Come i media occidentali permettono a Israele di farla franca su Gaza

Ramzy Baroud

16 novembre, 2019 Middle East Monitor

Un attacco israeliano a Gaza era imminente e non a causa di qualche provocazione da parte di gruppi palestinesi nella impoverita e assediata striscia di Gaza. L’escalation dell’esercito israeliano era prevedibile perché si colloca perfettamente nel controverso scenario politico israeliano. La guerra non era una questione di “se”, ma di “quando”.

La risposta è arrivata il 12 novembre quando l’esercito israeliano ha lanciato un grave attacco contro Gaza, uccidendo il comandante della Jihad islamica Bahaa Abu al-Ata e la moglie Asma.

Sono seguiti altri attacchi contro quelle che l’esercito israeliano ha descritto come basi della Jihad islamica. Comunque le identità delle vittime, insieme a video incriminanti sui social media, foto e resoconti di testimoni indicano che sono stati bombardati anche civili e distrutte infrastrutture civili.

Quando il 14 novembre è stata annunciata la tregua, durante l’aggressione israeliana erano stati uccisi 32 e feriti oltre 80 palestinesi.

Quello che veramente ostacola ogni seria discussione sull’orrenda situazione a Gaza è la blanda reazione sia delle organizzazioni internazionali, che esistono con il solo scopo di mantenere la pace nel mondo, che dei principali media occidentali, che incessantemente celebrano la propria accuratezza ed imparzialità. Una reazione estremamente deludente alla violenza israeliana è stata quella di Nickolay Mladenov, il coordinatore speciale ONU per il processo di pace in Medio Oriente.

Mladenov, il cui compito da tempo avrebbe dovuto essere considerato inutile dato che non esiste al momento alcun “processo di pace”, ha espresso la sua “preoccupazione” circa la “seria e costante escalation fra la Jihad islamica palestinese e Israele”.

La dichiarazione di Mladenov non solo stabilisce un’equivalenza morale fra una potenza di occupazione, che per prima ha provocato la guerra, e un piccolo gruppo di poche centinaia di uomini armati, ma è anche disonesta.

Il lancio indiscriminato di razzi e colpi di mortaio contro centri abitati è assolutamente inaccettabile e deve cessare immediatamente” ha aggiunto Mladenov, dando grande enfasi al fatto che “non c’è alcuna giustificazione per degli attacchi contro civili”.

Sorprendentemente Mladenov si stava riferendo ai civili israeliani, non a quelli palestinesi. Quando questa dichiarazione è stata rilasciata ai media, c’erano già decine di civili palestinesi feriti e uccisi mentre i reportage dei media israeliani parlavano dei pochi israeliani che erano stati curati per “ansia”.

L’Unione Europea non ha fatto molto di meglio, ripetendo la solita reazione automatica americana di condanna “al fuoco di fila di attacchi di razzi che penetrano profondamente in territorio israeliano”.

Non è possibile che Mladenov e i vertici dei responsabili della politica estera dell’UE non capiscano correttamente il contesto politico dell’ultimo massacro israeliano, cioè che il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sotto attacco sta usando l’escalation militare per rafforzare il suo controllo sul potere che si sta sempre più indebolendo.

Tenendo presente questo, cosa si deve pensare della scadente copertura mediatica, delle analisi inadeguate e dell’assenza di servizi equilibrati sui principali media occidentali?

In un servizio diffuso dalla BBC il 13 novembre, l’emittente britannica ha parlato di “violenza alla frontiera fra Israele e i militanti a Gaza”.

Ma Gaza non è un Paese indipendente e, secondo le leggi internazionali, è ancora occupata da Israele. Israele ha dichiarato Gaza un “territorio ostile” nel settembre 2007, stabilendo arbitrariamente un “confine” fra il Paese e il territorio palestinese assediato. Per qualche ragione la BBC pensa che questa definizione sia accettabile.

Dal canto suo, il 13 novembre la CNN ha riportato che “la campagna militare israeliana contro la Jihad islamica” è al suo secondo giorno, enfatizzando la condanna ONU degli attacchi con i razzi.

La CNN, come la maggior parte degli altri principali media americani, riporta le campagne militari israeliane come parte integrante di una immaginaria “guerra al terrorismo”. Perciò analizzare il linguaggio dei principali media USA allo scopo di sottolineare e enfatizzare i suoi errori e pregiudizi è un esercizio inutile. Purtroppo, i pregiudizi USA sulla Palestina si sono estesi ai media principali in quei Paesi europei che erano, in parte, più imparziali, se non più solidali con la situazione dei palestinesi.

Lo spagnolo El Mundo, per esempio, ha parlato di un certo numero di palestinesi, avendo cura di sottolineare che erano “quasi tutti miliziani” che sono “morti” e non che “erano stati uccisi” dall’esercito israeliano.

L’escalation ha fatto seguito alla morte del leader del braccio armato di Gaza” ha riportato El Mundo, omettendo, ancora una volta, di identificare i responsabili di queste morti apparentemente misteriose.

La Repubblica, che in Italia è considerata una testata di “sinistra”, sembrava più un giornale israeliano di destra nella sua descrizione degli eventi che hanno portato alla morte e al ferimento di molti palestinesi. Il quotidiano italiano ha usato una sequenza degli avvenimenti inventata che esiste solo nella mente dell’esercito e dei responsabili politici israeliani.

La violenza continua. Secondo “The Jerusalem Post” (un giornale israeliano di destra) e l’esercito israeliano parecchi razzi sono stati lanciati dai (miliziani) della Jihad islamica di Gaza verso Israele, violando la breve tregua”.

Resta poco chiaro a quale “tregua” si riferisse La Repubblica.

Il francese Le Monde ha fatto lo stesso, riportando le stesse frasi israeliane, fuorvianti e stereotipate e enfatizzando le dichiarazioni dell’esercito e del

governo israeliano. Stranamente la morte e il ferimento di molti palestinesi a Gaza non merita un posto sulla homepage del giornale francese.

Invece si è scelto di dare evidenza a una notizia relativamente poco importante, in cui Israele denunciava la definizione di prodotti delle colonie illegali come “discriminatoria”.

Forse si sarebbero potute scusare queste mancanze giornalistiche e morali ad ampio raggio se non fosse per il fatto che la storia di Gaza è stata una di quelle più ampiamente riportate ovunque nel mondo da oltre un decennio.

È ovvio che i “i quotidiani più importanti” occidentali non hanno volutamente fatto dei reportage onesti su Gaza e hanno intenzionalmente nascosto la verità ai loro lettori per molti anni, per non offendere la sensibilità del governo israeliano e dei suoi potenti alleati e lobby.

Se non si può che deplorare la morte del buon giornalismo in Occidente, è anche importante riconoscere con grande ammirazione il coraggio e i sacrifici dei giovani giornalisti e dei blogger di Gaza che, in più occasioni, sono stati presi di mira e uccisi dall’esercito israeliano per aver trasmesso la verità sulla situazione di emergenza dell’assediata, ma tenace Striscia.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale del Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Rapporto OCHA del periodo 29 ottobre – 11 novembre 2019 (due settimane)

Il 2 novembre, un civile palestinese 27enne è stato ucciso ed un altro è rimasto ferito durante una serie di attacchi aerei israeliani contro siti militari ed aree non urbane della Striscia di Gaza.

I due uomini sono stati colpiti a sud-ovest di Khan Younis; si trovavano all’interno di una struttura agricola che, secondo fonti israeliane, veniva utilizzata a scopi militari. Nei due giorni precedenti, un gruppo armato palestinese aveva lanciato verso la regione meridionale di Israele diversi missili; uno di questi aveva colpito un edificio nella città di Sderot, provocando danni.

Vicino alla recinzione israeliana che perimetra la Striscia di Gaza, sono proseguite le manifestazioni della “Grande Marcia del Ritorno”, durante le quali le forze israeliane hanno ferito 396 palestinesi, tra cui 171 minori. Secondo il Ministero della Salute palestinese, 102 di loro, tra cui 39 minori, sono stati colpiti con armi da fuoco. Fonti israeliane hanno riferito che contro le forze israeliane sono stati lanciati ordigni esplosivi improvvisati, bombe a mano e bottiglie incendiarie e che ci sono stati diversi tentativi di violare la recinzione; non sono state riportate vittime israeliane.

