La polizia israeliana ha preso di mira i palestinesi con arresti discriminatori, torture e uso illegale della forza

Amnesty International

24 giugno 2021

  • Arresti a tappeto contro attivisti palestinesi

  • Uso illegale della forza contro manifestanti palestinesi

  • Tortura nei confronti di detenuti palestinesi

  • Mancata protezione dei palestinesi da attacchi pianificati da parte di gruppi di suprematisti ebrei

Amnesty International oggi ha riferito che la polizia israeliana ha commesso in Israele e nella Gerusalemme est occupata una serie di reati nei confronti dei palestinesi conducendo, durante e dopo gli scontri in Israele e Gaza, una campagna repressiva discriminatoria attraverso arresti di massa, l’uso illegale della forza contro manifestanti pacifici e la pratica di torture e altri maltrattamenti nei confronti dei detenuti.

Inoltre la polizia israeliana ha omesso di proteggere i cittadini palestinesi di Israele da attacchi premeditati da parte di gruppi di suprematisti ebrei armati, anche quando le loro intenzioni sono state rese note in anticipo e la polizia ne era o avrebbe dovuto esserne a conoscenza.

“Le prove raccolte da Amnesty International dipingono un quadro accusatorio di discriminazione e uso eccessivo e spietato della forza da parte della polizia israeliana contro i palestinesi in Israele e nella Gerusalemme est occupata”, ha affermato Saleh Higazi, vicedirettore per il Medio Oriente e il Nord Africa di Amnesty International.

La polizia ha l’obbligo di proteggere tutte le persone sotto il controllo di Israele, siano esse ebree o palestinesi. Invece, la stragrande maggioranza degli arrestati durante la repressione della polizia che ha fatto seguito allo scoppio delle violenze tra comunità è palestinese. I pochi cittadini ebrei di Israele arrestati sono stati trattati con più indulgenza. Inoltre mentre i palestinesi subiscono la repressione, i suprematisti ebrei continuano a organizzare manifestazioni”.

I ricercatori di Amnesty International hanno parlato con 11 testimoni e il suo Crisis Evidence Lab [laboratorio delle prove durante le situazioni di crisi, ndtr.] ha esaminato 45 video e altri contenuti digitali per documentare più di 20 casi di violazioni da parte della polizia israeliana tra il 9 maggio e il 12 giugno 2021. Nel corso della repressione sono stati feriti centinaia di palestinesi e un ragazzo di 17 anni è stato ucciso.

Repressione discriminatoria

Dal 10 maggio, quando le manifestazioni si sono diffuse all’interno di Israele nelle città con popolazione palestinese, sono scoppiate delle violenze tra comunità. Decine di persone sono rimaste ferite e due cittadini ebrei di Israele e un cittadino palestinese sono stati uccisi. Sinagoghe e cimiteri musulmani sono stati vandalizzati. Il 13 maggio ad Haifa 90 auto di proprietà di palestinesi sono state distrutte e sono stati lanciati sassi contro le loro case. A Gerusalemme est i coloni israeliani hanno continuato a vessare con violenza gli abitanti palestinesi.

In risposta, il 24 maggio le autorità israeliane hanno lanciato l’operazione “Legge e ordine” principalmente contro i manifestanti palestinesi. I media israeliani hanno affermato che l’operazione mirava a “regolare i conti” con coloro che avevano partecipato alle manifestazioni e a “dissuaderli” dal continuare a farlo.

Secondo Mossawa, organizzazione palestinese a sostegno dei diritti umani, sino al 10 giugno la polizia ha arrestato più di 2.150 persone, oltre il 90% delle quali cittadini palestinesi di Israele o abitanti di Gerusalemme est. L’associazione ha anche affermato che sono state presentate 184 accuse contro 285 imputati. Secondo Adalah, un’altra organizzazione per i diritti umani, il 27 maggio un rappresentante della Procura di Stato ha dichiarato che tra gli indagati figuravano solo 30 cittadini ebrei di Israele.

Secondo la commissione di controllo per i cittadini arabi di Israele la maggior parte dei palestinesi è stata arrestata per reati come “insulto o aggressione a un agente di polizia” o “partecipazione a un raduno illegale” più che per violenze contro persone o proprietà.

“Questa repressione discriminatoria è stata orchestrata come atto di ritorsione e intimidazione per reprimere le manifestazioni pro-palestinesi e mettere a tacere coloro che fanno sentire la loro voce per condannare la discriminazione istituzionalizzata da parte di Israele e l’oppressione sistemica dei palestinesi”, ha affermato Saleh Higazi.

Uso illegale della forza contro i dimostranti

Amnesty International ha documentato l’uso eccessivo e non necessario della forza da parte della polizia israeliana per disperdere le proteste palestinesi contro gli sgomberi forzati a Gerusalemme est e contro l’offensiva a Gaza. Le proteste sono state per lo più pacifiche, anche se una minoranza ha attaccato beni della polizia e lanciato pietre. Al contrario, i suprematisti ebrei continuano impunemente a organizzare manifestazioni. Il 15 giugno migliaia di coloni ebrei e suprematisti hanno marciato provocatoriamente nei quartieri palestinesi di Gerusalemme est.

Le testimonianze e i video analizzati confermano che durante una protesta del 9 maggio nella Colonia Tedesca di Haifa [quartiere storico costruito nel 1869 come insediamento di una setta protestante proveniente dalla Germania, ndtr.], nel nord di Israele, un gruppo di circa 50 manifestanti stava protestando pacificamente quando la polizia armata, senza nessuna provocazione, li ha assaliti picchiando alcuni di loro.

Il 12 maggio Muhammad Mahmoud Kiwan, un ragazzo di 17 anni, è stato colpito da uno sparo alla testa vicino a Umm el-Fahem, nel nord di Israele, ed è morto una settimana dopo. Testimoni oculari hanno detto che era seduto in un’auto nei pressi di una manifestazione quando la polizia israeliana gli ha sparato. La polizia ha contestato l’accusa e ha sostenuto di aver avviato delle indagini.

Lo stesso giorno, agenti di polizia hanno disperso con la violenza e senza preavviso una protesta pacifica di circa 40 persone nella piazza del Pozzo di Santa Maria a Nazareth, nel nord di Israele, aggredendo fisicamente i manifestanti.

La polizia israeliana dovrebbe proteggere il diritto alla libertà di riunione, non assalire manifestanti pacifici. La Commissione d’inchiesta del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, istituita nel maggio 2021, deve indagare sull’allarmante sequenza di violazioni da parte della polizia israeliana”, ha affermato Saleh Higazi.

La polizia israeliana ha fatto un uso illegale della forza anche nella Gerusalemme est occupata. Il 18 maggio ha sparato alla schiena alla quindicenne Jana Kiswani mentre stava entrando nella sua casa a Sheikh Jarrah. Poche ore prima c’era stata una protesta davanti. Suo padre, Muhammad, ha detto ad Amnesty International che le sue vertebre sono state fratturate e che i medici non sanno se riprenderà a camminare. Le riprese video verificate mostrano Jana Kiswani che cade a terra mentre viene colpita alle spalle da uno sparo. Altre immagini prese in esame mostrano un agente di polizia israeliano che spara con freddezza con un lanciagranate IWI GL 40 Stand Alone verso una persona fuori dallo schermo, e subito dopo delle urla.

Violenze, torture e altri maltrattamenti della polizia

Il 12 maggio a Giaffa, a sud di Tel Aviv, Ibrahim Souri è stato colpito al volto da uno sparo da parte di agenti di polizia israeliani mentre dal balcone della sua casa filmava con il suo telefono cellulare la polizia mentre pattugliava la strada.

In un video verificato si sente uno degli agenti di polizia dire: “Cosa ha in mano?” Ibrahim Souri grida in risposta: Sto filmando, non è permesso? Spara, è tutto registrato”. In seguito ha detto ad Amnesty International: Non immaginavo che avrebbero sparato davvero. Pensavo di avere dei diritti e di trovarmi al sicuro in un Paese democratico”. Le fotografie esaminate dal patologo forense di Amnesty International e dai referti medici indicano che molto probabilmente è stato colpito da un KIP 40 mm, con conseguente frattura delle ossa facciali.

Amnesty International ha anche documentato le torture del 12 maggio nella stazione di polizia del Russian Compound (Moskobiya) [complesso di costruzioni edificate nei primi anni del 1900 per ospitare i pellegrini russi, ndtr.] a Nazareth. Un testimone oculare ha detto di aver visto forze speciali picchiare un gruppo di almeno otto detenuti legati che erano stati arrestati durante una protesta:

Era come un brutale campo di prigionieri di guerra. Gli ufficiali colpivano i giovani con manici di scopa e li prendevano a calci con stivali con rinforzo d’acciaio. Quattro di loro hanno dovuto essere portati via in ambulanza e uno aveva un braccio rotto”, ha riferito.

L’avvocato di Ziyad Taha, un altro manifestante rinchiuso il 14 maggio nel centro di detenzione di Kishon vicino ad Haifa, ha affermato che il suo cliente è stato legato per i polsi e le caviglie a una sedia e sottoposto per nove giorni a deprivazione del sonno.

Mancata protezione dei palestinesi dagli attacchi dei suprematisti ebraici

La polizia ha anche omesso di proteggere i palestinesi dagli attacchi organizzati da gruppi di suprematisti ebrei armati, le cui intenzioni erano state spesso rese note in anticipo.

Amnesty International ha verificato 29 messaggi di testo e audio provenienti da canali aperti di Telegram e WhatsApp, rivelando come le app siano state utilizzate per reclutare uomini armati e organizzare tra il 10 e 21 maggio aggressioni contro palestinesi in città con popolazioni ebraiche e arabe, come Haifa, Acri, Nazareth e Lod.

Tra i messaggi vi erano istruzioni su dove e quando riunirsi, il tipo di armi da usare e persino gli abiti da indossare per evitare di confondere gli ebrei di origine mediorientale con gli arabi palestinesi. I membri del gruppo hanno condiviso selfie in posa con pistole e messaggi come: “Stasera non siamo ebrei, siamo nazisti”.

