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Mekorot, l’impresa idrica nazionale di Israele, riduce la fornitura d’acqua a Betlemme e Hebron in Cisgiordania

Redazione The New Arab

16 luglio 2023The New Arab

L’Autorità idrica palestinese ha descritto come ‘razzista’ e ‘discriminatoria’ la decisione di ridurre la fornitura d’acqua a Betlemme e Hebron.

Sabato l’Autorità idrica palestinese (PWA) ha riferito che Mekorot, l’impresa idrica nazionale di Israele, ha ridotto la quantità giornaliera che fornisce a Betlemme e Hebron, nella Cisgiordania occupata.

La PWA ha detto che Mekorot ha ridotto la fornitura di circa 1.419 litri e sta privando i palestinesi dell’accesso all’acqua sufficiente, specialmente durante l’estate con le attuali alte temperature in Cisgiordania.

L’Autorità idrica ha continuato definendo “razzista” la decisione e precisando che “non ci sono motivi tecnici”.

“Non sono stati rilevati guasti alla sorgente, si tratta piuttosto di una misura discriminatoria che va ad aggiungersi alle politiche razziste messe in atto dalle autorità di occupazione,” continua l’Autorità citata da WAFA, l’agenzia di notizie ufficiale palestinese.

I palestinesi in Cisgiordania e nell’assediata Striscia di Gaza soffrono da tempo per le forniture idriche insufficienti e a causa della siccità, poiché Israele controlla l’80 % delle riserve d’acqua del territorio occupato.

A causa delle restrizioni soprattutto i contadini incontrano moltissime difficoltà a coltivare le proprie terre in Cisgiordania mentre i coloni illegali israeliani non devono affrontare gli stessi ostacoli.

Secondo la ONG israeliana B’tselem gli israeliani, inclusi i coloni illegali in Cisgiordania, consumano una media di 247 litri per persona al giorno, tre volte tanto i palestinesi che consumano una media di 82,4 litri al giorno.

A maggio di quest’anno l’ONG ha riferito che solo il 36% dei palestinesi in Cisgiordania ha l’acqua corrente ogni giorno.

In media il consumo d’acqua per palestinese è inferiore alla quantità raccomandata a livello internazionale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che prevede 100 litri. al giorno.

La differenza nelle forniture idriche fra palestinesi e israeliani è solo una delle discriminazioni che i palestinesi subiscono per mano degli israeliani, che occupano Cisgiordania e Gerusalemme Est dal 1967.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele, con demolizioni e confische di proprietà, sfolla 50 palestinesi in due settimane

Redazione di The New Arab

20 maggio 2023 – NewArab

Sono più di venti i minori tra i 50 palestinesi sfollati a causa di confische e demolizioni di proprietà, compresi alcuni casi in cui le autorità israeliane hanno costretto le persone a demolire le proprie case.

In due settimane dall’inizio di questo mese Israele ha sfollato 50 palestinesi con demolizioni e confische di proprietà a Gerusalemme Est e in aree della Cisgiordania.

Tra gli sfollati c’erano 23 bambini, ha detto venerdì l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) nel suo rapporto dal 2 al 15 maggio.

Vi sono stati anche casi in cui le autorità israeliane hanno costretto le persone a demolire da sé le proprietà. Ha riguardato Gerusalemme Est e l’Area C della Cisgiordania che è sotto il controllo di Israele.

“Le autorità israeliane hanno demolito, confiscato o costretto le persone a demolire 42 strutture a Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania, comprese 17 case, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele che sono quasi impossibili da ottenere”, ha affermato l’OCHA.

Ha aggiunto che nove delle strutture, tra cui una scuola, erano state edificate come aiuto umanitario.

Delle 42 strutture in questione, 26 erano ubicate in Area C.

“Le restanti 16 sono state demolite a Gerusalemme Est, compresi due complessi residenziali demoliti nell’area di Wadi Qaddum a Silwan provocando lo sfollamento di sette famiglie comprendenti 39 persone di cui 22 minori”, ha affermato l’OCHA.

Altre sette strutture sono state distrutte dai proprietari per evitare il pagamento di multe alle autorità israeliane”.

Il 7 maggio le forze israeliane hanno distrutto la scuola elementare Jubbet Al-Dhib vicino a Betlemme, suscitando aspre critiche da parte dell’Unione Europea che aveva finanziato il progetto.

L’UE ha dichiarato di essere “sconvolta” alla notizia delle forze israeliane entrate all’alba nel sito della scuola, che secondo un funzionario dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ospitava 45 studenti ed era composta da cinque aule.

Si richiede un blocco affinché Israele “fermi tutte le demolizioni e gli sfratti, che aumenteranno solo le sofferenze della popolazione palestinese e aggraveranno ulteriormente un’atmosfera già tesa”.

“Le demolizioni sono illegali secondo il diritto internazionale, e il diritto dei bambini all’istruzione deve essere rispettato”, ha affermato in una nota l’ufficio del rappresentante UE nei Territori palestinesi.

