Adolescente israeliana uccisa da un’esplosione nei pressi di una colonia in Cisgiordania

MEE e agenzie

23 agosto 2019 – Middle East Eye

L’esercito dice che una ragazza diciassettenne e stata uccisa, suo padre e suo fratello feriti gravemente in un attacco con una mina nei pressi di una nota meta escursionistica.

Secondo l’esercito israeliano, venerdì un’adolescente israeliana è stata uccisa mentre suo padre e suo fratello sono rimasti gravemente feriti a causa di un’esplosione nella Cisgiordania occupata.

Un portavoce dell’esercito ha affermato che la famiglia è stata colpita da un ordigno artigianale (IED) mentre visitava una sorgente d’acqua nei pressi di Dolev, una colonia israeliana illegale a nord-ovest della città palestinese di Ramallah.

In precedenza si era detto che dopo l’esplosione la ragazza diciassettenne era in condizioni critiche e che veniva curata sul posto da un’equipe medica.

In un comunicato l’esercito ha affermato: “Tre civili che si trovavano presso una vicina sorgente sono stati feriti dall’esplosione di una mina.”

Uno dei civili viene curato sul posto mentre gli altri due sono stati portati da un elicottero (dell’esercito) in un ospedale per ulteriori cure mediche.”

L’esercito ha anche detto che forze di sicurezza stavano cercando nella zona palestinesi ritenuti responsabili.

L’equipe di soccorso ha detto che il padre e il fratello dell’adolescente, di 46 e 21 anni, sono stati gravemente feriti. Dolev si trova in una regione collinosa circondata da uliveti e orti, ed è un luogo molto frequentato da turisti ed escursionisti.

Lo scorso anno nella zona ci sono stati scontri tra palestinesi ed israeliani a causa dell’espansione delle colonie, con gli abitanti palestinesi che denunciano i tentativi dei coloni di occupare la loro terra, comprese le sorgenti. In seguito all’attacco le forze di sicurezza israeliane hanno rapidamente isolato la zona attorno alla sorgente di Ein Bobin, vicino al villaggio palestinese di Deir Ibzi.

Ci sono timori di un aumento della violenza in vista delle elezioni israeliane, previste per il 17 settembre.

La tensione è alta in Cisgiordania, dove recentemente c’è stata una serie di attacchi nei pressi delle colonie israeliane.

Lo scorso venerdì due israeliani sono stati feriti presso la colonia di Elazar, in quello che la polizia afferma essere stato un attacco con un’auto. Il conducente, un uomo palestinese, è stato ucciso sul posto dalle forze di sicurezza israeliane. All’inizio di questo mese un soldato israeliano è stato accoltellato a morte presso la colonia di Migdal Oz, cosa che ha portato all’arresto di due palestinesi.

Più di 600.000 ebrei vivono in circa 140 colonie costruite in Cisgiordania da quando Israele ha occupato il territorio nella guerra mediorientale del 1967. In base alle leggi internazionali le colonie israeliane in Cisgiordania, dove vivono circa 2.5 milioni di palestinesi, sono illegali.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Ragazzo palestinese ucciso durante un attacco all’arma bianca a Gerusalemme

Maureen Clare Murphy

15 agosto 2019 – Electronic Intifada

Giovedì un ragazzo palestinese diciassettenne è stato ucciso da forze israeliane nella Città Vecchia di Gerusalemme.

Le forze di occupazione hanno aperto il fuoco dopo che due ragazzi palestinesi hanno tentato di accoltellare membri della polizia paramilitare di frontiera, ferendone uno.

Il ragazzo ucciso è stato identificato dalla polizia israeliana come Nassim Abu Rumi. L’altro giovane, Hamoudeh al-Sheikh, che secondo la polizia era anche lui minorenne, è rimasto gravemente ferito.

Un video mostra i due che si avvicinano a un gruppo di poliziotti di frontiera e poi li aggrediscono. I poliziotti aprono immediatamente il fuoco contro i ragazzi e non sembrano cercare di sopraffarli con mezzi non letali.

Un altro video della scena mostra medici che curano il poliziotto di frontiera ferito, mentre uno dei ragazzi è steso a terra per la strada, senza che nessuno se ne occupi.

Un terzo video mostra l’altro ragazzo sulla strada in mezzo a numerosi poliziotti.

Nei video non si nota alcun tentativo di fornire le prime cure a nessuno dei due ragazzi.

É rimasto ferito anche Imran al-Rajabi, una guardia del complesso della moschea di Al-Aqsa, non coinvolto nell’accoltellamento. Un video lo mostra mentre viene trasportato su una barella.

L’incidente mortale è avvenuto presso la Porta dei Leoni, all’ingresso del complesso della moschea di Al-Aqsa. In seguito la polizia ha fatto irruzione nella spianata ed ha impedito l’ingresso ai fedeli con meno di 50 anni; di conseguenza la gente ha pregato in strada.

Un video mostra la polizia che impedisce ai fedeli di accedere al complesso della moschea.

All’inizio di questa settimana la polizia ha ferito decine di fedeli che tentavano di pregare ad al-Aqsa durante la festa di Eid al-Adha.

Questa settimana uccisi sei palestinesi

Finora quest’anno sono stati uccisi dal fuoco israeliano 81 palestinesi, sei da sabato scorso.

Il 10 agosto le forze israeliane di occupazione hanno ucciso quattro palestinesi armati mentre si suppone cercassero di superare il confine tra Gaza e Israele.

Uno degli uomini aveva attraversato il confine “ed ha sparato contro un reparto ed ha lanciato una granata,” ha detto l’esercito israeliano.

Il giorno seguente le forze israeliane hanno ucciso un altro palestinese che ha sparato contro i soldati mentre cercava di attraversare il confine di Gaza.

Durante il 2019 sono stati uccisi da palestinesi sette israeliani, il più recente un adolescente che è stato accoltellato in Cisgiordania la scorsa settimana.

Il 10 agosto le forze israeliane hanno arrestato due cugini palestinesi sospettati di aver ucciso il soldato e studente di una yeshiva [scuola religiosa ebraica, ndtr.] diciannovenne.

I soldati hanno individuato le case dei due presunti assalitori in previsione della loro demolizione. La demolizione punitiva di case nei territori occupati – in base alle leggi internazionali un crimine di guerra di punizione collettiva – è una prassi comune dell’esercito israeliano.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Si sono tenute nuove proteste ma più moderate per l’uccisione di un adolescente, mentre le autorità invitano alla calma

Redazione di Times of Israel

3 luglio 2019 – Times of Israel

A Tel Aviv la polizia blocca l’incrocio di Azrieli, compie numerosi arresti, ma la maggior parte delle manifestazioni è stata più pacata il giorno dopo la violenza generalizzata per la rabbia provocata dall’uccisione di Solomon Tekah

Mercoledì pomeriggio membri della comunità etiope-israeliana ed altri si sono riuniti nei principali incroci in tutto il Paese mentre Israele si preparava a nuove manifestazioni il giorno dopo violente dimostrazioni contro l’uccisione di un diciannovenne da parte di un poliziotto fuori servizio.

A metà pomeriggio era chiaro che le proteste erano molto più tranquille delle violente dimostrazioni di martedì.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu e altri importanti dirigenti hanno fatto appello alla calma ed hanno promesso di stroncare la violenza, nel contesto della rabbia scatenata dall’uccisione di Solomon Tekah domenica ad Haifa.

All’incrocio di Azrieli a Tel Aviv, un importante nodo viario, la polizia ha impedito sia alle auto che ai manifestanti di arrivare all’incrocio, nel tentativo di evitare la ripetizione del caos generalizzato e della violenza del giorno prima in quel luogo. Come è scesa la notte, l’incrocio è stato riaperto e il traffico scorreva normalmente.