Il 12 maggio centinaia di suprematisti ebrei si sono riuniti sul lungomare di Bat Yam [Bat Yam è una città situata nella parte centrale della fascia costiera, ndtr], nel centro di Israele, in risposta ai messaggi ricevuti dal partito politico Jewish Power [Potere Ebraico, di estrema destra, ndtr.] e da altri gruppi. I video esaminati mostrano decine di attivisti che attaccano gli esercizi commerciali di proprietà araba e incoraggiano gli aggressori. Una delle persone picchiate, Said Musa, è stato anche investito dagli aggressori ebrei con uno scooter. Sono solo sei gli israeliani sotto processo per l’attacco.

Anche politici e funzionari governativi hanno istigato alla violenza.

L’11 maggio sono scoppiati disordini dopo che Itamar Ben-Gvir, rappresentante parlamentare del partito Jewish Power, ha chiamato a raccolta i sostenitori perché si recassero a Lod e in altre città e ha incitato a sparare contro i lanciatori di pietre.

Il giorno prima, Musa Hassuna è stato ucciso da un cittadino ebreo di Israele a Lod durante violenze tra comunità. Un video lo mostra quando è stato colpito da uno sparo mentre si trova vicino a un gruppo di palestinesi che lanciano sassi. Suo padre ha accusato il sindaco della città, Yair Revivo, di “aver chiamato gli estremisti per compiere questo crimine brutale” in riferimento a una dichiarazione in cui il sindaco ha descritto gli eventi di Lod come un pogrom contro gli ebrei. Quattro sospetti, arrestati in seguito all’omicidio, sono stati tuttavia rilasciati su cauzione tre giorni dopo. Il ministro israeliano della Pubblica Sicurezza, Amir Ohana, ha condannato apertamente gli arresti, definendoli terribili”.

A titolo di esempio della discriminazione, Kamal al-Khatib, vice segretario del Movimento islamico del nord, è stato arrestato il 14 maggio con l’accusa di incitamento alla violenza e sostegno a un’organizzazione terroristica per i commenti pubblici in cui ha manifestato orgoglio per la solidarietà con la popolazione di Gaza e Gerusalemme Est e ha affermato che i cambiamenti allo status dei luoghi santi di Gerusalemme hanno portato alla violenza tra palestinesi ed ebrei.

Le ripetute omissioni da parte della polizia israeliana di esercitare la protezione dei palestinesi dagli attacchi organizzati da gruppi di suprematisti ebrei armati e la mancata assunzione di responsabilità per tali aggressioni sono vergognose e mostrano il disprezzo delle autorità per la vita palestinese”, Molly Malekar, direttrice di Amnesty Israel.

“Il fatto che ai cittadini ebrei di Israele, comprese figure preminenti, sia stato permesso di istigare apertamente alla violenza contro i palestinesi senza doverne rispondere evidenzia l’entità della discriminazione istituzionalizzata che affligge i palestinesi e l’urgente bisogno di protezione [nei loro confronti]”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Rapporto OCHA del periodo 30 marzo 12 aprile 2021

Il 6 aprile, a Bir Nabala (Gerusalemme), ad un posto di blocco istituito per un’operazione di ricerca-arresto, le forze israeliane hanno sparato contro un’auto, uccidendo il guidatore palestinese 45enne e ferendo la moglie.

Secondo le autorità israeliane, dopo l’alt, l’auto avrebbe accelerato improvvisamente in un apparente tentativo di travolgere i soldati. Secondo la donna ferita, suo marito, nel procedere, stava seguendo le istruzioni del soldato.

In Cisgiordania, complessivamente, le forze israeliane hanno ferito cinquantadue palestinesi [seguono dettagli]. Ventitré sono rimasti feriti nel corso di quattro operazioni di ricerca-arresto condotte a Silwan (Gerusalemme Est), nei Campi profughi di Al ‘Arrub (Hebron) e Aqbat Jaber (Gerico) e nella città di Nablus. Ventidue sono rimasti feriti nei villaggi di Kafr Qaddum (Qalqiliya) e Beit Dajan (Nablus), in due proteste settimanali contro l’attività di insediamento colonico. Due 13enni sono rimasti feriti nella città di Hebron, in due distinti episodi; uno di loro ha perso un occhio, colpito da un proiettile di gomma durante scontri in cui non era coinvolto. Due palestinesi sono rimasti feriti a Sabastiya (Nablus), in scontri seguiti ad una visita di israeliani a siti archeologici locali e un altro a Nablus, durante una visita di israeliani alla Tomba di Giuseppe. Un anziano è rimasto ferito nel villaggio di Bani Na’im (Hebron), durante scontri scoppiati nel corso della confisca di una tenda da parte delle forze israeliane. Un altro palestinese è rimasto ferito nell’area di Gerusalemme mentre tentava di attraversare una breccia nella Barriera. Del totale dei feriti, 29 sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno, 12 sono stati colpiti da proiettili di gomma, cinque sono stati colpiti con proiettili veri e sei sono stati aggrediti fisicamente o spruzzati con sostanze irritanti.

Le forze di polizia israeliane hanno aggredito fisicamente nove attivisti (fra loro anche un membro del parlamento israeliano) che stavano manifestando contro lo sfratto di famiglie palestinesi dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est. Il capo della polizia del distretto di Gerusalemme ha ordinato la chiamata a rapporto degli agenti coinvolti, mentre, a quanto riportato, il parlamentare ferito ha presentato una denuncia al Ministero della Giustizia.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 154 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 167 palestinesi. Il governatorato di Ramallah ha registrato il maggior numero di operazioni (43), seguito da quello di Gerusalemme (27) e di Hebron (23).

In aree di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale e in mare, le forze israeliane hanno aperto il fuoco d’avvertimento in almeno 14 occasioni, a quanto riferito, per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]: non sono stati segnalati feriti.

In Area C ed a Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi edilizi, sono state demolite o sequestrate 20 strutture di proprietà palestinese, sfollando 13 persone e incidendo sui mezzi di sussistenza di altre 90 [seguono dettagli]. Dieci strutture sono state demolite in otto Comunità dell’Area C; in un caso, nell’area Dhahrat an Nada di Betlemme, sono state sfollate sette persone. A Susiya (Hebron), le autorità israeliane hanno sequestrato una tenda fornita come assistenza umanitaria. A Gerusalemme Est, nel quartiere di Jabal al Mukkabir, una famiglia di sei persone è stata costretta a demolire la propria casa mentre, ad Al ‘Isawiya, sono state demolite sei strutture di sussistenza. Le autorità israeliane hanno inoltre emesso sei ordini di arresto dei lavori contro almeno 32 strutture palestinesi (residenziali e agricole) e contro una strada a Khirbet ar Ras al Ahmar (Tubas).

Coloni israeliani, noti o ritenuti tali, hanno ferito sette palestinesi, di cui due ragazzi, ed hanno danneggiato alberi di proprietà palestinese [seguono dettagli]. I ragazzi sono stati aggrediti fisicamente in due episodi separati accaduti nell’area H2 di Hebron. Gli altri cinque sono stati colpiti con pietre o aggrediti fisicamente mentre lavoravano la loro terra: quattro [dei 5] ad An Nabi Salih (Ramallah) e uno a Jalud (Nablus). Palestinesi hanno riferito che a Qusra (Nablus) sono stati sradicati circa 100 alberelli di olivo. Nella zona H2 di Hebron una casa è stata danneggiata da una bottiglia incendiaria e a Kifl Haris (Salfit) sono stati danneggiati contatori dell’acqua. A Qaryut (Nablus) e Al Bqai’a (Hebron) coloni hanno devastato con bulldozer terreni privati palestinesi. A Deir Jarir (Ramallah), coloni hanno aggredito fisicamente e ferito un attivista israeliano che stava fornendo presenza protettiva a pastori palestinesi.

Palestinesi, noti o ritenuti tali, hanno aggredito fisicamente e ferito due israeliani; inoltre, lanciando pietre e altri oggetti, hanno danneggiato otto veicoli israeliani, che transitavano su strade della Cisgiordania. Gli episodi sono stati riferiti da fonti israeliane.

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I soldati israeliani uccidono un palestinese ad un posto di blocco improvvisato in Cisgiordania

Akram Al-Waara, Betlemme, Cisgiordania occupata

6 aprile 2021 – Middle East Eye

Osama Mansour, padre di cinque figli, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco dopo che i soldati gli avevano detto di ripartire

Nelle prime ore di martedì mattina i soldati israeliani hanno sparato, uccidendolo, ad un uomo palestinese e hanno ferito sua moglie mentre i due stavano tornando a casa nel loro villaggio di Biddu, a nord-ovest di Gerusalemme, nella Cisgiordania occupata.

Osama Mansour, 42 anni, e sua moglie Sumayya, 35, stavano tornando a casa intorno alle 2 e 30 del mattino quando sono stati fermati a un posto di controllo improvvisato fuori dal vicino villaggio di al-Jib, dove i soldati israeliani stavano conducendo un’operazione di ricerca e cattura.

In un’intervista con il canale di notizie Palestine TV, Sumayya Mansour ha riferito che i soldati israeliani hanno fermato l’auto su cui viaggiavano lei e suo marito al posto di blocco e hanno detto loro di spegnere il motore, cosa che, afferma, hanno fatto.

“Poi ci hanno detto di riaccendere il motore dell’auto e andarcene, e così siamo partiti – e poi tutti quanti hanno iniziato a spararci addosso dei proiettili”, ha detto dal suo letto d’ospedale nella città di Ramallah in Cisgiordania.

Secondo le testimonianze dei membri della famiglia, prima di dire alla coppia di andarsene, i soldati hanno chiesto di controllare i loro documenti, che Osama Mansour ha di buon grado consegnato e hanno perquisito l’auto.

