Sionismo contro Sionismo: Ben-Gvir e l’accelerazione del crollo di Israele

Ramzy Baroud

3 settembre 2024-Middle East Monitor

Il 26 agosto il ministro della sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben-Gvir ha giurato di costruire una sinagoga all’interno del Nobile Santuario di Al-Aqsa, il luogo sacro musulmano noto come Al-Haram Al-Sharif. Come rappresentante della potente tendenza del sionismo religioso di Israele nel governo e nella società in generale, Ben-Gvir è stato sincero riguardo ai suoi progetti nella Gerusalemme Est occupata e nel resto della Palestina. Ha sostenuto una guerra di religione, chiedendo la pulizia etnica dei palestinesi, la morte per fame o l’esecuzione dei prigionieri palestinesi e l’annessione della Cisgiordania.

Nella sua veste di ministro nel governo altrettanto estremista di Benjamin Netanyahu, Ben-Gvir ha lavorato duramente per tradurre il suo linguaggio in azione. Ha fatto irruzione ripetutamente nella moschea di Al-Aqsa e ha implementato le sue politiche di affamare i detenuti palestinesi, arrivando persino a difendere lo stupro nei campi di detenzione militari israeliani e a chiamare i soldati accusati di un crimine così atroce “i nostri migliori eroi”.

Inoltre i suoi sostenitori hanno compiuto centinaia di aggressioni e decine di pogrom contro le comunità palestinesi in Cisgiordania. Secondo il Ministero della Salute palestinese almeno 670 palestinesi sono stati uccisi nella Cisgiordania occupata dall’inizio della guerra di Gaza lo scorso ottobre. Un gran numero di persone uccise e ferite sono state vittime di coloni ebrei illegali.

Tuttavia non tutti gli israeliani nelle istituzioni politiche e di sicurezza sono d’accordo con il comportamento e le tattiche di Ben-Gvir. Ad esempio, il 22 agosto, il capo dello Shin Bet israeliano, Ronen Bar, ha messo in guardia contro i danni causati a Israele dalle azioni di Ben-Gvir a Gerusalemme Est.

Il danno allo Stato di Israele, soprattutto ora… è indescrivibile: delegittimazione globale, anche tra i nostri più grandi alleati”, ha scritto Bar in una lettera a diversi ministri israeliani.

La sua lettera può sembrare strana. Lo Shin Bet è stato determinante nell’uccisione di numerosi palestinesi in nome della sicurezza israeliana. Bar stesso è un forte sostenitore degli insediamenti coloniali illegali, tanto aggressivo quanto richiesto a una persona che guida un’organizzazione così famigerata. Il conflitto di Bar con Ben-Gvir, tuttavia, non è di sostanza, ma di stile.

Questo conflitto è solo l’espressione di una molto più estesa guerra ideologica e politica tra le principali istituzioni di Israele. Questa guerra “Sionismo contro Sionismo”, tuttavia, è iniziata prima dell’attacco del 7 ottobre e della guerra e del genocidio israeliani in corso a Gaza.

Sette mesi prima dell’inizio dell’attuale guerra a Gaza il presidente israeliano Isaac Herzog ha dichiarato in un discorso televisivo che “Coloro che pensano che una vera guerra civile… sia un confine che non attraverseremo, non ne hanno idea”.

Il contesto della sua dichiarazione era il “vero e profondo odio” tra gli israeliani derivante dai tentativi da parte di Netanyahu e dei suoi partner di coalizione del governo estremista di minare il potere della magistratura. La lotta per la Corte Suprema, tuttavia, era semplicemente la punta dell’iceberg. Il fatto che in Israele ci siano volute cinque elezioni in quattro anni per avere un governo stabile nel dicembre 2022 è esso stesso indicativo del conflitto politico senza precedenti di Israele.

Forse il nuovo governo è risultato “stabile” in termini di equilibri parlamentari, ma ha destabilizzato il Paese su tutti i fronti, provocando proteste di massa che hanno coinvolto la potente, ma sempre più emarginata classe militare.

L’attacco del 7 ottobre è avvenuto in un momento di vulnerabilità sociale e politica probabilmente senza precedenti dalla fondazione di Israele sulle rovine della Palestina storica nel maggio 1948.

La guerra, e in particolare il fallimento nel raggiungere uno qualsiasi dei suoi obiettivi, ha aggravato il conflitto esistente. Ciò ha portato ad avvertimenti da parte di politici e militari che il Paese stava crollando.

Il più chiaro di questi avvertimenti è venuto da Yitzhak Brik, un ex comandante militare israeliano di alto rango. Ha scritto su Haaretz il 22 agosto che il “paese… sta galoppando verso l’orlo di un abisso” e che “crollerà entro un anno al massimo”.

Sebbene Brik, tra le altre cose, abbia incolpato Netanyahu per la guerra persa a Gaza, la classe politica anti-Netanyahu ritiene che la crisi risieda principalmente nel governo stesso. La soluzione, secondo i recenti commenti di Herzog, è che il kahanismo debba essere rimosso dal governo.

Il Kahanismo si riferisce al partito Kach del [defunto, n.d.t.] rabbino Meir Kahane. Sebbene ora vietato, il Kach è riemerso in numerose forme, incluso il partito Otzma Yehudit di Ben-Gvir. Come discepolo di Kahane Ben-Gvir è pronto a realizzare la visione del rabbino estremista: la completa pulizia etnica del popolo palestinese.

Ben-Gvir e i suoi seguaci sono pienamente consapevoli dell’opportunità storica ora a loro disposizione, poiché sperano di innescare la tanto desiderata guerra di religione. Sanno anche che se la guerra a Gaza finisce senza far progredire il loro piano principale di colonizzare il resto dei territori occupati l’opportunità potrebbe non presentarsi mai più.

La corsa dell’estrema destra di Ben-Gvir per realizzare l’agenda religiosa sionista contraddice la forma tradizionale del colonialismo israeliano, basata sul “genocidio graduale” dei palestinesi e sulla lenta pulizia etnica delle comunità palestinesi di Gerusalemme Est e della Cisgiordania.

I militari israeliani ritengono che gli insediamenti illegali siano essenziali, ma percepiscono queste colonie nel linguaggio strategico come una zona cuscinetto di “sicurezza” per Israele.

I vincitori e gli sconfitti della guerra ideologica e politica in Israele emergeranno molto probabilmente dopo la fine della guerra di Gaza, i cui esiti determineranno altri sviluppi, tra cui il futuro stesso dello Stato di Israele, secondo le valutazioni dello stesso generale Yitzhak Brik.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Israele progetta una colonia su un sito patrimonio UNESCO, mentre aumentano i furti di terra

Tamara Nassar

23 Agosto 2024 – Electronic Intifada

Quando la scorsa settimana un gruppo di più di 100 ebrei facinorosi, a volto coperto e armati di pistole e fucili automatici, ha ucciso un palestinese, ne ha feriti altri e ha appiccato il fuoco a diverse abitazioni nella cittadina palestinese di Jit, nel nord della Cisgiordania occupata, il governo israeliano li ha prontamente condannati.

“É una minoranza di estremisti che danneggia la comunità dell’insediamento rispettosa della legge e l’intero insediamento, nonché il nome e lo status di Israele nel mondo”, ha scritto, su X – già Twitter – Isaac Herzog, il presidente di Israele.

Secondo quanto riferito, l’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha chiesto che “i responsabili di ogni illecito” siano arrestati e processati.

Infatti, sono stati arrestati in tutto ben quattro coloni.

Il Palestinian Center for Human Rights [Centro Palestinese per i Diritti Umani] riferisce che i coloni hanno sparato agli abitanti palestinesi del villaggio, lanciato pietre contro le loro case e dato alle fiamme i loro automezzi.

I coloni hanno sparato al ventitreenne Rashid Mahmoud al-Sadeh che, colpito al petto, è morto sul colpo.

Dopo un’ora dall’inizio dell’assalto dei coloni l’esercito israeliano ha preso parte all’aggressione, disperdendo con la forza i palestinesi e “impedendo loro di spegnere le fiamme che avvolgevano le case e i veicoli”.

L’esercito israeliano “ha sparato in aria sia proiettili che candelotti di gas lacrimogeno e non ha intrapreso nessuna azione per fermare la furia dei coloni”. Al contrario, si sono assicurati che i coloni potessero ritirarsi dal villaggio in sicurezza.

Le forze di occupazione israeliane hanno chiuso le vie d’accesso al villaggio, bloccando ambulanze e paramedici.

“Questo crimine fa parte di una più ampia ondata di violenze istigate dalla campagna di continuo incitamento [all’odio] che alcuni ministri israeliani stanno mettendo in atto”, ha dichiarato il PCHR.

“Questi attacchi sono incoraggiati dall’impunità istituzionalizzata e dal sostegno incessante da parte dei vertici politici e militari di Israele nei confronti delle violenze dei coloni”.

I coloni sono lo Stato

Le dichiarazioni del governo israeliano secondo le quali una manciata di coloni sono le mele marce di un cesto altrimenti “rispettoso della legge” sono un tentativo di distogliere l’attenzione da coloro ai quali i coloni obbediscono, e di nascondere il il progetto di colonizzazione nel suo insieme.