Cinque persone sarebbero state arrestate a Tel Aviv, dove molti dimostranti portavano magliette o simboli che li identificavano come attivisti del Meretz [partito della sinistra sionista, ndtr.] o della Lista Unitaria dei partiti arabi. Si è parlato di sporadici arresti in altre città anche mercoledì, ma le manifestazioni sono state nel complesso tranquille se paragonate ai giorni precedenti.

Da lunedì dimostranti in tutto il Paese hanno bloccato strade, bruciato copertoni e denunciato quella che hanno definito una discriminazione sistematica contro la comunità etiope-israeliana.

Le manifestazioni si sono inasprite martedì, quando alcuni dimostranti hanno incendiato veicoli e si sono scontrati con la polizia e con quanti hanno tentato di attraversare gli improvvisati blocchi stradali.

Secondo la polizia, negli scontri sono rimasti feriti più di 110 poliziotti, tra cui alcuni da pietre e bottiglie lanciate contro di loro, e 136 dimostranti sono stati arrestati per i disordini.

Mercoledì, mentre manifestanti si riunivano sulle principali autostrade e incroci in tutto il Paese, Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione in cui riconosce che “ci sono problemi che devono essere risolti,” ma ha avvertito che le autorità “non tollereranno il blocco delle strade.”

Vi chiedo: risolviamo insieme i problemi facendo rispettare la legge,” ha supplicato i manifestanti dopo un incontro del gabinetto per la sicurezza.

All’inizio della settimana la polizia ha consentito ai dimostranti di bloccare strade in alcune località, ma mercoledì ha avvertito che era pronta ad agire con maggiore decisione.

Il commissario operativo della polizia Moti Cohen ha messo in guardia i manifestanti che non sarebbe più stata tollerata alcuna violenza.

Non c’è posto per aggressioni a poliziotti, istituzioni e beni pubblici,” ha detto Cohen prima delle proteste previste.

Non verrà più dato spazio al turbamento dell’ordine pubblico, né al blocco di strade o alla violenza,” ha affermato. “Continueremo a rispondere in modo proporzionato, a fare distinzione tra quanti esercitano il proprio diritto a protestare in un Paese democratico e quanti incitano alla violenza e aggrediscono.”

Mercoledì anche il presidente Reuven Rivlin ha lanciato un appello alla calma: “Dobbiamo smetterla, ripeto, smetterla – e pensare insieme come risolvere tutto questo.

Questa non è una guerra civile. È una lotta condivisa di fratelli e sorelle per la patria comune e il comune futuro. Chiedo a tutti voi di agire in modo responsabile e con moderazione,” ha affermato in un comunicato.

Dobbiamo consentire che l’inchiesta sulla morte di Solomon segua il suo corso ed evitare la prossima morte [di qualcuno]. Il prossimo attacco. La prossima umiliazione. Siamo tutti impegnati a farlo,” ha detto Rivlin.

Tekah, l’adolescente etiope ucciso, è stato colpito a morte da un poliziotto fuori servizio domenica durante una lite nel quartiere di Kiryat Haim ad Haifa. Un testimone oculare della sparatoria avrebbe detto al Dipartimento per le Indagini della Polizia Interna del ministero della Giustizia (PIID) che, contrariamente alle affermazioni del poliziotto, non pare fosse in pericolo quando ha aperto il fuoco.

L’ufficiale che ha sparato a Tekah è stato arrestato in quanto sospettato di omicidio, ha affermato lunedì il PIID. La pretura di Haifa lo ha in seguito rilasciato agli arresti domiciliari, diffondendo ulteriore rabbia nella comunità [degli etiopi-israeliani, ndtr.]. Sarebbe sottoposto a stretta sorveglianza per timori riguardo alla sua incolumità.

Secondo il notiziario di Canale 12, il poliziotto sostiene di aver mirato verso il basso e che una pallottola è rimbalzata dal terreno, colpendo Tekah. Ha affermato di aver cercato di sedare una rissa per strada in cui si era imbattuto, ma di essere stato aggredito da tre giovani che gli hanno lanciato contro pietre, mettendo in pericolo la sua vita.

Martedì il PIID ha emanato un insolito comunicato, affermando di aver raccolto nuove prove nell’indagine, compresa una testimonianza diretta e immagini di una camera di sicurezza nei pressi della scena.

Informazioni di mezzi di comunicazione in ebraico [affermano che] gli investigatori propendono per un’accusa meno grave di omicidio colposo, indicando che le autorità starebbero accettando la testimonianza secondo cui ha sparato a terra.

Più di 135.000 ebrei di origine etiope vivono in Israele. Gli immigrati arrivarono in due ondate principali, nel 1984 e 1991, ma molti hanno lottato con fatica per integrarsi nella società israeliana. Molti nella comunità lamentano razzismo, mancanza di opportunità e sistematici maltrattamenti da parte della polizia, nonostante le ripetute promesse da parte del governo di occuparsi del problema.

Mentre alle proteste di lunedì hanno partecipato principalmente manifestanti etiopi-israeliani, martedì ha visto una mobilitazione di appartenenti alla società israeliana nel suo complesso, che si sono uniti agli slogan contro la brutalità della polizia nei confronti delle minoranze.

Gli organizzatori della protesta hanno convocato per mercoledì pomeriggio cortei nelle strade in tutto il Paese.

Secondo post sulle reti sociali, gli organizzatori hanno affermato che dimostranti si sono riuniti agli svincoli di Kiryat Ata, nei pressi di Haifa, e di Yokne’am; in piazza Indipendenza ad Afula; agli svincoli di Poleg e a quello di Azrieli a Tel Aviv; davanti alla stazione di polizia di Rosh Ha’ayin; sulla Strada 4 nei pressi di Rishon Lezion e di Yavne; all’entrata nordoccidentale di Gerusalemme; presso le entrate e uscite cittadine lungo la Strada 431; agli svincoli di El Al nei pressi di Lod, di Bilu, di Kastina, della Ashkelon Arena; alla stazione centrale degli autobus di Beersheba.

Mercoledì pomeriggio è stato riportato un intenso traffico in alcune aree di Tel Aviv e di Gerusalemme. Tuttavia molti pendolari che martedì sono rimasti bloccati per ore sulla strada hanno scelto di evitare le autostrade, determinando un traffico ridotto su parti della superstrada di Ayalon che corre attraverso Tel Aviv e intasando il treno ad alta velocità tra le due città.

Il ministero dei Trasporti ha aperto una linea telefonica per israeliani bloccati in code previste a causa delle proteste di massa. La linea telefonica nazionale, che può essere raggiunta al numero *8787, fornirà agli automobilisti aggiornamenti sul traffico e consentirà alle persone di informare su strade bloccate e altri incidenti nella zona in cui si trovano.

Nel contempo il commissario Cohen e il ministro della Sicurezza Pubblica Gilad Erdan si sono incontrati con i dirigenti della comunità etiope-israeliana in un ultimo disperato tentativo di evitare violenti scontri durante le proteste. “Condivido la sofferenza e comprendo la protesta,” ha detto mercoledì Erdan, promettendo di organizzare un’unità interna della polizia per vigilare su denunce di razzismo e avviare azioni disciplinari contro episodi simili.

La polizia israeliana ha coraggiosamente e onestamente riconosciuto che ci sono state troppe azioni di polizia (nelle comunità di etiopi-israeliani), e ce ne stiamo occupando, anche collaborando con voi,” ha detto ai dirigenti secondo una dichiarazione del suo ufficio. “Ovviamente, c’è ancora molto altro che deve essere affrontato.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Sparare ai manifestanti mentre si riposano: le nuove regole d’ingaggio di Israele

Maureen Clare Murphy

28 giugno 2019 – Electronic Intifada

Sparare ai “principali istigatori” durante le proteste disarmate a Gaza quando si stanno riposando. Aprire il fuoco contro adolescenti che cercano di andare a pregare a Gerusalemme benché non rappresentino un pericolo.