Imran Mansour, 57 anni, cugino vicino di casa di Osama ha riferito a Middle East Eye: “Dopo aver controllato i documenti di identità e i loro nomi sul computer e perquisito da cima a fondo l’auto, i soldati hanno ritenuto che non costituissero una minaccia e hanno detto loro di rimettere in moto l’auto e di passare”.

“Avevano percorso appena pochi metri quando i soldati hanno iniziato a sparare contro di loro da tutte le direzioni”, dice Imran Mansour, riferendo le testimonianze raccolte da Sumayya e da altri testimoni oculari.

L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha condannato il “crimine atroce”, definendolo “solo uno di una lunga e continua serie di esecuzioni extragiudiziarie” commesse dalle forze israeliane.

L’esercito israeliano ha dichiarato che il veicolo dei Mansour avrebbe accelerato [dirigendosi] verso un gruppo di soldati “tanto da mettere in pericolo le loro vite”, e che i soldati avrebbero risposto con colpi di arma da fuoco “per contrastare la minaccia”.

“Ciò è assolutamente ridicolo”, riferisce a MEE Imran Mansour. “Perché un padre di cinque figli, con la moglie in macchina, avrebbe tentato un’aggressione mentre stava tornando a casa dai figli?

“Se Osama avesse davvero cercato di attaccare i soldati non avrebbe eseguito tutti i loro ordini: fermare l’auto, spegnere il motore, dare ai soldati i loro nomi e documenti d’identità, lasciargli perquisire l’auto”, aggiunge il parente.

Secondo la Wafa, l’agenzia di stampa ufficiale dell’Autorità Nazionale Palestinese, dei testimoni oculari hanno affermato che i soldati israeliani avrebbero lanciato una granata assordante in direzione dell’auto, facendo sì che Osama Mansour, che era alla guida, accelerasse il veicolo.

Imran Mansour riferisce che, pur non essendo in grado di confermare se fosse stata la granata stordente ad indurre suo cugino ad accelerare l’auto, le persone che hanno assistito all’episodio gli hanno detto che nella zona erano in corso degli scontri a causa di un’operazione di arresto da parte dei soldati ad al-Jib e che in quell’area erano state sparate granate assordanti e lacrimogeni.

Nessuna assistenza medica

Secondo le testimonianze rese da Sumayya alla televisione palestinese, pochi istanti dopo gli spari dei soldati contro la sua auto, ha chiamato suo marito e lui le ha chiesto se fosse ferita. Pochi secondi dopo, ha detto, è crollato sul suo grembo e l’auto ha iniziato a sterzare.

“L’auto andava a destra e a sinistra, quindi ho preso la guida finché non ho trovato un gruppo di giovani davanti a me e mi sono fermata in modo che potessero aiutarci”, racconta.

Secondo Imran Mansour, i giovani hanno caricato la coppia nei loro veicoli e li hanno portati al locale ospedale di Biddu. La coppia è stata poi trasferita in un ospedale della città di Ramallah, dove Osama è stato dichiarato morto.

“Osama è stato colpito alla testa da due proiettili”, dice Imran Mansour, aggiungendo che Sumayya è stata ferita dai frammenti di un proiettile, ma si trovava in condizioni stabili e già il primo pomeriggio di martedì ha chiesto di essere dimessa dall’ospedale e tornare a casa.

Secondo Imran Mansour i soldati israeliani non hanno fornito nessun primo soccorso o assistenza medica alla coppia dopo che la loro auto si è fermata a breve distanza dal posto di blocco improvvisato.

“Sono rimasti lì a guardare mentre i giovani cercavano di soccorrere Osama e Sumayya”, afferma. “Non hanno fatto nulla per aiutarli.”

Ucciso a “sangue freddo”

La morte di Osama è stata uno shock per la famiglia Mansour, che è stata informata dell’incidente dall’ospedale locale di Biddu.

“In Palestina questo genere di cose accade quasi ogni giorno, ma speri che non debba mai accadere a te o alla tua famiglia”, ha dichiarato Imran a MEE.

Secondo lui, la morte di Osama e il fatto che i soldati che lo hanno ucciso sostengano che lui li abbia attaccati porta alla mente dei familiari ricordi penosi e un dolore conosciuto.

“Non è la prima volta che ciò accade alla nostra famiglia”, dice, aggiungendo che nel 2016 uno dei loro parenti, il diciannovenne Sawsan Mansour, è stato colpito a morte a un posto di blocco israeliano a nord di Gerusalemme.

“I soldati hanno affermato che stesse cercando di pugnalarli, ma nessuno dei soldati è stato ferito e gli hanno sparato a sangue freddo, proprio come hanno fatto oggi con Osama”, afferma, aggiungendo che in quell’occasione i testimoni oculari hanno affermato che Sawsan era stato lasciato sanguinare per ore, senza nessun soccorso medico.

Questi crimini accadono sempre contro il popolo palestinese, quando usciamo con le nostre auto o superiamo i posti di blocco. Come palestinese sei sempre spaventato e vivi solo nel terrore che una tale tragedia capiti alla tua famiglia”, afferma Imran.

Imran racconta a MEE che suo cugino Osama era “un uomo semplice”, che ha vissuto la sua vita facendo tutto il possibile per provvedere alla moglie e ai cinque figli, le più giovani dei quali sono due gemelle di sette anni.

“È stato ucciso a sangue freddo, e i soldati che lo hanno ucciso non saranno mai ritenuti responsabili”, ha detto, criticando i tribunali israeliani che “proteggono a tutti i costi i loro soldati”.

Le organizzazioni per i diritti umani hanno sempre dichiarato che i soldati e gli agenti di polizia vengono raramente ritenuti responsabili dell’uccisione di palestinesi dal sistema giudiziario israeliano, promuovendo quella che alcuni hanno definito una cultura dell’impunità.

“Se un palestinese viene ucciso senza motivo, tutto ciò che un soldato deve fare è invocare l’autodifesa, e viene rilasciato senza nemmeno una tirata d’orecchi”, dice Imran. “E questo è quello che stanno cercando di fare ora con Osama.

“Osama non è il primo, né sarà l’ultimo palestinese che viene ucciso a sangue freddo, senza nessun motivo, dagli israeliani”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Rapporto OCHA del periodo 16 – 29 marzo 2021

Il 19 marzo, durante una protesta settimanale svolta vicino al villaggio di Beit Dajan (Nablus), un palestinese di 45 anni, che stava lanciando pietre contro le forze israeliane, è stato colpito con arma da fuoco ed ucciso.

A quanto riferito, i soldati coinvolti sarebbero stati chiamati a rapporto. Con questa uccisione sale a tre il numero di palestinesi uccisi dalle forze israeliane in Cisgiordania dall’inizio dell’anno. Nei pressi di Beit Dajan, dieci persone sono rimaste ferite nel corso di proteste che, da sei mesi, si svolgono ogni venerdì contro la costruzione di un nuovo avamposto colonico su un terreno di proprietà del villaggio.

In Cisgiordania, oltre ai dieci di cui sopra, altri 53 palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane: quarantatré in scontri occorsi nel quartiere Kafr ‘Aqab di Gerusalemme Est; cinque a Beit Ummar (Hebron) e Bir Nabala (Gerusalemme), in due operazioni di ricerca-arresto; quattro a Kafr Qaddum (Qalqiliya), nelle proteste settimanali contro l’espansione degli insediamenti; uno nell’area di Tulkarm, mentre cercava di entrare in Israele attraverso una delle brecce nella Barriera. Dei [63]feriti complessivi, 40 sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, 16 sono stati colpiti da proiettili di gomma e sette sono stati aggrediti fisicamente o colpiti da candelotti lacrimogeni. Inoltre, a Gerico, un pastore palestinese è rimasto ferito dall’esplosione di un residuato bellico che stava maneggiando.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 128 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 115 palestinesi, compresi cinque minori. Il governatorato di Ramallah ha registrato il maggior numero di operazioni (27), seguito da Tulkarm (21) ed Hebron (18). A Beit Kahil (Hebron), in una sola un’operazione sono stati arrestati 21 palestinesi.

L’ingresso dei palestinesi nell’Area [residenziale chiusa] H2 della città di Hebron è risultato rallentato per lunghi periodi a causa della reintroduzione, da parte delle forze israeliane, di pesanti restrizioni al checkpoint di accesso al quartiere Tel Rumeida. Al checkpoint, le forze israeliane hanno imposto ai residenti palestinesi di passare attraverso i metal detector; tale disposizione non era più in uso da diversi anni.

In Area C e in Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi edilizi, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 26 strutture di proprietà palestinese, sfollando 34 persone, di cui 15 minori, e creando ripercussioni su circa 40 [seguono dettagli]. Il 17 marzo, in quattro Comunità dell’Area C, sono state prese di mira ventidue strutture, comprese otto tende sequestrate a Khirbet Tana (Nablus), sfollando 18 persone. Nella Comunità beduina di An Nuwei’ma Al Fauqa (Gerico), sono state demolite 11 case disabitate: 21 persone ne sono state colpite. A Gerusalemme Est sono state demolite quattro strutture, di cui tre ad opera dei proprietari: dodici le persone sfollate.

Coloni israeliani, noti o ritenuti tali, hanno ferito due palestinesi e danneggiato alcune centinaia di alberi di proprietà palestinese. Entrambi i palestinesi feriti sono stati aggrediti fisicamente, uno vicino alla Comunità di Susiya (Hebron) e l’altro vicino ad Al Khader (Betlemme), mentre lavorava la propria terra. Residenti nei villaggi di Jalud, Khirbet Sarra e Tell in Nablus, e Ras Karkar e Deir Nidham in Ramallah, hanno riferito che erano stati vandalizzati circa 300 alberi e alberelli [citati sopra]. A Beit Iksa (Gerusalemme) e Kafr ad Dik (Salfit), persone note come coloni, o ritenuti tali, hanno vandalizzato una casa, tre strutture agricole e tre veicoli. Ancora coloni, nella zona di Al Baq’a (Hebron), hanno iniziato a devastare con bulldozer terra privata palestinese. Nei pressi di Tubas coloni hanno bloccato una sorgente, impedendone l’accesso ai pastori palestinesi. A Tuqu’ e Kisan (Betlemme) coloni hanno eretto tende su terreni appartenenti a residenti dei villaggi. A Kisan, alla fine, hanno rimosso le tende, e a Tuqu’ le autorità israeliane hanno ordinato loro di rimuoverle entro il 4 aprile.