In almeno 30 occasioni, allo scopo di far rispettare [ai palestinesi] le restrizioni di accesso, le forze israeliane hanno aperto il fuoco nelle aree della Striscia di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale e, in mare, al largo della costa; non sono stati segnalati feriti. In un caso separato, due pescatori palestinesi sono stati arrestati e la loro barca è stata confiscata dalle forze navali israeliane. In un altro caso, le forze israeliane hanno arrestato un minore palestinese che avrebbe tentato di entrare in Israele attraverso la recinzione perimetrale. Le forze israeliane hanno anche compiuto tre incursioni [nella Striscia], effettuando operazioni di spianatura del terreno vicino alla recinzione perimetrale.

L’11 novembre, durante scontri all’ingresso del campo profughi di Al ‘Arrub (Hebron), le forze israeliane hanno sparato e ucciso un palestinese di 22 anni. Il Coordinatore Speciale delle Nazioni Unite, Nickolay Mladenov, ha dichiarato che le registrazioni video dell’uccisione mostrano che, al momento in cui gli hanno sparato, l’uomo ucciso non costituiva alcuna minaccia per le forze israeliane. Secondo resoconti di media israeliani, le autorità israeliane hanno avviato un’indagine penale sul caso. Gli scontri erano scoppiati durante una manifestazione che commemorava il 15° anniversario della morte del Presidente palestinese Yasser Arafat.

In Cisgiordania, durante molteplici proteste e scontri, 56 palestinesi, tra cui almeno 17 minori, sono stati feriti dalle forze israeliane. Gli scontri più ampi sono stati registrati durante la summenzionata manifestazione nel campo di Al ‘Arrub; nel corso della protesta settimanale contro l’espansione degli insediamenti e le restrizioni di accesso a Kafr Qaddum (Qalqiliya) e durante una protesta nel villaggio di Surif (Hebron) contro la confisca della terra. Complessivamente, le forze israeliane hanno condotto 84 operazioni simili, tre delle quali hanno portato a scontri e a feriti.

Inoltre, 285 scolari e 35 insegnanti sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni: nella Zona (H2) della città di Hebron, controllata da Israele, in tre diverse circostanze, le forze israeliane avevano sparato gas lacrimogeni e bombe sonore nei cortili di due complessi scolastici. Secondo varie fonti palestinesi, solo uno dei tre casi (il 3 novembre) era stato preceduto dal lancio di pietre contro le forze israeliane da parte di minori palestinesi.

Nel quartiere Al Isawiya di Gerusalemme Est, le operazioni di polizia hanno sconvolto, quasi quotidianamente, la vita di circa 18.000 palestinesi; la maggior parte di queste operazioni ha provocato scontri e arresti. Il 2 novembre, per protestare contro la violenza della polizia, il Comitato dei genitori ha dichiarato uno sciopero di due giorni in tutte le scuole del quartiere. Sebbene non sia stato possibile accertare il numero delle persone ferite durante gli scontri di cui sopra, c’è particolare preoccupazione per un bambino di otto mesi e una donna incinta che hanno inalato gas lacrimogeno. Diciannove residenti, tra cui sette minori, sono stati arrestati. Ad Al Isawiya, dallo scorso giugno, si registrano alti livelli di tensione e violenze.

Due palestinesi, un ragazzo 15enne e una donna di 37 anni, sono stati feriti dalle forze israeliane in due episodi separati: secondo quanto riferito, avevano tentato di aggredire con un coltello le forze israeliane; nessun israeliano è rimasto ferito. I due episodi sono avvenuti il 28 e il 30 ottobre, rispettivamente nella Città Vecchia di Gerusalemme e nella zona H2 della città di Hebron. I due sospetti autori sono stati arrestati. Vicino al villaggio di Qaffin (Tulkarm), le forze israeliane hanno sparato e ferito un palestinese che aveva tentato di attraversare la Barriera senza permesso.

In Area C e Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito, o costretto le persone a demolire, 19 strutture: 49 palestinesi sono stati sfollati mentre altri 61 hanno subìto ripercussioni di diversa entità [segue dettaglio]. Sei di queste strutture, di cui quattro precedentemente fornite come aiuti umanitari, si trovavano in Comunità di pastori situate in aree da Israele dichiarate chiuse e dedicate ad “addestramento a fuoco” delle forze armate israeliane. Altre tre strutture (tutte abitative) erano situate nelle Comunità beduine palestinesi ad est di Gerusalemme, vicino a un’area destinata all’espansione dell’insediamento colonico di Ma’ale Adummim (piano E1). Le rimanenti nove strutture sono state demolite a Gerusalemme Est, inclusa una casa in Al Isawiya, auto-demolita dai proprietari. Dall’inizio dell’anno ad oggi [11 novembre], il numero di strutture demolite (513) indica un incremento di quasi il 33%, rispetto al corrispondente periodo del 2018.

In diverse aree della Cisgiordania la raccolta delle olive è stata sconvolta dalla violenza di coloni israeliani che hanno danneggiato almeno 1.050 alberi e rubato diverse tonnellate di olive. Nove episodi documentati hanno avuto luogo [su terreni palestinesi] vicino ad insediamenti colonici; l’accesso dei palestinesi a questi luoghi è limitato e regolato dalle autorità israeliane. Le Comunità colpite includevano Qaryut, Burin, Al Lubban ash Sharqiya e Deir al Hatab (tutte a Nablus), Kafr Qaddum (Qalqiliya), Mas-ha (Salfit) e Umm Safa (Ramallah). Altri sette episodi che hanno visto coloni come protagonisti sono stati segnalati nei villaggi di Yatma, Sawiya e Burin (Nablus), Kafr Qaddum (Qalqiliya) e Yasuf (Salfit). La raccolta delle olive, che si svolge ogni anno tra ottobre e novembre, è un evento basilare per i palestinesi, sia da punto di vista economico che sociale e culturale.

Altri cinque attacchi di coloni hanno provocato ferimenti e danni a proprietà palestinesi. In tre di questi episodi, accaduti sulle strade della Cisgiordania, un palestinese è stato ferito e tre veicoli palestinesi hanno subito danni a seguito del lancio di pietre. In altri due casi, coloni israeliani hanno vandalizzato almeno 32 veicoli ed hanno spruzzato scritte tipo “Questo è il prezzo da pagare” su tre case nei villaggi di Tublas (Gerusalemme) e Qabalan (Nablus). A Qarawat Bani Hassan (Salfit), coloni israeliani avrebbero danneggiato una baracca e dato fuoco a 400 balle di fieno. Finora nel 2019, OCHA ha registrato 299 episodi in cui coloni israeliani hanno ucciso o ferito palestinesi o danneggiato loro proprietà; nei corrispondenti periodi dei due anni precedenti, gli episodi erano stati 213 nel 2018 e 124 nel 2017.

Media israeliani hanno riferito di sei episodi di lancio di pietre da parte di palestinesi contro veicoli di coloni israeliani: due coloni sono rimasti feriti e diversi veicoli sono stati danneggiati. Finora, nel 2019, OCHA ha registrato 93 episodi in cui palestinesi hanno ucciso o ferito coloni o altri civili israeliani o danneggiato loro proprietà; quindi si registra un calo rispetto al numero di episodi verificatisi in periodi corrispondenti del 2018 (141 casi) e 2017 (211 casi).

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Ultimi sviluppi (successivi al periodo di riferimento)

Nelle prime ore del 12 novembre, l’aeronautica israeliana ha preso di mira e ucciso un comandante dell’ala armata del gruppo palestinese della Jihad islamica (PIJ) e sua moglie, mentre dormivano nella loro casa. L’episodio ha innescato, per circa 48 ore, un crescendo di ostilità tra Israele e varie fazioni armate palestinesi; ne è rimasta estranea Hamas. Secondo il Ministero della Salute palestinese (MoH), a Gaza, durante questi attacchi sono state uccise 34 persone, di cui 23 uomini, otto minori e tre donne. Delle vittime fanno parte otto persone appartenenti alla stessa famiglia; stando a quanto riferito, sono rimaste uccise durante un attacco diretto contro un agente PIJ di alto livello. Il MoH ha anche riferito che 111 palestinesi sono rimasti feriti, tra cui almeno 41 minori e 13 donne. In Israele, sarebbero state ricoverate in ospedale, in stato di shock o ferite in vario modo, 77 persone, incluse donne e bambini. La mattina del 14 novembre, con la mediazione delle Nazioni Unite e dell’Egitto, è stato annunciato un cessate il fuoco informale che, al momento, pare tenere.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




I lacrimogeni devastano le condizioni di vita a Gaza

Amjad Ayman Yaghi

6 novembre 2019 – The Electronic Intifada

Attraverso le sue fotografie Atia Darwish ha documentato come, nonostante il fatto di essere sottoposta a un brutale blocco israeliano, la gente di Gaza riesca ancora a trovare momenti di gioia.

