Rapporto OCHA del periodo 31 gennaio – 13 febbraio 2023

1). Forze israeliane hanno ucciso sei palestinesi e ne hanno ferito undici con proiettili veri in due operazioni (una condotta a Gerico e un’altra a Nablus) che hanno dato luogo a uno scontro a fuoco con palestinesi (seguono dettagli). Il 6 febbraio, forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo profughi di Aqbat Jaber (Gerico), dove hanno circondato un edificio; ne è seguito uno scontro a fuoco con palestinesi. Secondo i media israeliani, almeno cinque palestinesi sono stati uccisi e i loro corpi sono stati trattenuti; altri quattro sono stati feriti e arrestati. Secondo fonti mediche, le forze israeliane hanno aperto il fuoco, danneggiando almeno due ambulanze ed impedendo loro di operare all’interno del Campo. Secondo l’esercito israeliano, citato dai media israeliani, l’operazione è stata effettuata per arrestare palestinesi sospettati di aver effettuato, il 28 gennaio, un attacco con armi da fuoco nei pressi di un insediamento israeliano, in seguito al quale le forze israeliane avevano limitato, per dieci giorni, il movimento dei palestinesi dentro e fuori la città di Gerico.

Nello stesso luogo, il 4 febbraio, durante un’altra operazione di ricerca-arresto, forze israeliane hanno distrutto due strutture, di cui una costituita da due unità abitative; inoltre è stata danneggiata una struttura adiacente ed è stato provocato lo sfollamento di sei persone, tra cui due minori. Durante la stessa operazione quattordici palestinesi sono rimasti feriti, di cui due colpiti da proiettili veri; altri tredici sono stati arrestati.

Il 13 febbraio, forze israeliane hanno fatto irruzione nella città di Nablus, dove hanno circondato un edificio, all’interno del quale hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi. Due degli occupanti sono stati feriti e successivamente arrestati dalle forze israeliane. L’operazione è durata più di quattro ore, durante le quali le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni contro palestinesi che si erano radunati, lanciando pietre contro di loro. Un passante palestinese è stato ucciso e altri 80 sono rimasti feriti, di cui cinque colpiti da proiettili veri; gli altri sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni. Secondo fonti mediche, le forze israeliane hanno impedito alle ambulanze di accedere all’area e, per tre ore, hanno tenuto bloccati tre medici volontari.

2). A Nablus e Jenin forze israeliane hanno ucciso due minori palestinesi durante due operazioni di ricerca-arresto che hanno comportato uno scontro a fuoco con palestinesi (seguono dettagli). Il 6 febbraio, forze israeliane hanno fatto irruzione nella città di Nablus, dove hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi; un ragazzo di 17 anni che, secondo l’esercito israeliano aveva sparato contro di loro, è rimasto ucciso; un’accusa contestata da testimoni oculari e da Organizzazioni per i diritti umani.

Il 12 febbraio, forze israeliane hanno condotto un’operazione di ricerca-arresto nella città di Jenin, dove hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi, uccidendo un ragazzo palestinese di 14 anni; secondo l’Organizzazione per i diritti umani le circostanze dell’accaduto non sono ancora chiare. Durante lo stesso episodio altri due palestinesi sono stati feriti con proiettili veri e tre sono stati arrestati. Ad oggi, in Cisgiordania, sale a nove il numero totale di minori palestinesi uccisi nel 2023 da forze israeliane. Nel 2022, nello stesso periodo, risultavano pari a zero.

3). Un automobilista palestinese ha ucciso tre israeliani, tra cui due minori, e ne ha feriti altri quattro, investendoli con la propria auto (seguono dettagli). Il 10 febbraio, nell’insediamento israeliano di Ramot a Gerusalemme est, due israeliani, tra cui un bambino di sei anni, sono stati uccisi e altri cinque sono rimasti feriti da un palestinese che li ha investiti con la propria auto mentre si trovavano alla fermata dell’autobus. Uno dei feriti, un bambino di otto anni, è morto il giorno successivo per le ferite riportate. L’aggressore è stato successivamente ucciso dalla polizia israeliana.

Il 13 febbraio, nella città vecchia di Gerusalemme, secondo i media israeliani, un ragazzo palestinese di 14 anni ha accoltellato e ferito un ragazzo israeliano di 17 anni, dandosi quindi alla fuga.