A parte gli eventi a Gerusalemme Est e nell’Area C, un’altra struttura residenziale è stata distrutta e altre tre danneggiate nell’Area A della Cisgiordania, che dovrebbe essere sotto il pieno controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese, ha affermato l’OCHA.

Ne sono responsabili le forze israeliane secondo l’organismo delle Nazioni Unite che ha affermato i fatti essere accaduti durante un’operazione nella città vecchia di Nablus.

Nablus, insieme alla città di Jenin, è stata obiettivo centrale di micidiali raid israeliani in Cisgiordania negli ultimi mesi.

Ad oggi, di quest’anno le forze e i coloni israeliani hanno ucciso oltre 150 palestinesi, in media più di uno al giorno.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Le proteste in Israele: una rivolta per lo status quo

Ben White

13 marzo 2023 – The New Arab

Le proteste antigovernative israeliane non riguardano un cambiamento “rivoluzionario”, ma il mantenimento dello status quo, sostiene Ben White, uno status quo che include un regime di apartheid per i palestinesi.

“Dov’eri ad Hawara?” Così recita il coro rivolto di recente alla polizia israeliana dai manifestanti [israeliani, ndt] antigovernativi, in seguito all’orrendo attacco dei coloni nella città dell’area di Nablus.

Mentre per alcuni, le accuse ripetute sono da intendersi come un atto d’accusa contro l’impunità dei coloni, hanno anche un messaggio più problematico. L’implicazione è che la polizia fosse assente, un vuoto sfruttato da coloni fanatici. In realtà le forze israeliane erano presenti e hanno accompagnato e protetto i coloni.

Una domanda di gran lunga migliore di “Dov’eri ad Hawara?” sarebbe “Perché siamo ad Hawara?” Ma questo interrogativo non viene posto, figuriamoci dare una risposta. Il movimento di protesta che attanaglia Israele ha un obiettivo semplice: fermare un governo nel suo cammino. Non vuole il cambiamento, vuole che le cose rimangano le stesse.

Questa è la chiave per capire come e perché l’opposizione ai piani del governo abbia mobilitato settori della società, comprese le grandi imprese e l’hi-tech, fino ai riservisti d’élite.

La folla per le strade e le promesse di disobbedienza civile possono sembrare ad alcuni una “rivoluzione”, ma la forza trainante è un appello per la stabilità dello status quo, che include il regime di apartheid sperimentato dai palestinesi.

Legge e ordine coloniale: rendere legale l’illegale

Si è parlato molto delle voci di protesta provenienti da attuali ed ex membri dei servizi militari, di sicurezza e di intelligence israeliani. Haaretz ha recentemente pubblicato un ampio articolo in cui intervista approfonditamente un certo numero di riservisti che si stanno mobilitando contro la revisione del sistema legale, che includerà – tra le altre modifiche – il potere della Knesset di annullare le sentenze della Corte Suprema.

Alcuni sono stati invitati a riflettere sul motivo per cui questi sviluppi li hanno spinti a rifiutare il servizio diversamente da quanto successo in seguito alle esperienze nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza. Le loro risposte sono istruttive:

Sapevamo molto bene cosa stavamo facendo. Non ci siamo opposti, non ci siamo rifiutati di obbedire agli ordini, perché capivamo che questo è un Paese democratico”.

“Almeno fino ad oggi, potevi dire a te stesso che tutte quelle decisioni, anche quando erano controverse… venivano prese all’interno delle regole del gioco di un paese democratico”.

“Potevi avere dubbi sulla loro moralità, ma erano state prese nel contesto di un conflitto lungo anni tra due parti, una delle quali si comportava come una democrazia”.

Quando ti viene richiesto di compiere azioni nell’area grigia, sull’orlo del nero, specialmente rispetto agli attacchi a Gaza, lo fai come missione ordinata da un governo che agisce nel quadro di regole del gioco chiare e definite”.

L’idea che i propri ordini siano stati legalmente approvati, e la convinzione che Israele sia un “paese democratico”, sono un elemento centrale nell’autogiustificazione per compiere atti che sono, di fatto, illegali (a livello internazionale) e profondamente anti-democratici (mantenimento di un regime di apartheid nei confronti dei palestinesi).

Un’altra lettera di circa 150 riservisti dell’esercito israeliano che prestano servizio come specialisti informatici ha avvertito che se le modifiche proposte diventeranno legge, “il quadro morale e legale che ci consente di sviluppare e gestire gli strumenti sensibili che utilizziamo sarà danneggiato”.

“Ci consente” di pronunciarci in più di un senso. Il 12 febbraio, il Comitato Costituzione, Legge e Giustizia della Knesset ha ascoltato una discussione sulle “possibili conseguenze” dei nuovi cambiamenti “sui tentativi di Israele di far fronte alla campagna legale internazionale” – vale a dire gli sforzi per portare in giudizio i responsabili dei crimini di guerra commessi nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza.