I coloni sono la fanteria dello Stato colonizzatore di Israele e, come dimostra il recente attacco a Jit, agiscono d’intesa con l’esercito.

L’impennata di violenze da parte dei coloni dopo il 7 ottobre non è riconducibile ad una minoranza di fuorilegge, come vorrebbero invece far credere le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea.

Negli ultimi mesi Stati Uniti, Francia, Regno Unito e altri alleati di Israele che hanno sempre sostenuto le sue azioni a Gaza hanno annunciato sanzioni contro un piccolo numero di coloni israeliani.

Questo è un evidente tentativo di distogliere l’attenzione dalla loro complicità nel genocidio dei palestinesi a Gaza, mentre promuove l’idea, falsa, che le violenze dei coloni siano dovute a poche mele marce. Le sanzioni, se fossero minimamente serie, dovrebbero essere contro Israele e i suoi dirigenti, non contro alcuni individui isolati.

I coloni sono indispensabili per la politica israeliana di colonizzazione di insediamento, la quale è intrinsecamente violenta e si sta intensificando mentre l’attenzione di tutti è catturata dal genocidio dei palestinesi a Gaza.

“La violenza dei coloni è inseparabile dal disegno politico israeliano nel suo insieme, finalizzato a stabilire la propria sovranità sulla Cisgiordania e proseguire il piano di pulizia etnica dei palestinesi,” ha affermato il CPDU.

Quando Herzog, il presidente israeliano, parla di “comunità dell’insediamento rispettosa della legge”, fa riferimento unicamente alla legge israeliana – il rispetto della quale peraltro è raramente imposto ai coloni.

In realtà le colonie israeliane nella Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme Est, e nelle alture del Golan, che appartengono alla Siria, costituiscono una violazione della legge internazionale e sono considerate un crimine di guerra.

Costruendo colonie Israele commette violazioni dei diritti umani contro la popolazione palestinese sotto occupazione, inclusi demolizioni di case, espulsioni forzate e furto di terre.

Un insediamento in un sito UNESCO

Nel frattempo il governo israeliano premedita di costruire insediamenti per soli ebrei nel territorio del villaggio palestinese di Battir, dichiarato nel 2014 sito UNESCO Patrimonio dell’umanità.

La designazione dell’UNESCO intendeva proteggere lo straordinario e antico paesaggio agricolo di Battir e la sua cultura dal piano israeliano di costruirvi il muro di separazione.

“Il paesaggio culturale di Battir comprende antichi terrazzamenti, siti archeologici, tombe scavate nella roccia, torri agricole e soprattutto un sistema idrico intatto, costituito da un insieme di vasche e canali”, scrive l’UNESCO. “L’integrità di questo sistema idrico tradizionale è garantita dalle famiglie di Battir, che da esso dipendono”.

L’ente culturale mondiale aggiunge che “il sistema di distribuzione dell’acqua usato dalle famiglie di Battir è la testimonianza di un antico sistema egalitario di distribuzione”.

L’Amministrazione Civile – il braccio burocratico dell’occupazione militare israeliana – ha rivelato questo mese la mappa della “linea blu” intorno al territorio di Battir, destinandolo a sito di costruzione per la colonia denominata Nahal Heletz.

La “linea blu” delimita un terreno che il governo israeliano dichiara “territorio dello Stato”, destinandolo così al furto e alla colonizzazione. Per la maggior parte questo territorio è composto da terre private, abitate e lavorate dalle famiglie di Battir da generazioni – come del resto ovunque in Cisgiordania, che Israele sta colonizzando.

I trucchi pseudo-legali israeliani sono una farsa finalizzata a giustificare quello che a tutti gli effetti è un furto di terra palestinese a mano armata.

Serve “a legittimare l’impresa di colonizzazione”, commenta l’osservatorio [israeliano] sugli insediamenti Peace Now.

Ma i palestinesi non hanno mezzi adeguati per difendere i loro diritti nel sistema legale israeliano, nel quale molti giudici sono essi stessi coloni.

L’occupazione aveva inizialmente previsto poco più di 12 ettari per la costruzione dell’insediamento. Secondo Peace Now la nuova “linea blu” annette altri 60 ettari per il potenziale sviluppo futuro – tutti all’interno del sito UNESCO patrimonio dell’umanità.

“La nuova colonia a Nahal Heletz creerà un’enclave isolata in profondità nel territorio palestinese”, ha aggiunto l’associazione. Ma si tratta indubbiamente soltanto del punto di partenza per future espansioni.

Nahal Heletz è uno dei cinque insediamenti approvati dal governo israeliano a giugno, quattro dei quali erano in precedenza avamposti – un termine che Israele usa per i nuovi piccoli insediamenti creati dai coloni in aperta violazione delle stesse normative israeliane.

“Il ritmo delle dichiarazioni di linee blu e territori dello Stato è senza precedenti”, dice Peace Now.

Netanyahu e Bezalel Smotrich, il Ministro delle Finanze di estrema destra, “stanno portando avanti senza tregua annessioni di fatto, ignorando palesemente la convenzione UNESCO di cui Israele è firmatario”, afferma Peace Now.

Fatti sul terreno

Quando la scorsa settimana gli è stato chiesto della colonia prevista a Battir, il portavoce [aggiunto n.d.t.] del Dipartimento di Stato statunitense Vedant Patel ha detto che “ognuno di questi nuovi insediamenti ostacolerebbe lo sviluppo economico e la libertà di movimento dei palestinesi”.

Cosa non priva di interesse, Patel non ha menzionato in alcun modo il fatto che le colonie israeliane violano le leggi internazionali.

Quando gli è stato chiesto se l’opposizione statunitense agli insediamenti potrebbe impedirne la costruzione, Patel ha liquidato l’espansione delle colonie come “un’iniziativa unilaterale israeliana” e non ha proposto nessuna azione statunitense per fermarla.

“Vi siete opposti a centinaia di annunci di nuove colonie, e sono state tutte costruite. Allora che senso ha continuare a dire che vi opponete?” ha chiesto il corrispondente della BBC Tom Bateman.

“Ci preme chiarire quali siano la nostra prospettiva e il nostro punto di vista”, ha replicato Patel.

Ciò schematizza bene il processo, che ha inizio con il furto di terra palestinese da parte di coloni cosiddetti “estremisti” e culmina in fatti sul terreno che gli Stati Uniti sono più che disposti a tollerare.

Il governo israeliano permette ai coloni di creare avamposti, li aiuta a farlo e infine li riconosce ufficialmente.

Una volta che gli insediamenti hanno ottenuto il riconoscimento ufficiale dal governo israeliano, gli Stati Uniti reagiscono con vuote formule retoriche sull’espansione delle colonie come ostacolo alla moribonda “soluzione a due Stati”.

Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite OCHA dal 7 ottobre i coloni hanno condotto almeno 1.270 attacchi contro i palestinesi.

Questo numero comprende gli attacchi che hanno provocato ferite ai palestinesi e danni alla proprietà.

I coloni israeliani minacciano i palestinesi con armi da fuoco, vandalizzano le loro proprietà, ostacolano il loro accesso all’acqua, distruggono i loro alberi, danneggiano i loro veicoli, rubano le loro beni, li intimidiscono e aggrediscono fisicamente.

Questa violenza è pianificata e calcolata con l’intento di terrorizzare i palestinesi al punto da farli desistere dal coltivare o accedere alle loro terre, in modo che i coloni possano impossessarsene, lo Stato israeliano possa riconoscere ufficialmente il furto e gli Stati Uniti infine fare pressione sui palestinesi affinché accettino dei “compromessi”, rinunciando alla terra rubata in futuri accordi “di pace”.

Dal 7 ottobre 2023 a metà agosto di quest’anno nella Cisgiordania occupata Israele ha demolito, confiscato o costretto a demolire più di 1.400 strutture di proprietà palestinese, più di un terzo dei quali edifici residenziali.

Si tratta del doppio delle demolizioni in rapporto allo stesso periodo prima del 7 ottobre.

Queste demolizioni hanno spinto fuori dalle loro case circa 3.200 palestinesi, 1.400 dei quali bambini.

[traduzione dall’inglese di Giacomo Coggiola]




Come la crescita della violenza israeliana in Cisgiordania sta alimentando la resistenza palestinese

Miriam Barghouti

12 agosto 2024 – The New Arab

Approfondimento: dall’inizio della guerra a Gaza Israele ha ucciso in Cisgiordania oltre 600 palestinesi, con violenti raid, migliaia di arresti e attacchi sempre più frequenti da parte dei coloni.

Secondo il Ministero della Salute palestinese nel corso dell’attacco sono stati uccisi almeno dieci palestinesi. Oltre che a Jenin, è stata lanciata un’altra operazione militare contro Tubas, 22 km a sud-est della città, durante la quale le forze militari israeliane hanno ucciso altri quattro palestinesi, tra cui un minore.

Solo tre giorni prima, il 3 agosto, l’esercito israeliano ha effettuato un attacco su larga scala contro il campo profughi di Tulkarem, 50 km a sud-est di Jenin, in cui sono stati uccisi almeno nove palestinesi. Con l’attacco a Jenin, il numero di palestinesi uccisi in Cisgiordania nella sola prima settimana di agosto è salito a 26.