Questo è il normale, ingiustificato e criminale uso letale di armi da fuoco contro palestinesi da parte delle forze di occupazione israeliane.

Un documento dell’esercito israeliano afferma che i cecchini hanno il permesso di sparare a palestinesi che essi ritengano essere “i principali istigatori” o “principali facinorosi” durante le proteste della “Grande Marcia del Ritorno” a Gaza.

L’esercito definisce “principali istigatori” le persone che “dirigono o guidano attività” durante le proteste, come “posizionamento tattico” e bruciare copertoni.

Principali facinorosi” sono definiti quelli il cui comportamento “determina le condizioni grazie alle quali irruzioni di massa o infiltrazioni” in Israele da Gaza possono avvenire.

Il documento dell’esercito israeliano afferma che ai cecchini è consentito “sparare a un istigatore importante” mentre “si allontana temporaneamente dalla folla e si riposa prima di continuare la sua attività.” Il documento presenta simili azioni come un esempio di “moderazione” e suggerisce che tali precauzioni riducono il rischio di “colpire qualcun altro”.

Israele giustifica l’uso di forza letale contro manifestanti definendo le mobilitazioni della “Grande Marcia del Ritorno” – manifestazioni nelle zone orientale e settentrionale di Gaza tenute periodicamente dall’inizio dello scorso anno – una “sommossa” o “violenti disordini” che pongono una minaccia all’esercito e alle sue infrastrutture o in qualche caso a quelle civili.

Afferma anche che il confine di Gaza “separa due parti di un conflitto armato”, una tesi rifiutata da una commissione d’inchiesta ONU che ha stabilito che le manifestazioni sono di carattere civile. Associazioni per i diritti umani affermano che le proteste di massa lungo i confini sono una questione civile di applicazione della legge regolata dal quadro delle leggi internazionali sui diritti umani.

Una di queste organizzazioni, “Adalah”, chiede che Israele proibisca l’uso di proiettili veri contro i manifestanti.

Secondo Adalah il concetto di “principali istigatori non è né fissato dalle leggi internazionali,” né è stato definito dalle autorità durante audizioni dello scorso anno presso l’alta corte israeliana in seguito alle richieste di gruppi per i diritti che contestavano gli ordini dell’esercito di aprire il fuoco.

Secondo Adalah allora la corte “ha accolto in toto la posizione dell’esercito israeliano”, sentenziando che l’uso di proiettili veri potrebbe essere consentito solo quando ci sia “un immediato e imminente pericolo per le forze o per i civili israeliani.”

Più di 200 palestinesi, tra cui 44 minori, sono stati uccisi e circa 8.500 feriti da proiettili veri durante le proteste della Grande Marcia del Ritorno.

Gli esperti indipendenti sui diritti umani nominati dall’ONU per indagare sull’uso della forza da parte di Israele contro la Grande Marcia del Ritorno hanno preso in considerazione tutte le vittime delle proteste avvenute dall’inizio delle manifestazioni, il 30 marzo 2018, fino alla fine di quell’anno.

La commissione di inchiesta ha notato solo un incidente, il 14 maggio 2018, “che può aver rappresentato una ‘partecipazione diretta alle ostilità’” e un altro il 12 ottobre di quell’anno “che potrebbe aver costituito una ‘imminente minaccia di vita o di gravi conseguenze’ per le forze di sicurezza israeliane.”

In tutti gli altri casi la commissione ha scoperto che “l’uso di proiettili letali da parte delle forze di sicurezza israeliane contro manifestanti è stato illegale.”

Giustificazione retroattiva

Suhad Bishara, avvocatessa di Adalah, ha affermato che l’idea di “principale istigatore” è stata “creata retroattivamente per giustificare il fatto di aver sparato contro persone che non rappresentavano un pericolo reale e immediato per soldati o civili israeliani.”

Ha aggiunto che il tentativo dell’esercito di giustificare l’uso di proiettili veri contro dimostranti disarmati “deriva da un totale disprezzo per la vita umana.”

Il disprezzo israeliano riguardo alla vita dei palestinesi non si limita a Gaza ed è stato esemplificato dalla recente uccisione di un adolescente mentre l’ultimo venerdì di Ramadan tentava di raggiungere Gerusalemme per pregare nella moschea di al-Aqsa con la sua famiglia.

Durante il Ramadan Israele riduce le restrizioni che impediscono ai palestinesi della Cisgiordania il libero accesso ai luoghi sacri a Gerusalemme. Anche con le limitazioni parzialmente revocate, i palestinesi devono attraversare posti di controllo militari e quest’anno ai maschi tra i 16 e i 30 anni è stato vietato di entrare a Gerusalemme durante il Ramadan.

Il 31 maggio questo divieto ha portato Luai Ghaith a accompagnare suo nipote e suo figlio di 15 anni Abdallah nei pressi del muro di Israele in modo che potessero arrampicarvisi e incontrarsi dall’altra parte con i membri della loro famiglia che avevano il permesso di attraversare il posto di controllo.

Dopo che Abdallah e suo cugino si sono arrampicati sul filo spinato e hanno raggiunto un percorso tra il filo spinato e il muro, il cugino ha visto un ufficiale della polizia di frontiera.

Secondo B’Tselem, un’associazione israeliana per i diritti umani,“è tornato indietro sul filo spinato e ha gridato ad Abdallah di scappare. A quel punto poliziotti di frontiera hanno sparato due pallottole calibro 0,22 contro Abdallah, una delle quali lo ha colpito al petto.”

Abdallah è riuscito a saltare indietro sul filo spinato e correre via per alcuni metri prima di crollare al suolo.”

Luai Ghaith ha detto a B’Tselem che suo figlio “era così eccitato all’idea di andare a pregare ad al-Aqsa l’ultimo venerdì di Ramadan. L’ufficiale della polizia israeliana che gli ha sparato non ne sapeva niente di tutto ciò.”

Nessuna giustificazione”

Circa un’ora prima che Abdallah venisse ferito a morte, nello stesso luogo poliziotti di frontiera hanno sparato e ferito un ventenne palestinese che cercava di raggiungere Gerusalemme per pregare.

Non ci possono essere scusanti per questo uso delle armi da fuoco, con queste conseguenze prevedibilmente letali,” ha affermato B’Tselem. “Ciò dimostra quanto poco contino le vite dei palestinesi agli occhi sia dei poliziotti sul campo che di tutta la catena di comando che consente che tali azioni avvengano.”

Secondo B’Tselem né Abdallah né l’uomo colpito poco prima rappresentavano alcun pericolo per i poliziotti di frontiera che hanno sparato contro di loro: “Non si tratta di un caso di pericolo mortale, o di un qualunque pericolo in assoluto.”

Nessuno sarà chiamato a rendere conto della morte di Abdallah, né la famiglia riceverà un risarcimento in quanto Israele ha “approvato una legge che ha strategicamente escluso per i palestinesi ogni opzione praticabile per denunciare lo Stato per danni.”

Finora quest’anno più di 70 palestinesi sono morti a causa del fuoco israeliano.

Secondo B’Tselem, “il fatto che il prevedibile e mortale risultato di questa vergognosa condotta sia accolto dall’indifferenza dell’opinione pubblica e che questo comportamento riceva il totale sostegno di tutte le istituzioni ufficiali dimostra solo quanto poco valore sia attribuito alle vite dei palestinesi.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Netanyahu promette “attacchi massicci” a Gaza mentre sale il numero di morti

Al Jazeera

5 maggio 2019

Nove palestinesi e tre israeliani uccisi, mentre le forze israeliane si ammassano sul confine di Gaza, alimentando il timore di un’invasione di terra.[ i dati aggiornati sono 27 palestinesi uccisi e 4 israeliani ndt]

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato “attacchi massicci” contro la Striscia di Gaza dopo un’escalation di due giorni che ha portato all’uccisione di nove palestinesi e tre israeliani.