Il vice procuratore generale Gilad Noam è stato chiaro: la “percezione del sistema giudiziario israeliano nell’arena internazionale come indipendente, professionale e apolitico” è stata “una barriera molto significativa all’intervento esterno”, paragonata nel suo impatto a “Iron Dome” [il sistema di difesa antimissilistico utilizzato contro i razzi provenienti dalla Striscia di Gaza, ndt].

Indipendentemente dalla realtà di un sistema caratterizzato non solo da una cultura dell’impunità ma anche da “innovazioni” giuridiche per giustificare i crimini di guerra, è la “percezione” dell’indipendenza del sistema giudiziario che conta. Ora, i funzionari israeliani – e i riservisti dell’aeronautica – sono preoccupati di poter essere soggetti ad arresti in altri paesi.

I palestinesi e le proteste: assenti e presenti

Tali discussioni, e la mobilitazione dei riservisti, sono un esempio di come i palestinesi siano sia assenti che presenti nel movimento di protesta israeliano.

Sono assenti nel senso che non c’è riconoscimento della loro realtà di espropriazione, segregazione e violenza. Le poche bandiere palestinesi apparse inizialmente hanno solo stimolato un’ondata di bandiere israeliane. Gli stessi cittadini israeliani palestinesi non si sono presentati in gran numero.

Eppure i palestinesi sono anche “presenti” in quanto fanno parte di questa storia in ogni momento – dalle ragioni della mancanza di una costituzione formale da parte di Israele negli anni successivi alla Nakba, fino alle ambizioni di Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir per l’accelerazione dell’espansione coloniale e dell’annessione.

Colpisce che il bulldozer corazzato D9 dell’esercito israeliano sia diventato una metafora popolare per indicare la riforma del sistema giudiziario dell’attuale governo tra i suoi oppositori, tra cui l’ex primo ministro Ehud Barak, l’ex ministro della difesa Moshe Ya’alon e l’ex parlamentare del Likud Limor Livnat.

L’allusione senza ironia al D9 – utilizzato per demolire migliaia di case palestinesi – illustra perfettamente i parametri di queste proteste e quale tipo di “democrazia” cercano di preservare.

Un’occupazione ordinata

Una delle ironie delle attuali divisioni politiche che attanagliano la società israeliana, e della situazione in cui si trova Netanyahu, è che la forza dell’opposizione alla legislazione pianificata è, in parte, la testimonianza di quanto successo abbia avuto il leader del Likud nella “gestione del conflitto”. ‘.

Riconfezionata sotto Naftali Bennett come “restringimento dell’occupazione”, il suo nocciolo era facilmente comprensibile: l’economia israeliana è solida, i palestinesi sono sotto controllo e, a poco a poco, la colonizzazione e l’annessione de facto possono procedere in modo incrementale: l'”occupazione invisibile”.

È una adesione a questo status quo che anima il movimento di protesta: un ambiente stabile per gli investimenti e una magistratura indipendente dalla Knesset ma per niente indipendente dalla spinta colonizzatrice in Cisgiordania o dalla discriminazione subita dai cittadini palestinesi.

La furia dei coloni ha reso Hawara una parola d’ordine tra i manifestanti israeliani per la sua caotica incompetenza e fanatismo. Ma l’esperienza di Hawara sotto il governo militare, come per centinaia di altre comunità palestinesi, non è stata di “caos” ma di ordine: un ordine coloniale.

Ben White è uno scrittore, analista e autore di quattro libri, tra cui “Cracks in the Wall: Beyond Apartheid in Palestine/Israel”.

Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non rappresentano necessariamente quelle di The New Arab, del suo comitato editoriale o della redazione.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




A Nablus i palestinesi hanno scioperato contro le uccisioni da parte di forze israeliane

Redazione di The New Arab

12 marzo 2023 – The New Arab

Domenica, dopo che forze israeliane hanno sparato contro un veicolo con palestinesi a bordo nei pressi del posto di blocco militare di Surra, a ovest di Nablus, i negozi sono rimasti chiusi.

Domenica nella città cisgiordana di Nablus i palestinesi hanno scioperato contro l’uccisione di tre palestinesi da parte delle forze di occupazione israeliane all’inizio della giornata.

I negozi sono rimasti chiusi dopo che forze israeliane hanno sparato contro un veicolo in cui viaggiavano tre palestinesi nei pressi del posto di blocco militare di Surra, a ovest di Nablus.

Il ministero della Sanità palestinese ha affermato che nell’attacco sono rimasti uccisi tre palestinesi, tra cui un diciottenne. Ha informato che i loro corpi sono stati sequestrati dalle forze israeliane.

Una fonte ha detto al servizio in lingua araba Al-Araby al-Jadeed di The New Arab che durante l’attacco un palestinese, identificato come Ibrahim al-Awartani, è stato arrestato.

Secondo il ministero della Sanità palestinese le morti di domenica hanno portato a 84 il numero totale dei palestinesi uccisi da forze israeliane da gennaio.

Il coordinatore di una campagna nazionale per la restituzione di corpi palestinesi tenuti da Israele, Hussein Shujaia, ha detto ad Al- Araby Al-Jadeed che il numero dei corpi di palestinesi trattenuti dalle forze di occupazione dal 2015 è ora salito a 133, tra cui 19 trattenuti da gennaio.