Tra le preoccupazioni per un’imminente guerra regionale, i palestinesi stanno già affrontando un ampliamento e un’intensificazione delle operazioni militari israeliane in Cisgiordania. Secondo l’UNRWA la situazione in Cisgiordania si sta deteriorando giorno per giorno a causa di quella che l’organizzazione ha definito la “guerra silenziosa” di Israele contro i palestinesi.

Dall’ottobre 2023, e nell’arco di 10 mesi, l’esercito israeliano ha ucciso in Cisgiordania più di 634 palestinesi, di cui almeno un quinto bambini e minorenni. Questo è il tasso più alto di palestinesi uccisi a seguito dell’occupazione militare israeliana in Cisgiordania da quando, nel 2005, l’ONU ha iniziato a documentare le vittime.

Operazioni militari israeliane e resistenza in Cisgiordania

“Quando Israele avrà finito con Gaza verrà in Cisgiordania per fare esattamente la stessa cosa”, ha detto Abu Al-Awda, un disertore delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e combattente delle Brigate Jenin, a The New Arab nell’ottobre 2023, appena due settimane dopo l’aggressione militare israeliana a Gaza.

Come previsto da Abu Al-Awda, secondo le agenzie delle Nazioni Unite, da novembre dell’anno scorso le operazioni militari israeliane in Cisgiordania sono aumentate a un ritmo “allarmante”.

Tuttavia questa intensificazione della violenza in Cisgiordania non è né nuova né improvvisa. Negli ultimi tre anni le città e i villaggi palestinesi in Cisgiordania hanno dovuto affrontare un volume senza precedenti di violenza da parte dei coloni sostenuti dallo Stato, aggressioni guidate dai militari durante le quali sono stati commessi omicidi extragiudiziali e un’allarmante escalation della pratica israeliana di detenere palestinesi senza processo o accusa, compresi bambini e minorenni.

Negli ultimi tre anni l’esercito israeliano ha battuto ripetutamente il record di uccisioni di palestinesi in Cisgiordania, con una quasi totale assenza a livello internazionale di accertamento delle responsabilità. Oltre agli attacchi dei coloni, che includono linciaggi e incendi dolosi con famiglie bruciate all’interno delle loro case, l’esercito e la polizia israeliani hanno intensificato le esecuzioni sommarie a distanza ravvicinata di civili palestinesi.

In tale contesto ha continuato a crescere lo scontro armato contro l’esercito israeliano, in particolare nelle aree a nord della Cisgiordania, vale a dire Nablus, Jenin e in seguito Tulkarem e Tubas.

Come a Gaza, l’esercito israeliano sta ora intensificando in Cisgiordania l’uso bellico dei droni, incluso l’Hermes 450. Mentre l’esercito israeliano afferma di aver preso di mira i gruppi di resistenza palestinese, che l’esercito definisce “cellule terroristiche”, la stragrande maggioranza di persone uccise non sono combattenti, con le violente distruzioni compiute dall’esercito dirette prevalentemente a infrastrutture civili.

“Questo fa parte della politica israeliana”, ha detto Abu Jury, un combattente della Brigata Tulkarem, al The New Arab appena un giorno dopo l’assalto su larga scala in cui nove persone sono state uccise e parti del campo ridotte in macerie. “Prendono di mira i civili per fare pressione sui combattenti. Noi della brigata Tulkarem, prima delle bombe siamo rimasti quasi due settimane senza acqua”, spiega.

Da Gaza alla Cisgiordania: diversa intensità, stessa strategia

Nel corso degli anni i palestinesi della Cisgiordania sono stati gradualmente ridotti ad uno stato di deprivazione simile a quello di Gaza.

Oltre all’evidente aumento della violenza da parte dei coloni e dell’esercito israeliani, i politici di Israele hanno favorito la deprivazione dei palestinesi di risorse essenziali per la sopravvivenza come l’acqua, in particolare acqua potabile, elettricità e libertà di movimento.

Con i jet da guerra che volteggiavano sopra le loro teste e il rischio di un assassinio mirato in qualsiasi momento, Abu El-Izz, un combattente veterano della PIJ [la Jihad Islamica in Palestina, ndt.] con le Brigate Jenin, ha spiegato a The New Arab perché si è unito alla resistenza armata, prima in segreto e poi come membro effettivo della brigata.

“Quando sono stato arrestato dall’esercito israeliano [nel 2002], chi mi interrogava ha detto ‘sei [appena] venuto fuori dal ventre di tua madre e sei [già] un vandalo'”, racconta. Rievocando la sua prigionia a soli 15 anni, ora ne ha 37, Abu El-Izz ricorda la sua risposta al suo interrogatore. “Gli ho detto: non capisci che sono le tue azioni a legittimare lo scontro?”.

“Guarda, in fondo siamo studenti della libertà“, dice Abu El-Izz. “Chiunque si unisce a noi da tutto il mondo, non importa quale sia il suo background, lo accogliamo. La resistenza, armata o disarmata, è benvenuta, finché l’obiettivo è perseguire la libertà“, sottolinea.

Secondo Abu El-Izz, “è pericoloso ridurre ciò che sta accadendo ai palestinesi alla cronologia del 7 ottobre”. L’anziano combattente scoraggia qualsiasi domanda su possibili timori che ciò che sta accadendo a Gaza possa arrivare in Cisgiordania.

È riduttivo e ingenuo suggerire che la guerra di Israele contro di noi sia iniziata lo scorso autunno. Hanno intrapreso una guerra contro di noi e hanno intensificato ogni anno i loro attacchi.

Isolare e istillare la paura: Al di là dei bombardamenti a tappeto

Come Abu El-Izz, il 51enne Abu El-Azmi sottolinea che la “guerra silenziosa” di Israele contro i palestinesi, in particolare in Cisgiordania, è stata condotta in modi e forme diversi.

Di sinistra, Abu El-Azmi si considera un alleato delle Brigate Jenin nonostante non sia un combattente. “Non sono solo le bombe”, dice Abu El-Azmi a The New Arab. “Siamo incatenati da un milione di catene, e sono tutte illusioni”, ha spiegato Abu Al-Azmi. “Dobbiamo spezzare queste catene”.

Lo squilibrio di potere tra l’esercito israeliano e i gruppi armati palestinesi è così netto che è quasi incomprensibile come i palestinesi possano continuare a resistere con fucili M16 obsoleti, molotov, pietre e IED [Improvised Explosive Device: ordigni esplosivi improvvisati, ndt.] artigianali contro alcune delle tecnologie belliche più avanzate e gli aiuti militari internazionali a disposizione di Israele.

A Gaza c’è una modalità più strutturata e organizzata per le operazioni di resistenza armata condotte dall’ala militare di Hamas, le Brigate Qassam, e l’ala armata della Jihad islamica palestinese (PIJ), le Brigate Al-Quds. A differenza di Gaza in Cisgiordania la resistenza assume una forma meno strutturata, che si esprime principalmente attraverso interventi individuali che operano da aree specifiche come il campo profughi di Jenin, il campo profughi di Tulkarem, Nablus e Tubas.

Invece di operare attraverso una specifica affiliazione politica le brigate palestinesi in Cisgiordania sono motivate da un impulso individuale. “Devi acquistare la tua pistola, imparare a usarla e poi impegnarti nella resistenza”, spiega Abu El-Izz.

Questa differenza nella struttura è dovuta in gran parte alla sorveglianza israeliana e al contatto con i palestinesi in Cisgiordania in un modo diverso da Gaza. Mentre Gaza è stata posta sotto un assedio militare per quasi due decenni, per cui i palestinesi avevano una conoscenza di Israele mediata solo dal suono dei droni e delle bombe che cadevano dal cielo, i palestinesi in Cisgiordania affrontano un contatto diretto con l’esercito israeliano a causa della presenza di colonie illegali. La presenza di colonie è anche ciò che ostacola la capacità di Israele di bombardare a tappeto la Cisgiordania fino ad annientarla.

Con ciò, l’asfissiante sorveglianza e la detenzione di massa dei palestinesi sono diventate una pratica comune israeliana in Cisgiordania. “Prima che con le bombe la guerra contro di noi è psicologica”, sottolinea Abu El-Azmi. “Anzitutto instillano la paura nella comunità in modo che si abbia paura l’uno dell’altro prima di avere paura dell’esercito israeliano”, dice.

Abu El-Azmi è molto amato dalla sua comunità ed è conosciuto nelle Brigate Jenin come un uomo che non esita a dare rifugio e a offrire supporto ai combattenti ricercati da Israele, rendendolo un bersaglio da assassinare.

“Ricordi circa qualche settimana fa quando l’esercito israeliano ha legato un uomo ferito alla jeep militare come scudo umano?”, dice uno dei combattenti della brigata, indicando Abu Azmi. “L’obiettivo di quell’incursione era Abu Azmi”.

Questa pratica di non prendere di mira solo i palestinesi e i combattenti politicamente attivi, ma chiunque mostri simpatia e relazioni con loro è stata un protocollo comune di “deterrenza” da parte di Israele.

