per chi comanda, ma anche una lotta diplomatica, “ha detto durante la riunione della commissione Ghassan Alyan, ex- capo dell’Amministrazione Civile, l’ente del governo militare israeliano che gestisce i territori occupati. Alyan ha aggiunto che nel 2020, quando Bennett era ministro della Difesa, egli ha incontrato gli ambasciatori e diplomatici dei Paesi europei ed ha chiesto che smettessero di finanziare le organizzazioni palestinesi che operano nell’Area C.

“Abbiamo avvertito tutti: non tollereremo alcun progetto internazionale senza il consenso israeliano… e negli ultimi due anni siamo riusciti a ridurre il numero dei progetti,” ha affermato Alyan durante la riunione. “Nel 2019 c’erano circa 12 progetti, mentre nel 2015 ce n’erano in corso circa 75.”

“Israele sta tentando di stravolgere la reputazione di queste organizzazioni presso i nostri finanziatori,” afferma Abu Seif. “Se gli europei smettono di finanziarli, tutti questi gruppi spariranno. E sta funzionando”.

“Si stanno concentrando su due tipi di organizzazioni: quelle che agiscono a livello internazionale, come Al-Haq, e quelle che operano nell’Area C, come noi,” aggiunge Abu Seif. “Non è iniziato tutto due giorni fa, va avanti da anni.”

Il 7 luglio di prima mattina forze israeliane hanno fatto irruzione negli uffici dell’UAWC e li hanno chiusi. Quella mattina Abu Seif è arrivato e ha scoperto che i computer erano stati confiscati e le porte sigillate. Sulla porta era anche attaccato un ordine di chiusura emesso dal governatore militare israeliano.

“Devi capire che la nostra organizzazione si occupa solo di agricoltura. La maggioranza di noi è composta da ingegneri. Anch’io sono un ingegnere. Ora Israele ci arresterà tutti? Questa organizzazione è esistita per 35 anni,” dice Abu Seif.

Comunque la dichiarazione di sei organizzazioni storiche come “terroriste” non ha precedenti, afferma Abu Seif. “Ciò è stato possibile solo per via del nuovo governo,” sostiene. “Per quanto Netanyahu fosse malvagio, non è mai arrivato a un’iniziativa così drastica. A mio parere era più cauto. La lobby dei coloni e Regavim possono fare pressione più facilmente sull’attuale governo, che è molto più estremista.”

“Le radici di questo attacco”

Sahar Francis dirige Addameer, che fornisce supporto legale a prigionieri e detenuti palestinesi rinchiusi nelle prigioni di Israele e dell’ANP. “La maggior parte del lavoro della nostra organizzazione è con le autorità israeliane,” dice Francis. “Aspetto di vedere quello che diranno ai nostri avvocati nei tribunali militari.”

Francis continua: “Questa è una decisione politica, che deriva dalle continue persecuzioni contro di noi.  Come si può pubblicare sui giornali una dichiarazione simile senza sentire quello che queste associazioni hanno da dire? Senza un processo o il diritto a un dibattimento?”

Secondo Francis la decisione del governo fa parte di un’iniziativa ampia e a lungo termine contro la società civile palestinese. “È iniziata con un attacco da parte di organizzazioni di destra come NGO Monitor, che era in rapporto diretto con il governo israeliano,” spiega. “Poi, nel 2015, è stato lanciato il ministero degli Affari Strategici di Gilad Erdan, ed ha cercato di prosciugare i nostri finanziamenti a tempo indefinito.”

Secondo il comunicato stampa del Ministero della Difesa, Addameer è stata definita una “organizzazione terroristica” perché è stata creata da importanti membri dell’FPLP per occuparsi di prigionieri politici e delle loro famiglie. Eppure Addameer è stata fondata nel 1991, il che, se le accuse fossero vere, renderebbe la recente definizione da parte di Israele in ritardo di 30 anni.

La dichiarazione del ministro sostiene anche che negli uffici di Addameer ci sono stati incontri con importanti membri dell’FPLP e che l’organizzazione porta messaggi ai prigionieri per conto dell’FPLP. Tuttavia non sono state fornite ulteriori spiegazioni.

“Queste accuse sono semplicemente false,” risponde Francis. “L’associazione non è dell’FPLP. Ci occupiamo solo di difesa legale e di fare pressione a livello locale e internazionale. Siamo stati presi di mira per anni per una ragione: siamo riusciti a cambiare il paradigma in tutto il mondo parlando di apartheid e non solo di occupazione, e stiamo fornendo materiali all’Aia [cioè alla Corte Penale Internazionale, ndtr.].

“Dobbiamo tornare alle radici di questo attacco,” evidenzia. “Dall’inizio dell’occupazione Israele ha agito contro le organizzazioni della società civile. Ha definito illegali i sindacati dei lavoratori e degli studenti. Durante la Seconda Intifada ci fu un massiccio attacco contro le associazioni di solidarietà con il pretesto che erano legate ad Hamas. Penso che allora abbiamo fatto l’errore di non averlo preso sufficientemente sul serio. All’epoca l’Autorità Nazionale Palestinese ne era contenta perché, colpire quelli che vi si opponevano, favoriva i suoi interessi.

Il nostro messaggio, insieme alle altre organizzazioni, è che non smetteremo di lavorare. Non smetteremo di fornire servizi a quelli che hanno bisogno di noi. Rifiutiamo di stare in silenzio sul governo di apartheid dell’occupazione.”

  • Yuval Abraham è un fotografo e uno studente di linguistica.

 

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)