4). Ai checkpoint israeliani, o nei loro pressi, forze israeliane hanno ucciso due palestinesi, ferendone altri due (seguono dettagli). Il 3 febbraio, al checkpoint di Huwwara (Nablus), forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese che, secondo le stesse forze, avrebbe tentato di aggredire un soldato israeliano.

Il 9 febbraio, forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese che, secondo le autorità israeliane, avrebbe cercato di accoltellare soldati israeliani in servizio presso un punto di osservazione militare prossimo al Campo profughi di Al Fuwwar (Hebron). In entrambe le circostanze non sono stati segnalati ferimenti di israeliani. Alla chiusura del presente rapporto, i corpi di entrambi i palestinesi risultavano ancora trattenuti dalle autorità israeliane.

5). A Gerusalemme est, presso un checkpoint israeliano, durante un tentativo di aggressione con coltello da parte di un palestinese, un agente di polizia israeliano è stato colpito per errore, e ucciso, da un altro membro delle forze israeliane (seguono dettagli). Il 13 febbraio, al checkpoint del Campo profughi di Shu’fat a Gerusalemme est, secondo quanto riferito, un ragazzo palestinese di 13 anni ha accoltellato un ufficiale di polizia di frontiera israeliano; dopodiché un altro membro delle forze israeliane ha cercato di sparare al ragazzo, ma ha colpito per errore l’ufficiale, che in seguito è morto per le ferite. Successivamente, le forze israeliane hanno arrestato il ragazzo.

6). A Salfit un colono israeliano ha sparato con munizioni vere, uccidendo un palestinese (seguono dettagli). L’11 febbraio, un gruppo di coloni israeliani, secondo quanto riferito, provenienti dall’insediamento di Yair Farm, è entrato nel villaggio di Qarawat Bani Hassan dove ha affrontato operai palestinesi al lavoro presso una costruzione. Secondo testimoni oculari, sia i coloni israeliani che i palestinesi hanno iniziato a lanciare pietre; uno dei coloni ha sparato da distanza ravvicinata, uccidendo un palestinese. Forze israeliane sono intervenute, sparando lacrimogeni e proiettili di gomma contro i palestinesi: non sono stati riportati feriti. Durante lo stesso episodio, secondo i media israeliani, un colono israeliano è stato ferito da una pietra lanciata da palestinesi.

7). In Israele, un anziano israeliano è morto per le ferite riportate durante una aggressione palestinese (seguono dettagli). Nel maggio 2022, due palestinesi aggredirono degli israeliani con asce, uccidendo tre persone e ferendone quattro. Uno dei quattro feriti è morto il 2 febbraio, portando a quattro il numero delle vittime di quell’aggressione.

8). In Cisgiordania, durante il periodo di riferimento, sono stati feriti dalle forze israeliane 373 palestinesi, tra cui almeno 58 minori, di cui 18 colpiti da proiettili veri (seguono dettagli). Dei feriti, 131 (35 %) si sono verificati durante manifestazioni contro l’espansione degli insediamenti e le restrizioni di accesso legate agli insediamenti vicino a Kafr Qaddum (Qalqilya), Beit Dajan e Beita (entrambe a Nablus). In altri quattro episodi, registrati a Qaryut e Asira al Qibliya (entrambi a Nablus), 33 palestinesi sono stati feriti da forze israeliane, in seguito all’ingresso di coloni israeliani, accompagnati da forze israeliane, all’interno delle stesse Comunità palestinesi. Altri 177 feriti si sono verificati durante operazioni di ricerca-arresto e altre operazioni condotte da forze israeliane. Inoltre, forze israeliane hanno ferito 30 palestinesi, durante una demolizione, nell’area di Jabal al Mukabbir a Gerusalemme est. Il 31 gennaio, i residenti palestinesi di Jabal al Mukabbir avevano dichiarato un giorno di sciopero per protestare contro l’attuale tendenza, da parte delle autorità israeliane, all’incremento delle demolizione di strutture in quell’area. Gli altri due feriti si sono verificati ai checkpoints. Complessivamente, 313 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno, 18 sono stati colpiti da proiettili veri, 24 sono stati feriti con proiettili di gomma, sei sono stati aggrediti fisicamente, due sono stati spruzzati con liquido al peperoncino, cinque sono stati colpiti da granate assordanti e cinque sono stati colpiti da bombolette di gas.