La sua immagine di bambini palestinesi che mangiano un’anguria in spiaggia è stata ospitata in un’esposizione all’aperto che in settembre ha circolato in Libano.

Molti di quelli che si sono meravigliati dell’immagine probabilmente non erano a conoscenza del fatto che l’uomo che l’ha fotografata attualmente non può lavorare. Darwish ha perso parzialmente la vista – indispensabile per un fotografo – a causa di ferite inflittegli da Israele.

Il 14 dicembre dello scorso anno Darwish stava lavorando durante le proteste della Grande Marcia del Ritorno nella zona orientale di Gaza. Stava scattando foto da circa mezz’ora quando è stato ferito da un candelotto lacrimogeno.

Darwish ha perso conoscenza. Quando l’ha riacquistata, si è ritrovato in terapia intensiva all’ospedale al-Shifa di Gaza City.

Il candelotto lo aveva colpito sotto l’occhio sinistro. Ha perso alcune ossa attorno all’occhio e anche la mascella è stata danneggiata.

L’occhio ha continuato a sanguinare per una settimana e il mio orecchio nei due giorni successivi,” dice.

Darwish teme di non poter recuperare la vista.

Nel febbraio di quest’anno è andato a farsi curare in Egitto. Lì un medico gli ha diagnosticato una fibrosi della retina e ha detto che non è curabile.

Posso solo essere sottoposto ad [un intervento di] chirurgia estetica,” dice Darwish. “Mi sento abbandonato. Il mondo non considera le bombe lanciate contro di noi da Israele come pericolose. Ma possono uccidere persone e i sogni dei nostri giovani.”

Darwish con l’occhio sinistro non può vedere a più di 15 cm. È anche diventato parzialmente sordo.

Il drammatico cambiamento del suo aspetto provocato dalla ferita lo ha scioccato. “Quando sono tornato a Gaza (dall’Egitto), mi sono sentito senza speranza guardando le vecchie foto di me su Facebook e Instagram,” dice. “Non sarò mai più così.”

Darwish spera di riprendere a lavorare come fotografo, facendo affidamento sul suo occhio destro. “Dovrò stare più attento,” afferma.

Non era la prima volta che Darwish veniva colpito da un candelotto lacrimogeno mentre fotografava la Grande Marcia del Ritorno.

Nel luglio dello scorso anno uno di questi candelotti lo ha colpito alla gamba destra. In seguito ha dovuto essere curato per le ustioni.

Non letali?

Le sue ferite sono tutt’altro che rare. Benché l’esercito israeliano descriva i lacrimogeni come “non letali”, queste armi hanno ucciso [dei] palestinesi.

Almeno sette persone sono morte perché colpite da candelotti lacrimogeni sparati da Israele durante le proteste della Grande Marcia del Ritorno, iniziate il 30 marzo 2018. Quattro delle vittime erano minorenni.

Hasan Nofal è morto dopo essere stato colpito a febbraio da un lacrimogeno sparato verso i manifestanti. Aveva solo 16 anni.

Suo padre Nabil sta ancora cercando di capire cosa sia successo.

In un primo tempo, quando ha saputo che Hasan era stato ferito, Nabil non ha pensato che la ferita potesse essere troppo grave. Hasan si trovava ad una distanza sufficiente dalla barriera che separa Gaza da Israele, ha pensato Nabil.

Hasan è morto quattro giorni dopo essere stato portato in ospedale.

Mio figlio era innocente,” dice Nabil. “Israele sa che le bombe che lancia stanno uccidendo persone?”

Mentre la loro tragedia viene spesso ignorata dai mezzi di comunicazione occidentali, i manifestanti sono regolarmente feriti a Gaza. “Al Mezar”, un’organizzazione per i diritti umani, ha informato che solo il 25 ottobre 13 persone che hanno partecipato alla Grande Marcia del Ritorno sono state direttamente colpite da candelotti lacrimogeni. Ahmad Ammar, un ventitreenne di al-Shujaiyeh, un quartiere di Gaza City, è stato colpito da uno di questi candelotti a settembre. La bocca e la guancia destra sono rimaste gravemente ustionate, provocando danni a lungo termine al suo volto.

Ero lontano dalla barriera di confine,” dice Ammar. “Stavo bevendo un succo perché avevo la nausea a causa dei gas lacrimogeni, che hanno un forte odore. Quando ho iniziato lentamente ad allontanarmi ho sentito qualcuno gridarmi di stare attento alle bombe lacrimogene visibili vicino a me. Mi sono girato e improvvisamente sono stato colpito da una di loro.”

Disoccupato

Ammar ha perso conoscenza. “Quando mi sono risvegliato ero in ospedale,” racconta. “Alcuni dei miei amici erano vicino a me. Ho chiesto loro uno specchio per vedere la mia faccia, ma si sono rifiutati di darmelo.”

Ammar era solito vendere ortaggi in un mercato locale. Da quando è stato ferito non è tornato a lavorare. Non può pensare ad altro che alla sua ferita e ad ottenere una terapia correttiva. “Ho bisogno di una chirurgia estetica,” dice. “Sfortunatamente non si può avere a Gaza. Alcuni dottori mi hanno detto che qui non abbiamo le risorse necessarie. E fuori da Gaza è molto cara.”

I lacrimogeni che l’occupazione israeliana spara contro di noi uccidono i nostri sogni e le nostre speranze,” afferma. “Ogni giorno mi alzo e mi vedo allo specchio. Mi sento malissimo.”

Anche Mohammad Fseifes è rimasto disoccupato a causa delle ferite riportate durante una protesta a fine maggio.

Lavorava nelle costruzioni e nell’agricoltura nella zona di Khan Younis a Gaza. Da quando è rimasto ferito non è riuscito a trovare un lavoro.

Da circa cinque mesi ha frequenti dolori alla testa e stenta a dormire. Non si sente sufficientemente bene neppure per giocare a pallone.

Fseifes si trovava nei pressi della barriera di confine quando le truppe israeliane lo hanno colpito con un candelotto lacrimogeno. “Ricordo di essere caduto a terra,” dice. “Sei giorni dopo mi sono svegliato e ho visto mio padre. Ho forti dolori alla testa. Il medico mi ha detto che il mio cranio è stato fratturato.”

Sono molto triste quando mi guardo allo specchio,” aggiunge. “Il medico dice che posso essere operato al cranio, ma solo fuori da Gaza. Non so cosa ne sarà di me.”

Amjad Ayman Yaghi è un giornalista con sede a Gaza.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 1- 14 ottobre 2019 (due settimane)

Il 4 ottobre, ad est di Jabalia (Gaza nord), vicino alla recinzione israeliana di Gaza, un palestinese 28enne è stato ucciso dalle forze israeliane durante una manifestazione della “Grande Marcia del Ritorno” (GMR).

Un altro palestinese, 20enne, è morto il 7 ottobre per le ferite riportate durante una protesta svolta nell’aprile 2019. Dal marzo 2018, data di inizio delle proteste GMR, sono stati complessivamente uccisi 210 palestinesi, tra cui 46 minori. Inoltre, nel corso delle proteste tenute durante il periodo di riferimento [1-14 ottobre], sono stati feriti dalle forze israeliane 261 palestinesi (di cui 127 minori); 48 di loro presentavano ferite di arma da fuoco. Fonti israeliane hanno riferito che contro le forze israeliane sono stati lanciati ordigni esplosivi improvvisati, bombe a mano e bottiglie incendiarie; inoltre ci sono stati diversi tentativi di forzare la recinzione: non sono state riportate vittime israeliane. Jamie McGoldrick, Coordinatore umanitario per i Territori palestinesi occupati, in una dichiarazione rilasciata prima della protesta dell’11 ottobre, organizzata sul tema “Our Child Martyrs”, ha invitato Israele e Hamas a proteggere i minori, ribadendo che “i minori non devono mai essere il bersaglio di violenza, né dovrebbero essere messi a rischio di subire violenza o essere incoraggiati a partecipare alla violenza”.

In almeno 18 occasioni non collegate alla GRM, allo scopo di far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi], le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso aree [interne] di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale e [in mare] al largo della costa; non sono state riportate vittime. In un’altra occasione, le forze israeliane hanno arrestato tre civili palestinesi, incluso un minore che, presumibilmente, avevano tentato di entrare illegalmente in Israele attraverso la recinzione.