Domenica aerei da guerra e cannoniere israeliani hanno continuato a colpire la Striscia di Gaza mentre combattenti nell’enclave assediata hanno sparato una raffica di razzi sul sud di Israele.

Un comandante di Hamas di 34 anni è stato ucciso in quello che l’esercito israeliano ha descritto come un attacco mirato. Un comunicato dell’esercito ha accusato Hamad al-Khodori di “aver trasferito grandi somme di denaro” dall’Iran alle fazioni armate di Gaza.

È stato il quinto palestinese che si dice sia stato ucciso domenica. Altre vittime palestinesi hanno incluso una donna incinta e la sua nipotina di un anno, uccise sabato a Gaza.

Nella città israeliana di Ashkelon un cinquantottenne israeliano è stato ucciso dopo essere stato colpito dalle schegge per un attacco con i razzi. Altri due israeliani, gravemente feriti domenica pomeriggio in diversi attacchi con i razzi contro una fabbrica, in seguito sono morti.

Questa mattina ho dato istruzioni alle IDF (l’esercito israeliano) di continuare con massicci attacchi contro i terroristi nella Striscia di Gaza,” ha detto domenica in un comunicato Netanyahu, che ha anche l’incarico di ministro della Difesa, dopo aver consultato il gabinetto di sicurezza.

Ha detto di aver anche ordinato che “carri armati, artiglieria e forze di fanteria” rinforzino le truppe già schierate nei pressi di Gaza, un’iniziativa che suscita timori di un’invasione di terra.

Hamas è responsabile non solo per i suoi attacchi contro Israele, ma anche per quelli della Jihad Islamica, e sta pagando un prezzo molto alto per questo,” ha aggiunto Netanyahu.

Sabato a Gaza fazioni armate, altrimenti note come “Joint Operations Room” [Sala Operativa Unitaria], che include il braccio armato di Hamas e quello del Movimento della Jihad Islamica in Palestina, hanno giurato di “estendere la propria risposta” se l’esercito israeliano continua a prendere di mira la Striscia.

La nostra risposta sarà più vasta e più dolorosa nel caso in cui (Israele) estenda l’aggressione, e continueremo ad essere lo scudo protettivo del nostro popolo e della nostra terra,” ha affermato in un comunicato la Joint Operations Room.

Harry Fawcett, che informa dal lato israeliano del confine con Gaza per Al Jazeera, ha affermato che l’escalation è “tutt’altro che finita”.

È potenzialmente una grave escalation militare pericolosa e lunga,” dice. “I mezzi di informazione israeliani hanno citato importanti fonti della difesa, che hanno detto di aspettarsi che questo scontro durerà alcuni giorni.”

I media israeliani hanno informato che negli ultimi due giorni i combattenti di Gaza hanno lanciato più di 400 razzi verso città e cittadine nella parte meridionale di Israele e che il sistema antimissile israeliano Iron Dome ne ha intercettati più di 250.

L’ufficio stampa del governo a Gaza ha detto che aerei da guerra israeliani hanno condotto circa 150 raid, oltre ai bombardamenti dell’artiglieria che hanno preso di mira 200 luoghi di interesse civile nella Striscia di Gaza, compresi edifici residenziali, moschee, negozi e mezzi d’informazione.

Secondo il ministero della Salute di Gaza circa 70 palestinesi sono rimasti feriti negli attacchi.

In seguito ai raid aerei l’abitante di Gaza Um Alaa Abu Absa ha passato la domenica a raccogliere pezzi di vetro e detriti nella sua proprietà.

Ci sono stati molti bombardamenti, i vicini sono stati molto colpiti, la scena per strada era indescrivibile, la gente aveva paura, era terrorizzata e correva, e ognuno si occupava dei propri figli, nessuno era nelle condizioni di vedere gli altri,” ha detto Abu Absa.

Uno degli edifici distrutti ospitava l’ufficio dell’agenzia ufficiale di notizie dello Stato turco Anadolu a Gaza.

Chiediamo alla comunità internazionale di agire prontamente per allentare le tensioni che si sono accentuate a causa delle azioni sproporzionate di Israele nella regione,” ha affermato un comunicato del ministero degli Esteri turco.

Domenica l’esercito israeliano ha negato che Falastine Abu Arar, madre incinta di 37 anni, e la sua nipotina di 14 mesi, Siba, siano state uccise dalle forze israeliane. Ha invece incolpato un errore nel lancio di un razzo palestinese.

Sabato notte anche due palestinesi, Imad Nseir, di 22 anni, e Khaled Abu Qaleeq, di 25, sono stati uccisi da attacchi aerei israeliani.

Il gruppo della Jihad Islamica palestinese ha detto che i due uomini uccisi durante la notte di domenica, Mahmoud Issa, di 26 anni, e Fawzi Bawadi, di 23, erano membri del suo braccio armato.

Il ministero della Salute ha affermato che nel primo pomeriggio altri due palestinesi sono stati uccisi dopo che un raid aereo israeliano ha preso di mira un gruppo di persone nel quartiere orientale di Gaza City di Shujayea,. Gli uomini sono stati identificati come Bilal Mohammed al-Banna e Abdullah Abu Atta, pare entrambi sui vent’anni.

Poco dopo, in quello che i palestinesi hanno definito il primo assassinio mirato dal 2014, a Gaza City un attacco aereo israeliano ha colpito l’auto di al-Khoudary, comandante di Hamas. Altri tre palestinesi sono rimasti feriti nell’attacco.

Pericolosa escalation”

Il Coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, Nickolay Mladenov, ha chiesto a tutte le parti di “ridurre immediatamente la tensione e di tornare alle intese degli ultimi mesi.”

Sono profondamente preoccupato di un’ennesima pericolosa escalation a Gaza e della tragica perdita di vite umane,” ha detto.

I miei pensieri e le mie preghiere vanno alle famiglie e agli amici di tutti quelli che sono stati uccisi, e auguro una rapida guarigione ai feriti.”

L’ultima crisi è arrivata dopo che venerdì altri quattro palestinesi sono rimasti uccisi in due diversi incidenti.

Due di loro sono stati colpiti a morte durante le proteste settimanali della Grande Marcia del Ritorno nei pressi del confine orientale di Gaza, mentre un raid aereo che ha preso di mira un avamposto di Hamas ha ucciso due membri del braccio armato del movimento.

L’esercito israeliano ha affermato che il raid aereo era una risposta a una sparatoria che ha ferito due suoi soldati nei pressi del confine.

Il nostro corrispondente ha detto che un attacco israeliano con un drone nei pressi di un veicolo, che ha ferito tre palestinesi, ha preceduto il lancio di una raffica di razzi.

Da quando Hamas ha preso il controllo del territorio nel 2007 Israele ed Egitto hanno mantenuto un blocco asfissiante contro Gaza.

Dopo pesanti scontri, alla fine di marzo Israele ha accettato di alleggerire il blocco in cambio di un’interruzione del lancio di razzi. Ciò ha incluso l’estensione della zona di pesca lungo le coste di Gaza, un aumento delle importazioni a Gaza e il permesso al Qatar, Stato del Golfo, di consegnare aiuti all’immiserito territorio.

Tuttavia Israele non ha rispettato gli accordi su questi temi e alla fine di aprile ha ridotto l’estensione della zona di pesca.

Varie intese rese note riguardo all’alleggerimento delle restrizioni economiche, alla creazione di lavoro e all’intenzione di aumentare la fornitura di elettricità a Gaza – non c’è stato niente del genere,” ha detto Harry Fawcett.

Circa due milioni di palestinesi vivono a Gaza, la cui economia ha sofferto per anni di blocco così come per il recente taglio agli aiuti. Secondo la Banca Mondiale la disoccupazione arriva al 52% e la povertà è dilagante.