La stessa strategia viene usata contro gli attori regionali che intervengono o mostrano sostegno alla causa della liberazione palestinese. La dottrina Dahiya usata in Libano nel 2006, che ha comportato l’uso di una forza sproporzionata contro le infrastrutture civili, è emblematica.

Il tentativo di Israele di riformulare il contesto

Per decenni i palestinesi hanno dovuto affrontare una rigida politica di isolamento e separazione progettata dall’apparato di sicurezza israeliano.

Secondo Abu El-Izz, mentre la resistenza armata palestinese è cresciuta in Cisgiordania negli ultimi tre anni, “ciò che ha fatto il 7 ottobre è stato costringere tutti a guardare in questa direzione”.

“Tutto ciò che sta accadendo oggi è solo una parte di ciò che è accaduto in Palestina dal 1948, non si può separare”, afferma.

Secondo il combattente veterano, la provocazione di Israele di una guerra regionale è dovuta proprio a questo cambiamento di percezione. “È indubbio che gli sforzi internazionali, sia a livello regionale che altrove, richiedano di fermare la guerra e di rimettere al centro la Palestina nei termini di una causa di liberazione”, dice Abu El-Izz a The New Arab.

“Non si tratta solo di resistenza locale e regionale”, ha aggiunto. “Bisogna anche guardare agli studenti di tutto il mondo che hanno avuto il coraggio di parlare contro Israele sottolineando il tema della liberazione”.

Forse è per questo che la provocazione intenzionale di Israele nei confronti delle potenze regionali, insieme al contemporaneo rifiuto di mostrare un minimo sforzo di affrontare la questione della liberazione della Palestina, è vista come un tentativo di ostacolare la ricerca della libertà palestinese. “Ovviamente l’occupazione israeliana rifiuta questa idea [di liberazione] e vuole continuare le sue violazioni, la sua occupazione e aggressione in tutte le terre palestinesi”, afferma Abu El-Izz.

Dopo l’assassinio mirato del rappresentante politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran il 31 luglio, avvenuto solo poche ore dopo l’uccisione del comandante di Hezbollah Fuad Shukr a Beirut il 30 luglio, la maggior parte dei colloqui diplomatici si è spostata sulle preoccupazioni per una guerra regionale.

“La barbarie di Israele sta cercando di espandere la sua guerra a livello regionale per facilitare il nostro continuo massacro”, spiega Abu El-Izz. “Ecco perché non puoi ignorare e non menzionare la liberazione della Palestina nel valutare tutti gli sviluppi in corso”.

Mentre le potenze regionali sono gli unici attori che forniscono una parvenza di supporto, offrendo una pur esile speranza di fermare le pratiche israeliane di pulizia etnica, la scissione del conflitto regionale dalla liberazione palestinese tiene nascosto un punto più fondamentale.

Per i palestinesi l’obiettivo esplicito di Israele di cacciarli dalle loro terre con la morte o la fuga andrà avanti, che ci sia o meno una guerra regionale.

Mariam Barghouti è una scrittrice e giornalista che vive in Cisgiordania. Si occupa della regione da dieci anni nella veste di reporter e analista, è stata principale corrispondente per la Palestina per Mondoweiss ed è membro del Marie Colvin Journalist Network [comunità online di giornaliste arabe, ndt.].

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Il 7 ottobre l’IDF ha ordinato la messa in pratica della direttiva Hannibal per impedire che Hamas prendesse in ostaggio dei soldati

Yaniv Kubovich

7 luglio 2024 – Haaretz

C’era un’isteria folle e le decisioni hanno iniziato ad essere prese senza informazioni verificate”: documenti e testimonianze ottenute da Haaretz rivelano che in tre strutture militari infiltrate da Hamas è stata messa in pratica la direttiva operativa “Hannibal”, che ordina l’uso della forza per evitare che vengano catturati dei soldati e che potrebbe aver colpito anche civili.

Nelle prime ore del 7 ottobre le operazioni della divisione Gaza e i bombardamenti aerei erano basati su poche informazioni. I primi lunghi momenti dopo il lancio dell’attacco di Hamas sono stati caotici. Stavano arrivando informazioni il cui valore non sempre era chiaro. Quando è stato compreso il loro significato si è capito che stava avvenendo qualcosa di orribile.

Le reti di comunicazione non potevano stare al passo con il flusso di informazioni, come nel caso dei soldati che mandavano i loro rapporti. Tuttavia il messaggio inviato alle 11.22 del mattino nella rete della divisione Gaza è stato capito da chiunque: “Non un solo veicolo può tornare a Gaza” è stato l’ordine.

In quel momento l’IDF [l’esercito israeliano, ndt.] non era cosciente della quantità di rapiti lungo il confine di Gaza, ma sapeva che molte persone erano state coinvolte. Quindi era assolutamente chiaro cosa significasse quel messaggio e quale sarebbe stata la sorte di alcune delle persone rapite.

Non è stato il primo ordine impartito dal comando di divisione con l’intento di sventare rapimenti anche a spese della vita dei rapiti, un’operazione nota nell’esercito come “procedura Hannibal”. Documenti ottenuti da Haaretz e testimonianze di soldati e ufficiali di medio e alto livello dell’IDF rivelano una serie di ordini e procedure stabilite dal comando della divisione Gaza, dal comando meridionale e dallo stato maggiore dell’esercito israeliano fino al pomeriggio di quel giorno e che mostrano quanto sia stata diffusa questa procedura dalle prime ore seguite all’attacco e in vari punti lungo il confine.

Haaretz non sa se o quanti civili e soldati siano stati colpiti in seguito a queste procedure, ma i dati raccolti indicano che molti dei rapiti erano a rischio, esposti al fuoco israeliano, anche se non erano l’obiettivo.

Alle 6.43 del mattino, ora in cui è stata lanciata una raffica di razzi contro Israele e migliaia di miliziani di Hamas hanno attaccato le piazzeforti dell’esercito e le strutture di osservazione e comunicazione della divisione, il suo comandante, brigadiere generale Avi Rosenfeld, dichiarò che “i filistei [nome biblico qui sinonimo di palestinesi, ndt.] hanno invaso”.

Quando un nemico invade il territorio israeliano questa è la procedura: un comandante di divisione può assumere un’autorità straordinaria, compreso l’uso di fuoco di armi pesanti all’interno del territorio di Israele per bloccare un’incursione nemica.

Una fonte molto importante dell’IDF ha confermato ad Haaretz che il 7 ottobre è stata attuata la procedura Hannibal, aggiungendo che essa non è stata utilizzata dal comando di divisione. Chi ha dato l’ordine? Ciò, dice la fonte, forse verrà stabilito da indagini dopo la fine della guerra [a Gaza].

In ogni caso, afferma un ufficiale della Difesa al corrente delle operazioni del 7 ottobre presso la divisione Gaza, nelle ore del mattino “nessuno sapeva cosa stesse succedendo fuori.” Dice che Rosenfeld era nella sala operativa, senza uscirne, “mentre fuori infuriava una guerra mondiale.”

“Tutti quanti erano scioccati per il numero di terroristi penetrati nella base. Neppure nei nostri peggiori incubi avevamo piani per un tale attacco. Nessuno aveva la minima idea del numero di persone rapite o dove si trovassero le forze dell’esercito. C’era un’isteria folle, con decisioni prese senza alcuna informazione verificata,” continua.

Una di queste decisioni è stata presa alle 7.18 del mattino, quando un punto di osservazione dell’avamposto di Yiftah ha informato che qualcuno era stato rapito al valico di confine di Erez, nei pressi dell’ufficio di collegamento dell’IDF. “Hannibal a Erez” è arrivato l’ordine dal quartier generale della divisione, “inviate uno Zik.” Lo Zik è un drone d’assalto senza pilota, e il significato di quell’ordine era chiaro.

Non è stata l’ultima volta che tale ordine si è udito nella rete di comunicazione. Nella successiva mezz’ora la divisione ha capito che i terroristi di Hamas erano riusciti a uccidere e rapire soldati in servizio al valico e nella vicina base. Poi, alle 7.41, è successo di nuovo: Hannibal a Erez, un assalto al valico e alla base, solo per fare in modo che nessun altro soldato venisse preso. Questi ordini sono stati dati anche in seguito.

Il valico di confine di Erez non è stato l’unico posto in cui ciò è avvenuto. Informazioni ottenute da Haaretz e confermate dall’esercito dimostrano che durante tutta quella mattina la procedura Hannibal è stata utilizzata in altri due luoghi in cui erano penetrati i terroristi: nella base militare di Re’im, dove si trovava il quartier generale di divisione, e nell’avamposto di Nahal Oz, in cui si trovavano donne di vedetta. Ciò non ha impedito il rapimento di sette di loro o l’uccisione di altre 15 vedette, così come di altri 38 soldati.

Nelle ore immediatamente successive il quartier generale di divisione ha iniziato a mettere insieme i pezzi, comprendendo le dimensioni dell’attacco di Hamas, ma ignorando l’invasione del kibbutz di Nir Oz, che le prime forze dell’esercito hanno raggiunto solo dopo che i terroristi se n’erano andati. Riguardo alla frequenza dell’impiego della procedura Hannibal, sembra che niente sia cambiato. Quindi, per esempio, alle 10.19 del mattino è arrivato al quartier generale della divisione un rapporto secondo cui uno Zik aveva attaccato la base di Re’im.