In Cisgiordania, durante proteste e scontri, sono stati feriti dalle forze israeliane 37 palestinesi, tra cui almeno due minori. Tale numero [37] rappresenta una riduzione significativa rispetto alla media bisettimanale di ferimenti di palestinesi (129), registrata dall’inizio del 2019. 14 dei 37 ferimenti si sono verificati venerdì 4 e 11 ottobre a Kafr Qaddum (Qalqiliya), durante le proteste settimanali contro l’espansione degli insediamenti [colonici] e contro le restrizioni di accesso. Altre 10 persone sono rimaste ferite nei giorni 1 e 4 ottobre, vicino al checkpoint di Beit El / DCO (Ramallah), in due manifestazioni tenute in solidarietà con i prigionieri palestinesi in sciopero della fame. In un altro caso, avvenuto il 5 ottobre nel villaggio di Azzun (Qalqiliya), un bambino di un anno e una donna hanno subìto lesioni causate da inalazione di gas: la loro casa è parzialmente bruciata a causa di un incendio innescato da candelotti lacrimogeni lanciati dalle forze israeliane durante scontri con i residenti palestinesi. Complessivamente, quasi la metà dei feriti è stata curata per inalazione di gas lacrimogeno, il 38% per lesioni provocate da proiettili di gomma; i rimanenti erano stati aggrediti fisicamente o feriti con armi da fuoco.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 152 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 101 palestinesi, tra cui quattro minori. La maggior parte delle operazioni sono state condotte nel governatorato di Ramallah (42), seguita dai governatorati di Hebron (35) e Gerusalemme (33).

In Area C e Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito o costretto le persone ad autodemolire 31 strutture; come conseguenza, 52 persone sono state sfollate ed altre 98 hanno subito ripercussioni [segue dettaglio]. L’episodio più consistente si è verificato nel quartiere di Jabal al Mukabbir, a Gerusalemme Est, dove sono state prese di mira 13 strutture, tra cui una abitazione; rappresentanti delle famiglie colpite hanno riferito di non aver ricevuto ordini di demolizione, né alcun preavviso. Sempre a Gerusalemme Est, nel quartiere di Beit Hanina, palestinesi sono stati costretti ad autodemolire tre edifici abitativi, provocando lo sfollamento di sei famiglie di rifugiati. A Gerusalemme Est, oltre un quarto delle demolizioni di quest’anno (46 su 173 strutture) sono state eseguite dagli stessi proprietari palestinesi, principalmente per evitare di pagare al Comune il costo della demolizione. In Area C, una delle undici strutture demolite era un pannello solare finanziato da donatori, fornito come assistenza umanitaria in risposta a una precedente demolizione avvenuta nella Comunità di Shib al Harathat (Hebron). Ad oggi, il numero di strutture demolite quest’anno in Cisgiordania rappresenta un aumento di quasi il 40% rispetto al corrispondente periodo del 2018.

Durante il periodo di riferimento, in occasione delle festività ebraiche, le autorità israeliane hanno bloccato su larga scala, per cinque giorni, gli spostamenti tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania; il provvedimento ha colpito i titolari di permessi palestinesi, compresi i commercianti. Sono state fatte eccezioni per emergenze sanitarie e, in Cisgiordania, anche per studenti e impiegati palestinesi presso ONG internazionali e agenzie delle Nazioni Unite. Per israeliani e titolari di documenti di identità di Gerusalemme, coloni compresi, gli spostamenti tra Israele e la Cisgiordania sono proseguiti senza restrizioni. Inoltre, a Tulkarm e Jenin, a causa delle festività ebraiche, le autorità israeliane hanno rimandato fino al 23 ottobre l’apertura dei cancelli della Barriera della Cisgiordania, interrompendo l’accesso degli agricoltori alle loro terre per la raccolta delle olive.

La stagione della raccolta delle olive, iniziata ai primi di ottobre, è stata interrotta in diverse aree dalla violenza di coloni israeliani. Gli episodi includono l’aggressione fisica ed il ferimento di tre contadini palestinesi a Tell e Jit (entrambi a Nablus) e Al Jab’a (Betlemme). Includono inoltre l’incendio di circa 100 ulivi e sette furti di raccolti nei villaggi di Kafr ad Dik (Salfit) e Burin (Nablus). Per i palestinesi, la stagione della raccolta delle olive, che si svolge ogni anno tra ottobre e novembre, è un evento chiave, sia dal punto di vista economico che sociale e culturale.

Altri cinque attacchi di coloni hanno provocato ferimenti di palestinesi e danni alle proprietà. In due di questi attacchi, verificatesi nella zona della città di Hebron controllata da Israele e nella Comunità di Khirbet al Marajim, quattro palestinesi, tra cui un minore e una donna, sono stati aggrediti e feriti fisicamente da coloni israeliani. In altri due casi, avvenuti nei villaggi di Qira e Marda (entrambi a Salfit) oltre 20 veicoli e alcune abitazioni sono stati vandalizzati; in altri due casi separati due veicoli sono stati colpiti da pietre e danneggiati. Finora, nel 2019, OCHA ha registrato 243 episodi in cui coloni israeliani hanno ucciso o ferito palestinesi o danneggiato proprietà palestinesi. Questo numero indica un limitato aumento rispetto al corrispondente periodo del 2018 (213 casi), ma un numero di casi quasi doppio rispetto al 2017 (124).

Media israeliani hanno riportato tre episodi di lancio di pietre e bottiglie incendiarie da parte di palestinesi contro veicoli o case di coloni israeliani: non sono state segnalate vittime o danni. Finora, nel 2019, OCHA ha registrato 84 episodi in cui palestinesi hanno ucciso o ferito coloni o altri civili israeliani oppure danneggiato le loro proprietà: un declino rispetto al numero di episodi verificatisi nei corrispondenti periodi del 2018 (141 episodi) e 2017 (211 episodi).

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Israele uccide un cittadino di Gaza durante le proteste

Maureen Clare Murphy

4 ottobre 2019 – Electronic Intifada

Venerdì, nel corso della 77a settimana delle proteste della Grande Marcia del Ritorno, lungo il confine orientale di Gaza le forze di occupazione israeliane hanno ucciso un palestinese ­­­­

Alaa Nizar Ayyash Hamdan, 28 anni, colpito al petto con pallottole vere nella zona nord di Gaza, è il duecentotreesimo palestinese ucciso durante le proteste della Grande Marcia del Ritorno.

Venerdì il gruppo per i diritti umani Al Mezan ha dichiarato che nel corso delle proteste di quella giornata le forze israeliane hanno ferito 29 palestinesi con pallottole vere e ne hanno colpiti direttamente altri 16 con candelotti lacrimogeni.

Secondo Al Mezan, un medico volontario è stato colpito alla testa con un candelotto lacrimogeno mentre portava via due manifestanti feriti.

Il mese scorso, durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno, sono stati uccisi tre palestinesi, tra cui due minorenni.

L’esercito israeliano ha sostenuto che la scorsa settimana, quando è stato ucciso Saher Awadallah Jeer Othman, 20 anni, non avrebbe utilizzato contro i manifestanti pallottole vere.

L’esercito continua a sparare e uccidere i manifestanti nonostante alcuni mesi fa abbia modificato, come riportato lo scorso mese dai media israeliani, le sue “regole di ingaggio”.

Secondo il quotidiano di Tel Aviv Haaretz, invece di fare affidamento sui cecchini per dissuadere i manifestanti dall’avvicinarsi alla barriera di confine tra Gaza e Israele, ai comandanti israeliani verrebbe ora “ordinato di schierare le forze all’interno di veicoli blindati a poche decine di metri dalla barriera”.

“Ciò ha comportato un numero notevolmente inferiore di vittime – ha aggiunto Haaretz – poiché i cecchini devono sparare con minore frequenza”.

Da un’indagine indipendente delle Nazioni Unite sull’uso da parte di Israele della forza contro la Grande Marcia del Ritorno, è emerso che “l’uso di pallottole vere da parte delle forze di sicurezza israeliane contro i manifestanti è stato illegale”.

Israele trasferirà il gettito fiscale

Sempre venerdì, l’Autorità Nazionale Palestinese ha annunciato che Israele trasferirà una parte delle entrate fiscali che ha rifiutato di versare [ad iniziare] da febbraio.

Quel mese Israele ha dichiarato che avrebbe ridotto i trasferimenti delle entrate fiscali all’ANP di circa 127 milioni di euro, l’importo destinato ai palestinesi incarcerati da Israele e alle loro famiglie. L’Autorità Nazionale Palestinese ha rifiutato di accettare trasferimenti inferiori all’intera cifra raccolta.

Una legge approvata l’anno scorso consente a Israele di detrarre i pagamenti effettuati ai prigionieri palestinesi e alle loro famiglie dalle entrate fiscali dell’Autorità Nazionale Palestinese, di cui Israele possiede il controllo.