Secondo un comunicato citato dall’agenzia di notizie palestinese Wafa, il movimento Fatah ha condannato l’attacco, che afferma essere stato un tentativo del governo israeliano di esacerbare la situazione.

Utilizzando una frase comunemente utilizzata dagli israeliani in riferimento ai palestinesi come “erbaccia” da tagliare, il comunicato afferma che “la cosiddetta politica di ‘falciare il prato’ praticata dalle forze di occupazione non intimidirà il nostro popolo.”

Il presidente del Consiglio Nazionale Palestinese [organo legislativo dell’OLP, ndt.], Ruhi Fattouh, ha affermato che il governo israeliano deve essere chiamato a rispondere dell’uccisione dei palestinesi.

In una dichiarazione trasmessa dalla WAFA Fattouh ha detto: “Le forze di occupazione erigono barriere di morte agli ingressi delle città palestinesi per uccidere a sangue freddo cittadini con false accuse per giustificare le loro quotidiane esecuzioni sul campo.”

Fattouh ha sostenuto che le ripetute esecuzioni ai posti di controllo militari sono una chiara indicazione che le forze di occupazione “hanno istruzioni esplicite di uccidere” da parte del governo israeliano.

La violenza contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata è peggiorata da quando il primo ministro Benjamin Netanyahu è tornato al potere in dicembre con una coalizione di governo insieme a ebrei ultra-ortodossi e alleati di estrema destra.

Associazioni per i diritti umani hanno spesso invitato le autorità di Tel Aviv a interrompere le “uccisioni illegali di palestinesi da parte di forze israeliane”, affermando che esse rappresentano “esecuzioni extragiudiziarie”.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’esercito israliano ammette di aver ucciso senza motivo un padre palestinese disarmato di fronte a suo figlio

Redazione di The New Arab

23 gennaio 2023 – The New Arab

Continua a cambiare la narrazione dell’esercito riguardo all’uccisione di Ahmad Kahla, che era disarmato, ad un posto di blocco in Cisgiordania.

Le forze israeliane hanno ammesso di aver ucciso senza motivo Ahmad Kahla, che non era armato e che è stato colpito a morte di fronte a suo figlio ad un posto di blocco a nord di Ramallah il 15 gennaio.

Secondo fonti di informazione israeliane, con una rara ammissione di responsabilità, un’indagine iniziale della polizia militare israeliana ha scoperto che il quarantacinquenne è stato “colpito a morte senza motivo”.

In precedenza l’esercito israeliano aveva affermato che i soldati avevano colpito qualcuno dopo uno “scontro violento” durante il quale Kahla “avrebbe tentato di impadronirsi delle armi di uno dei soldati”.

Ora indagini militari hanno concluso che queste affermazioni sono false.

Il figlio dell’uomo, Qusai Kahla, ha riferito ai giornalisti che si trovava nell’auto con suo padre quando sono stati fermati al posto di blocco.

I soldati sono arrivati ed hanno spruzzato uno spray al peperoncino sulla mia faccia e mi hanno tirato fuori dall’auto”, ha detto il diciottenne a sua casa nel villaggio di Rammun.

Non so cosa sia accaduto dopo,” ha detto “Ho saputo da mio zio che mio padre era stato ucciso.”

Nel frattempo l’esercito israeliano ha affermato che i palestinesi si erano rifiutati di fermarsi e i soldati avevano usato “mezzi anti-sommossa al fine di arrestare uno dei sospetti nel veicolo”.

Lo spray al peperoncino che i soldati israeliani hanno usato non è in dotazione dell’esercito, ma è stato spruzzato su tutto il corpo di Ahmad Kahla prima che fosse colpito a morte.

Poi, quando il video della sparatoria è stato pubblicato sui social media, le fonti dell’esercito hanno cambiato versione sostenendo che Kahla aveva “cercato di afferrare una delle loro pistole”.

Il video non supporta le loro dichiarazioni, e testimoni oculari hanno detto agli investigatori militari che egli stava agitando le braccia quando è stato tirato fuori dal veicolo.

Il ministero degli Esteri palestinese ha condannato l’uccisione come una “orrenda esecuzione”.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Timori dei palestinesi dopo che l’israeliana Elbit Systems ha rivelato che nella Cisgiordania occupata verrà utilizzato un nuovo “terribile” drone

Redazione di The New Arab

25 novembre 2022 – The New Arab

Il nuovo drone di Elbit Systems presenta nuovi pericoli per i civili palestinesi nella Cisgiordania occupata

Un recente video reso pubblico dall’industria bellica israeliana Elbit Systems in cui si mostra un nuovo drone ha sollevato timori riguardo ad armi automatizzate con tecnologia avanzata che potrebbero essere utilizzate contro civili palestinesi.

Lanius è un nuovo drone armato in grado di mappare edifici e di volare attraverso stretti corridoi e vani della porta anche in aree urbane.