Autori, ritenuti palestinesi, hanno colpito con pietre veicoli israeliani in viaggio su strade della Cisgiordania: secondo fonti israeliane dieci veicoli hanno subito danni.

In aree di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale o al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco d’avvertimento in almeno 17 occasioni, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]; non sono stati registrati feriti. In due occasioni, le forze israeliane hanno spianato il terreno vicino alla recinzione, all’interno di Gaza; non sono stati segnalati feriti.

Da Gaza è stato lanciato un razzo verso il sud di Israele; a quanto riferito sarebbe caduto in un’area aperta senza provocare feriti o danni. Israele ha compiuto alcuni attacchi aerei che, viene riferito, hanno colpito siti militari a Gaza, causando danni.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Rapporto OCHA del periodo 2 – 15 febbraio 2021

Il 5 febbraio, vicino al villaggio di Ras Karkar (Ramallah, nei pressi di un insediamento colonico avamposto [cioè, non autorizzato dal Governo israeliano] di nuova costruzione, un colono israeliano ha sparato, uccidendo un palestinese 34enne che, secondo fonti militari israeliane, aveva cercato di entrare in una casa dell’avamposto. Successivi scontri a Ras Karkar, villaggio di provenienza dell’uomo, hanno provocato il ferimento di un palestinese e di un soldato israeliano. A Nuba (Hebron), un altro palestinese 25enne è rimasto ucciso dall’esplosione di un ordigno rinvenuto nei pressi della sua casa.

In vari scontri avvenuti in Cisgiordania, sono rimasti feriti settantuno palestinesi e quattro soldati israeliani [seguono dettagli]. Trenta dei palestinesi feriti sono stati curati per aver inalato gas lacrimogeno durante una protesta svolta il 12 febbraio ad Humsa – Al Bqai’a, contro demolizioni e confische. Altri ventisette palestinesi sono rimasti feriti durante proteste: contro la realizzazione di tre insediamenti colonici avamposti su terra palestinese in Kafr Malik, Deir Jarir, Ras at Tin, Al Mughayyir (in Ramallah); contro la realizzazione di un altro [insediamento avamposto] su terreni palestinesi in Beit Dajan (Nablus); contro l’espansione degli insediamenti colonici a Kafr Qaddum (Qalqiliya). Sette palestinesi sono rimasti feriti negli scontri scoppiati durante operazioni di ricerca-arresto condotte nei Campi profughi di Ad Duheisha (Betlemme) e di Jenin, e nel villaggio di Jaba (sempre a Jenin). Altri tre sono rimasti feriti nell’area di Jenin mentre, a quanto riferito, tentavano di entrare in Israele attraverso varchi nella Barriera. Due [palestinesi] sono rimasti feriti ad Al Lubban ash Sharqiya (Nablus), in seguito all’intervento delle forze israeliane richiamate da scontri tra palestinesi e coloni; altri due, vicino al villaggio di Silwad (Ramallah), in circostanze non ancora chiare. Cinquantuno dei feriti sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, dieci sono stati colpiti da proiettili di gomma, sei sono stati colpiti da proiettili di armi da fuoco ed i restanti sono stati aggrediti fisicamente o colpiti da bombolette lacrimogene. Quattro soldati israeliani sono rimasti feriti a Beituniya (Ramallah), durante un’operazione di ricerca-arresto.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 186 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 172 palestinesi. I governatorati di Gerusalemme, Ramallah ed Hebron sono stati i più coinvolti (in media 28 operazioni ciascuno). In uno degli episodi, accaduto a Hebron, forze israeliane hanno fatto irruzione nel municipio arrestando i dipendenti al lavoro per il turno di notte; sarebbero stati rotti mobili e porte.

A Gaza, vicino alla recinzione israeliana del suo perimetro o in mare, al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento in almeno 28 occasioni, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]. In altre tre occasioni, sempre vicino alla recinzione, le forze israeliane hanno svolto operazioni di spianatura del terreno.

Dopo una chiusura di oltre due mesi, il 1° febbraio, il valico egiziano di Rafah, al confine con Gaza, è stato aperto per quattro giorni consecutivi, in entrambe le direzioni. Il 9 febbraio, le autorità egiziane hanno annunciato che il valico rimarrà aperto in entrambe le direzioni, a tempo indeterminato. Dall’inizio di febbraio sono state registrate 6.373 uscite [da Gaza] e 3.520 ingressi.

Citando la mancanza di permessi di costruzione, sono state demolite o sequestrate 89 strutture di proprietà palestinese, sfollando 146 persone, di cui 83 minori, e creando ripercussioni su almeno 330 [seguono dettagli]. Il 3 e l’8 febbraio, nella Comunità Humsa – Al Bqai’a nella Valle del Giordano, le autorità israeliane hanno demolito 37 strutture, la maggior parte delle quali erano state donate. In ciascuno dei due episodi sono state sfollate sessanta persone, inclusi 35 minori. Questa Comunità, dislocata prevalentemente in un’area destinata all’addestramento militare israeliano, negli ultimi mesi ha subito molteplici demolizioni di massa. Una dichiarazione delle Nazioni Unite, rilasciata il 5 febbraio, ha denunciato che la pressione esercitata sulla Comunità per indurla ad abbandonare il luogo, costituisce un reale rischio di trasferimento forzato. A sud di Hebron, nelle Comunità di Ar Rakeez, Umm al Kheir e Khirbet at Tawamin, sono state sequestrate sette strutture, comprese latrine mobili, compromettendo le condizioni di vita e il sostentamento di 80 persone. Inoltre, ad Al Jalama (Jenin), i mezzi di sussistenza di circa 70 persone sono stati colpiti dalla demolizione di 13 bancarelle adibite alla vendita di bevande. A Gerusalemme Est, sono state demolite sette strutture, di cui quattro ad opera degli stessi proprietari per evitare costi aggiuntivi; una famiglia di quattro persone è stata sfollata.

Inoltre, nel villaggio di Tura al Gharbiya (Jenin), le autorità israeliane hanno demolito, a scopo punitivo, una casa, sfollando 11 persone, tra cui quattro minori. La casa apparteneva alla famiglia di un palestinese accusato di aver ucciso, a dicembre [2020], una donna israeliana. L’anno scorso, con le stesse motivazioni, sono state demolite sette strutture.

Secondo il Ministero dell’Agricoltura palestinese, le autorità israeliane hanno sradicato 1.000 alberelli vicino alla città di Tubas. Erano stati piantati in risposta allo sradicamento di migliaia di alberi, avvenuto il mese scorso nella stessa area, sulla base del fatto che la terra è stata dichiarata [da Israele] “Terra di Stato”.

Coloni israeliani, o persone ritenute tali, hanno ferito quattro palestinesi, compreso un minore, ed hanno danneggiato proprietà palestinesi, compresi alberi [seguono dettagli]. Tre palestinesi sono stati aggrediti fisicamente nel villaggio di Al Lubban ash Sharqiya (Nablus), in due separati scontri con coloni israeliani, mentre un 13enne è stato aggredito fisicamente nell’area di Hebron controllata da Israele (H2). Nel villaggio di Susiya (Hebron), un volontario straniero è stato colpito con pietre e ferito e, nel villaggio di As Samu, altri volontari stranieri e locali sono stati attaccati e derubati da persone ritenute coloni. Secondo fonti palestinesi, oltre 130 ulivi e alberelli sono stati sradicati o abbattuti nelle comunità di Khirbet Sarra (Nablus), Bruqin e Kafr ad Dik (Salfit), in At Tuwani e Bir al ‘Idd (Hebron) e in Al Janiya (Ramallah). A Bruqin sono stati rubati circa 180 pali da recinzione. Inoltre, a Beit Dajan è stata danneggiata una struttura agricola e a Qusra (entrambi a Nablus) è stato dato alle fiamme un veicolo. Un altro veicolo che transitava vicino all’insediamento di Bet El (Ramallah) è stato colpito con pietre e danneggiato. A Qawawis, un pastore ha riferito della morte di sette sue pecore a causa di una sostanza velenosa che egli ritiene sia stata spruzzata da coloni del vicino insediamento di Mitzpe Yair, i quali, egli dice, lo hanno ripetutamente attaccato mentre pascolava le sue pecore. In un altro episodio avvenuto nella zona di Ein ar Rashrash (Ramallah), un pastore ha riferito che un veicolo, verosimilmente guidato da coloni, aveva investito ed ucciso due delle sue pecore. Secondo quanto riferito, a Gerusalemme Est, autori ritenuti coloni israeliani avrebbero danneggiato una telecamera di sorveglianza e una serratura nella chiesa ortodossa rumena.

Secondo fonti israeliane, due israeliani, una ragazza di 14 anni e una donna, in viaggio sulle strade della Cisgiordania, sono stati feriti da autori ritenuti palestinesi. A quanto riferito, trenta veicoli israeliani sono stati danneggiati, prevalentemente colpiti da pietre.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 16 febbraio, nella Comunità beduina di Humsa – Al Bqai’a, nella valle del Giordano settentrionale, le forze israeliane hanno confiscato cinque tende di sostentamento finanziate da donatori [correlato ad altri eventi descritti nel 6° paragrafo di questo Rapporto].