La situazione di stallo dei trasferimenti delle tasse ha favorito una “grave crisi di liquidità” dell’ANP, la cui soluzione ha avuto la massima priorità nel corso di una conferenza internazionale di donatori sponsorizzata dall’ONU e tenutasi la scorsa settimana.

Ad agosto è stato effettuato un primo trasferimento delle entrate fiscali congelate. In tale circostanza, secondo quanto riferito da Haaretz, l’ANP ha dichiarato che Israele avrebbe “accettato di esentare l’ANP dall’accisa che applica per il carburante [fornito da Israele] … e di applicare retroattivamente questa esenzione [agli] ultimi sette mesi”.

Israele continuerà a trattenere i fondi equivalenti a quanto l’ANP versa alle famiglie dei prigionieri. Pertanto, il problema alla base della crisi che dura da mesi resta irrisolto.

Secondo l’organizzazione per i diritti umani Al Mezan il trattenimento da parte di Israele delle entrate fiscali palestinesi è una violazione degli obblighi di Israele ai sensi dei contenuti del Protocollo di Parigi, stabilito a metà degli anni ’90 come parte degli accordi di Oslo .

Come ha affermato B’Tselem, un’altra organizzazione per i diritti umani [israeliana], in base al Protocollo di Parigi Israele riscuote le tasse per conto dell’Autorità Naizonale Palestinese, dandole il “controllo esclusivo sulle frontiere esterne e sulla riscossione delle tasse sull’importazione e del VAT [IVA, ndtr.]”.

Il quadro dell’unione doganale del Protocollo di Parigi è stato adottato perché, aggiunge B’Tselem, Israele “non voleva stabilire una frontiera [in materia] economica con l’Autorità Nazionale Palestinese, un provvedimento che avrebbe avuto un chiaro sentore di sovranità”.

L’Autorità Nazionale Palestinese valuta che l’economia della Cisgiordania e di Gaza subisca una perdita di almeno 320 milioni di euro all’anno a causa del modo in cui Israele mette in pratica il Protocollo di Parigi.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Rapporto OCHA del periodo 17 – 30 settembre ( due settimane)

Il 27 settembre, durante una manifestazione della “Grande Marcia del Ritorno” (GMR) tenutasi ad est di Rafah, vicino alla recinzione perimetrale tra Gaza ed Israele, un palestinese è stato ucciso con arma da fuoco dalle forze israeliane. Altri 441, tra cui 193 minori, sono rimasti feriti; 90 [dei 441] presentavano ferite di arma da fuoco. Complessivamente, dal marzo 2018, data di inizio delle proteste della GMR, sono stati uccisi 210 palestinesi, tra cui 46 minori. Fonti israeliane hanno riferito che, durante il periodo di riferimento [di questo Rapporto], contro le forze israeliane sono stati lanciati ordigni esplosivi artigianali, bombe a mano e bottiglie incendiarie; inoltre ci sono stati diversi tentativi di aprire brecce nella recinzione.

Nel corso di tre distinti episodi di accoltellamento, due donne israeliane sono state ferite, una donna palestinese è stata uccisa e due ragazzi sono stati arrestati [segue dettaglio]. Il 18 settembre, presso il checkpoint di Qalandiya che controlla l’accesso a Gerusalemme Est da nord, una donna palestinese si è avvicinata ai soldati con un coltello: le forze israeliane hanno sparato, colpendola ad una gamba: la donna è morta per dissanguamento. Il 25 settembre, uno dei due ragazzi (un 14enne), ha accoltellato e ferito una colona ad una stazione d’autobus vicina al checkpoint della Barriera nella città di Maccabim (Ramallah) ed è stato successivamente arrestato. Il secondo ragazzo palestinese è stato arrestato dopo aver accoltellato e ferito, il 26 settembre, una poliziotta nella Città Vecchia di Gerusalemme.

Sei palestinesi sono rimasti feriti da un razzo, lanciato da Gaza verso Israele; il razzo è caduto all’interno della Striscia, ad est di Rafah, vicino alla loro casa. Durante il periodo di riferimento non sono stati registrati attacchi aerei israeliani.

In almeno 16 occasioni, allo scopo di far rispettare [ai palestinesi] le restrizioni di accesso, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento nelle aree della Striscia adiacenti alla recinzione perimetrale e al largo della costa [cioè le ARA, Aree ad Accesso Riservato]; non sono stati segnalati feriti. Le forze israeliane hanno effettuato quattro incursioni [nella Striscia] e compiuto operazioni di spianatura del terreno nei pressi della recinzione. Un palestinese è stato arrestato dalle forze israeliane al valico di Erez, dopo essere stato convocato per un colloquio con i funzionari della sicurezza,

In Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, nel corso di numerosi scontri, le forze israeliane hanno ferito un totale di 68 palestinesi, tra cui sette minori [segue dettaglio]. 19 sono rimasti feriti nella città di Al ‘Eizariya (governatorato di Gerusalemme), in scontri con le forze israeliane. In tale località gli scontri si sono protratti, con regolarità, per più di un mese. Altri 24 palestinesi sono rimasti feriti in operazioni di ricerca-arresto condotte dalle forze israeliane; 16 [dei 24 ferimenti] sono avvenuti nel villaggio di Azzun (Qalqiliya), dove le operazioni hanno anche implicato la chiusura dei negozi e del cancello posto sull’accesso principale del villaggio. Infine, due palestinesi sono rimasti feriti a Kafr Qaddum (Qalqiliya), durante la protesta settimanale contro l’espansione degli insediamenti. Oltre la metà dei feriti è stata curata per inalazione di gas lacrimogeno, il 20% per lesioni causate da proiettili di gomma ed i restanti per le aggressioni fisiche e le ferite di arma da fuoco.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato un totale di 191 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 167 palestinesi. La maggior parte delle operazioni sono state condotte nei governatorati di Ramallah (58), Gerusalemme (45) ed Hebron (23).

Nel sud di Hebron, citando ragioni di sicurezza, le autorità israeliane hanno installato una barriera permanente lungo una strada chiave, ostacolando ulteriormente gli spostamenti delle vulnerabili Comunità di pastori. Tale barriera limiterà il movimento di circa 800 palestinesi appartenenti a quattro Comunità a rischio di trasferimento forzato. Esse, infatti, vivono in un’area (Massafer Yatta) che, in aggiunta ad altre pratiche restrittive, Israele ha designato come “zona per esercitazione a fuoco” per l’addestramento militare.

Coloni israeliani hanno compiuto quattro aggressioni che hanno provocato il ferimento di tre palestinesi e danni ad ulivi; altri 12 palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane in episodi collegati a coloni [segue dettaglio]. In due casi, avvenuti nella zona H2 (a controllo israeliano) della città di Hebron e nel villaggio di Beitin (Ramallah), coloni hanno lanciato pietre e ferito cinque palestinesi, tra cui un ragazzo di 14 anni. Gli altri due casi si sono verificati a Nablus: gli abitanti del villaggio di As Sawiya hanno riferito che coloni hanno rubato le loro olive ed hanno vandalizzato 47 alberi, mentre nel villaggio di Duma hanno spruzzato slogan sulle case e hanno vandalizzato un veicolo. Altri 12 palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane durante scontri scoppiati in concomitanza con la visita di coloni israeliani a siti religiosi delle città di Nablus e Halhul (Hebron). Infine, vicino all’insediamento avamposto di Havat Ma’on (Hebron) [insediamento colonico illegale anche per Israele], coloni hanno aggredito verbalmente ed intimidito i volontari internazionali che accompagnavano pastori palestinesi.

In Area C e Gerusalemme Est, durante il periodo di riferimento, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 12 strutture di proprietà palestinese, sfollando sette persone. Tutte le strutture, tranne una “tenda di protesta”, sono state demolite per mancanza di permessi edilizi israeliani. La tenda era stata eretta nella zona di Al Muntar, vicino alla città di Al ‘Eizariya (Gerusalemme), per protesta contro un nuovo insediamento colonico avamposto. Palestinesi hanno riferito che l’avamposto è stato eretto sulla loro terra e che ne rende problematico l’accesso a circa 300 persone. Gli sfollamenti sopraccitati sono avvenuti a Gerusalemme Est, dove sono state demolite tre abitazioni nei quartieri di Beit Hanina, Silwan e At Tur. Le restanti proprietà demolite includevano quattro strutture di sostentamento, due case in costruzione, una cisterna per l’acqua e recinzioni in cemento in cinque località dell’Area C. Finora, in Cisgiordania, nel 2019 sono state demolite o sequestrate 439 strutture, con un aumento di oltre il 40% rispetto al periodo equivalente del 2018.