L’industria bellica afferma che renderà più facile per chi lo utilizzerà trovare “punti di interesse per possibili minacce” e che può portare carichi letali o non letali per eseguire un “ampio spettro di possibili missioni”.

“Lanius riunisce una serie di tecnologie che lo pongono all’avanguardia nel modo in cui i droni stanno trasformando la guerra,” afferma Elbit.

Secondo il sito di Elbit il drone “è un’arma vagante molto manovrabile e versatile basata su un drone e destinata a operazioni a corto raggio in contesto urbano.”

https://www.youtube.com/watch?v=4McPHBQ9pNw

Il dottor Samuel Perlo-Freeman, della Campaign Against Arms Trade [Campagna Contro il Commercio delle Armi] (CAAT) afferma che è probabile che ogni nuova potenzialità letale israeliana significhi più terrore e morte per i palestinesi della Cisgiordania occupata.

“Il fatto che questi droni siano concepiti per operare in angusti contesti urbani… potrebbe aggiungere una nuova dimensione al terrore per la popolazione civile, con droni mortali che svolazzano attorno agli edifici dove essa vive e lavora, non sapendo mai se e quando potrebbero colpire,” dice a The New Arab.

Secondo Perlo-Freeman pare che Lanius abbia una “persona responsabile” che prende le decisioni su quando colpire i bersagli.

“La possibilità che armi totalmente autonome (sistemi d’arma letali autonome) possano prendere la decisione di colpire un bersaglio senza intervento umano è una delle prospettive più terrificanti nella guerra contemporanea.”

Il coordinatore di ricerca del CAAT afferma che, mentre ciò non è ancora avvenuto, la tecnologia militare sta avanzando rapidamente senza alcuna regolamentazione internazionale su tali armi.

The New Arab si è rivolto a Elbit System per un commento, ma al momento della pubblicazione [di questo articolo] non ha ancora ricevuto una risposta.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La “conferenza del popolo” palestinese chiede riforme e lancia iniziative per elezioni generali.

Qassam Muaddi

08 novembre 2022-The New Arab

Nella sua dichiarazione finale, la conferenza ha chiesto l’elezione di un nuovo Consiglio Nazionale Palestinese in elezioni generali, organizzate in tutti i luoghi in cui i palestinesi possono votare.

Una fonte vicina alla conferenza ha riportato lunedì al New Arab che la “conferenza del popolo palestinese”, una coalizione di attivisti politici e della società civile palestinesi, sta pianificando una serie di attività volte a chiedere elezioni generali palestinesi e riformare l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP).

La fonte ha affermato che le attività includeranno incontri e discussioni, ma anche proteste nella Cisgiordania occupata e all’estero.

Secondo la fonte, è stato formato un comitato speciale per dirigere le azioni da annunciare in una speciale conferenza stampa a Ramallah oggi, martedì [8 novembre 2022, ndt.].

Sabato la conferenza ha concluso un ciclo di incontri pubblici organizzati nell’arco di due giorni in diverse città palestinesi e nei Paesi limitrofi. Gli incontri a Ramallah sono stati annullati in seguito alle pressioni dell’Autorità Nazionale Palestinese.

“In totale, più di 1500 palestinesi hanno partecipato alla conferenza in Palestina e all’estero”, ha detto domenica a TNA [The New Arab] Omar Assaf, un membro di spicco della conferenza.

Assaf è stato detenuto per diverse ore sabato in quello che ha definito “un tentativo di intimidazione”.

Assaf sostiene che il Comune di Ramallah ha subito pressioni perché non ci permettesse di tenere le riunioni nei suoi locali”.

“Più tardi, durante la giornata, la polizia mi ha arrestato e portato in una stazione di polizia a Ramallah, dove mi è stato chiesto di non partecipare alla conferenza, ma ho rifiutato. Alla fine sono stato rilasciato senza condizioni dopo quattro ore”, aggiunge.

Nella sua dichiarazione finale la conferenza ha chiesto l’elezione di un nuovo Consiglio nazionale palestinese con elezioni generali da organizzare in tutti i luoghi in cui i palestinesi possono votare

Il Consiglio Nazionale Palestinese è il più alto organo legislativo e costituente dell’OLP. I suoi membri includono rappresentanti della maggior parte delle fazioni palestinesi, dei sindacati professionali e delle organizzazioni della società civile e delle minoranze religiose.

Il consiglio non è stato eletto da più di trent’anni e il suo ruolo è stato notevolmente ridotto dalla creazione dell’Autorità Palestinese nel 1994.

“L’OLP è l’unica rappresentante legittima del popolo palestinese, ed è la cosa più sacra che abbiamo dopo la Palestina e Gerusalemme”, ha detto domenica Mowafaq Matar, un membro del Consiglio Nazionale Palestinese vicino all’ANP, in un commento alla stampa.

“La cosiddetta conferenza popolare è un tentativo di creare un’alternativa all’OLP, il che equivale ad alto tradimento”, ha aggiunto Matar.

“Pretendere una riforma è un diritto fondamentale dei palestinesi”, ha affermato in un commento alla stampa Salman Abu Sitta, storico palestinese e membro del comitato organizzatore della “conferenza popolare”.