Dal dicembre 2008 Israele ha scatenato tre offensive contro Gaza.

L’ultima guerra, nel 2014, ha gravemente danneggiato le già carenti infrastrutture di Gaza, inducendo le Nazioni Unite ad avvertire che la Striscia sarà “inabitabile” entro il 2020.

Fonte: Al Jazeera e agenzie di notizie

(traduzione di Amedeo Rossi)




L’esercito israeliano ha ucciso un paramedico palestinese, poi ha distribuito un video ingannevole

Middle East Monitor1 maggio 2019

Le forze di occupazione israeliane hanno colpito e ucciso un volontario paramedico durante un’incursione in un campo di rifugiati, dopo di che l’esercito ha diffuso un ingannevole video di propagandistico.

Secondo un’inchiesta del gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, Sajed Mizher, di 17 anni, è stato colpito all’addome mentre accorreva in aiuto di un abitante ferito. Il 27 marzo, alle 2,30 circa, soldati hanno fatto incursione nel campo profughi di Dheisheh, che si trova a sud di Betlemme, nella parte meridionale della Cisgiordania occupata. I soldati hanno arrestato un abitante, poi si sono ritirati.

Poche ore dopo decine di soldati israeliani hanno di nuovo fatto un raid nel campo e si sono scontrati con abitanti del posto che hanno lanciato pietre contro le forze di occupazione.

Durante questa incursione”, nota B’Tselem, “tre abitanti sono rimasti feriti da proiettili veri – uno alla spalla, un altro a una mano e il terzo a una gamba. Durante entrambe le incursioni era presente un’equipe di paramedici e volontari del campo affiliati alla Palestinian Medical Relief Society [Società Palestinese di Soccorso Medico] (PMRS).”

Mentre i soldati israeliani si stavano ritirando “uno di loro ha sparato a M.J., 20 anni, un abitante del campo, ferendolo a una gamba.” Sajed Mizher, “che portava un giubbotto dell’equipe medica e si trovava poche decine di metri dietro al ferito,” è corso in suo aiuto.

A quel punto un soldato israeliano ha sparato a Sajed all’addome. Portato d’urgenza all’ospedale, un’ora dopo il ricovero Sajed è spirato in conseguenza delle ferite.

Più tardi lo stesso giorno il portavoce dell’esercito israeliano ha reso pubblico un filmato in arabo “che mostrava un paramedico che si toglieva il giubbotto d’identificazione, portava una maglietta bianca e lanciava pietre da un tetto.” Come ha notato B’Tselem, “il video intendeva presumibilmente giustificare il fatto di aver colpito Mizher.”

Tuttavia “l’inchiesta di B’Tselem ha chiaramente scoperto che la persona ripresa nel filmato non era Sajed Mizher, che era stato colpito in un luogo diverso, sulla strada principale del campo di rifugiati.”

Quindi,” aggiunge l’ong, “persino per scopi propagandistici il video che ha pubblicato l’esercito è per lo meno di dubbio valore. Sicuramente non costituisce una spiegazione o una giustificazione per il fatto di aver colpito a morte un volontario paramedico di 17 anni.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Cecchino israeliano uccide donna di Gaza, prima vittima del 2019

Maureen Clare Murphy

11 gennaio 2019 Electronic Intifada

Una donna colpita venerdì durante le proteste nella Striscia di Gaza occupata è la prima vittima palestinese per mano delle forze di occupazione israeliane nel 2019. Lo stesso giorno un uomo palestinese è stato colpito e gravemente ferito dalle forze israeliane in Cisgiordania.

Amal al-Taramsi, 44 anni, è morta a est di Gaza City dopo che le hanno sparato con proiettili veri alla testa durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno. Secondo il gruppo per i diritti umani con sede a Gaza “Al Mezan”, quando è stata colpita si trovava a 200 metri dalla barriera di confine.

Al-Taramsi è la terza donna ad essere uccisa durante la serie di proteste iniziate il 30 marzo dello scorso anno. Le altre due vittime sono state la dottoressa Razan al-Najjar e la quattordicenne Wesal al-Sheikh Khalil.

Più di 180 palestinesi sono stati uccisi durante le dimostrazioni della Grande Marcia del Ritorno che si sono tenute lungo i confini orientali e settentrionali di Gaza.

Secondo Al Mezan, le forze israeliane hanno anche lanciato di proposito candelotti lacrimogeni contro i corpi di palestinesi durante le proteste di venerdì, ferendo 68 persone.

Paramedici e giornalisti presi di mira

Il paramedico volontario Mustafa al-Sinwar, 22 anni, è rimasto gravemente ferito quando è stato colpito alla gola da un lacrimogeno mentre svolgeva il suo lavoro durante le manifestazioni a est di Khan Younis, a sud di Gaza.

Husni Salah, 25 anni, fotogiornalista che lavora per l’agenzia di notizie AFP [Agenzia France Presse, ndtr.], è stato colpito al volto con un candelotto lacrimogeno mentre stava informando sulle proteste lungo il confine centro-orientale di Gaza.

Anche un altro giornalista, Hussein Karsou, 44 anni, è stato colpito al volto da un lacrimogeno a est di Gaza City.

Circa 150 palestinesi sono rimasti feriti durante le proteste di venerdì. Un filmato mostra una persona che sarebbe stata gravemente ferita dopo essere stata colpita alla testa.

Il ministero della Salute di Gaza ha affermato che, da quando sono iniziate, circa 14.000 persone sono state ricoverate in ospedale per le ferite riportate durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno.

I dimostranti chiedono la fine dell’assedio israeliano contro il territorio e che i rifugiati palestinesi possano esercitare il loro diritto al ritorno alle terre da cui le loro famiglie sono state espulse nel periodo della fondazione di Israele nel 1948.

Due terzi dei più di due milioni di abitanti di Gaza sono rifugiati, molti dei quali originari delle terre che si trovano appena al di là della barriera di confine di Israele.

Nel contempo nella Cisgiordania occupata un uomo palestinese è stato colpito da un civile israeliano e da soldati.

L’esercito israeliano sostiene che Ghazi Skafi, 35 anni, ha cercato di accoltellare dei soldati a un posto di controllo militare nella colonia di Kiryat Arba [colonia di stremisti nazional-religiosi, ndtr.], nei pressi di Hebron.

Un video mostra che l’uomo è stato colpito due volte, prima da un uomo con abiti civili e poi da un soldato in uniforme. “Uccidilo” dice nel filmato in inglese un uomo non ripreso dalla telecamera.

Si sentono anche persone che assistono alla scena affermare “Dio è buono, dio è buono” e “Brucia all’inferno, stronzetto” in inglese con accento nordamericano.

Il video mostra Skafi steso sulla strada con sopra una coperta. La cinepresa si sposta verso destra e mostra a terra quello che sembra un piccolo coltello.

Secondo quanto riferito dai media, Skafi è stato curato all’ospedale per ferite all’addome e alle gambe.

Lo scorso anno le forze israeliane e civili armati hanno ucciso 15 palestinesi responsabili, o presunti tali, di attacchi contro israeliani in Cisgiordania.

Incursioni a Ramallah

Questa settimana per cinque giorni consecutivi le forze israeliane hanno fatto incursioni a Ramallah, la sede dell’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania, e nella vicina città di al-Bireh.

Gli attacchi hanno avuto luogo nel contesto di una caccia all’uomo alla ricerca di un palestinese che la scorsa settimana ha aperto il fuoco contro un autobus che trasportava coloni israeliani, ferendone uno.

Le forze di occupazione hanno fatto irruzione in negozi ed hanno sequestrato riprese di telecamere di sicurezza.

Un’abitante di Ramallah si è servita di Twitter per descrivere come le incursioni hanno colpito la sua vita familiare.

Durante gli attacchi giovani palestinesi si sono scontrati con le forze di occupazione israeliane.