Secondo fonti israeliane, nell’area di Ramallah, palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani causando danni a un’auto.

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

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L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

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Rapporto OCHA del periodo 3 – 16 settembre 2019 (due settimane)

Nel corso delle dimostrazioni palestinesi della “Grande Marcia di Ritorno” (GMR), svolte nella Striscia di Gaza in prossimità della recinzione israeliana che la delimita, le forze israeliane hanno ucciso due minori e ferito altri 437 palestinesi, tra cui 200 minori.

I due ragazzi uccisi, di 14 e 17 anni, sono stati colpiti il 6 settembre, in due manifestazioni ad est di Jabaliya e di Gaza City. Il coordinatore speciale delle Nazioni Unite Nickolay Mladenov ha condannato le uccisioni, affermando che Israele deve “usare la forza letale solo come ultima risorsa, e solo in risposta alla minaccia imminente di morte o lesioni gravi”. Questi episodi portano a 46 il numero di minori uccisi durante le proteste della GMR, dal loro inizio nel marzo 2018. Ottantuno (81) delle persone ferite durante il periodo di riferimento, tra cui 31 minori, sono state colpite con proiettili di arma da fuoco. Secondo fonti israeliane, alcuni dimostranti hanno raggiunto la recinzione e lanciato ordigni esplosivi contro le forze israeliane, senza provocare vittime.

In diverse occasioni, i palestinesi hanno lanciato razzi verso il sud di Israele; in seguito a tali lanci le forze israeliane hanno compiuto una serie di bombardamenti con carri armati e attacchi aerei, prendendo di mira basi militari di Gaza. Non sono state segnalate vittime da entrambe le parti. Secondo fonti israeliane, uno dei razzi ha causato danni a una casa in una comunità nel sud di Israele.

In almeno 20 occasioni le forze israeliane, per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi], hanno aperto il fuoco di avvertimento in aree adiacenti alla recinzione perimetrale [lato Gaza] e al largo della costa di Gaza; nessuna vittima è stata segnalata. Le forze israeliane hanno effettuato tre incursioni [nella Striscia] ed hanno svolto operazioni di spianatura del terreno vicino alla recinzione. In separati episodi, le forze israeliane hanno arrestato sei palestinesi mentre, a quanto riferito, tentavano di violare la recinzione.

L’8 settembre è morto un 47enne palestinese di Nablus che stava scontando una pena in una prigione israeliana. Nel periodo di riferimento si sono svolte diverse manifestazioni di protesta per questa morte ed in solidarietà con i prigionieri palestinesi in sciopero della fame. Secondo l’Associazione dei prigionieri palestinesi, l’uomo, che soffriva di cancro, è morto a causa di negligenza medica. Era stato condannato nel 2015 per l’uccisione di due coloni israeliani.

In numerosi scontri in tutta la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, le forze israeliane hanno ferito un totale di 187 palestinesi, tra cui 89 minori [segue dettaglio]. La maggior parte delle lesioni (120) sono state riportate nel corso di due episodi in cui le forze israeliane, a seguito del lancio di pietre da parte di palestinesi, hanno sparato bombolette di gas lacrimogeno in un quartiere della zona H2 (a controllo israeliano) di Hebron. Altri 58 palestinesi, tra cui un bambino di sei anni colpito alla testa da una bombola di gas lacrimogeno, sono rimasti feriti in vari scontri nella città di Al ‘Eizariya (Gerusalemme); alcuni degli scontri sono scoppiati durante le proteste a sostegno dei prigionieri palestinesi. A Gerusalemme Est, le forze israeliane hanno fatto irruzione in una moschea nel quartiere di Al ‘Isawiya e si sono scontrate con i fedeli; nonostante un’intesa raggiunta all’inizio di settembre tra la polizia israeliana ed i leader della comunità, la situazione nel quartiere è rimasta tesa. Inoltre, cinque palestinesi sono rimasti feriti nella manifestazione settimanale a Kafr Qaddum (Qalqiliya) e a Kafr Malik (Ramallah), nel corso di una protesta a sostegno dei prigionieri [palestinesi].

Il 7 settembre, un ragazzo palestinese di 15 anni ha accoltellato e ferito due israeliani nel villaggio di ‘Azzun (Qalqiliya). A quanto riferito, i due, padre e figlio 17enne, erano entrati nel villaggio per un appuntamento dal dentista. [A seguito dell’aggressione] le forze israeliane hanno chiuso il cancello che controlla l’accesso principale al villaggio ed hanno avviato un’operazione di ricerca dell’assalitore che, più tardi, si è consegnato alle forze di sicurezza palestinesi; il cancello è stato poi riaperto il giorno seguente.

In tutta la Cisgiordania, le forze israeliane hanno compiuto un totale di 128 operazioni di ricerca-arresto, arrestando 90 palestinesi. La maggior parte delle operazioni è stata effettuata nei governatorati di Gerusalemme (35 operazioni, di cui almeno 13 nel quartiere di Al ‘Isawiya di Gerusalemme Est) e di Ramallah (29 operazioni).

Nel mezzo dei preparativi per la raccolta delle olive, coloni israeliani hanno effettuato otto attacchi che hanno provocato due feriti e danni a proprietà palestinesi. In tre episodi separati, coloni che si ritiene provenienti dall’insediamento di Yitzhar e dagli avamposti circostanti, hanno compiuto incursioni nei vicini villaggi di Madama, ‘Einabus e ‘Asira al Qibliya (Nablus): hanno tagliato circa 100 ulivi, scagliato pietre contro case, vandalizzato veicoli e si sono scontrati con i residenti. Le forze israeliane, intervenute durante gli scontri scoppiati nel villaggio di Madama, hanno sparato bombolette di gas lacrimogeno: una di esse ha colpito un ragazzo palestinese in faccia. Finora quest’anno, oltre 4.870 ulivi sono stati vandalizzati da assalitori che si ritiene siano coloni. In un altro incidente, coloni israeliani hanno assaltato fisicamente una famiglia palestinese che stava facendo un pasto all’aperto vicino al villaggio di Jibya (Ramallah), ferendo il padre. Coloni, a quanto riferito, provenienti dall’ex insediamento di Homesh (Nablus), evacuato nel 2005, hanno aperto il fuoco verso venditori palestinesi vicino al villaggio di Burqa; non sono state segnalate vittime. In altri quattro episodi, coloni hanno lanciato pietre, danneggiando case e automobili palestinesi nella zona H2 della città di Hebron, nel villaggio di Beitin e vicino agli insediamenti colonici di Beit El (Ramallah) e Ariel (Salfit).

A motivo della mancanza di permessi rilasciati da Israele, un totale di 23 strutture di proprietà palestinese sono state demolite in Area C ed in Gerusalemme Est, sfollando 29 persone [segue dettaglio]. La maggior parte degli sfollamenti sono stati causati dalla demolizione di quattro ricoveri abitativi; i ricoveri erano stati forniti come assistenza umanitaria a Umm Fagarah, una comunità situata  nel sud di Hebron, in un’area designata [da Israele] come “zona per esercitazioni a fuoco” dedicata all’addestramento dei militari [israeliani]. A Khirbet ‘Atuf (Tubas), una comunità situata in un’area designata [da Israele] come riserva naturale, le autorità israeliane hanno demolito cinque cisterne d’acqua che erano state donate alla Comunità come aiuto umanitario: oltre 250 residenti subiscono ripercussioni per la demolizione che ha anche causato il danneggiamento di oltre 470 alberi. A Gerusalemme Est, otto strutture, tra cui due edifici in costruzione, sono state demolite in un’area vicina alla Barriera. Le forze israeliane hanno anche sequestrato materiali per il ripristino di strutture abitative, forniti come assistenza alla comunità di As Safeer (Hebron), situata nell’area chiusa dietro la Barriera.

Secondo fonti israeliane, in tre occasioni, palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani che percorrevano strade nella zona di Betlemme, causando danni a un numero imprecisato di automobili. Palestinesi hanno anche lanciato una bottiglia incendiaria contro l’insediamento colonico israeliano di Ofra (Ramallah), senza causare vittime o danni.