“L’OLP deve essere riformata attraverso elezioni democratiche”, ha aggiunto Abu Sitta.

Le elezioni generali, anche per il Consiglio Nazionale Palestinese, sono state concordate dai leader di tutte le fazioni palestinesi nel settembre 2021 in Algeria. Secondo l'”accordo algerino”, le elezioni per il CNP e per la presidenza e il Consiglio Legislativo dell’ANP avrebbero dovuto svolgersi simultaneamente.

All’inizio del 2021 le fazioni palestinesi avevano deciso di tenere prima le elezioni per il Consiglio Legislativo dell’ANP seguite dalle elezioni presidenziali, e di posticipare le elezioni per il CNP. Le elezioni legislative erano previste per maggio 2021.

Ad aprile [2021] il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha sospeso le elezioni, annunciando che si terranno solo quando Israele consentirà l’apertura dei seggi elettorali a Gerusalemme.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Le forze israeliane mantengono la chiusura di Nablus per il settimo giorno consecutivo

Qassam Muaddi – Cisgiordania

17 ottobre 2022 – The New Arab

“È stata una settimana difficile, senza lavoro e con il rumore dei droni israeliani che sorvolano la città 24 ore su 24”, ha commentato Ghazal. “La cosa peggiore è che non è finita e non sappiamo quando finirà”.

Le forze israeliane continuano per il settimo giorno a imporre una chiusura militare alla città palestinese di Nablus nella Cisgiordania occupata.

Le forze israeliane hanno interdetto i movimenti dentro e fuori la città da martedì scorso in seguito all’uccisione di un soldato israeliano in una sparatoria vicino all’insediamento israeliano di Shavei Shomron, a nord di Nablus.

Il Lions’ Den [Fossa dei leoni], un gruppo di combattenti palestinesi di diverse fazioni, radicati a Nablus, ha rivendicato l’operazione.

A seguito dell’attacco le forze israeliane hanno bloccato diverse strade a nord-ovest di Nablus, isolando dieci villaggi dalla città, per poi imporre una ulteriore restrizione al movimento all’interno della città mettendo posti di blocco agli ingressi.

“Sebbene all’interno della stessa Nablus la vita sembri normale, ci sono molte meno persone nelle strade”, ha detto a The New Arab Ameen Abu Wardeh, giornalista palestinese che abita a Nablus.

“Le persone evitano di mettersi in condizione di lasciare Nablus perché potrebbero volerci ore solo per uscire dalla città, mentre le persone dei villaggi circostanti non possono accedere al centro”, ha aggiunto Abu Wardeh. “Il commercio è diminuito in modo significativo poiché il mercato nella città vecchia è quasi vuoto mentre nei giorni normali è pieno di persone e anche l’istruzione è stata colpita”.

L’Università Al-Najah di Nablus ha annunciato sulla sua pagina Facebook che da mercoledì scorso le lezioni si sarebbero tenute on-line.

“Le lezioni continueranno on-line per il resto della settimana e riprenderanno in presenza sabato prossimo”, si legge nell’annuncio dell’Università. “Si prenderanno accordi con gli studenti che non riusciranno ad accedere al campus, in collaborazione con i docenti”.

“Non ci sono quasi studenti all’Università, e dunque non abbiamo venduto quasi nulla nell’ultima settimana”, ha detto a The New Arab Nisreen Ghazal, proprietario di un’azienda di cibo da asporto fatto in casa situata di fronte all’Università di Al-Najah.

“Nei giorni normali, la nostra strada è piena di studenti, insegnanti e dipendenti che sono nostri clienti”, ha detto Ghazal. “Oggi non c’è nessuno ad eccezione di pochi residenti”.

“È stata una settimana difficile, senza lavoro e con il rumore dei droni israeliani che sorvolano la città 24 ore su 24”, ha osservato Ghazal. “La cosa peggiore è che non è finita e non sappiamo quando finirà”.

“Le persone che hanno assolutamente bisogno di lasciare Nablus possono farlo, ma devono percorrere lunghe strade alternative e aspettarsi un posto di blocco israeliano improvvisato lungo la strada”, ha detto a The New Arab Fidaa Abu Hamdiyah, residente a Ramallah, mentre lasciava Nablus.

“Ho lasciato la casa di un amico a Nablus alle 14:45 e sono arrivata a una delle strade alternative che attraversano un villaggio vicino circa 15 minuti dopo”, ha detto Abu Hamdiyah. “Ho aspettato il mio turno in una lunga fila di auto mentre i soldati israeliani perquisivano ogni veicolo in dettaglio e ne costringevano alcuni a tornare in città. Sono finalmente riuscita a uscire da Nablus intorno alle 15:40, quasi un’intera ora dopo aver deciso di partire”.

Nella tarda serata di domenica le forze israeliane hanno fatto irruzione a Nablus e arrestato un palestinese, tra crescenti preoccupazioni per un possibile raid più vasto sulla città.