9). Coloni israeliani hanno ferito, in quattro episodi, sei palestinesi tra cui almeno un minore, e persone conosciute come coloni, o ritenute tali, hanno danneggiato proprietà palestinesi in altri 16 casi; a questi sono da aggiungere il palestinese ucciso da un colono e i 33 palestinesi feriti da forze israeliane, episodi, relativi a coloni, riportati nei precedenti paragrafi (seguono dettagli). Il 2 e il 10 febbraio, a Huwwara e Jalud (Nablus), due palestinesi, tra cui un ragazzo di 14 anni, sono stati feriti da coloni israeliani che li hanno spruzzati con liquido al peperoncino.

Il 10 febbraio, a Qarawat Bani Hassan (Salfit), coloni israeliani hanno lanciato pietre contro palestinesi e il loro bestiame ferendo due palestinesi.

L’11 febbraio, coloni israeliani hanno lanciato pietre contro palestinesi che viaggiavano sulle strade prossime a Deir Sharaf (Nablus), ferendo un uomo e danneggiandone il veicolo.

In altre due circostanze, registrate a Marda e Yasuf (entrambi a Salfit), circa 50 alberi sono stati vandalizzati su terre palestinesi, comprese quelle vicine a insediamenti israeliani, in aree in cui l’accesso palestinese richiede l’approvazione dell’esercito israeliano (comunemente indicato come “previo coordinamento”).

In altre sette occasioni, persone conosciute come coloni, o ritenute tali, hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi, danneggiandone almeno 35. Altre proprietà palestinesi sono state danneggiate e il bestiame è stato ferito in dodici episodi registrati a Jenin, Ramallah, Salfit, Tubas, Hebron e Qalqiliya o nelle vicinanze; secondo testimoni oculari e fonti della Comunità locale, le proprietà includevano strutture residenziali e agricole, trattori, raccolti e una rete idrica.

10). Tre coloni israeliani sono rimasti feriti e sono stati segnalati danni ad almeno sei veicoli israeliani ad opera di persone conosciute come palestinesi, o ritenute tali, che hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani che viaggiavano sulle strade della Cisgiordania. In un caso, secondo fonti israeliane, palestinesi hanno dato fuoco a un’auto a Kafr Ein (Ramallah). In un episodio separato, un veicolo israeliano è stato danneggiato con colpi di arma da fuoco sulla strada 465 vicino a Ramallah, senza che siano stati riportati feriti.

11). A Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele che sono quasi impossibili da ottenere, le autorità israeliane hanno demolito, confiscato o costretto persone a demolire 30 strutture, comprese nove case. Due delle strutture erano state fornite da donatori come assistenza umanitaria. Di conseguenza, 55 palestinesi, tra cui 31 minori, sono stati sfollati e i mezzi di sussistenza di oltre 100 altri ne sono stati colpiti. Diciassette (17) delle strutture si trovavano in Area C, comprese due strutture demolite nella Comunità beduina di Zatara al Kurshan (Betlemme) situate in aree che Israele ha designato come “zone di tiro”, chiuse perché destinate alle esercitazioni militari e dove le Comunità palestinesi sono a rischio di trasferimento forzato a causa di un ambiente coercitivo generato dalle politiche e dalle pratiche israeliane. Le restanti tredici strutture sono state demolite a Gerusalemme Est, di cui quattro demolite dai proprietari, per evitare il pagamento di multe alle autorità israeliane. Gennaio 2023 ha registrato il maggior numero di strutture demolite a Gerusalemme est, in un solo mese, dall’aprile 2019; con un totale di 32 strutture demolite, a fronte di una media mensile di undici demolizioni registrate nel 2022.

12). Forze israeliane hanno limitato il movimento dei palestinesi in diverse località della Cisgiordania, interrompendo l’accesso di migliaia di palestinesi ai mezzi di sussistenza e ai servizi (seguono dettagli). Tra il 28 gennaio e il 6 febbraio, l’esercito israeliano ha dispiegato posti di blocco volanti a tutte le entrate/uscite della città di Gerico, inclusi blocchi di cemento, ostacolando il movimento di almeno 50.000 palestinesi per dieci giorni; ciò in risposta a un attacco palestinese contro un insediamento israeliano a sud di Gerico, dove non erano stati segnalati feriti. Il 6 febbraio, l’esercito israeliano ha limitato il movimento di oltre 7.000 palestinesi collocando cumuli di terra in una strada secondaria della città di Huwwara (Nablus), secondo quanto riferito, in risposta al lancio di pietre palestinesi contro veicoli di coloni israeliani. Lo stesso giorno, l’esercito israeliano ha chiuso il cancello di una strada agricola nel villaggio di Immatin (Qalqilya), ostacolando il movimento di almeno 50 agricoltori verso i loro terreni.

13). Nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana o al largo della costa, in almeno 34 occasioni, forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, presumibilmente per far rispettare le restrizioni all’accesso; due pescatori sono stati arrestati e un peschereccio è stato sequestrato; non sono stati riportati feriti o danni. Separatamente, due palestinesi sono stati arrestati da forze israeliane mentre cercavano di entrare in Israele attraverso la recinzione perimetrale.

14). In tre occasioni, gruppi armati palestinesi hanno lanciato razzi e altri proiettili contro Israele. I lanci palestinesi sono stati registrati l’1, l’11 e il 13 febbraio. I razzi sono stati intercettati o sono caduti in aree aperte a Gaza e in Israele; una israeliana è rimasta ferita mentre correva verso un rifugio. Il 2 e il 13 febbraio, forze israeliane hanno effettuato attacchi aerei nella Striscia di Gaza, contro siti militari appartenenti a gruppi armati. Non sono stati segnalati feriti.

Questo rapporto riflette le informazioni disponibili al momento della pubblicazione. I dati più aggiornati e ulteriori analisi sono disponibili su ochaopt.org/data

Questa sezione si basa su informazioni iniziali provenienti da diverse fonti. Nel prossimo rapporto saranno forniti ulteriori dettagli accertati.

Il 14 febbraio, un palestinese è deceduto per le ferite riportate nel gennaio 2021, quando un soldato israeliano gli sparò al collo nella Comunità Ar Rakeez di Masafer Yatta (Hebron), mentre cercava di impedire la confisca di un generatore elettrico.

Il 14 febbraio, un minore palestinese è stato ucciso da forze israeliane in un’operazione di ricerca- arresto condotta nel Campo profughi di Al Far’a (Tubas) e dove è stato segnalato uno scontro a fuoco con palestinesi.

Note a piè di pagina

1. Vengono conteggiati separatamente i palestinesi uccisi o feriti da persone che non fanno parte delle forze israeliane, ad esempio da civili israeliani o colpiti da razzi palestinesi che ricadono su territori palestinesi; così come quelli la cui causa immediata di morte o l’identità dell’autore rimangono controverse, poco chiare o sconosciute.

2. In queste rilevazioni, le vittime israeliane includono persone che sono state ferite mentre correvano ai rifugi durante gli attacchi missilistici palestinesi. I cittadini stranieri uccisi in attacchi palestinesi e le persone la cui causa immediata di morte o l’identità dell’autore rimangono controverse, poco chiare o sconosciute, vengono conteggiate separatamente. Durante questo periodo di riferimento, un membro delle forze israeliane che è stato ucciso in un attacco palestinese viene conteggiato separatamente poiché la causa della sua morte rimane poco chiara al momento della stesura.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




“Catastrofe”: i palestinesi raccontano la mortale incursione israeliana a Nablus

Zena Al Tahhan

23 febbraio 2023 – Al Jazeera

Le forze israeliane hanno ucciso 11 palestinesi a Nablus in una delle incursioni più letali dalla rivolta del 2000-05

Ramallah, Cisgiordania occupata – Almeno 150 soldati israeliani su decine di mezzi blindati hanno attaccato Nablus mercoledì in quello che è diventato uno dei più letali raid militari nella Cisgiordania occupata dalla rivolta di massa palestinese, o Intifada, del 2000-05.

In quattro ore l’esercito israeliano ha ucciso 11 palestinesi e ferito più di 80 persone, alcune gravemente, con munizioni vere. Il raid avviene quasi un mese dopo che 10 palestinesi sono stati uccisi in un raid simile nel campo profughi di Jenin, a circa 41 km di distanza.

Jenin e Nablus, diventate i centri di una moderata resistenza palestinese, sono lo scenario di sempre più numerosi attacchi mortali israeliani.

Tra le vittime dei raid di mercoledì vi sono tre anziani – di 72, 66 e 61 anni – e un ragazzo di 16 anni, e centinaia di altre persone hanno inalato gas lacrimogeni.