All’inizio della settimana le forze israeliane hanno arrestato Assem Barghouti, che Israele accusa di aver perpetrato l’aggressione armata in cui il mese scorso sono rimasti feriti a morte due soldati in Cisgiordania.

È anche accusato da Israele di essere coinvolto in un’altra sparatoria in Cisgiordania a dicembre, in cui una donna israeliana incinta è stata gravemente ferita. Il suo bambino, nato prematuro, è morto pochi giorni dopo il parto indotto.

Israele ha incolpato Saleh Barghouti, fratello di Assem, di essere l’uomo armato che ha perpetrato l’attacco.

Lo scorso mese il gruppo palestinese per i diritti umani Al-Haq ha fatto un pressante appello riguardo al caso di Saleh Barghouti al Gruppo di Lavoro dell’ONU per le Persone Forzatamente o Involontariamente Scomparse.

Secondo la documentazione di Al-Haq, compresi testimoni oculari, Barghouti è stato catturato vivo il 12 dicembre. Qualche ora dopo la sua scomparsa, i media israeliani hanno informato che Barghouti era stato ucciso da Yamam, un’unità speciale della polizia di frontiera di Israele.

(traduzione di Amedeo Rossi)




L’IDF non indaga sulle morti di palestinesi ma le insabbia

Hagai El-Ad

1 gennaio 2019, + 972

L’esercito israeliano vorrebbe condurre indagini sui palestinesi che uccide o ferisce. L’unico problema? Non è in grado di farlo seriamente.

Poco più di un anno fa, l’ultimo giorno dell’ottobre 2017, Muhammad Musa e sua sorella Latifah stavano viaggiando verso Ramallah per fare delle commissioni. Poco dopo che si erano filmati in un corto video lungo il percorso, alcuni soldati aprivano il fuoco contro la loro auto nei pressi dell’incrocio di Halamish. Latifah rimaneva ferita, Muhammad ucciso. Lui aveva 26 anni.

L’inchiesta di B’Tselem sulla sua uccisione è stata resa pubblica circa 5 settimane dopo e includeva una serie di racconti di testimoni oculari come dichiarazioni di paramedici che erano arrivati sul posto. Uno di questi testimoni, Muhammad Nafe’a, è stato identificato con nome e cognome, foto, indirizzo e occupazione.

Eppure circa sei mesi dopo, nel maggio 2018, la “Military Police Investigations Unit” [Unità Investigativa della Polizia Militare] (MPIU) stranamente ha scritto a B’Tselem che sarebbe stata molto grata “di avere le informazioni personali complete di Muhammad Nafe’a per contattarlo e per fare in modo che rilasciasse la sua dichiarazione in materia.”

Benvenuti nell’universo parallelo noto come “inchieste della MPIU”. In questo universo le “inchieste” procedono alla velocità della luce e l’esercito – che controlla totalmente la Cisgiordania e non ha molti problemi ad avere nelle sue mani i palestinesi – agisce come se non potesse individuare un testimone senza l’assistenza di un’organizzazione per i diritti umani, persino quando i suoi dati sono a disposizione di chiunque, insieme al resto delle prove di un’inchiesta indipendente resa pubblica da molto tempo.

Se questa fosse una commedia, la goffaggine e l’assurdità di tutto ciò sarebbero veramente divertenti. Ma questa è realtà, non teatro. Fare indagini sulle uccisioni è estremamente importante, sia in termini di giustizia per le vittime che per evitare il ripetersi di altri incidenti.

La penosa esibizione nell’”inchiesta” sull’uccisione di Muhammad Musa non è un’eccezione – è parte di una politica di lunga data di un sistema di applicazione delle leggi militari che colpisce centinaia, se non più, di casi di uccisioni, ferimenti e violenze. La vasta esperienza acquisita da B’Tselem nel corso di decenni, mentre cercava di promuovere l’assunzione di responsabilità, ha dimostrato che il sistema non ha nessun interesse reale nel promuovere indagini e nel rendere giustizia alle vittime. Il suo principale obiettivo è creare l’apparenza di un sistema giudiziario funzionante, mentre in realtà insabbia i reati e protegge quelli che provocano danni senza giustificazione.

Ecco i dati: dall’inizio della Seconda Intifada, alla fine del 2000, fino al 2015 B’Tselem ha chiesto alla MPIU di aprire un’inchiesta su 739 casi in cui soldati hanno ucciso o in qualche modo danneggiato palestinesi. Il 97% di questi casi sono stati chiusi sia dopo che è stata condotta un’“inchiesta”, sia persino senza che fosse neppure iniziata. Solo in 25 casi sono stati presentati capi d’accusa. Il numero di sentenze è naturalmente persino molto più basso. Inutile dire che quasi nessuno è stato ritenuto colpevole.

Questi dati sono il risultato diretto del modo in cui funziona il sistema. In primo luogo, esso è inaccessibile ai palestinesi che presentano una denuncia – le vittime che si suppone protegga. In secondo luogo, le indagini si trascinano per mesi, persino per anni, e sono quasi esclusivamente basate su interrogatori con i sospetti e in qualche caso con le vittime, invece che su prove esterne. Senza prove la Procura Militare per le Questioni Operative, che riceve le pratiche delle inchieste, può chiuderle proprio per questa ragione.

La Procura Generale militare, che è incaricata sia di dare indicazioni all’esercito in merito alla legalità delle sue azioni e direttive, sia di decidere se iniziare un’indagine sugli incidenti scaturiti da quelle stesse azioni e direttive, si trova in un conflitto di interessi. Come se non bastasse, l’intero sistema si limita a verificare la condotta dei soldati sul terreno invece di quella degli alti ufficiali e dei decisori politici. In queste circostanze la sua idoneità a fare realmente giustizia è estremamente ridotta.

Circa due anni e mezzo fa B’Tselem ha deciso di smettere di chiedere all’esercito israeliano di aprire inchieste e di essere complice degli insabbiamenti della MPIU. Da allora l’organizzazione ha continuato a condurre indagini indipendenti sui casi in cui le forze di sicurezza colpiscono palestinesi ed ha fatto inchieste sulla maggior parte degli incidenti in cui civili palestinesi sono stati uccisi. B’Tselem non contatta più la MPIU, ma rende noti i propri risultati all’opinione pubblica, come per la morte di Muhammad Musa e di centinaia di persone come lui.

Benché la posizione di B’Tselem sia pubblica e ben nota, i funzionari della MPIU occasionalmente inviano ancora all’organizzazione ogni sorta di richieste riguardanti loro “indagini”. A volte chiedono informazioni che sono già state rese pubbliche, altre volte chiedono di aiutarli a trovare testimoni che l’esercito non ha nessuna difficoltà a trovare, e così via.

B’Tselem ha ricevuto simili richieste riguardanti l’uccisione di Ahmad Zidani, un palestinese diciassettenne che è stato ucciso dalle forze di sicurezza mentre stava scappando da loro; o di Ali Qinu, anche lui di 17 anni, che è stato colpito alla testa dai soldati; o di Ahmad Salim, 28 anni, colpito a morte in testa; o di Muhammad Musa.

Recentemente B’Tselem ha ricevuto un’altra lettera dalla MPIU relativa a quello che questa definisce “le circostanze della morte di Muhammad Habali,” un palestinese con problemi mentali che è stato colpito alla testa da soldati all’inizio di dicembre. I soldati hanno sparato da una distanza di circa 80 metri mentre Habali si stava allontanando di corsa da loro; non rappresentava un pericolo. Nella lettera l’investigatore della MPIU afferma che condurrà un’”inchiesta approfondita”, e chiede le riprese video e le informazioni per prendere contatto con un testimone. B’Tselem ha già messo in rete le riprese video inedite complete. La ripetuta richiesta della MPIU di informazioni per avere dati personali la dice lunga sulla vera natura delle sue inchieste.

