Ora Gaza ha una “biosfera di guerra” tossica a cui nessuno può sfuggire

Mark Zeitoun e Ghassan Abu Sitta

27 aprile 2019, The Conversation

Gaza è spesso stata invasa per la sua acqua. Ogni esercito che ha lasciato o è entrato nel deserto del Sinai, che sia quello dei babilonesi, di Alessandro Magno, degli Ottomani o degli inglesi, ha cercato là un sollievo. Ma oggi l’acqua di Gaza evidenzia una situazione tossica che sta aumentando vertiginosamente fuori controllo.

Una combinazione di ripetuti attacchi israeliani e la chiusura dei suoi confini da parte di Israele ed Egitto hanno lasciato il territorio nell’impossibilità di trattare la propria acqua o i propri rifiuti. Ogni goccia di acqua ingerita a Gaza, come ogni sciacquone del bagno o antibiotico assorbito torna nell’ambiente in uno stato di degrado.

Per esempio, l’acqua del gabinetto di un ospedale quando scorre filtra senza essere trattata attraverso la sabbia nell’acquifero. Lì si mescola con l’acqua avvelenata dai pesticidi delle fattorie, con metalli pesanti delle industrie e con il sale del mare. Poi viene pompata di nuovo su da pozzi comunali o privati, unita a una piccola percentuale di acqua potabile fornita da Israele e riciclata nei rubinetti delle abitazioni private. Ciò determina una diffusa contaminazione e acqua da bere non potabile, circa il 90% della quale supera le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per salinità e cloruro.

Incredibilmente le condizioni sono peggiorate a causa dell’emergere di “supermicrobi”. Questi organismi resistenti a molteplici farmaci si sono sviluppati in seguito a un’eccessiva prescrizione di antibiotici da parte di medici disperati per trattare le vittime di tali attacchi senza fine. Più ci sono danni, più ci sono possibilità di nuovi danni. Meno accessibilità regolare all’acqua potabile significa che le infezioni si diffonderanno più rapidamente, i microbi si rinforzeranno, più antibiotici verranno prescritti – e le vittime saranno ulteriormente indebolite.

Il risultato è quella che è stata denominata un’ecologia tossica o “biosfera di guerra”, di cui il ciclo dell’acqua nociva è solo un aspetto. Una biosfera si riferisce all’interazione di ogni essere vivente con le risorse naturali che le permette di sopravvivere. Il punto è che le sanzioni, i blocchi e lo stato permanente di guerra colpiscono ogni cosa di cui gli esseri umani hanno bisogno per vivere, mentre l’acqua diventa contaminata, l’aria inquinata, il suolo perde la sua fertilità e gli animali d’allevamento muoiono per le malattie. La gente di Gaza che è sfuggita alle bombe o al fuoco dei cecchini non ha vie di scampo dalla biosfera.

Chirurghi di guerra, antropologi della salute e ingegneri idraulici – compresi noi – hanno osservato questa situazione che si sviluppa ovunque incombano lunghi conflitti armati o sanzioni economiche, come i sistemi idrici a Bassora e quelli sanitari in Iraq o in Siria. È ormai giunto il momento di fare chiarezza.

C’è acqua – per qualcuno

Non è che non ci sia acqua potabile nei pressi di Gaza per alleviare la situazione. Solo a qualche centinaio di metri dal confine si sono fattorie israeliane che usano acqua potabile pompata dal lago di Tiberiade (il Mare di Galilea) per coltivare ortaggi destinati ai supermercati europei. Dato che il lago si trova a circa 200 km a nord e a 200 metri sotto il livello del mare, per pompare tutta quell’acqua viene utilizzata una grande quantità di energia. L’acqua del lago è anche tenacemente contesa da Libano, Giordania, Siria e dai palestinesi della Cisgiordania, ognuno dei quali rivendica la sovranità sul bacino del fiume Giordano.

Nel contempo Israele sta desalinizzando talmente tanta acqua di mare che in questi giorni i Comuni la stanno rifiutando. L’eccesso di acqua desalinizzata viene usato per irrigare le coltivazioni e l’autorità idrica del Paese sta persino progettando di usarla per riempire lo stesso lago di Tiberiade – un ciclo bizzarro e irrazionale, considerando che l’acqua del lago continua ad essere pompata in direzione contraria, nel deserto. Ora c’è così tanta acqua prodotta artificialmente che alcuni ingegneri israeliani possono dichiarare che “oggi nessuno in Israele patisce per mancanza d’acqua”.

Ma non si può dire altrettanto per i palestinesi, soprattutto non per quelli di Gaza. Là la gente ha fatto ricorso a vari filtri ingegnosi, a bollitori o apparecchi di desalinizzazione sotto il lavello o a livello di quartiere per trattare l’ acqua. Ma queste fonti non sono regolamentate, spesso piene di germi e proprio un ulteriore ragione per cui ai bambini vengono prescritti antibiotici – continuando quindi il modello di danno e ripetizione del danno. Nel contempo dottori, infermieri ed équipe per la manutenzione dell’acqua cercano di fare l’impossibile con l’equipaggiamento sanitario minimo a loro disposizione.

Le implicazioni per tutti quelli che investono nell’acqua ripetutamente distrutta e nei progetti sanitari di Gaza sono chiare. Fornire più ambulanze o serbatoi per l’acqua – la strategia “camion e cibo” – può funzionare quando i conflitti sono nel loro stadio più acuto, ma non sono altro che palliativi. Sì, le cose andranno meglio a breve termine, ma molto presto Gaza si ritroverà con la prossima generazione di antibiotici e dovrà fare i conti con super microbi rivestiti di teflon.

I donatori devono invece disegnare programmi che si adattino a una incessante biosfera di guerra che pervade tutto. Ciò significa addestrare molti più dottori e infermieri, fornire più medicine e infrastrutture di supporto per i servizi medici ed idrici. Cosa ancora più importante, i donatori dovrebbero costruire una “protezione” politica per difendere i propri investimenti (se non i bambini del posto), magari chiedendo a quelli che distruggono le infrastrutture di pagare le spese per le riparazioni.

E c’è un messaggio ancora più importante per tutti noi. La nostra ricerca mostra che la guerra è qualcosa di più di eserciti e geopolitica – si estende agli ecosistemi nel loro complesso. Se l’ideologia deumanizzante che sta dietro il conflitto venisse affrontata e se l’acqua in eccesso fosse deviata verso la gente piuttosto che nei laghi, allora i ripetuti danni facilmente evitabili sofferti dalla popolazione a Gaza diventerebbero una cosa del passato. I palestinesi troverebbero presto la loro biosfera molto più sana.

Su Mark Zeitoun

Mark Zeitoun è professore di Sicurezza Idrica all’università dell’East Anglia [in Gran Bretagna, ndt.] ed ex ingegnere per l’aiuto umanitario in Africa e in Medio Oriente.

Su Ghassan Abu Sitta

Ghassan Abu Sitta è fondatore del programma di medicina dei conflitti presso l’università Americana di Beirut ed è stato medico di guerra in Europa e in Medio Oriente.

(traduzione di Amedeo Rossi)