Tre minuti dopo è arrivato un altro di questi rapporti. In quel momento le forze del commando Shaldag [unità d’élite dell’aeronautica israeliana, ndt.] erano già nella base e combattevano contro i terroristi. Finora non è chiaro se qualcuno di loro sia stato ferito in un attacco con il drone. Quello che si sa è che sulla rete di comunicazione c’era un messaggio che chiedeva a tutti di essere certi che nessun soldato fosse all’esterno della base, dato che le forze dell’IDF stavano per entrare ed espellere o uccidere i terroristi che vi rimanevano.

La decisione di attaccare negli avamposti, afferma un ufficiale superiore della difesa, perseguiterà i comandanti per tutta la loro vita: “Chiunque prenda una simile decisione sapeva che anche i nostri combattenti nella zona sarebbero stati colpiti.”

Ma risulta che tali attacchi sono avvenuti non solo all’interno degli avamposti o delle basi. Alle 10.32 del mattino è stato emanato un nuovo ordine, in base al quale ogni battaglione presente in zona doveva sparare con i mortai in direzione della Striscia di Gaza. Discussioni interne all’esercito hanno fatto notare che questo ordine, attribuito al brigadiere generale Rosenfeld, è stato pesantemente criticato poiché in quel momento l’IDF non aveva un quadro completo di tutte le forze nella zona, compresi soldati e civili. Alcuni di essi si trovavano in zone aperte o nei boschi lungo il confine, cercando di nascondersi dai terroristi.

A quel punto l’esercito non sapeva quante persone erano state rapite: “In quella fase pensavamo che si trattasse di decine,” dice ad Haaretz una fonte militare. Sparare con i mortai verso la Striscia di Gaza avrebbe messo in pericolo anche loro. Inoltre un altro ordine dato alle 11.22 del mattino, secondo il quale a nessun veicolo sarebbe stato consentito di tornare a Gaza, ha fatto fare un ulteriore passo avanti.

“Ormai tutti quanti sapevano che quei veicoli avrebbero potuto trasportare civili o soldati presi in ostaggio,” dice ad Haaretz una fonte del comando meridionale. “Non ci sono stati casi in cui un veicolo che portava persone rapite è stato attaccato coscientemente, ma non si può veramente sapere se c’erano tali persone in un veicolo. Non posso dire che ci fosse un chiaro ordine, ma chiunque sapeva cosa significasse non lasciar tornare alcun veicolo a Gaza.”

Alle 14 c’è stato un nuovo sviluppo. A tutte le forze è stato ordinato di non far uscire verso ovest, in direzione del confine, le comunità sul confine, sottolineando di non inseguire i terroristi. A quel punto la zona di confine era sottoposta a un intenso fuoco, diretto contro chiunque si trovasse nell’area, rendendola una zona pericolosa.

“Le istruzioni,” dice una fonte del commando sud, “intendevano trasformare l’area attorno alla barriera di confine in una zona di morte, chiudendola verso ovest.”

Alle 18.40 l’intelligence militare credeva che molti terroristi avessero intenzione di scappare insieme di nuovo verso la Striscia di Gaza in modo organizzato. Questo è avvenuto nei pressi dei kibbutz Be’eri, Kfar Azza e Kissufim. In seguito a ciò l’esercito ha lanciato incursioni dell’artiglieria nella zona della barriera di confine, molto vicino ad alcune di queste comunità. Poco dopo sono stati sparati proiettili di artiglieria contro il valico di confine di Erez. L’IDF sostiene di non sapere di civili colpiti in questi bombardamenti.

Fuoco indiscriminato

Un caso in cui è noto che sono stati colpiti civili, e che ha ricevuto un’ampia copertura mediatica, è avvenuto nella casa di Pessi Cohen nel kibbutz Be’eri. Quando l’IDF l’ha attaccata vi erano tenuti in ostaggio quattordici prigionieri, 13 dei quali sono rimasti uccisi. Si prevede che nelle prossime settimane sull’incidente l’IDF pubblicherà i risultati della sua inchiesta, che risponderà alla domanda se il brigadiere generale Barak Hiram, comandante della 99 divisione e responsabile delle operazioni a Be’eri il 7 ottobre, abbia messo in atto la procedura Hannibal. Ha ordinato ai carrarmati di avanzare anche a costo di vittime civili, come ha affermato in un’intervista rilasciata in seguito al New York Times?

In tutti i mesi passati da allora l’IDF si è rifiutato di dire se questa procedura è stata impiegata contro civili che erano stati presi in ostaggio. Ora sembra che anche se la risposta è positiva, la domanda possa essere stata solo parziale. Le azioni di Hiram possono essere state solo coerenti con il modo in cui quel giorno l’IDF ha operato.

Per quanto ne sa Haaretz, persino alle 21.33 questa era ancora la situazione sul campo. In quel momento c’è stato un ulteriore ordine del comando sud: chiudere tutta l’area di confine con i carrarmati. Di fatto tutte le forze nella zona hanno ricevuto il permesso di aprire il fuoco contro chiunque si avvicinasse alla zona di confine, senza alcuna restrizione.

Il portavoce dell’IDF ha risposto dicendo che “l’esercito ha lottato per sei mesi molto intensamente su vari fronti, concentrato sul raggiungimento degli obiettivi della guerra. In parallelo l’IDF ha iniziato a condurre inchieste interne su quanto accaduto il 7 ottobre e nel periodo precedente. L’intento di queste indagini è di imparare e ricavare una lezione che possa essere utile nel prosieguo della lotta. Quando queste indagini saranno concluse, i risultati saranno presentati all’opinione pubblica in modo trasparente.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Le forze israeliane uccidono sei palestinesi in una incursione in Cisgiordania

Redazione di Al Jazeera

11 giugno 2024 – Al Jazeera

L’attacco a Kafr Dan vicino a Jenin avviene mentre l’esercito israeliano intensifica i suoi attacchi mortali nella Cisgiordania occupata.

Il ministero palestinese della Sanità ha affermato che le forze israeliane hanno ucciso sei palestinesi durante una incursione nel villaggio di Kafr Dan, vicino a Jenin, nella Cisgiordania occupata mentre Israele intensifica gli attacchi sul territorio durante la guerra contro Gaza.

L’agenzia di notizie ufficiale palestinese Wafa ha riferito che martedì una unità di forze speciali israeliane è entrata nel villaggio ed ha assediato una casa prima di bombardarla.

Secondo il ministero della Sanità i sei uomini assassinati avevano un’età compresa tra i 21 e i 32 anni,. Uno di loro, Ahmad Smoudi, era il fratello di un ragazzo di 12 anni ucciso dalle forze israeliane a Jenin nel 2022.

Il battaglione di Jenin delle brigate al-Quds – l’ala militare della Jihad islamica palestinese – ha affermato già nella giornata di martedì di essere stato impegnato in un “agguerrito” combattimento contro le truppe israeliane a Kafr Dan.

L’esercito israeliano ha sostenuto di aver portato avanti un’operazione di “controterrorismo” nel villaggio, uccidendo quattro palestinesi armati. L’esercito ha aggiunto di aver usato nell’attacco elicotteri da combattimento e di non aver avuto vittime.

Lunedì l’esercito israeliano aveva ucciso quattro palestinesi ad ovest di Ramallah e altri tre a Jenin venerdì.

L’esercito israeliano ha condotto regolarmente incursioni mortali in Cisgiordania negli ultimi anni – un trend che è aumentato con l’inizio della guerra contro Gaza.

Secondo le autorità palestinesi della sanità da ottobre, quando a Gaza è scoppiata la violenza, Israele ha ucciso in Cisgiordania 544 palestinesi, inclusi 133 minori.

I palestinesi in Cisgiordania hanno anche affrontato violenti attacchi da parte dei coloni israeliani, che nei mesi passati hanno aggredito gli agricoltori e hanno effettuato incursioni nelle città palestinesi, spesso con la protezione dell’esercito israeliano.

Rawhi Fattouh, del Consiglio Nazionale Palestinese, ha affermato che le incursioni israeliane nella Cisgiordana sono la “continuazione dei massacri, della pulizia etnica e del genocidio che hanno come obiettivo il popolo palestinese a Gaza.

Questo governo razzista [israeliano] cerca con tutti i mezzi di far scoppiare la situazione in Cisgiordania e nella regione e di trasformare il conflitto in una lotta religiosa e ideologica che trascinerebbe la regione in una spirale di violenza, uccisioni e massacri,” ha affermato Fattouh in una dichiarazione.

Egli chiede alla comunità internazionale di intervenire e di “porre fine a questa follia.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Aggiornamento sulla Cisgiordania – Due giovani uccisi, diversi arrestati, città saccheggiate dalle forze israeliane

Redazione di Palestine Chronicle

2 giugno 2024 Palestine Chronicle

Secondo l’agenzia di stampa ufficiale palestinese WAFA il numero dei palestinesi uccisi dalle forze israeliane in Cisgiordania dal 7 ottobre è salito a 521, tra cui 131 minori.

