Guerra Israele-Palestina: agenti israeliani torturano e umiliano i lavoratori palestinesi
Maha Hussaini – Gaza, Palestina occupata
6 novembre 2023 – Middle East Eye
Un lavoratore palestinese racconta a Middle East Eye la sua testimonianza diretta delle torture che avrebbe subito da parte dei soldati israeliani durante gli interrogatori e la detenzione prima del ritorno a Gaza
Dopo il suo rilascio dalla prigione di Ofer, in Israele, Khaled Ahmed è entrato nel rifugio della sua famiglia nel centro della Striscia di Gaza sorreggendosi sulla spalla del figlio e con una fascetta di plastica ancora avvolta attorno alla caviglia sinistra.
Il 7 ottobre, quando Israele ha dichiarato la guerra contro Gaza, Ahmed stava lavorando a Giaffa, prima di essere arrestato pochi giorni dopo insieme ad oltre 7.000 lavoratori palestinesi.
Venerdì è stato rilasciato insieme a circa 4.000 lavoratori e ha raggiunto la moglie e i quattro figli in una piccola casa dove hanno trovato rifugio in seguito al bombardamento israeliano del loro quartiere.
Ahmed ha riferito a Middle East Eye che durante il periodo di detenzione gli agenti israeliani “si vendicavano contro Gaza” torturando i suoi lavoratori in Israele.
“Lavoro in Israele da anni. Quando è successo tutto questo ero in possesso un permesso di lavoro valido,” riferisce a MEE Ahmed, 63 anni.
Quando Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno scatenato l’attacco contro Israele molti lavoratori hanno lasciato Israele per recarsi in Cisgiordania, ma Ahmed non riteneva che ci fossero ragioni per andare via.
Spiega di aver deciso di restare in Israele dopo l’attacco del 7 ottobre perché, a differenza di questa volta, in occasione dei precedenti attacchi israeliani a Gaza vi si era trovato relativamente al sicuro.
“Nel periodo tra il 7 e il 10 ottobre i lavoratori potevano ancora spostarsi tra Israele e la Cisgiordania. Il 10 siamo rimasti intrappolati, senza possibilità di tornare a Gaza o andare in Cisgiordania”.
Per verificare lo stato di validità del loro permesso di lavoro i lavoratori palestinesi in Israele sono iscritti a un’applicazione israeliana per smartphone chiamata al-Monasseq (coordinatore in lingua araba).
Se il permesso di lavoro viene revocato vengono avvisati con un sms.
Ma pochi giorni dopo il lancio dell’attacco di Israele contro Gaza le autorità israeliane hanno revocato tutti i permessi di lavoro senza informare i lavoratori, per poi condurre contro di loro una campagna di detenzione su larga scala.
“Hanno fatto irruzione nei nostri dormitori, ci hanno ammanettati e bendati, poi ci hanno arrestati senza permettere a nessuno di noi di prendere qualcosa“, dice Ahmed. “Era circa mezzanotte quando siamo arrivati nel luogo dove siamo stati interrogati. Sono stato lasciato solo in una cella per otto ore prima di essere portato in una stanza dove un ufficiale israeliano mi ha interrogato per ore.”
“Mi ha chiesto dove abitassi a Gaza, gli ho risposto, poi mi ha mostrato la mia casa su un grande schermo per farmi vedere che sapeva già con precisione dove abitavo. Poi mi ha chiesto di Hamas e di altre fazioni palestinesi, gli ho risposto che non sapevo nulla.
“Ha provato a farmi pressione ma sinceramente non ho niente a che fare con loro quindi non ho potuto rispondere.”
Ahmed riferisce che durante le due ore di interrogatorio ha visto picchiare, torturare e umiliare molti colleghi di lavoro.
“Un ufficiale ha detto ad un mio collega: ‘Sembri un brav’uomo, vorrei offrirti qualcosa da bere. Preferisci tè o caffè?’. Lui ha risposto che voleva del tè. L’ufficiale ha fatto bollire l’acqua nel bollitore elettrico che aveva in ufficio, lo ha versato in un bicchiere di carta, poi glielo ha gettato sul viso,” racconta. “Prima di essere portato fuori aveva il volto ustionato e urlava di dolore.”
“Un altro collega durante l’interrogatorio ha detto all’ufficiale che non eravamo stati informati della revoca dei permessi e gli ha chiesto perché non avevano inoltrato gli SMS come di consueto. Lui ha ascoltato finché [il lavoratore] non ha finito di parlare, poi lo ha colpito duramente in faccia dicendogli: ‘Vuoi insegnarci cosa fare?'”
Ahmed racconta che un altro lavoratore è stato gettato a terra e preso a calci più volte all’addome da molti agenti. Quando è stato riportato in cella ha continuato a urlare di dolore per giorni.
“Ci hanno picchiato e umiliato come se si stessero vendicando per i fatti di Gaza”, dice Ahmed, accusando gli agenti di aver esercitato degli abusi nei loro confronti come rappresaglia per l’incursione del 7 ottobre da parte di gruppi armati palestinesi. Per quanto, afferma, lui e gli altri lavoratori “non avessimo nulla a che fare” con gli attacchi.