Rapporto OCHA del periodo 19 gennaio – 1 febbraio 2021

Secondo quanto riferito, due palestinesi hanno tentato di accoltellare militari israeliani, ma sono stati colpiti con armi da fuoco ed uccisi

[seguono dettagli]. Secondo fonti israeliane, il 26 gennaio, nei pressi dell’insediamento di Ariel (Salfit), un 17enne palestinese è stato ucciso dopo aver tentato di accoltellare una soldatessa israeliana: mentre per i media palestinesi non si tratterebbe di un tentativo di accoltellamento, i media israeliani hanno segnalato che la soldatessa ha dovuto essere curata per lievi ferite. Il 31 gennaio, vicino all’insediamento [colonico] di Gush Etzion (Betlemme), un 36enne palestinese si è avvicinato di corsa a soldati israeliani, tenendo in mano, a quanto riferito, un’arma improvvisata: è stato colpito ed ucciso.

In Cisgiordania, in scontri con le forze israeliane, sono rimasti feriti 25 palestinesi [seguono dettagli]. Sedici di questi feriti si sono avuti nel villaggio di Deir Abu Mash’al (Ramallah), durante un’operazione di ricerca-arresto che ha fatto seguito al ferimento di una 15enne, causato dal lancio di pietre contro veicoli israeliani (vedi ultimo paragrafo). Altri due feriti sono stati segnalati nelle città di Qalqiliya e Tubas, sempre nel contesto di operazioni di ricerca-arresto, e un altro nel villaggio di Zeita (Tulkarm). I restanti sei ferimenti sono avvenuti durante proteste contro le attività di insediamento [colonico] vicino a Kafr Qaddum (Qalqiliya), Beit Dajan (Nablus) e Deir Jarir (Ramallah). Diciannove dei feriti sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, tre sono stati colpiti da proiettili di gomma, due sono stati aggrediti fisicamente ed uno è stato colpito da proiettile di arma da fuoco.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 159 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 177 palestinesi. Il maggior numero di operazioni (35) è stato registrato nel governatorato di Gerusalemme (prevalentemente a Gerusalemme Est), seguito dal governatorato di Hebron (26).

Il 19 gennaio, da Gaza è stato lanciato un razzo verso Israele; il razzo è caduto in un’area aperta. Successivamente, dalla recinzione perimetrale, le forze israeliane hanno sparato colpi di cannone, a quanto riferito, contro postazioni militari [palestinesi]; tuttavia, un proiettile ha colpito una casa palestinese nel Campo profughi di Al Maghazi, ferendo un uomo e provocando danni.

Vicino alla recinzione israeliana del perimetro di Gaza o in mare, al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento in almeno 18 occasioni, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]: a nord di Beit Lahiya un palestinese è stato ferito. Al valico di Erez, le autorità israeliane hanno arrestato un uomo che accompagnava la moglie a Gerusalemme Est, per cure.

Il 23 gennaio, nella città di Beit Hanoun (Gaza), 47 persone, tra cui 19 minori e 15 donne, sono rimaste ferite a seguito di un’esplosione avvenuta all’interno di una casa. Secondo quanto riferito, la casa apparteneva a un membro di un gruppo armato palestinese e veniva usata per immagazzinare esplosivi. Diverse strutture civili sono state danneggiate, fra queste: 172 abitazioni, tre scuole, un ospedale ed una stazione di polizia. Secondo Shelter Cluster [Organismo internazionale di coordinamento di Agenzie che sostengono le persone colpite da catastrofi naturali e/o conflitti] oltre 1.000 persone hanno subìto conseguenze.

Il 1° febbraio, il valico di Rafah, controllato dall’Egitto, è stato ufficialmente aperto per quattro giorni in entrambe le direzioni. Nei due mesi precedenti era rimasto chiuso.

Citando la mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 69 strutture di proprietà palestinese, sfollando 80 persone e creando ripercussioni su circa 600 [seguono dettagli]. Tutte le strutture demolite, tranne una, si trovavano nell’Area C della Cisgiordania. Quarantacinque strutture, circa il 70%, erano in quattro Comunità della Valle del Giordano. Una struttura [delle 69] è stata demolita nel villaggio di Al Walaja (Betlemme), all’interno della linea di confine (stabilita da Israele) del municipio di Gerusalemme.

Il 1° febbraio, a Humsa al Bqai’a (Valle del Giordano), sono stati confiscati 25 ripari residenziali e per animali, sfollando 55 persone, di cui 32 minori; la maggior parte delle strutture era stata fornita come assistenza umanitaria, in risposta a una demolizione di massa, subita dalla stessa Comunità, il 3 novembre 2020. Secondo quanto riferito, ai residenti sarebbe stato detto che le loro strutture confiscate sarebbero state restituite se, entro 24 ore, si fossero trasferiti a Ein Shebli. La maggior parte dei membri della Comunità colpita risiede in un’area chiusa, designata dalle autorità israeliane come “zona di tiro”, cioè destinata all’addestramento militare.

Altre demolizioni e confische sono state effettuate nella Cisgiordania meridionale [seguono dettagli]. Nella Comunità di Umm Qussa, situata in una zona di Hebron dichiarata [da Israele] “zona militare”, sono state demolite una moschea ed una cisterna per l’acqua; mentre una rete idrica è stata danneggiata ai sensi di un “Ordine militare 1797”, che consente la demolizione dopo 96 ore dall’emissione di un “ordine di rimozione”. Il danneggiamento della rete ha riguardato l’accesso all’acqua di 450 residenti. Sempre a Hebron, a Khashem ad Daraj, il 31 gennaio, cinque famiglie hanno ricevuto un ordine di sfratto temporaneo, con l’intimazione di lasciare la propria residenza per quattro giorni, per consentire esercitazioni militari israeliane.

Secondo il Ministero dell’Agricoltura palestinese, vicino alla città di Tubas, le autorità israeliane hanno sradicato e distrutto migliaia di alberi che erano stati piantati otto anni fa, come parte di un progetto supervisionato dallo stesso Ministero. Anche nell’area di Khallet an Nahla, a Betlemme, le autorità israeliane hanno devastato con bulldozer un migliaio alberi di una proprietà privata. Entrambi gli episodi si sono verificati sulla base del fatto che la terra [in questione] era stata dichiarata [da Israele] “terra di stato”.

Sette palestinesi sono stati feriti, mentre centinaia di alberi di proprietà palestinese ed un numero imprecisato di veicoli sono stati vandalizzati da autori, conosciuti o ritenuti, coloni israeliani [seguono dettagli]. Quattro dei feriti, tra cui un minore, sono stati colpiti con pietre o aggrediti fisicamente mentre transitavano sulla Strada 60, nel governatorato di Ramallah. Gli altri tre sono stati aggrediti fisicamente a Hebron, in separati scontri con coloni: uno presso la comunità di Khirbet at Tawamin, durante un sit-in di protesta; gli altri due a Dura, durante la spianatura di un terreno da parte di coloni, apparentemente intenzionati ad impossessarsene. Secondo varie fonti palestinesi, circa 450 ulivi e alberelli sono stati sradicati o abbattuti a Mantiqat Shi’b al Butum, Adh Dhahiriya e al Baq’a (Hebron), a Shufa (Tulkarm) e a Kafr ad Dik (Salfit). Gli abitanti di Kafr ad Dik, Sarta (Salfit) e dell’area di Ash Shuyukh (Hebron) hanno riferito di danni a recinzioni, strutture agricole e cancelli, oltre il furto di attrezzi agricoli. Diversi veicoli palestinesi sono stati colpiti da pietre e danneggiati; alcuni mentre viaggiavano vicino a Betlemme e Qalqiliya, altri nei villaggi di Kifl Haris e Yasuf (Salfit) dove, a quanto riferito, coloni hanno lanciato pietre contro auto e case.

Secondo fonti israeliane, cinque israeliani sono stati feriti da autori ritenuti palestinesi. Uno dei feriti, uno studente ultra ortodosso, è stato accoltellato e ferito leggermente fuori dalla Città Vecchia di Gerusalemme; gli altri quattro, inclusa una ragazza, sono stati colpiti da pietre vicino ai villaggi di Burin (Nablus) e Kifl Haris (Salfit), mentre transitavano su strade della Cisgiordania. Secondo quanto riferito, un totale di 26 veicoli israeliani sono stati danneggiati, prevalentemente colpiti da pietre.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 3 febbraio, a Humsa al Bqai’a, le autorità israeliane hanno demolito o confiscato 21 strutture. Un’analoga operazione era stata effettuata nella stessa Comunità appena due giorni prima, il 1° febbraio [ultimo giorno del periodo considerato da questo Rapporto; vedere sopra, al paragrafo 9]. Le due operazioni militari israeliane [compiute il 1° ed il 3 febbraio], hanno complessivamente provocato lo sfollamento di 60 persone, di cui 35 minori.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.




Rapporto OCHA del periodo 5 gennaio – 18 gennaio 2021

Secondo quanto riferito, in due distinti episodi, due palestinesi che avevano aggredito israeliani, sono stati successivamente colpiti con armi da fuoco; uno è morto e l’altro è rimasto ferito [seguono dettagli].

Secondo fonti israeliane, il 5 gennaio, allo svincolo di Gush Etzion (Hebron), un palestinese 25enne si è avvicinato al coordinatore della sicurezza di un insediamento israeliano e gli ha lanciato un coltello, il coordinatore ha sparato, uccidendolo. Il 13 gennaio, ad un posto di blocco nella città vecchia di Hebron, un palestinese avrebbe tentato di accoltellare un ufficiale della polizia di frontiera ed è stato colpito e ferito dalle forze israeliane. Il giorno prima, al checkpoint di Qalandiya (Gerusalemme), un uomo palestinese avrebbe aggredito, con un cacciavite, una guardia di sicurezza israeliana, venendo successivamente arrestato.