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Ultimi sviluppi (successivi al periodo di riferimento)

Il 18 settembre, al checkpoint di Qalandiya, che controlla l’accesso a Gerusalemme Est dal nord, le forze israeliane hanno sparato, uccidendo una donna che, a quanto riferito, aveva tentato una aggressione con un coltello.

nota 1:

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ð  sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina:  https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

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Forze israeliane sparano lacrimogeni e proiettili di gomma all’interno di Al-Aqsa nel primo giorno di Eid

MEE e agenzie

11 agosto 2019 – Middle East Eye

Decine di palestinesi feriti durante le proteste dopo che a centinaia di coloni è stato consentito di entrare nell’area per una festa ebraica

Domenica la polizia israeliana ha sparato proiettili di gomma e lacrimogeni all’interno del complesso di Al-Aqsa a Gerusalemme dopo che fedeli musulmani hanno protestato contro circa 450 coloni israeliani a cui è stato consentito di entrare nel luogo sacro nonostante fosse il primo giorno di Eid al-Adha.

Le celebrazioni musulmane hanno coinciso con la festa ebraica di Tisha B’av [giorno di lutto e di digiuno che ricorda vari eventi funesti nella storia del popolo ebraico, tra cui la distruzione del Secondo Tempio, ndtr.], che vede un incremento delle visite di ebrei al complesso di Al-Aqsa.

Le azioni israeliane hanno rovinato l’atmosfera festosa all’interno della zona, mentre migliaia di fedeli musulmani vi si erano riuniti per celebrare l’Eid al-Adha.

La Mezzaluna rossa ha affermato che sono rimasti feriti almeno 61 palestinesi, di cui 15 portati in ospedale per essere curati.

La radio pubblica israeliana Kan ha detto che quattro poliziotti sono rimasti feriti.

Organizzazioni palestinesi avevano in precedenza chiesto ai musulmani di andare a pregare per l’Eid domenica ad Al-Aqsa dopo che gruppi di ebrei avevano annunciato piani per fare irruzione nell’area per celebrare la festa ebraica.

Pressioni dei coloni

Nel tentativo di alleggerire la tensione, le autorità locali avevano detto che avrebbero vietato ai non- musulmani, compresi gli ebrei, di visitare il sito domenica.

Tuttavia alcune fonti hanno detto a Middle East Eye che a centinaia di coloni israeliani è stato permesso di entrare domenica mattina, in quella che hanno affermato essere la prima volta che questo è stato consentito che avvenisse nel primo giorno di Eid. 

Più tardi durante la giornata sarebbe stato permesso ad altri coloni di entrare.

Gruppi di coloni hanno fatto pressione sulle autorità israeliane per permettere la presenza di visitatori ebrei sul luogo durante Tisha Be’Av, in modo che essi potessero piangere la distruzione di un tempio che credono si trovasse lì 2.000 anni fa.

Temendo che ai fedeli ebrei fosse consentito di entrare, domenica centinaia di palestinesi hanno tenuto una manifestazione fuori da una delle porte per impedire loro l’ingresso nella moschea sacra.

Mentre affrontavano la polizia nell’affollato complesso, i palestinesi gridavano: “Con la nostra anima e con il nostro sangue ti libereremo, Aqsa.”

Secondo testimoni ne sono seguiti tafferugli e, quando sono esplose granate assordanti e il fumo si è sparso in tutto il complesso, la folla è scappata.

È la nostra moschea, è il nostro Eid,” ha detto Assisa Abu Sneineh, 32 anni, aggiungendo che si trovava lì quando sono scoppiati gli scontri.

Improvvisamente (forze di sicurezza) sono arrivate ed hanno iniziato a picchiare e a sparare granate assordanti,” ha detto all’agenzia di notizie AFP.

Tra i feriti c’è il capo del Waqf islamico [ente religioso di controllo dei siti islamici della Spianata delle Moschee, ndtr.], Abdel Azeem Salhab, che fa parte dell’amministrazione del complesso di Al-Aqsa.

Foto postate in rete mostrano la folla scappare dalla polizia per sfuggire ai lacrimogeni e ai proiettili di gomma.

Azione irresponsabile e aggressiva’

Hanan Ashrawi, importante dirigente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ha accusato Israele di aver provocato tensioni religiose e politiche.

L’irruzione nel complesso della moschea di Al-Aqsa da parte delle forze di occupazione israeliane in questa mattina di Eid è un’azione di sconsiderata aggressione,” ha detto in un comunicato.

Lo status del complesso di Al-Aqsa è uno dei problemi più delicati nel conflitto israelo-palestinese.

Il complesso di Al-Aqsa – che include la moschea di Al-Aqsa e la Cupola della Roccia – è considerato il terzo luogo più sacro per l’Islam.

I musulmani credono che, come affermato dal Corano, il profeta Maometto ascese in paradiso da lì.

Da quando hanno occupato Gerusalemme est nel giugno 1967, gli israeliani hanno pregato presso il Muro del Pianto, i resti del Secondo Tempio, considerato il luogo più sacro per l’ebraismo. Agli ebrei è consentito visitare il luogo durante un orario definito, ma non di pregarvi, per evitare di provocare tensioni.

Tuttavia coloni israeliani che entrano regolarmente nel complesso spesso recitano preghiere ebraiche sul posto.

Eid al-Adha commemora dio che mette alla prova la fede di Abramo ordinandogli di sacrificare suo figlio.

L’esercito [israeliano] e il ministero della Salute di Hamas hanno detto che, indipendentemente [dagli scontri ad Al-Aqsa], domenica sul confine di Gaza un palestinese ha sparato contro soldati israeliani, che hanno risposto al fuoco e lo hanno ucciso durante il terzo incidente del genere negli ultimi giorni.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 16 – 29 luglio 2019 (due settimane)

Nella Striscia di Gaza, il 26 luglio, un palestinese 23enne è stato colpito con arma da fuoco ed ucciso durante la manifestazione settimanale della “Grande Marcia del Ritorno” (GMR) che si svolge vicino alla recinzione perimetrale con Israele. Dal 10 maggio 2019, questa è stata la prima uccisione registrata nelle manifestazioni GMR.

Durante il periodo di riferimento, altri 473 palestinesi sono stati feriti nelle suddette manifestazioni e in attività correlate; per 188 di loro si è reso necessario il ricovero in ospedale.

In almeno dodici occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, allo scopo di far rispettare [ai palestinesi] le restrizioni di accesso [imposte da Israele] sulle aree di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale e al largo della costa. In un caso, due pescatori sono stati arrestati e la loro barca è stata confiscata; in un altro episodio, un uomo è stato arrestato mentre stava tentando di infiltrarsi in Israele attraverso la recinzione. Le forze israeliane hanno effettuato due incursioni [nella Striscia] ed hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno vicino alla recinzione; in un’altra occasione hanno lanciato razzi illuminanti, danneggiando una abitazione nell’Area Centrale [della Striscia].

Tra il 17 e il 23 luglio, le autorità israeliane hanno restituito 35 barche da pesca che la marina israeliana aveva confiscato nell’applicazione delle restrizioni di accesso. Secondo il Sindacato palestinese dei Pescatori, ciò porta a 66 il numero totale di pescherecci restituiti dall’inizio del 2019.

Nei villaggi e nelle città della Cisgiordania, complessivamente, le forze israeliane hanno effettuato 146 operazioni di ricerca-arresto, di cui 36 a Hebron e 30 a Gerusalemme, soprattutto ad Al ‘Isawiya. Durante queste operazioni almeno 200 palestinesi sono stati arrestati.

In Cisgiordania, 75 palestinesi, tra cui 22 minori, hanno subìto lesioni da parte delle forze israeliane o per inalazione di gas lacrimogeno o perché colpiti con proiettili di gomma o proiettili di arma da fuoco o perché aggrediti fisicamente [di seguito il dettaglio]. Ad Al ‘Isawiya, durante scontri, due poliziotti di frontiera israeliani sono stati feriti da pietre; in questo villaggio, negli ultimi due mesi, le forze israeliane sono entrate quasi quotidianamente, innescando scontri con i residenti. Trentatré palestinesi [dei 75] sono rimasti feriti in operazioni di ricerca-arresto: 24 in Al ‘Eizariya ed in Al’ Isawiya (Gerusalemme), 5 nei Campi Profughi di Ad Duheishah (Betlemme) e Jenin e 3 in altrettante località diverse. Altri sei palestinesi sono rimasti feriti il 22 luglio, nel quartiere di Sur Bahir a Gerusalemme Est, nel corso di scontri innescati dalla demolizione di dieci strutture (vedi sotto). Altri 31 [sempre dei 75] palestinesi sono rimasti feriti a Kafr Qaddum (Qalqiliya), durante la protesta settimanale contro l’espansione degli insediamenti; questi ferimenti sono stati causati principalmente da proiettili di gomma e inalazione di gas lacrimogeni. Infine, 5 palestinesi sono rimasti feriti nella Comunità di Fasayil (Gerico), nel corso di scontri con le forze israeliane; i residenti protestavano contro la mancanza di elettricità in quell’area.