Ed ecco la risposta che B’Tselem ha inviato al comandante della MPIU col. Gil Mamon:

Nella sua lettera lei ci ha contattato riguardo all’‘avvenimento riguardante la morte di Muahammad Habali’ a Tulkarem il 4 dicembre 2018.

A quanto pare la carta non arrossisce. Tuttavia, dato che lei si è superato, è necessario mettere le cose in chiaro e precisare che quello a cui lei si riferisce come la ‘circostanza della morte’ è stata l’uccisione da lontano di un passante da parte di un soldato.

Inoltre nella sua lettera lei sottolinea che ha intenzione di condurre un’‘inchiesta approfondita’ per ‘scoprire la verità’. Tuttavia, dati i nostri anni di esperienza con il meccanismo di insabbiamento denominato MPIU, la prima parte non è vera, e la seconda non avverrà.

Per inciso, notiamo che, contrariamente al modo in cui nella sua lettera ha scritto il nome dell’organizzazione, non si tratta di un acronimo. Il nostro nome è una parola biblica, B’Tselem, ‘nell’immagine di’. Vedi Genesi 1:27: ‘E dio creò l’uomo a sua immagine. Nell’immagine di dio lo creò.’”

B’Tselem è impegnata a continuare il suo lavoro indipendente documentando le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza nei territori occupati e la mancanza dell’obbligo di rendere conto di questi atti da parte delle autorità dello Stato. L’organizzazione tuttavia continuerà il suo lavoro senza il sistema di applicazione delle leggi militari, che perpetua questa violenza sul terreno. Collaborare con questo inganno non è solo semplicemente inutile, ma è dannoso, in quanto conferisce credibilità a un sistema che dovrebbe essere condannato, consentendogli di continuare a legittimare violazioni dei diritti umani.

Non si tratta solo di una questione teorica. La totale mancanza di responsabilizzazione per l’uccisione e la violenza significa che esse verranno sicuramente ripetute. È per questo che B’Tselem continuerà a fare indagini, a renderle pubbliche e a svelare la verità riguardo all’insabbiamento della cosiddetta applicazione della legge – finché l’occupazione non avrà termine.

L’autore è il direttore esecutivo di B’Tselem, il Centro di Informazione Israeliano per i Diritti Umani nei Territori Occupati. Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in ebraico su “Local Call” [Chiamata Locale, sito israeliano di notizie affiliato a +972, ndtr.].

(traduzione di Amedeo Rossi)




Ashrawi condanna “l’uccisione di 6 palestinesi in 24 ore da parte di Israele”

19 settembre 2018, Ma’an News

Ramallah (Ma’an) – Mercoledì l’esponente del Comitato Esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) Hanan Ashrawi ha duramente condannato “l’uccisione di 6 palestinesi nelle ultime 24 ore da parte di Israele nell’assediata Striscia di Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme est occupata, ” accusando le forze israeliane di aver preso di mira deliberatamente i palestinesi.

In un comunicato Ashrawi ha affermato: “La deliberata uccisione di sei palestinesi da parte delle forze israeliane nelle ultime ventiquattr’ore è un’ulteriore escalation nella brutalità e inumanità dell’occupazione israeliana.”

Muhammad Zaghlul Rimawi, 24 anni, del villaggio di Beit Rima nella Cisgiordania occupata, è stato brutalmente aggredito e ripetutamente colpito nella sua casa, provocandone la morte qualche ora dopo.

Muhammad Youssef Elayyan, 26 anni, del campo di rifugiati di Qalandiya, è stato colpito ed ucciso dalle forze israeliane perché avrebbe tentato di perpetrare un attacco all’arma bianca a Gerusalemme est occupata.

Ahmad Mahmoud Muhsen Omar, 20 anni, e Muhammad Ahmad Abu Naji, 34 anni, sono stati colpiti ed uccisi dalle forze israeliane nella parte settentrionale della Striscia di Gaza assediata mentre partecipavano ad una protesta pacifica per chiedere la fine dell’assedio israeliano di Gaza durato quasi 12 anni.

Naji Jamil Abu Assi, 18 anni, e Alaa Ziad Abu Assi, 21 anni, sono stati presi di mira e uccisi da un attacco aereo israeliano nel sud di Gaza lunedì notte per essersi avvicinati alla barriera di sicurezza sul confine [con Israele].

Ashrawi ha evidenziato che “incoraggiato dal totale sostegno dell’amministrazione USA, Israele ha intensificato il proprio comportamento criminale e la politica di esecuzioni sommarie prendendo di mira vittime palestinesi innocenti con crudeltà e impunità deliberate.”

“La comunità internazionale è invitata a porre fine al disprezzo israeliano per le vite dei palestinesi e ad abbandonare il doppio standard quando si tratta di perdita di vite umane, indipendentemente dalla nazionalità o dalla religione.” Ashrawi ha chiesto alla Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aiya “di prendere iniziative immediate ed aprire un’inchiesta penale ufficiale su tali diffusi e palesi crimini di guerra e contro l’umanità commessi in tutta la Palestina occupata.”

Ha continuato chiedendo alle Alte Parti contraenti della Quarta Convenzione di Ginevra e all’ONU “di aprire un’indagine sulle gravissime violazioni, le illegalità e le azioni provocatorie da parte di Israele e chiamarlo a risponderne con misure punitive e sanzioni.”

“Gli assassinii sono ulteriori prove che i palestinesi hanno urgentemente bisogno di protezione dalla campagna criminale di Israele e da un’occupazione militare durata decenni,” ha aggiunto Ashrawi, che ha concluso: “La vera soluzione rimane la fine dell’occupazione e consentire al popolo palestinese di esercitare il suo diritto all’autodeterminazione in uno Stato libero e sovrano sulla sua terra con Gerusalemme come capitale.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 22maggio – 4 giugno (due settimane)

Durante manifestazioni di massa, svolte il 25 maggio e il 1 giugno lungo la recinzione perimetrale che separa Israele da Gaza, le forze israeliane hanno ucciso una donna e ferito altri 170 palestinesi.

Durante il periodo di riferimento di questo Rapporto [dal 22.5 al 4.6] altri sette palestinesi sono morti per le ferite subite durante le manifestazioni delle settimane precedenti. La donna uccisa il 1 giugno aveva 21 anni e stava prestando servizio come volontaria con la Società di Soccorso Medico Palestinese. Funzionari e Agenzie delle Nazioni Unite hanno espresso indignazione per l’omicidio. Un altro palestinese è morto il 5 giugno: il giorno prima era stato colpito dalle forze israeliane a Khan Yunis, vicino al recinto perimetrale. Il suo corpo è trattenuto dalle autorità israeliane. Le dimostrazioni della “Grande Marcia di Ritorno”, iniziata il 30 marzo, dovrebbero concludersi l’8 giugno.

A Gaza e nel sud di Israele, durante il periodo di riferimento, si è avuto un crescendo di violenza: la più grave dalle ostilità del 2014. In due distinti episodi, verificatisi il 27 e il 28 maggio, a est di Khan Yunis e a nord di Beit Lahia, le forze israeliane hanno aperto il fuoco con carri armati contro postazioni militari palestinesi, uccidendo quattro membri di gruppi armati e ferendone un altro. Nei giorni successivi, gruppi armati palestinesi hanno lanciato più di 150 tra razzi e colpi di mortaio contro Israele. Uno dei razzi è caduto nel nord di Gaza, all’interno di una casa, provocando lievi danni; secondo quanto riportato da media israeliani, la maggior parte dei rimanenti è caduta in aree aperte o è stata intercettata in aria. Tre soldati israeliani sono rimasti feriti e, all’interno di Israele, i danni sono stati limitati, compresi quelli ad un asilo nido. Le forze israeliane hanno effettuato decine di attacchi aerei contro siti militari e aree aperte di Gaza: è stato registrato un ferito e danni ai siti bersagliati; danneggiate anche sette barche da pesca, una struttura produttiva, terreni agricoli e una scuola. L’intensificarsi di violenza è terminata alla fine del periodo di riferimento [di questo Rapporto].