In Cisgiordania, in scontri con le forze israeliane sono rimasti feriti 79 palestinesi, inclusi 14 minori [seguono dettagli]. La maggior parte dei ferimenti (59) sono avvenuti vicino ai villaggi di Al Mughayyir e Deir Jarir (Ramallah), durante le proteste contro la realizzazione di due insediamenti avamposti, o vicino a Kafr Qaddum (Qalqiliya), durante proteste contro le attività di insediamento colonico. Negli scontri di Al Mughayyir è rimasto ferito anche un soldato israeliano; per oltre una settimana, l’ingresso principale del villaggio è stato interdetto alla circolazione dei veicoli. Otto palestinesi sono stati colpiti e feriti vicino a Tulkarm, nel tentativo di entrare in Israele attraverso una breccia nella Barriera. Altri due palestinesi sono rimasti feriti nel corso di due proteste: ad Ar Rakeez, nel sud di Hebron, dopo che le forze israeliane avevano sparato ad un uomo durante una confisca avvenuta il 1° gennaio; a Deir Ballut (Salfit) contro lo sradicamento di alberi. I rimanenti feriti sono stati registrati durante operazioni di ricerca-arresto nei Campi profughi di Qabatiya (Jenin), Tammun (Tubas), Aqbet Jaber (Gerico) e Ad Duheisheh (Betlemme), o in scontri presso vari checkpoint. Cinquantacinque dei 79 feriti, sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, 14 sono stati colpiti con proiettili di armi da fuoco, otto sono stati colpiti da proiettili di gomma e gli altri sono stati aggrediti fisicamente.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 161 operazioni di ricerca-arresto, arrestando 157 palestinesi. Il governatorato di Gerusalemme ha continuato a registrare il maggior numero di operazioni (33), effettuate prevalentemente a Gerusalemme Est.

Nel governatorato di Hebron, in due distinti episodi, due palestinesi hanno riportato ferite gravi nell’esplosione di residuati bellici che essi stavano maneggiando. Uno era al lavoro sul proprio terreno, vicino al villaggio di As Samu, nei pressi della Barriera; l’altro, un 17enne, stava pascolando il bestiame vicino a Mirkez, in un’area destinata dalle autorità israeliane all’addestramento militare. L’esercito israeliano ha trasportato il ragazzo in un ospedale israeliano per cure mediche.

Il 18 gennaio, da Gaza sono stati lanciati verso Israele due razzi, a seguito dei quali le forze israeliane hanno effettuato attacchi aerei su Gaza. A quanto riferito, i razzi palestinesi si erano attivati automaticamente a causa delle condizioni meteorologiche e sono caduti in mare vicino alla costa israeliana. Secondo quanto riferito, gli attacchi israeliani hanno colpito obiettivi militari, ed hanno danneggiato un terreno coltivato a Khan Younis.

[Sul lato interno della] Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale e in mare, le forze israeliane hanno aperto il fuoco d’avvertimento in almeno 47 occasioni, presumibilmente per far rispettare [ai palestinesi] le restrizioni di accesso. Inoltre, in due occasioni, le forze israeliane [sono entrate nella Striscia e] hanno spianato terreni in prossimità della recinzione.

In Area C, citando la mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 24 strutture di proprietà palestinese, sfollando 34 persone e creando ripercussioni su circa 70 [seguono dettagli]. Dieci delle strutture prese di mira (case, ricoveri per animali e latrine mobili) si trovavano nella Comunità beduina di Beit Iksa (Gerusalemme), dove sono state sfollate 27 persone, metà delle quali minori. Quattro di queste strutture erano state fornite come aiuto umanitario. A Khirbet Fraseen (Jenin), una famiglia di sette persone che viveva in un antico edificio (secondo le autorità israeliane, collocato su un sito archeologico) è stata sfollata dopo che erano state rimosse o demolite finestre, porte, condutture dell’acqua, cavi elettrici e un bagno che essi avevano aggiunto alla loro casa. A Umm Qussa (Hebron), una scuola di recente costruzione ha ricevuto un “avviso di rimozione” ai sensi del “Ordine Militare 1797”, che ne consente la demolizione entro 96 ore. Nessuna demolizione è stata registrata a Gerusalemme Est.

Le autorità israeliane hanno sradicato circa 1.370 alberi di proprietà palestinese, sulla base del fatto che la terra era stata dichiarata [da Israele] “terra di stato”, ed hanno confiscato 237 pecore sostenendo che stavano pascolando in un’area dichiarata “riserva naturale”. Lo sradicamento degli alberi è avvenuto a Deir Ballut (Salfit) e Beit Ummar (Hebron). Si stima che, nel 2020, le autorità israeliane abbiano sradicato 4.164 alberi palestinesi, quasi il 60% in più rispetto al 2019. La confisca delle pecore è avvenuta vicino a Wadi Fuqin (Betlemme), dove al pastore è stata inflitta una multa di 50.000 shekel israeliani (15.200 $).

Otto palestinesi sono rimasti feriti e decine di alberi e veicoli di proprietà palestinese sono stati vandalizzati da persone, note o ritenute, coloni israeliani [seguono dettagli]. A Madama (Nablus), una ragazza 11enne è stata ferita con pietre vicino alla propria abitazione; vicino ad Aqraba (Nablus) e Kafr Malik (Ramallah), in separati episodi, sei uomini sono stati aggrediti fisicamente mentre lavoravano la loro terra; nella zona di Ramallah, un uomo è stato ferito dal lancio di pietre contro veicoli palestinesi. Almeno sei veicoli palestinesi sono stati danneggiati in episodi di lancio di pietre; altre auto sono state vandalizzate a Gerusalemme Est, ad opera di coloni che protestavano per la morte di un ragazzo israeliano, avvenuta su un’auto inseguita dalla polizia israeliana. Oltre 230 ulivi e alberelli sono stati danneggiati vicino ai villaggi di Beit Ummar a Hebron e Jalud a Nablus.

In Cisgiordania, secondo fonti israeliane, in 26 episodi, una donna israeliana è rimasta ferita e 27 veicoli israeliani sono stati danneggiati da autori ritenuti palestinesi. In 23 casi sono state lanciate pietre, in 3 casi bottiglie incendiarie.

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Rapporto OCHA del periodo 22 dicembre 2020 – 4 gennaio 2021

Il 26 dicembre, in seguito al lancio di due razzi, da Gaza verso Israele, le forze israeliane hanno effettuato una serie di attacchi aerei sulla città di Gaza, provocando il ferimento di tre palestinesi, tra cui una bambina di sei anni, e significativi danni a strutture civili adiacenti.

Secondo fonti ufficiali israeliane, gli attacchi aerei avevano come obiettivi una struttura sotterranea ed un sito utilizzati per la fabbricazione di razzi. Le strutture civili danneggiate includono due scuole, due manifatture, un ospedale, una moschea, tralicci per l’energia elettrica ed una conduttura per l’acqua; i danni a quest’ultima hanno interrotto l’approvvigionamento idrico a 250.000 persone circa. I razzi palestinesi erano stati intercettati in aria e non avevano provocato ferimenti di israeliani, né danni. Da metà agosto scorso, questo è il primo scontro con feriti e danni materiali importanti.

Nelle aree [di Gaza] adiacenti la recinzione perimetrale e in zone di mare al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco d’avvertimento in almeno 45 occasioni. In un episodio separato, accaduto al largo della costa di Rafah, le forze navali egiziane hanno aperto il fuoco verso una imbarcazione palestinese, arrestando tre pescatori. Nessuno di questi episodi ha provocato feriti. In queste aree, di solito, le sparatorie si svolgono per imporre restrizioni di accesso.

Il 1° gennaio, un palestinese di 24 anni è stato colpito al collo da un proiettile sparato da un soldato israeliano e, al momento, è paralizzato; egli aveva cercato di impedire il sequestro di un generatore elettrico privo dell’autorizzazione richiesta da Israele. L’episodio è avvenuto ad Ar Rakeez: una delle 14 Comunità di pastori dell’area di Massafer Yatta (a sud di Hebron) i cui residenti sono a rischio di trasferimento forzato poiché l’area è stata designata da Israele come zona “chiusa” e destinata all’addestramento dei suoi militari.

In Cisgiordania, scontri scoppiati durante operazioni israeliane di ricerca-arresto, condotte nei pressi di due ospedali, hanno provocato il ferimento di due palestinesi, tra cui una donna incinta, e l’interruzione delle attività ospedaliere [seguono dettagli]. In un episodio verificatosi il 27 dicembre, nella città di Ramallah, due persone, che stavano nel cortile di un ospedale, sono state colpite da proiettili di gomma sparati dalle forze israeliane dall’esterno; è stata danneggiata anche un’ambulanza. Il 4 gennaio, nella città di Tulkarm, in un altro episodio, le cui circostanze rimangono poco chiare, le forze israeliane sono entrate in un ospedale ed hanno lanciato granate stordenti.

In Cisgiordania, in scontri con forze israeliane, sono rimasti feriti altri 89 palestinesi, compresi 16 minori [seguono dettagli]. Quarantasei feriti si sono avuti vicino al villaggio di Al Mughayyir (Ramallah), durante le reiterate proteste contro le attività di insediamento colonico, tra cui la creazione di un nuovo insediamento avamposto [non autorizzato da Israele]. Altri 30 palestinesi sono rimasti feriti nella comunità di Al Karmel, nel sud di Hebron, durante la demolizione di una casa. Nella città di Nablus, Beituniya e Al Bireh a Ramallah, e nei Campi profughi di Aqbet Jaber (Gerico) e Ad Duheisheh (Betlemme), operazioni israeliane di ricerca-arresto hanno innescato scontri con palestinesi, 11 dei quali sono stati feriti. Degli 89 feriti, 65 sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, 13 sono stati colpiti da proiettili di gomma, sei sono stati aggrediti fisicamente e cinque sono stati colpiti con armi da fuoco.

Il 24 dicembre, nel villaggio di Tura (Jenin), forze israeliane hanno arrestato un palestinese sospettato dell’omicidio di una donna israeliana, il cui corpo era stato ritrovato il 20 dicembre, vicino all’insediamento di Tal Menashe. Secondo le autorità israeliane, l’uomo ha confessato di aver ucciso la donna per motivi nazionalistici. In relazione a questo episodio sono stati arrestati anche altri quattro palestinesi.