Un detenuto palestinese 31enne è morto il 16 luglio in una prigione israeliana. L’uomo era stato arrestato nel giugno 2019; dopo l’arresto la sua salute era peggiorata e, secondo il Comitato dei prigionieri, sarebbe morto per negligenza medica. Secondo resoconti dei media israeliani, il Servizio penitenziario israeliano avrebbe fornito al detenuto adeguata assistenza medica e starebbe indagando sulla sua morte.

In un episodio avvenuto il 16 luglio, un colono israeliano ha aggredito e ferito fisicamente un bambino di 6 anni nella zona di Batn al Hawa, nel quartiere Silwan di Gerusalemme Est. In altri quattro episodi, agricoltori palestinesi e residenti hanno riferito che sospetti coloni israeliani hanno vandalizzato circa 150 ulivi appartenenti a residenti di Yasuf e Wadi Qana (Salfit), e Susiya e Ash Shuyukh (Hebron). Inoltre, durante il periodo di riferimento, l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha respinto una petizione avanzata da palestinesi per liberare una casa occupata da coloni nella zona (H2) di Hebron controllata da Israele. Dopo la sentenza, coloni hanno installato una roulotte vicino alla casa.

In Cisgiordania, durante il periodo in esame, un totale di 44 strutture di proprietà palestinese sono state demolite, sfollando 38 persone e causando ripercussioni di varia entità su oltre 6.000 altre persone [segue dettaglio]. 34 demolizioni [delle 44] erano motivate dalla mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele; 32 di queste si trovavano in Area C e due a Gerusalemme Est. In Area C, le demolizioni includevano 14 strutture finanziate da donatori, tra cui quattro cisterne d’acqua che approvvigionavano le comunità di Umm al Kheir e Khashem ad Daraj (1.750 persone). Entrambe le Comunità già affrontano gravi carenze idriche; così come altre Comunità situate nel sud di Hebron. Inoltre, nel villaggio di Asira Ash Shamaliya (Nablus), le autorità israeliane hanno fatto spianare tratti di quattro strade (finanziate da donatori) che portano a terreni agricoli, colpendo oltre 4.000 residenti; le strade sono state riaperte dagli abitanti il giorno seguente.

Le restanti dieci strutture [delle 44] sono state demolite il 22 luglio, citando problemi di sicurezza. Queste includevano nove edifici residenziali (tre dei quali abitati); tutti, tranne uno, si trovavano sul “lato Gerusalemme” della Barriera, in Aree A, B e C del quartiere di Sur Bahir. Queste demolizioni hanno comportato lo sfollamento di quattro famiglie (24 persone, di cui 14 minori) e sono conseguenti ad una sentenza dell’Alta Corte di Giustizia israeliana. La sentenza è imperniata su un ordine militare che, in prossimità della Barriera, fissa una zona cuscinetto di sicurezza in cui qualunque edificio è vietato. In risposta a questa vicenda, le Nazioni Unite hanno emesso una dichiarazione, in cui si afferma che “la politica israeliana di distruggere la proprietà palestinese non è compatibile con i suoi obblighi derivanti dal Diritto umanitario internazionale”.

Secondo fonti israeliane, in tre occasioni, palestinesi hanno lanciato pietre, fuochi d’artificio e barattoli di vernice su veicoli israeliani che viaggiavano su strade della Cisgiordania, in prossimità di Gerusalemme, Hebron e Ramallah. Almeno tre auto sono state danneggiate.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it

 




L’esercito israeliano ha riconosciuto che non era necessario uccidere in tempo reale i manifestanti a Gaza

Edo Konrad

24 luglio 2019 – + 972

L’esercito israeliano ammette di aver segretamente cambiato la propria politica dopo che si è reso conto che sparare alle gambe a manifestanti disarmati era letale. Le associazioni per i diritti affermano che la rivelazione è un’ammissione che Israele ha ucciso i manifestanti senza alcuna giustificazione.

L’esercito israeliano avrebbe cambiato le regole sull’aprire il fuoco per i propri cecchini schierati lungo la barriera tra Israele e Gaza, dopo che è risultato chiaro che hanno ucciso senza che vi fosse necessità manifestanti palestinesi disarmati, cosa che le associazioni per i diritti umani ed altre denunciano da molto tempo.

Nel corso della Grande Marcia del Ritorno a Gaza i cecchini e i tiratori scelti israeliani hanno ucciso 206 manifestanti palestinesi e ferito migliaia di altri – compresi minori, medici e giornalisti. Le proteste settimanali tuttora in corso, che sono iniziate nel marzo 2018, chiedono la fine dell’assedio israeliano a Gaza e il diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi.

La giornalista israeliana Carmela Menashe, reporter militare per la radio pubblica israeliana, all’inizio di questa settimana ha twittato che le IDF [esercito israeliano, ndtr] hanno apportato la modifica quando hanno capito che “sparare alla parte bassa del corpo sopra il ginocchio in molti casi ha provocato la morte, pur non essendo questo l’obbiettivo.” Secondo Menashe i soldati hanno ricevuto istruzioni di “sparare sotto il ginocchio e, in seguito, alle caviglie.”

Un alto ufficiale della scuola antiterrorismo dell’esercito ha detto al sito di notizie israeliano Ynet che l’obbiettivo dei cecchini “non era uccidere ma ferire, perciò una delle lezioni (apprese) è stata a che cosa dovessero sparare …Inizialmente gli abbiamo detto di sparare alle gambe, abbiamo capito che ciò poteva uccidere, per cui gli abbiamo detto di sparare sotto il ginocchio. In seguito abbiamo emesso un ordine più preciso di sparare alle caviglie.”

Una dichiarazione pubblicata mercoledì dall’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem accusa gli ufficiali israeliani di aver ammesso apertamente di essere a conoscenza che i loro soldati uccidevano persone che, “anche agli occhi dello Stato, non c’era ragione che venissero ammazzate.”

“Nessuno si è preoccupato di cambiare gli ordini e l’esercito ha continuato ad agire per tentativi ed errori, come se non si trattasse di persone reali che potevano essere uccise o ferite…Persone le cui vite, e le vite dei loro familiari, sono state distrutte per sempre”, ha dichiarato B’Tselem.

L’esercito israeliano ha a lungo sostenuto che le proteste presso la barriera dovrebbero essere considerate nel contesto di un conflitto armato a lungo termine con Hamas, quindi le regole per aprire il fuoco sono soggette alle norme di un conflitto armato, che consentono un più ampio margine di azione per l’uso della forza letale.

Le associazioni per i diritti umani e molte altre hanno respinto questa logica, sostenendo che trattare proteste civili come conflitti armati è illegale. Al culmine delle manifestazioni, mentre aumentava il numero delle vittime, la procuratrice della Corte Penale Internazionale ha pubblicato un avvertimento secondo cui “la violenza contro civili – in una situazione come quella attuale a Gaza” potrebbe costituire un crimine di guerra. Chiunque ordini, incoraggi o attui tale violenza, ha detto, “è passibile di incriminazione dinnanzi alla Corte.”

Nonostante le critiche internazionali e le richieste di un’indagine indipendente sull’uccisione di manifestanti disarmati a Gaza, le autorità israeliane hanno ripetuto gli ordini di aprire il fuoco sui manifestanti disarmati.

Lo scorso maggio l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha respinto due ricorsi delle associazioni israeliane per i diritti umani che chiedevano la fine delle uccisioni di civili disarmati presso la barriera. L’esercito israeliano in quel caso ha sostenuto che i proiettili veri potevano essere usati in risposta a “violenti disordini che costituiscono un pericolo reale e imminente per le forze dell’esercito o per i civili israeliani”, e che le regole d’ingaggio consentono “di sparare con precisione alle gambe di un importante fomentatore o istigatore [di disordini], per evitare il pericolo di una rivolta violenta.”

Lo Stato Maggiore ha anche aggiunto che “vi è un sistematico processo di elaborazione di istruzioni operative e loro implementazione”, che l’esercito ha affinato le procedure riguardo ad aprire il fuoco per “ridurre ulteriormente il più possibile le morti”, e che i casi in cui sono stati uccisi dei palestinesi sono stati riferiti allo Stato Maggiore per ulteriori indagini.

Edo Konrad è scrittore, blogger e traduttore e vive a Tel Aviv. In precedenza ha lavorato come redattore al quotidiano Haaretz ed è attualmente vice caporedattore della rivista +972 Magazine.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)