Sempre domenica la Brigata Jenin, gruppo che raduna combattenti palestinesi nel campo profughi di Jenin, ha affermato in una dichiarazione che i suoi membri “non lasceranno soli i fratelli di Nablus, anche se dovessimo inviare combattenti a Nablus per combattere al loro fianco”.

Nello stesso tempo le forze israeliane continuano a imporre la chiusura del campo profughi di Shuafat a Gerusalemme e cercano un palestinese sospettato di essere coinvolto nella sparatoria che ha ucciso due soldati israeliani a un posto di blocco fuori dal campo la scorsa settimana.

Gli scontri tra forze israeliane e manifestanti palestinesi sono continuati per tutta la settimana nella Gerusalemme occupata e la polizia israeliana ha annunciato di aver arrestato 50 palestinesi.

La chiusura di Nablus avviene nel corso di una continua escalation in Cisgiordania in cui secondo il Ministero della Salute palestinese le forze israeliane hanno ucciso dall’inizio dell’anno più di 100 palestinesi.

(Traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




In centinaia piangono due palestinesi uccisi in seguito alle incursioni israeliane in Cisgiordania

MENA

Qassam Muaddi

Cisgiordania, 2 settembre 2022 – The New Arab

Yazan Afaneh, di 24 anni, è stato ucciso a Ramallah da un proiettile israeliano sparato al cuore, mentre il 25enne Samer Khaled è stato ucciso da un palestinese armato immediatamente dopo un’incursione israeliana a Balata.

Centinaia di palestinesi giovedì hanno preso parte ai funerali del 24enne Yazan Afaneh e del 25enne Samer Khaled, entrambi uccisi durante le incursioni militari israeliane in Cisgiordania occupata.

Nel campo profughi di Qalandia fuori Ramallah i palestinesi hanno pianto Yazan Afaneh, il secondo rifugiato del campo ucciso dalle forze israeliane in due settimane.

A inizio agosto le forze israeliane avevano ucciso nella sua casa l’abitante di Qalandia Mohammad Shaham, di 25 anni, trattenendo poi il suo corpo.

Yazan era un giovane semplice, con una vita normale e normali aspettative rispetto al proprio futuro”, ha detto suo padre a The New Arab, mentre riceveva le condoglianze nella sala del comitato di servizio popolare di Qalandia.

Era fuori casa quando ho ricevuto una telefonata da uno dei suoi amici, che mi ha detto che era stato ferito dall’esercito israeliano”, ricorda il padre. “Sono corso all’ospedale di Ramallah e ho saputo che era morto appena dopo l’arrivo.”

Mohammad Abu Latifah, un caro amico del defunto, ha detto che Afaneh era un barbiere conosciuto ed era gentile con tutti nel campo.

Era amico dei vecchi e dei giovani ed anche dei bambini”, dice Latifah.

Afaneh si trovava a Sateh Marhaba, Ramallah, quando veicoli dell’esercito israeliano sono entrati nel quartiere, provocando il lancio di pietre contro i soldati da parte della gente del luogo alla quale si è unito il giovane barbiere.

I soldati israeliani hanno iniziato a sparare e Yazan ha ricevuto una pallottola nel cuore…Prima dell’arrivo dell’ambulanza Yazan aveva perso molto sangue ed è morto prima di arrivare all’ospedale”, aggiunge.

La polizia palestinese lancia lacrimogeni sulle persone in lutto

Nel campo profughi Balata a Nablus centinaia di palestinesi hanno preso parte al funerale di Samer Khaled, di 25 anni, ucciso durante un’incursione israeliana nel campo dopo mezzanotte.

Il funerale è stato interrotto dalla polizia palestinese che ha lanciato candelotti lacrimogeni sul corteo. I partecipanti infuriati hanno bloccato diverse strade protestando, prima che il funerale proseguisse e il corpo di Khaled fosse finalmente deposto nel cimitero di Nablus.

E’ successo che l’esercito israeliano ha sostenuto di non aver ucciso Samer Khaled e quindi l’Autorità Nazionale Palestinese ha voluto eseguire un’autopsia sul suo corpo”, ha detto a The New Arab Ameen Abu Wardeh, un giornalista abitante di Nablus.

Ha detto che la famiglia ha respinto la richiesta e ha voluto procedere col funerale, facendo sì che la polizia palestinese cercasse di fermare il corteo e di portare il corpo all’obitorio per l’autopsia.

Le cose sono sfuggite di mano e sono scoppiati disordini”, ha detto Abu Wardeh.

Media israeliani hanno detto che dirigenti palestinesi avevano comunicato loro che Khaled probabilmente non era stato ucciso dal fuoco israeliano.

Il governatore di Nablus dell’ANP ha dichiarato che le forze israeliane avevano fatto irruzione a Balata dopo la mezzanotte di mercoledì e quando si è conclusa un veicolo non registrato è entrato nel campo profughi mentre un palestinese armato ha cercato di fermarlo. Ai veicoli non identificati è vietato entrare nel campo profughi dopo la mezzanotte.