Il 3 gennaio, vicino al villaggio di Deir Nidham (Ramallah), una donna israeliana, che transitava in auto, è stata gravemente ferita da una pietra lanciata da un palestinese. Successivamente, le forze israeliane hanno condotto una serie di operazioni di ricerca nel villaggio, arrestando nove palestinesi, tra cui, secondo quanto riferito, il presunto aggressore. Secondo fonti israeliane, in Cisgiordania, in ulteriori episodi di lancio di pietre, tre israeliani sono rimasti feriti e 14 veicoli israeliani hanno subito danni.

A motivo della mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, sono state demolite o sequestrate trentaquattro strutture palestinesi provocando lo sfollamento di 22 persone e creando ripercussioni su oltre 170. Tutte le strutture prese di mira, tranne due, e tutti gli sfollamenti sono stati registrati in Area C, interessando 12 Comunità palestinesi. Le due strutture sopraccitate sono state demolite in Gerusalemme Est dagli stessi proprietari per evitare maggiori spese e multe.

In due episodi distinti, le forze israeliane hanno spianato con i bulldozer terreni agricoli e sradicato circa 850 alberi di proprietà palestinese, con la motivazione che la terra è dichiarata [da Israele] “terra di stato” [seguono dettagli]. Vicino al villaggio di Al Jab’a (Betlemme) sono stati rasi al suolo circa 1,5 ettari di terreno e sono stati sradicati 350 ulivi e 150 viti, minando i mezzi di sussistenza di almeno tre famiglie. Nella Comunità beduina di An Nuwei’ma Al Fauqa (Gerico), durante una demolizione, le forze israeliane hanno sradicato 350 ulivi.

In diversi episodi, palestinesi sono stati colpiti da pietre o attaccati in altro modo da aggressori ritenuti coloni israeliani. In due episodi distinti, avvenuti a Gerusalemme Est e Al Lubban ash Sharqiya (Nablus), un ragazzo e un uomo sono stati aggrediti fisicamente e feriti. Nei villaggi di At Tuwani (Hebron), Huwwara e Jalud (Nablus) e Kifl Haris e Sarta (Salfit), coloni hanno lanciato pietre e danneggiato veicoli, case e ulivi; nell’ultima di tali località gli aggressori hanno lanciato una granata assordante all’interno di una casa, senza provocare feriti. In tutta la Cisgiordania sono stati registrati decine di casi di lancio di pietre contro auto palestinesi; in tre degli episodi sono stati danneggiati veicoli. A quanto riferito, alcuni di questi episodi si sono verificati durante proteste di coloni per la morte di un ragazzo israeliano in un incidente d’auto: l’auto si era schiantata mentre era inseguita dalla polizia israeliana [che sospettava che gli occupanti avessero lanciato pietre contro auto palestinesi]. Alcune di queste proteste hanno comportato scontri tra coloni e polizia israeliana.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 5 gennaio, vicino all’incrocio di Gush Etzion (Hebron), il coordinatore della sicurezza di un insediamento israeliano ha sparato, uccidendo un palestinese che, secondo quanto riportato da media, aveva tentato una aggressione con coltello.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




L’esercito israeliano giustifica l’uccisione del ragazzo palestinese. I testimoni respingono la sua versione

Oren Ziv

14 dicembre 2020 – +972 magazine

L’esercito israeliano ha giustificato l’uccisione Ali Abu Aliya, 15 anni, sostenendo che la dimostrazione costituisse un pericolo per gli automobilisti nella zona. Ma i testimoni dicono che, quando è stato colpito, il ragazzo si trovava molto lontano dalla strada in questione.

Venerdì 4 dicembre i soldati israeliani hanno sparato e ucciso il 15enne Ali Abu Aliya nel villaggio di al-Mughayyer, vicino a Ramallah, in Cisgiordania. Abu Aliya, che avrebbe dovuto festeggiare il suo compleanno quella sera, è stato colpito da un proiettile vero mentre osservava una manifestazione in corso nel villaggio.

Dopo l’omicidio il portavoce dell’unità delle IDF [l’esercito israeliano, ndtr.] ha sottolineato che i palestinesi “hanno cercato di lanciare grosse pietre e bruciare pneumatici … mettendo a rischio l’incolumità delle auto in transito sulla strada di Allon (la vicina strada principale che attraversa la Cisgiordania da nord a sud)”. Comunque i militari hanno anche affermato di aver aperto un’indagine sull’omicidio.

Tuttavia tre giovani palestinesi che venerdì si trovavano vicino ad Abu Aliya e hanno fatto delle dichiarazioni a +972 testimoniano che Abu Aliya, quando i soldati israeliani hanno aperto il fuoco contro di lui, non si trovava nei pressi della strada di Allon. Inoltre dal punto in cui è stato colpito Abu Aliya sarebbe stato impossibile lanciare pietre verso la strada di Allon o mettere in pericolo in qualunque altro modo chi la percorreva.

Due video pubblicati sui media palestinesi e israeliani in seguito all’incidente mostrano i palestinesi che lanciano grosse pietre, come dichiarato dall’esercito. Ma l’esercito non ha potuto confermare a +972 dove sia stato esattamente filmato il video pubblicato dalla Israeli Public Broadcasting Corporation [l’emittente radiofonica e televisiva pubblica dello Stato di Israele, ndtr.] e secondo l’organizzazione contraria all’occupazione B’Tselem, che ha condotto un’indagine indipendente non ancora pubblicata sulla sparatoria, il video dei palestinesi che lanciano i sassi non sarebbe stato affatto filmato ad al-Mughayyer. I manifestanti che hanno esaminato le riprese hanno dichiarato che sarebbe stato girato a Malik. La distanza tra il villaggio di Malik e al-Mughayyer, dove Abu Aliya è stato ucciso, è di oltre cinque chilometri.

Un mese di proteste

Nel corso dell’ultimo mese, manifestanti palestinesi e israeliani hanno protestato a Samiya, tra Malik e al-Mughayyer, contro un avamposto coloniale non autorizzato insediatosi a est della strada di Allon.

Il 20 novembre, durante una manifestazione, l’esercito israeliano ha bloccato l’uscita da Malik in direzione della strada di Allon, al fine di impedire ai manifestanti di avvicinarsi lungo la strada all’avamposto, distante circa 4 km dalla manifestazione in corso. A causa della decisione dell’esercito di bloccare l’uscita la manifestazione si è trasferita nell’area di una stazione di pompaggio nel villaggio di Ein Samia, a circa 100 metri dalla strada.

Nel frattempo l’esercito ha anche bloccato le vie di accesso tra al-Mughayyer e la strada di Allon per impedire agli abitanti del villaggio di unirsi alla protesta e ai manifestanti di altri villaggi di raggiungere l’avamposto.

Secondo le testimonianze di tre adolescenti che venerdì scorso hanno assistito agli eventi, intorno alle 9 del mattino un contingente militare è entrato a piedi ad al-Mughayyer  mentre i soldati bloccavano l’uscita dal villaggio. Gli scontri sono iniziati su due colline alla periferia del villaggio in seguito all’arrivo dell’esercito. I soldati hanno lanciato granate assordanti e hanno sparato lacrimogeni e proiettili di metallo rivestiti di gomma contro decine di ragazzi che lanciavano pietre.

“Otto soldati si trovavano sulla collina, poi si sono uniti a loro altri tre o quattro e sono avanzati verso il villaggio”, ha riferito Bassem, il fratello di Abu Aliya, una settimana dopo la morte di Ali. “Non erano agenti della polizia di frontiera. Anche la polizia di frontiera era stata inviata alla manifestazione, e tre di loro avevano fucili da cecchino” (molto probabilmente fucili che sparano proiettili calibro 22, lo stesso che ha ucciso Abu Aliya).

Più tardi quella mattina, tra le 10 e le 11, i soldati hanno raggiunto un sentiero sterrato che porta ad un quartiere della periferia del villaggio, a circa 200 metri di distanza. Dal sentiero non si vede la strada di Allon, e da quel punto non è certo possibile lanciare sassi sulla strada. “Un soldato era appostato a terra con il fucile da cecchino”, continua Bassem, “e in piedi accanto a lui c’era un ufficiale che gli dava istruzioni su dove sparare”.

Bassem e altri due testimoni presenti sulla scena raccontano che i soldati si sono radunati sul sentiero, mentre un piccolo gruppo di ragazzi era nascosto su entrambi i lati del sentiero dietro gli ulivi e un cumulo di terra. “Alcuni di loro scattavano foto e avevano un drone che scattava delle foto dall’alto”, ha detto Ahmad, 17 anni, un amico di Abu Aliya. Secondo le loro testimonianze, alcuni soldati hanno sparato dei lacrimogeni, mentre altri si sono nascosti nella speranza di fermare i lanciatori di pietre.

‘Era il suo compleanno’

Ci sono ancora bossoli sul terreno da dove il cecchino israeliano ha sparato ad Abu Aliya. Sulla base delle misurazioni effettuate dagli abitanti, circa 150 metri dividevano la postazione del cecchino e il luogo in cui Abu Aliya è stato colpito. Anche secondo B’Tselem la distanza tra il soldato e Abu Aliya era di circa 150 metri.

“Ali era in piedi accanto a me, molto lontano dai soldati, e improvvisamente ci siamo accorti che era ferito”, ricorda Ahmad. “Si teneva lo stomaco. Non stava sanguinando, quindi abbiamo pensato che fosse un proiettile di gomma o una ferita leggera. Abbiamo fermato un’auto che lo ha trasportato alla clinica di Turmusayya “.

Parlava ancora”, ha riferito suo fratello Bassem sui momenti successivi alla sparatoria. “Dopo di che ha perso conoscenza.”

Secondo Bassem i soldati hanno continuato a sparare lacrimogeni per un’altra mezz’ora prima di andarsene. Riferisce che molti dei ragazzi sono rimasti nascosti per un po’ di tempo dopo la sparatoria, per paura di essere feriti.