Due giovani palestinesi sono stati uccisi dalle forze di occupazione israeliane nella città di Gerico, nella Cisgiordania occupata.

Secondo l’agenzia di stampa ufficiale palestinese WAFA sabato notte le forze israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi di Aqabat Jaber e hanno aperto il fuoco su due giovani vicino al cimitero occidentale.

Uno dei giovani, Ahmed Hamidat, 15 anni, è stato ucciso e Mohammed Al-Baytar, 17 anni, è rimasto ferito ma è morto domenica mattina presto a causa delle ferite. Al-Baytar è stato arrestato dopo che è stato impedito alle squadre sanitarie di raggiungerlo.

Al-Baytar è stato trasportato in condizioni critiche dalle forze israeliane in un ospedale della Gerusalemme occupata, dove è morto.

Con l’uccisione di Al-Baytar, il numero dei palestinesi uccisi dalle forze israeliane in Cisgiordania dal 7 ottobre è salito a 521, tra cui 131 minori, ha riferito WAFA.

Raid nelle città

Le forze di occupazione israeliane hanno preso dassalto diverse città nel territorio occupato, tra cui la città di Jaba, a sud di Jenin e Beit Ummar, a nord di Hebron (Al Khalil).

A Jabale forze israeliane hanno arrestato due palestinesi, Baraa Malaysha e Adnan Khaliliya.

Coloni ebrei illegali hanno attaccato le case palestinesi nel villaggio di Madaman, nella Cisgiordania occupata. Dopo l’attacco le forze israeliane hanno preso d’assalto il villaggio. I filmati condivisi dal Quds News Network (QNN) mostrano veicoli militari che sfrecciano per le strade della città.

Diversi arrestati

Secondo WAFA le forze israeliane hanno arrestato durante la notte e fino a domenica mattina 15 palestinesi nel corso delle operazioni in diverse aree della Cisgiordania occupata.

La Commissione per gli Affari dei Detenuti e degli Ex Detenuti e la Associazione dei Prigionieri Palestinesi (PPS) hanno affermato in una dichiarazione congiunta che le operazioni di arresto hanno avuto luogo nei governatorati di Jenin, Hebron, Betlemme e Nablus.

Dal 7 ottobre 2023 il numero totale di palestinesi arrestati nella Cisgiordania occupata è salito a oltre 8.985, riferisce WAFA.

Casa demolita

Domenica le forze di occupazione hanno demolito anche la casa di Ghassan al-Atrash nel villaggio di Al-Walaja, a sud-ovest di Gerusalemme.

Secondo WAFA Khader Al-Araj, capo del consiglio del villaggio di Al-Walaja, ha detto che un grande contingente di soldati israeliani, accompagnati da un bulldozer militare, ha fatto irruzione nel quartiere Ain Juwaiza del villaggio. Hanno proceduto alla demolizione della casa di Al-Atrash, un abitante del luogo, che misurava circa 120 metri quadrati.

Al-Araj afferma che le autorità di occupazione israeliane impiegano spesso tali misure per tormentare gli abitanti e spingerli a lasciare il villaggio, adducendo futili pretesti per le demolizioni.

Le autorità israeliane rifiutano di consentire praticamente qualsiasi costruzione palestinese nellArea C, che costituisce il 60% della Cisgiordania occupata e rientra sotto il pieno controllo militare israeliano, riferisce WAFA. Ciò ha costretto i residenti a costruire senza ottenere permessi, raramente concessi, per fornire riparo alle loro famiglie.

Terreni agricoli dati alle fiamme

Wafa fa sapere che nel frattempo coloni ebrei illegali hanno appiccato il fuoco a terreni agricoli nel villaggio di Duma, a sud di Nablus.

Suleiman Dawabsheh, capo del Consiglio del villaggio di Duma, ha detto che i coloni hanno appiccato incendi nel terreno agricolo a ovest del villaggio, coltivato ad ulivi e grano.

Dawabsheh afferma che i coloni hanno impedito agli abitanti del villaggio di accedere ai terreni in fiamme.

In un precedente incidente, circa due mesi fa, i coloni avevano incendiato la stessa zona. In quell’occasione le forze di occupazione israeliane non hanno permesso alle squadre di protezione civile di avvicinarsi e spegnere lincendio, riporta WAFA.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La censura militare israeliana blocca il più alto numero di articoli in oltre un decennio

Haggai Matar

20 maggio 2024 – +972 Magazine

Il brusco aumento della censura nei media nel 2023 si verifica mentre il governo israeliano pregiudica ulteriormente la libertà di stampa, soprattutto durante la guerra a Gaza.

Nel 2023 la censura militare israeliana ha bloccato la pubblicazione di 613 articoli di organi di informazione in Israele, segnando un nuovo record a partire da quando +972 Magazine ha iniziato a raccogliere dati nel 2011. La censura ha anche eliminato parte di ulteriori 2.703 articoli, la cifra più alta dal 2014. Complessivamente l’esercito ha impedito la pubblicazione di informazioni in media 9 volte al giorno.

Questi dati sulla censura sono stati forniti dal censore militare in risposta ad una richiesta sulla libertà di informazione avanzata da +972 Magazine e dal Movimento per la Libertà di Informazione in Israele.

La legge israeliana impone a tutti i giornalisti che lavorano in Israele o per una pubblicazione israeliana di sottoporre ogni articolo che abbia a che fare con “questioni di sicurezza” alla censura militare per il controllo preventivo alla pubblicazione, come previsto dai “regolamenti di emergenza” promulgati dopo la creazione di Israele e tuttora in vigore. Questi regolamenti consentono alla censura di eliminare totalmente o parzialmente gli articoli ad essa sottoposti, come anche quelli già pubblicati senza il suo controllo. In nessun’altra “democrazia occidentale” che si definisca tale esiste una simile istituzione.

Per evitare interferenze arbitrarie o politiche l’Alta Corte nel 1989 ha stabilito che la censura può intervenire solo quando vi sia “una quasi certezza che possa derivare un reale danno alla sicurezza dello Stato” dalla pubblicazione di un articolo. Tuttavia la definizione da parte della censura di “questioni di sicurezza” è molto ampia, dettagliata in 6 pagine fitte di sottotemi relativi all’esercito, alle agenzie di intelligence, al commercio di armi, ai detenuti amministrativi, ad aspetti degli affari esteri di Israele, ed altro ancora. Come riferito da The Intercept (agenzia no profit americana di informazioni online, ndtr.), all’inizio della guerra la censura ha distribuito linee guida più specifiche riguardo a quali tipi di nuovi argomenti debbano essere sottoposti al controllo prima della pubblicazione.

Cosa sottomettere alla censura è una scelta del direttore di una pubblicazione e gli organi di informazione non possono rivelare l’interferenza della censura – per esempio segnalando dove un articolo è stato censurato – cosa che lascia nell’ombra la maggior parte della sua attività. La censura ha l’autorità di incriminare i giornalisti e di multare, sospendere, chiudere o addirittura sporgere denunce penali contro organi di informazione. Tuttavia non vi sono casi conosciuti di tale attività negli ultimi anni e la nostra richiesta al censore di specificare le denunce presentate lo scorso anno non ha ricevuto risposta.

Per ulteriori informazioni sulla censura militare israeliana e sulla posizione di +972 Magazine nei suoi confronti si può leggere la lettera che abbiamo indirizzato ai nostri lettori nel 2016.

L’informazione relativa alla censura è di particolare importanza, soprattutto in periodi di emergenza”, ha detto a +972 l’avvocato Or Sadan del Movimento per la Libertà di Informazione. “Durante la guerra abbiamo osservato l’ampio divario tra gli organi di informazione israeliani e internazionali, come anche tra i media tradizionali e i social media. Benché sia ovvio che vi siano informazioni che non possono essere rivelate al pubblico in periodi di emergenza, è opportuno per il pubblico essere a conoscenza dell’ampiezza delle informazioni tenute nascoste.

La rilevanza di tale censura è chiara: c’è una gran quantità di informazioni che i giornalisti hanno ritenuto adatte alla pubblicazione, riconoscendo la loro importanza per il pubblico, che la censura ha scelto di non autorizzare”, continua Sadan. “Speriamo e crediamo che la rivelazione di questi numeri, anno dopo anno, creeranno qualche disincentivo all’uso incontrollato di questo strumento.”

Una tendenza in tempo di guerra

Anche se il censore ha respinto la nostra richiesta di fornire un’analisi delle cifre della censura per mese, per organo di informazione e per ambiti di interferenza, è chiaro che la ragione del picco dell’ultimo anno è l’attacco di Hamas del 7 ottobre e il conseguente bombardamento israeliano di Gaza. L’unico anno in cui vi è stato un analogo livello di censura è il 2014, quando Israele scatenò quello che allora fu il più vasto attacco alla Striscia: in quell’anno la censura intervenne in un numero maggiore di articoli (3.122), ma ne eliminò leggermente meno (597) rispetto al 2023.