Durante il periodo di riferimento, in particolare nel corso delle dimostrazioni vicino alla recinzione, i palestinesi hanno fatto volare centinaia di aquiloni di carta e palloni gonfiabili caricati con materiali infiammabili che, nel sud di Israele, hanno danneggiato terreni agricoli e colture. Secondo il ministro della Difesa israeliano, le cui dichiarazioni sono state riportate da media israeliani, dei circa 600 aquiloni lanciati, due terzi sono stati intercettati in aria, mentre un terzo ha raggiunto Israele, provocando incendi su una superficie di circa 900 ha.

Il 5 giugno, per carenza di carburante, l’unica Centrale Elettrica di Gaza ha spento la turbina ancora operativa. La Centrale ha cessato di funzionare a causa di dispute irrisolte tra le Autorità palestinesi di Gaza e quelle della Cisgiordania, in merito al finanziamento e alla tassazione del carburante. A Gaza le carenze di energia elettrica comportano interruzioni di corrente di 20-22 ore al giorno, rendendo precaria l’erogazione di servizi, tra cui quelli sanitari, l’acqua potabile, il trattamento dei reflui e l’istruzione.

Per far rispettare le restrizioni di accesso a zone di terra e di mare, in almeno 28 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro agricoltori e pescatori. Hanno anche arrestato quattro pescatori e confiscato una barca. Il 29 maggio, le forze navali israeliane hanno intercettato e sequestrato un natante che, da Gaza, stava tentando di rompere il blocco navale ed hanno arrestato 17 persone presenti a bordo. In due casi, le forze israeliane sono entrate a Gaza, vicino a Beit Lahiya e Jabalia (a nord di Gaza), ed hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo nei pressi della recinzione perimetrale.

Il 2 giugno, nell’area H2 della città di Hebron, controllata da Israele, le forze israeliane hanno sparato e ucciso un palestinese 35enne che stava lavorando in un cantiere edile. Secondo fonti militari israeliane, l’uomo è stato colpito con armi da fuoco per aver tentato di investire i soldati con un bulldozer. Testimoni palestinesi respingono questa versione ed affermano che l’uomo non si era fermato all’intimazione dell’alt, a causa del forte rumore presente nel luogo in cui si è verificato l’episodio.

In Cisgiordania un soldato israeliano è stato ucciso e 33 palestinesi sono rimasti feriti durante scontri scoppiati nel corso di operazioni di ricerca-arresto. I maggiori scontri si sono verificati il 26 maggio, durante un’operazione nel Campo Profughi di Al Amari (Ramallah), dove un palestinese ha lanciato una lastra di marmo su un soldato che è morto due giorni dopo per le ferite riportate. In Cisgiordania le forze israeliane hanno condotto, complessivamente, 114 operazioni di questo tipo, arrestando 207 palestinesi, tra cui sette minori. Il più alto numero di operazioni (42), è stato registrato nel governatorato di Hebron, seguito dai governatorati di Gerusalemme (17) e di Ramallah (15).

Durante manifestazioni e scontri, altri 12 palestinesi sono rimasti feriti. Un 15enne palestinese, colpito con arma da fuoco il 15 maggio, durante una manifestazione vicino a Beit El / DCPO, è morto in seguito al ferimento. In Cisgiordania questo è il quarto minore palestinese ucciso, dall’inizio del 2018, nel corso di manifestazioni ed episodi di lancio di pietre. La maggior parte dei ferimenti si è verificata durante scontri scoppiati nelle manifestazioni settimanali a Kafr Qaddum (Qalqiliya) e nel villaggio di An Nabi Saleh (a Ramallah). In due diversi episodi, accaduti vicino a Tulkarem e vicino a Betlemme, altri due palestinesi sono stati colpiti con armi da fuoco e feriti mentre stavano cercando di attraversare la Barriera senza permesso.

Secondo fonti ufficiali israeliane, il secondo e il terzo venerdì del Ramadan, le forze israeliane hanno consentito l’ingresso a Gerusalemme Est a circa 87.000 e 122.000 fedeli palestinesi rispettivamente. I maschi sopra i 40 anni e sotto i 12 anni e tutte le donne hanno potuto attraversare i posti di controllo senza permesso, mentre agli altri maschi erano stati concessi dei permessi. I residenti di Gaza non hanno avuto permessi per il Ramadan.

Il 24 maggio, l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha respinto le petizioni presentate dalla comunità palestinese beduina di Khan Al Ahmar – Abu al Helu (Governatorato di Gerusalemme), aprendo così la strada per la demolizione del villaggio, motivata dalla mancanza di permessi di costruzione, ed il trasferimento forzato dei suoi 180 residenti. La Comunità ha respinto il piano di trasferimento in un sito vicino, proposto dalle autorità israeliane. Tra le strutture a rischio c’è una scuola finanziata da donatori che serve le comunità beduine della zona. La comunità coinvolta è una delle 18 situate all’interno, o vicine, ad un’area parzialmente destinata ad un piano di insediamento strategico denominata E1. Il 1 giugno, il Coordinatore Umanitario e il Direttore delle operazioni dell’UNRWA, hanno invitato Israele a fermare i suoi piani di demolizioni di massa e di trasferimento della Comunità.

Nel periodo in esame non sono state registrate demolizioni o confische. Ciò è in accordo con la prassi, già riscontrata negli anni precedenti, di interrompere le demolizioni durante il mese del Ramadan.

In un caso, per consentire esercitazioni militari, le forze israeliane hanno sfollato, per sei ore, cinque famiglie della comunità di pastori di Humsa al Bqai’a, nella Valle del Giordano settentrionale. Questa comunità affronta sistematiche demolizioni, restrizioni di accesso e sfollamenti temporanei che sollevano preoccupazioni sul rischio di trasferimento forzato.

In Cisgiordania, in episodi che hanno visto coloni israeliani come protagonisti, tre palestinesi sono rimasti feriti e oltre 1.200 alberi di proprietà palestinese sono stati vandalizzati. In due distinti casi, coloni israeliani hanno aggredito fisicamente e ferito tre uomini palestinesi nel quartiere di Sur Bahir, a Gerusalemme Est e vicino al villaggio di Urif (Nablus). Nell’ultima località, un gruppo di 30 coloni israeliani ha aggredito, con pietre e bastoni, un uomo di 71 anni che stava pascolando le pecore, innescando scontri con i residenti della zona. A seguito di tali scontri, sono intervenute le forze israeliane che hanno ferito due palestinesi. Secondo fonti della Comunità, in sei distinti episodi, sono stati vandalizzati da coloni israeliani circa 1.265 alberi e colture su terre appartenenti a palestinesi di Ein Samiya e Kafr Malik (entrambi a Ramallah), ‘Urif (Nablus), Khallet Sakariya (Betlemme), Bani Na’im ed Halhul (entrambi in Hebron).

I media israeliani hanno riportato nove episodi di lancio di pietre da parte di palestinesi contro veicoli israeliani; non sono stati segnalati feriti, ma un veicolo è stato danneggiato.

Le autorità egiziane avevano annunciato l’apertura del valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto per tutto il mese del Ramadan. Tra l’apertura, avvenuta il 12 maggio, e la fine del periodo di riferimento [4 giugno] sono state registrate 8.786 uscite da Gaza e 1.587 ingressi. Dal 2014, questa è la più lunga apertura continuativa del valico di Rafah.

¡

Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 6 giugno, nel villaggio di An Nabi Saleh (Ramallah), durante scontri scoppiati nel corso di un’operazione di ricerca-arresto, le forze israeliane hanno ucciso un palestinese di 21 anni.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it

þ