Othman, 17 anni, anche lui sulla scena dell’omicidio, ha detto che i ragazzi avevano sentito gli spari ma non avevano capito cosa fosse successo. “I ragazzi erano vicini ai soldati, ma si sono nascosti ai lati del sentiero perché hanno visto un cecchino. Hanno sbirciato, lanciato pietre e sono tornati indietro “.

Othman non esclude la possibilità che il cecchino abbia cercato di colpire un altro giovane che era più vicino ai soldati rispetto a Abu Aliya e i suoi amici, ma questi all’ultimo momento si sarebbe mosso. Gli altri due testimoni affermano che nessuno si sarebbe trovato tra loro e il cecchino. “Avendo visto che c’era un cecchino i ragazzi che erano vicini ai soldati avevano paura di stare sul sentiero”, ha detto Ahmad. Tutti e tre sottolineano che Abu Aliya non ha partecipato affatto agli scontri.

“Era il suo compleanno”, ha aggiunto Ahmed mentre si trovava dove il suo amico è stato colpito. “Non voleva stare lì a lungo, ha detto che voleva tornare dalla sua famiglia”. Ali è il secondo dei figli che la famiglia ha perso: Wissam, il fratello di Ali e Bassem, è morto di cancro 10 anni fa all’età di nove anni, anche lui il giorno del suo compleanno.

“Sparano per colpire qualcuno e per creare nei giovani la paura di uscire per manifestare”, ha concluso Bassem. “Ma non funziona.”

Oren Ziv è fotoreporter, membro fondatore del collettivo fotografico Activestills [collettivo di fotografi che usano le immagini fotografiche come strumento di lotta per i diritti sociali e contro tutte le forme di oppressione, ndtr.] e cronista di Local Call [organo di informazione online in lingua ebraica in co-edizione con Just Vision e +972 Magazine, ndtr.]. Dal 2003, ha documentato una serie di tematiche sociali e politiche in Israele e nei territori palestinesi occupati con un’enfasi sulle comunità di attivisti e le loro lotte. Il suo lavoro di reporter si è concentrato sulle proteste popolari contro il muro e le colonie, a favore degli alloggi a prezzi accessibili e altre questioni socio-economiche, sulle lotte contro il razzismo e la discriminazione e sulla battaglia per la libertà degli animali.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Rapporto OCHA del periodo 24 novembre – 7 dicembre 2020

In Cisgiordania, in quattro separati episodi, le forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese 15enne e ferendone gravemente altri tre di 16 anni.

Il quindicenne è stato ucciso il 4 dicembre, nei pressi del villaggio di Al Mughayyir (Ramallah), in scontri scoppiati durante una protesta contro la realizzazione di un avamposto colonico israeliano. Le autorità israeliane hanno annunciato l’apertura di un’indagine. Due dei ragazzi feriti sono stati colpiti al petto, con armi da fuoco, durante lanci di pietre avvenuti il 28 e 29 novembre, vicino ad Al Bireh e Silwad (Ramallah), e sono stati ricoverati in unità di terapia intensiva. Il quarto ragazzo è stato colpito alla testa da un proiettile gommato, il 27 novembre, durante la manifestazione settimanale contro l’espansione degli insediamenti a Kafr Qaddum (Qalqiliya), ed è stato ricoverato in ospedale con il cranio fratturato. Il Coordinatore Speciale delle Nazioni Unite, Nickolay Mladenov, nonché l’Ufficio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite hanno invitato Israele a condurre indagini rapide, trasparenti e indipendenti e a fare in modo che i responsabili rendano conto.

Le forze israeliane, in due distinti episodi verificatisi a posti di blocco che controllano gli ingressi in Gerusalemme Est da altre parti della Cisgiordania, hanno sparato e ucciso un palestinese e ne hanno ferito gravemente un altro [seguono dettagli]. Il 25 novembre, al checkpoint di Az Za’ayyem, un autista palestinese, i cui documenti erano in fase di controllo, secondo fonti ufficiali israeliane, ha improvvisamente accelerato la sua auto, ferendo leggermente un poliziotto israeliano; successivamente l’uomo si è fermato ai bordi della strada, ma le forze israeliane che avevano rincorso il veicolo hanno aperto il fuoco, uccidendolo. Un’indagine di B’Tselem, organizzazione israeliana per i Diritti Umani, ha accertato che, nel momento in cui è stato ucciso, l’uomo non costituiva una minaccia. Il 7 dicembre, le forze israeliane hanno sparato e ferito un palestinese disarmato che stava camminando verso il checkpoint di Qalandiya e, secondo quanto riferito, si era rifiutato di fermarsi all’intimazione di alt.

In Cisgiordania, durante molteplici scontri, sono complessivamente rimasti feriti 206 palestinesi, inclusi dieci minori, e sei soldati israeliani [seguono dettagli]. 148 palestinesi sono stati colpiti nel corso di proteste contro attività di insediamento colonico: a Salfit, a Ein as Samiya e Al Mughayyir (entrambi in Ramallah), a Beit Dajan (Nablus) ed a Kafr Qaddum (Qalqiliya). Altri 25 palestinesi sono rimasti feriti al checkpoint di Tayasir, nella valle del Giordano settentrionale, durante una protesta contro la demolizione di case. Scontri con forze israeliane, scoppiati nella città di Nablus in seguito all’ingresso di un gruppo di israeliani al sito religioso della Tomba di Giuseppe, hanno provocato il ferimento di 13 palestinesi. Cinque palestinesi e sei soldati israeliani sono rimasti feriti durante un’operazione di ricerca-arresto nel Campo Profughi di Qalandiya (Gerusalemme). I restanti 15 feriti sono stati registrati nel Campo Profughi di Ad Duheisheh (Betlemme), durante operazioni di ricerca-arresto e nel quartiere Al ‘Isawiya di Gerusalemme Est (compreso un giovane colpito al volto), durante episodi di lancio di pietre e tentativi, da parte di palestinesi, di entrare in Israele attraverso brecce nella Barriera. Dei palestinesi feriti, 9 sono stati colpiti da proiettili di arma da fuoco e 78 da proiettili gommati; 110 sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno e la maggior parte dei rimanenti è stata aggredita fisicamente.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 182 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 149 palestinesi. Il maggior numero di operazioni è stato registrato nei governatorati di Gerusalemme (52) e Hebron (46). Delle 52 operazioni condotte a Gerusalemme, 40 sono state effettuate in Gerusalemme Est, e 9 di esse nel quartiere di Al ‘Isawiya. Sempre a Gerusalemme Est, le autorità israeliane hanno emesso ordini di divieto di ingresso nei confronti di tre palestinesi; costoro precedentemente erano stati arrestati nel complesso di Haram al Sharif / Monte del Tempio per “disturbi all’ordine pubblico”. Sono oltre 150 le persone bandite da tali ordini dall’inizio del 2020.

In almeno 18 occasioni le forze israeliane hanno aperto il fuoco [di avvertimento] verso palestinesi presenti in aree di Gaza adiacenti alla recinzione israeliana e, in mare, al largo della sua costa, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso. Non sono stati registrati feriti. In altre due occasioni, bulldozer israeliani, entrati in Gaza, hanno spianato il terreno in prossimità della recinzione perimetrale. Le forze israeliane hanno arrestato, e successivamente rilasciato, due palestinesi che, a quanto riferito, erano entrati in Israele, a est di Deir al Balah, attraverso la recinzione.

A causa della mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, 52 strutture di proprietà palestinese (49 in Area C e 3 in Gerusalemme Est) sono state demolite o sequestrate, sfollando 67 persone e creando ripercussioni su circa 860 [seguono dettagli]. Il 25 novembre, in sette Comunità dell’area di Massafer Yatta, a sud di Hebron, le autorità israeliane hanno demolito dieci strutture, compresi circa quattro chilometri di condutture idriche fornite come assistenza umanitaria. La maggior parte di quest’area è designata [da Israele] come “area chiusa” e destinata all’addestramento militare, mettendo i suoi 1.400 residenti a rischio di trasferimento forzato. Tredici delle strutture sono state demolite sulla base di “Ordini Militari 1797”, che consentono di effettuare la demolizione entro 96 ore dall’emissione di un “ordine di rimozione”. A Gerusalemme Est, due delle tre demolizioni di strutture residenziali sono state eseguite dagli stessi proprietari per evitare multe e oneri aggiuntivi.

Nei pressi di Qalqiliya, due palestinesi sono stati feriti e almeno 300 alberi di proprietà palestinese ed altre proprietà sono state danneggiate da persone ritenute coloni israeliani [seguono dettagli]. Gli alberi sono stati vandalizzati nei villaggi di Turmus’ayya (Ramallah), As Sawiya (Nablus) e Kafr ad Dik, Bruqin, Yasuf e Haris in Salfit ed includono 150 viti e circa 140 tra ulivi ed alberelli. A titolo di riepilogo consuntivo [parte dei dati sono già stati riportati in Rapporti precedenti]: nei mesi di ottobre e novembre sono stati vandalizzati almeno 1.750 ulivi ed il prodotto di oltre 1.800 è stato rubato da sospetti coloni. In due dei rimanenti episodi sono stati danneggiati un vivaio nel villaggio di As Sawiya ed un negozio nella città di Hebron, nella zona controllata da Israele. Un altro episodio, in Tubas, ha riguardato l’aggressione contro pastori palestinesi ed il ferimento di una mucca. A Gerusalemme Est, la polizia israeliana ha arrestato un israeliano che stava tentando di dare alle fiamme una chiesa.

Le forze israeliane hanno sradicato circa 200 ulivi e viti piantate da agricoltori palestinesi del villaggio di Al Khader (Betlemme) su terreno dichiarato [da Israele] “terra di Stato” nel 2014. Il terreno è situato vicino all’insediamento colonico di Neve Daniel.

Secondo fonti israeliane, due israeliani sono rimasti feriti e 19 veicoli israeliani che viaggiavano su strade della Cisgiordania sono stati danneggiati dal lancio di pietre, bottiglie di vernice e bottiglie incendiarie, ad opera di aggressori ritenuti palestinesi.

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