L’anno scorso i rappresentanti della censura hanno anche effettuato visite di persona negli studi televisivi di notizie, come è accaduto precedentemente in periodi in cui il governo ha dichiarato lo stato di emergenza e continuava a monitorare le reti di informazione e social per violazioni della censura. Il censore ha rifiutato di dettagliare l’ampiezza del proprio coinvolgimento nelle produzioni televisive e il numero degli interventi retroattivi effettuati riguardo ad articoli pubblicati in precedenza.

Sappiamo comunque, grazie alle informazioni rivelate da The Seventh Eye (l’unica rivista israeliana indipendente che monitorizza la libertà di informazione, ndtr.), che nonostante l’attiva accondiscendenza dei media israeliani – il numero delle presentazioni alla censura è quasi raddoppiato l’anno scorso fino a 10.527 – il censore ha identificato ulteriori 3.415 articoli contenenti informazioni che avrebbero dovuto essere sottoposte a controllo e 414 che sono stati pubblicati in violazione delle sue disposizioni.

Anche prima della guerra il governo israeliano aveva sviluppato una serie di misure per indebolire l’indipendenza dei media. Questo ha portato Israele ad una discesa di 11 posti nell’annuale Indice Mondiale della Libertà di Stampa per il 2023, seguita da un’ulteriore discesa di quattro posti nel 2024 (adesso si trova al posto 101 su 180).

Da ottobre la libertà di stampa in Israele è peggiorata ulteriormente e il censore si è trovato nel mirino di battaglie politiche. Secondo i rapporti dell’emittente pubblica di Israele, Kan, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha spinto per una nuova legge che obbligherebbe il censore a bloccare in maniera più estesa le notizie ed ha anche suggerito che i giornalisti che pubblicano rapporti sul gabinetto di sicurezza senza l’approvazione della censura dovrebbero essere arrestati. Il capo della censura militare, general maggiore Kobi Mandelblit, ha anche sostenuto che Netanyahu gli aveva fatto pressione perché ampliasse la censura sui media, persino in casi che non avevano alcuna giustificazione in termini di sicurezza.

In altri casi le misure restrittive del governo israeliano sui media hanno interamente bypassato la censura e le sue attività. A novembre il ministro delle comunicazioni Shlomo Karhi ha escluso Al-Mayadeen dalla diffusione sulla TV israeliana e in aprile la Knesset ha approvato una legge per vietare le attività di media stranieri su raccomandazione delle agenzie per la sicurezza. Il governo ha applicato la legge all’inizio di questo mese quando il gabinetto ha votato all’unanimità per chiudere Al Jazeera in Israele e la chiusura sembra che sarà estesa anche alla Cisgiordania. Lo Stato sostiene che il canale qatariota metta in pericolo la sicurezza dello Stato e collabori con Hamas, cosa che il canale nega.

La decisione non danneggerà l’operatività di Al Jazeera al di fuori di Israele, né impedirà interviste con israeliani via Zoom (rivelazione: a volte chi scrive rilascia interviste a Al Jazeera via Zoom) e gli israeliani possono ancora accedere al canale tramite reti private virtuali e antenne satellitari. Ma i giornalisti di Al Jazeera non potranno più inviare corrispondenze dall’interno di Israele, cosa che ridurrà la possibilità del canale di dare rilievo a voci israeliane nei suoi reportage.

L’Associazione per i Diritti Civili in Israele e Al Jazeera hanno presentato una petizione all’Alta Corte contro la decisione e anche l’Unione dei Giornalisti ha rilasciato una dichiarazione contro la decisione del governo (rivelazione: chi scrive è membro del consiglio di amministrazione dell’Unione).

Nonostante questi attacchi ai media, le minacce più gravi poste dal governo e dall’esercito israeliano, in particolare durante la guerra, sono quelle ai giornalisti palestinesi. I dati sul numero di giornalisti palestinesi a Gaza uccisi dagli attacchi israeliani dal 7 ottobre vanno da 100 (secondo il Comitato per la Protezione dei Giornalisti) a oltre 130 (secondo il Sindacato dei Giornalisti Palestinesi). Quattro giornalisti israeliani sono stati uccisi negli attacchi del 7 ottobre.

L’aumentata interferenza del governo nei media israeliani non assolve la stampa ufficiale dalla mancanza di informazione sulla campagna dell’esercito di distruzione di Gaza. La censura militare non impedisce alle pubblicazioni israeliane di descrivere le conseguenze della guerra per i civili palestinesi a Gaza o di presentare il lavoro dei giornalisti palestinesi all’interno della Striscia. La scelta di negare al pubblico israeliano le immagini, le voci e le storie di centinaia di migliaia di famiglie in lutto, orfani, feriti, senza casa e persone affamate è una scelta che i giornalisti israeliani fanno in prima persona.

In collaborazione con Local Call

Haggai Matar è un giornalista israeliano vincitore di premi e un attivista politico ed è direttore esecutivo di +972Magazine.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Il capo delle Nazioni Unite condanna l’attacco contro il personale ONU e chiede una ‘indagine completa’

Redazione di Middle East Monitor

13 maggio 2024 – Middle East Monitor

L’agenzia Anadolu riferisce che lunedì il segretario generale ONU Antonio Guterres ha condannato tutti gli attacchi contro il personale delle Nazioni Unite e ha chiesto un’indagine completa sull’uccisione di un membro dello staff nella Striscia di Gaza.

Il vice portavoce delle Nazioni Unite Farhan Haq ha affermato durante una conferenza stampa che “il segretario generale è stato profondamente rattristato per aver appreso della morte di un membro dello staff del dipartimento di sicurezza delle Nazioni Unite e del ferimento di un altro membro quando il loro veicolo ONU è stato colpito questa mattina mentre viaggiavano verso l’Ospedale Europeo a Rafah.”

Secondo Haq Guterres condanna tutti gli attacchi contro il personale ONU e ha chiesto un’indagine completa sull’incidente.

Osservando che la situazione [di guerra] a Gaza colpisce non solo i civili ma anche gli operatori umanitari, Haq ha affermato che il segretario ONU ha reiterato le richieste per un cessate il fuoco umanitario urgente e il rilascio degli ostaggi trattenuti a Gaza.

Haq ha inoltre affermato che l’ONU continua a raccogliere informazioni sull’incidente e ha aggiunto che dal 7 ottobre ad oggi a Gaza sono stati uccisi 196 dipendenti ONU.

Ha sottolineato che le Nazioni Unite stanno mantenendo i contatti con i funzionari per assicurare che dopo la fine del conflitto i colpevoli rendano conto [del proprio operato].

Alla domanda se il veicolo recasse il logo delle Nazioni Unite, Haq ha risposto che tutti i veicoli dell’organizzazione internazionale sono contrassegnati.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Israele chiude Al Jazeera e continua a uccidere giornalisti

Tamara Nassar

11 maggio 2024 The Electronic Intifada

Il genocidio di Israele a Gaza ha distrutto la facciata della libertà di stampa.

Mentre il New York Times riceve un Premio Pulitzer per i suoi reportage internazionali (nonostante le rivelazioni che hanno smentito gli articoli pubblicati che accusavano Hamas di usare lo stupro di massa come arma di guerra), e mentre lélite dei principali media occidentali si riuniva alla cena incontro stampa della Casa Bianca con il Presidente Joe Biden (nonostante il suo incessante sostegno al genocidio israeliano a Gaza), continuano gli attacchi senza freni di Israele contro i giornalisti.

La settimana scorsa il gabinetto del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha votato la chiusura dell’attività della rete Al Jazeera in Israele.

La mossa fa seguito a una recente legge approvata dalla Knesset, il parlamento israeliano, che consente la chiusura temporanea delle emittenti straniere se il governo israeliano ritiene che rappresentino una minaccia per la sicurezza nazionale nel contesto dei bombardamenti in corso sui palestinesi a Gaza.

Domenica scorsa la polizia israeliana ha fatto irruzione negli uffici di Al Jazeera a Gerusalemme, revocando gli accrediti stampa e vietando alla rete di mandare in onda le sue trasmissioni.

Al Jazeera ha condannato la chiusura delle sue operazioni da parte di Israele come “atto criminale”, affermando che costituisce una violazione del diritto internazionale e umanitario.

“Al Jazeera afferma il suo diritto di continuare a fornire notizie e informazioni al suo pubblico nel mondo“, ha affermato la rete.

Le aggressioni dirette e l’uccisione di giornalisti, gli arresti, le intimidazioni e le minacce da parte di Israele non scoraggeranno Al Jazeera nel suo impegno a coprire gli avvenimenti, mentre più di 140 giornalisti palestinesi sono stati uccisi dall’inizio della guerra a Gaza”.

Al Jazeera è il principale organo di informazione internazionale a trasmettere quelle che sono diventate le immagini distintive del genocidio di Israele a Gaza, con i suoi giornalisti che coraggiosamente riferiscono sul terreno nell’enclave costiera, anche dalle aree settentrionali.

È anche la principale piattaforma che trasmette video delle operazioni di resistenza, spesso in esclusiva, delle Brigate Qassam, il braccio armato di Hamas.

Riprese effettuate con droni

Nelle ultime settimane Al Jazeera ha anche trasmesso numerosi video che afferma essere stati ripresi da droni israeliani a Gaza.