“Gli israeliani sanno benissimo che non abbiamo nulla a che fare con quello che sta succedendo. Siamo lavoratori che prima di ottenere il permesso di lavoro sono stati interrogati più volte e abbiamo subito diversi controlli di sicurezza “.
Middle East Eye ha precedentemente contattato l’esercito israeliano per un commento sulle accuse di tortura dei lavoratori palestinesi di Gaza, ma al momento della pubblicazione non ha ricevuto risposta.
Negazione di cure mediche
Ahmed è stato detenuto nella prigione di Ofer per 10 giorni. Durante questo periodo lui e i suoi colleghi sono stati tenuti in tende allestite appositamente per i lavoratori di Gaza.
Ahmed dice che, senza tetto né letti, la notte lui e i suoi colleghi “eravamo congelati”.
“Quando siamo stati condotti nelle celle ci hanno portato via tutto, compresi i nostri telefoni, i soldi e le giacche,” riferisce a MEE.
“Hanno dato a ciascuno di noi un materasso molto sottile insieme ad una piccola coperta e una giacca. Quando dormivo dovevo tenere le braccia sul corpo perché il materasso era molto piccolo e non conteneva tutto il mio corpo, e la cella era sovraffollata”, aggiunge.
“Di notte letteralmente tremavamo. Una notte ha cominciato a piovere e la situazione è peggiorata. Ci hanno portato un’altra coperta a testa perché altrimenti saremmo morti assiderati“.
Ad Ahmed, padre di quattro figli, affetto da diabete e ipertensione, per giorni non è stata permessa l’assunzione di pastiglie o insulina.
“Ho detto loro che dovevo prendere le mie pastiglie soprattutto perché durante tutto il periodo di detenzione non avevo mangiato bene. Mi hanno ammanettato, bendato e portato nella clinica della prigione. Ho dovuto essere perquisito più volte lungo il percorso. Mi hanno dato l’insulina solo una volta e dopo non mi è stato più permesso di assumerla,” continua.
“Quasi tutti avevamo la febbre a causa del freddo intenso, e alcuni dopo essere stati torturati urlavano di dolore. Chiunque chiedesse medicine veniva ignorato o gli venivano dati solo antidolorifici”.
Durante l’intero periodo di detenzione, i lavoratori non sapevano se la guerra contro Gaza fosse ancora in corso o se fosse finita.
“Non sapevamo nemmeno che ora fosse perché ci avevano portato via gli orologi. Ogni volta che chiedevamo a un ufficiale o a un soldato cosa stesse succedendo a Gaza, ci sgridavano o ignoravano la domanda”, dice Ahmed.
La corsa a casa
Venerdì mattina all’alba gli agenti israeliani hanno svegliato i lavoratori e hanno detto loro di togliersi le giacche ricevute. Poi li hanno bendati e ammanettati e gli hanno ordinato di mettersi in fila.
Ahmed ha chiesto in ebraico a una donna ufficiale dove li stessero portando. Lei ha risposto che stavano andando in un “posto molto caldo”, una risposta che Ahmed in seguito ha capito alludesse alla guerra a Gaza.
“Siamo stati portati su degli autobus e gli agenti hanno legato con fascette di plastica la caviglia di ogni lavoratore a quella del suo compagno seduto accanto. Eravamo bendati e le tende coprivano i finestrini dell’autobus, quindi non potevamo vedere nulla”, aggiunge.
“Ma sentivo il sole sul viso provenire da sud, quindi ho immaginato che stessimo andando verso il confine di Kerem Shalom [valico tra la Striscia di Gaza, Israele e Egitto, ndt.].”
Circa 90 minuti dopo l’autobus si è fermato e gli agenti hanno tagliato le fascette di plastica alle mani e alle caviglie dei lavoratori, poi hanno ordinato loro di togliersi le bende dagli occhi.
“Siamo scesi dall’autobus e ci siamo messi in fila. I soldati ci hanno detto: ‘Ora vi lasceremo andare. Dovete correre più veloce che potete. Non guardate a destra o a sinistra. Verrà sparato a chiunque cerchi di guardare dietro di sé o si fermi per pochi secondi'”, ricorda Ahmed.
“Abbiamo corso per circa due chilometri senza sosta fino a raggiungere il confine di Kerem Shalom. Abbiamo oltrepassato il cancello e finalmente abbiamo trovato del personale palestinese che ci ha accolti.”
Senza documenti ufficiali, soldi o cellulare, Ahmed è tornato presso la sua famiglia nel rifugio dopo aver appreso che la sua casa era stata gravemente danneggiata dai bombardamenti in corso.
“Hanno preso tutti i nostri soldi. Alcuni agenti li hanno rubati per tenerseli. Avevamo risparmiato i nostri stipendi lavorando per mesi senza far rientro a Gaza.
Un mio collega aveva circa 100.000 shekel (23.600 euro). Aveva lavorato ogni giorno per diversi mesi e aveva messo da parte i soldi per la sua famiglia a Gaza. Volevano comprare una casa. Ora è tornato senza niente. Al contrario: è stato picchiato, è malato e non in grado di camminare”.
*I nomi degli intervistati sono stati modificati
(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)