Secondo la dichiarazione del governatore l’auto ha rifiutato di fermarsi e il palestinese armato ha aperto il fuoco, ferendo a morte alla nuca Samer Khaled. La dichiarazione del governatore ha aggiunto che in un’indagine sull’uccisione sono stati arrestati tre palestinesi.

Le forze israeliane recentemente hanno usato veicoli civili per irrompere in zone residenziali palestinesi, compresa la città vecchia di Nablus e il campo profughi Balata.

Negli ultimi due mesi Nablus è stata al centro di un’escalation militare israeliana. Le forze israeliane hanno ripetutamente assalito il settore orientale della città, spesso scortando i coloni al sito religioso della ‘Tomba di Giuseppe’ e con scontri a fuoco con palestinesi armati.

A fine luglio e inizio agosto le forze israeliane hanno aggredito anche la città vecchia di Nablus, ingaggiando una battaglia di ore con militanti palestinesi. Sono stati uccisi quattro combattenti palestinesi, oltre ad un adolescente.

Dirigenti USA visitano la regione

Le incursioni israeliane nelle città palestinesi proseguono mentre la vice Segretaria di Stato USA per gli Affari Esteri Barbara Leaf visita Israele e la Cisgiordania occupata per tre giorni, come parte di un più vasto giro della regione.

Secondo quanto riferito da media palestinesi, discuterà della recente escalation in Cisgiordania.

Mercoledì il Primo Ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha incontrato l’inviato USA nella regione, Hadi Amru, a Ramallah.

Secondo l’agenzia di notizie dell’ANP Wafa, Shtayyeh ha detto a Amru che il popolo palestinese “sta subendo una forte pressione” a causa di “misure repressive israeliane senza precedenti, compresi arresti e furti di terra, oltre all’assenza di una prospettiva politica”.

Secondo Wafa Shtayyeh ha anche chiesto a Amru di “non ostacolare” i rinnovati sforzi della Palestina per essere membro dell’ONU a pieno titolo.

Dall’inizio del 2022 le forze israeliane hanno ucciso più di 140 palestinesi in Cisgiordania e Striscia di Gaza.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




La chiesa presbiteriana statunitense dichiara Israele ‘Stato di apartheid’ e crea il giorno del ricordo della Nakba.

Redazione di The New Arab

Giovedì 30 giugno 2022 –The New Arab

Durante la 225-esima assemblea generale la chiesa presbiteriana statunitense ha dichiarato Israele ‘Stato di apartheid’ e ha votato per inserire nel proprio calendario il giorno del ricordo della Nakba.

Martedì 28 giugno durante la 225-esima assemblea generale la chiesa presbiteriana statunitense ha votato per dichiarare Israele ‘Stato di apartheid’ e per inserire nel proprio calendario il giorno del ricordo della Nakba.

La chiesa dichiara di avere oltre 1,7 milioni di membri.

Secondo una dichiarazione presente sul sito web della chiesa presbiteriana la sua commissione per l’impegno internazionale ha approvato una risoluzione che riconosce che “le leggi, le politiche e le pratiche israeliane riguardo al popolo palestinese rispondono alla definizione del diritto internazionale di apartheid”.

La commissione ha anche invocato la fine dell’assedio di Gaza da parte dello Stato di Israele e ha affermato il “diritto di tutti i popoli a vivere e praticare la propria devozione in pace” a Gerusalemme.

Dei 31 membri votanti, 28 hanno approvato la risoluzione che afferma che lo Stato di Israele sta mettendo in pratica l’apartheid “istituendo due insiemi giuridici, uno per gli israeliani ed un altro per i palestinesi ,che concedono un trattamento preferenziale agli ebrei israeliani e un trattamento oppressivo ai palestinesi”.

È stata anche approvata una risoluzione che istituisce il 15 maggio come il giorno del ricordo della Nakba palestinese – che commemora la tragedia del 1948 in cui 750.000 palestinesi furono espulsi per la creazione dello Stato di Israele.

Questa risoluzione ha ricevuto nella commissione 31 voti a favore e nessuno contrario.

È stata approvata “con lo scopo di pregare per la pace” e “in solidarietà con quanti soffrono sotto occupazione”.

La risoluzione inoltre afferma che il ricordo deve essere incluso nel calendario annuale presbiteriano.

La risoluzione sollecita in modo specifico il governo statunitense ad “esortare immediatamente il governo di Israele a cessare tutte le azioni ostili che sono definite come “punizioni collettive” secondo il diritto internazionale … [e] a terminare l’assedio a Gaza”.

Le risoluzioni della chiesa presbiteriana riprendono le dichiarazioni di alcune organizzazioni per i diritti umani relative al trattamento dei palestinesi da parte di Israele.

La continua occupazione del territorio palestinese da parte di Israele e la sua persecuzione e violenza contro i palestinesi sono state definite come apartheid da Amnesty International e Human Rights Watch.

Anche l’inviato speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei territori palestinesi ha pubblicato un rapporto che afferma che lo Stato di Israele ha imposto ai palestinesi una ‘situazione di apartheid’.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)