La rete con sede in Qatar non rivela esplicitamente la fonte di tali filmati. Gli analisti ipotizzano che i droni vengano probabilmente acquisiti dai gruppi di resistenza a Gaza o, come hanno dimostrato, catturando i quadricotteri in volo, oppure abbattendoli e conservandone i dati.

I video servono come documentazione dei potenziali crimini di guerra perpetrati dall’esercito israeliano.

Un video in particolare, girato da un drone in volo, mostrava l’uccisione spietata di quattro palestinesi che attraversavano un quartiere nella zona meridionale di Khan Younis per osservare le conseguenze dell’invasione di terra israeliana nell’area.

Il drone filma l’incalzante inseguimento dei quattro uomini mentre continua a sparare missili contro di loro finché non vengono tutti uccisi.

Un altro video trasmesso da Al Jazeera mostra soldati israeliani che giustiziano due uomini che tentano di camminare verso nord e che chiaramente non rappresentano alcuna minaccia. Un bulldozer israeliano poi ne interra i corpi.

Filmati più recenti trasmessi da Al Jazeera mostrano soldati israeliani che usano un palestinese come scudo umano. L’uomo è costretto ad entrare in una scuola abbandonata per perlustrarne i locali sotto la sorveglianza di due droni israeliani.

Lo stesso segmento di video presenta anche ulteriori filmati ripresi da un drone israeliano che rivelano veicoli corazzati israeliani di stanza in quella che sembra essere una base militare improvvisata all’interno di una scuola abbandonata nel quartiere Shujaiya di Gaza City.

Nel corso del genocidio a Gaza l’esercito israeliano ha ucciso e ferito numerosi giornalisti e personale di Al Jazeera, nonché le loro famiglie.

A dicembre un attacco di droni israeliani ha ucciso un cameraman di Al Jazeera e ferito Wael al-Dahdouh, capo dell’ufficio della rete. Il 25 ottobre Israele aveva ucciso la moglie, il figlio, la figlia e il nipote di al-Dahdouh nel campo profughi di Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza.

Giornalisti massacrati

Un attacco aereo israeliano nel campo profughi di Jabaliya, nel nord di Gaza, ha ucciso sabato il fotografo Baha Okasha insieme ad alcuni membri della sua famiglia, portando a 143 il numero dei giornalisti palestinesi uccisi nella Striscia nel corso del genocidio di Israele, secondo l’ufficio stampa di Hamas a Gaza.

Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti afferma di poter confermare la morte di almeno 92 giornalisti palestinesi e tre giornalisti libanesi.

A partire dal 7 ottobre gli attacchi israeliani hanno ucciso anche quattro collaboratori di The Electronic Intifada, nonché membri delle loro famiglie.

Tra questi figura Mohammed Hamo, giornalista e traduttore di stanza a Gaza, ucciso a novembre insieme ai suoi familiari.

Hamo aveva scritto un articolo per The Electronic Intifada nell’agosto 2023 su un fotografo di Gaza che era stato catturato dai soldati israeliani mentre stava seguendo la Grande Marcia del Ritorno nel maggio 2018.

Le forze israeliane avevano sparato contro Hatim Abu Sharia e il suo collega per poi catturarli, accusando Abu Sharia di essere entrato illegalmente in Israele e di aver fotografato strutture militari senza autorizzazione. Era stato condannato a cinque anni di reclusione ed è stato rilasciato nel 2023.

La settimana scorsa Abu Sharia è stato ucciso in un attacco aereo israeliano insieme a molti membri della sua famiglia. Adesso il giornalista Hamo e l’oggetto del suo articolo sono stati entrambi uccisi nel genocidio in corso.

Questo è il “conflitto più pericoloso per i giornalisti nella storia recente”, hanno affermato a febbraio gli esperti delle Nazioni Unite.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Tre giorni sotto attacco: i palestinesi di Tulkarem descrivono il “più violento” raid israeliano da anni

Qassam Muaddi

24 aprile 2024 – Mondoweiss

Non è la prima volta che gli occupanti assalgono Nur Shams”, dice a Mondoweiss l’abitante del campo Baraa al-Ghoul, “ma questa volta è stato diverso perché le forze di occupazione hanno impiegato una violenza senza precedenti.”

Un terrore senza precedenti” continua ad assillare i palestinesi nel campo profughi di Nur Shams a Tulkarem, due giorni dopo che l’esercito israeliano ha terminato l’invasione del campo durata 52 ore, in cui ha ucciso 14 palestinesi, almeno nove dei quali secondo gli abitanti erano civili disarmati.

Giovedì notte 18 aprile l’esercito israeliano ha annunciato di aver avviato “una vasta operazione” a Nur Shams, il campo di due chilometri quadrati adiacente alla città di Tulkarem, nel nord ovest della Cisgiordania occupata. L’invasione aveva per obbiettivo la “Brigata Tulkarem” che opera nel campo dal 2022.

Non è la prima volta che gli occupanti assalgono Nur Shams”, dice a Mondoweiss Baraa al-Ghoul, un abitante di Nur Shams. “Ma questa volta è stato diverso perché le forze di occupazione hanno impiegato una violenza senza precedenti durante il raid. Nei precedenti assalti se un carro armato arrivava a un punto senza uscita tra i vicoli del campo faceva retromarcia e cercava un’altra via di accesso. Questa volta hanno semplicemente demolito qualunque cosa si trovassero di fronte”.

I soldati aggressori si avvicinavano alle case che sospettavano nascondessero combattenti della resistenza e la prima cosa che facevano era lanciare una granata dalle finestre e dalle porte anche se dentro c’erano dei civili e senza essere certi che ci fossero dei combattenti”, racconta al-Ghoul. “L’intero campo è rimasto chiuso dentro le case, in attesa che in qualunque momento un missile penetrasse nelle case. I miei figli erano terrorizzati, consapevoli di quanto avveniva al di fuori e piangevano senza sosta”, racconta.

I soldati entravano nelle case cercando i combattenti e arrestavano uomini a caso. Il mio vicino, Rajai Sweilem di 39 anni, è stato arrestato in casa sua di fronte ai suoi quattro figli e portato fuori in strada”, ricorda al-Ghoul. “Dopo che l’esercito di occupazione si è ritirato è stato trovato a terra morto con il corpo pieno di proiettili. Era soltanto un lavoratore, niente altro.”

Oltre alle persone uccise dalle forze israeliane, due anziani sono morti durante il raid a causa delle condizioni di salute in quanto hanno loro impedito di raggiungere un centro medico.

Nasr Ghreifi, un noto e rispettato membro della comunità di poco più di settant’anni, aveva un appuntamento per la dialisi all’ospedale”, dice a Mondoweiss Hussein Ali, un altro abitante.

Non ha potuto uscire di casa per via dell’incursione e le sue condizioni sono peggiorate ancor più a causa del caldo e della completa mancanza di elettricità”, specifica Ali. “E’ morto in casa sua e il suo corpo è rimasto tra i membri della famiglia per due giorni fino al ritiro degli occupanti”, aggiunge.

Infrastrutture distrutte

Dopo il ritiro dell’esercito israeliano i media locali hanno riferito di una vasta distruzione delle infrastrutture del campo, comprese strade devastate e case parzialmente o totalmente demolite. A causa dei danni alle infrastrutture sono stati anche interrotti i servizi essenziali.

Tutte le strade del campo erano asfaltate prima che gli occupanti iniziassero il raid”, dice al-Ghoul. “Adesso per camminare sull’asfalto dobbiamo uscire dal campo. Sono state distrutte anche le tubature della rete fognaria, riportandoci alla mente come appariva il campo decenni fa”, racconta. “La gente compra l’acqua in serbatoi di 3 metri cubi trasportati da camion e l’elettricità è stata riallacciata a una parte del campo solo martedì, mentre la maggioranza delle case è tuttora senza elettricità”, aggiunge.

In totale circa 60 case di Nur Shams sono state o completamente distrutte o danneggiate dopo essere rimaste abitabili durante l’ultima invasione israeliana. L’attacco si è aggiunto alle distruzioni provocate da precedenti raid israeliani – finora 18 negli ultimi due anni.

Nur Shams, il terzo angolo del “nord”

Nel 2021 le forze israeliane hanno intensificato i raid in Cisgiordania, nelle città e nei campi profughi, specialmente nel nord, durante l’operazione ‘Spezzare l’Onda’, quando sono sorti gruppi locali di resistenza. Nel 2022 tre gruppi armati locali a Tulkarem si sono uniti sotto il nome di ‘Brigata Tulkarem’.

Il gruppo ha affrontato le forze di assalto israeliane in scontri a fuoco urbani. Il campo profughi di Nur Shams è stato preso particolarmente di mira dall’esercito israeliano, costituendo una triangolazione di conflitti armati con le forze israeliane insieme a Jenin e Nablus.

Dall’inizio dell’anno 40 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane a Tulkarem, segnando il più alto numero di vittime in qualunque città della Cisgiordania occupata fino a questo momento. Con l’ultima invasione israeliana di Tulkarem il numero di palestinesi uccisi dalle forze israeliane o dai coloni in Cisgiordania è salito a 168 da gennaio e a 487 da ottobre 2023.

Qassam Muaddi è il redattore per la Palestina di Mondoweiss

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)