Sparavano a destra e sinistra, a chiunque, chi aveva e chi non aveva armi. Io ero a due metri da un ragazzo, assistevo agli eventi, e lui è stato colpito e ferito proprio davanti a me”, dice a Al Jazeera Khaled Jamal, un abitante di 25 anni.

È stata una catastrofe. Tutti dentro e fuori dall’ospedale piangevano per la scena che si svolgeva davanti ai nostri occhi – uomini, donne, bambini. Anche le persone che erano in ospedale per dei controlli piangevano”, continua.

Forze israeliane sotto copertura sono entrate a piedi nella Città Vecchia di Nablus all’alba di mercoledì, vestite da religiosi musulmani e da donne velate e si sono nascoste dentro una moschea nel quartiere di al-Halabeh vicino ad una casa dove si rifugiavano due combattenti palestinesi.

I soldati israeliani sono rimasti nascosti nella moschea fino al mattino, quando decine di altri soldati si sono posizionati dentro e intorno alla casa e al quartiere – compresi cecchini sui tetti, a quanto affermano gli abitanti del luogo.

I due combattenti, Hossam Isleem di 24 anni e Mohammad Abdulghani di 23 (conosciuto anche come Mohammad Jneidi), appartenenti al gruppo armato Fossa dei Leoni di Nablus, si sono rifiutati di arrendersi. Pochi minuti dopo, secondo gli abitanti, le forze israeliane hanno attaccato la casa con granate lanciarazzi e droni armati, uccidendoli.

L’esercito israeliano sostiene che Isleem, con Osama Taweel e Kamal Joury, altri due combattenti in detenzione amministrativa, fosse coinvolto nella sparatoria che in ottobre ha ucciso un soldato israeliano vicino alla colonia illegale di Shavei Shomron.

“Inconcepibile”

Akram Saeed Antar, che abita nella zona di al-Halabeh dove si trovava la casa presa di mira, ha detto che i soldati israeliani sparavano indiscriminatamente.

Sono state almeno 3 ore di distruzione, esplosioni e proiettili veri che hanno preso di mira tutti gli abitanti della zona”, dice Antar. “Uccidevano persone anziane e bambini per strada”.

I combattenti della resistenza avevano semplici fucili, non potevano resistere a granate, missili e droni”, continua Antar.

Durante l’operazione intorno alla casa le forze israeliane hanno attaccato larghe folle di palestinesi in tutta Nablus in diversi luoghi accalcati usando proiettili veri e candelotti lacrimogeni che contenevano spray al peperoncino, e sparato anche da droni quando si sono estesi gli scontri con gli abitanti.

Inconcepibile! Lanciavano gas lacrimogeni contro donne, uomini, anziani, in ogni zona affollata di Nablus dove c’era tanta gente. Sono andato con un gruppo di giovani a instradare le persone con bambini, le famiglie, verso il principale centro commerciale in città – era il posto più sicuro”, dice Jamal, che ha anche sofferto per l’inalazione di gas lacrimogeno.

Non era normale gas lacrimogeno. Era mescolato con spray al peperoncino, per cui non solo soffochi, ma non puoi neanche aprire gli occhi. C’erano molte persone che camminavano cieche”.

Un altro testimone, che ha preferito restare anonimo per paura di rappresaglie, ha detto: “È stato un massacro.”

Tutti correvano per le strade gridando. L’esercito trattava le persone barbaramente – sparava alla gente nelle strade, nei negozi, ai carrelli della spesa nel mercato, distruggeva la merce”, dice ad Al Jazeera.

Serie di incursioni mortali

Il micidiale raid su Nablus è la terza grande operazione israeliana in Cisgiordania dall’inizio dell’anno e sotto il nuovo governo israeliano di estrema destra che ha giurato alla fine di dicembre.

Il 26 gennaio le forze israeliane hanno ucciso nove palestinesi, tra cui due bambini e una donna, nel campo profughi di Jenin, in quello che è stato anche descritto come un “massacro”. Il 6 febbraio l’esercito ha ucciso cinque uomini e ferito gravemente altri due nel campo profughi di Aqabet Jaber nella città di Gerico.

Le operazioni su larga scala arrivano a seguito del 2022, dichiarato dalle Nazioni Unite come l’anno più letale per i palestinesi dalla fine della seconda Intifada nel 2005.

Israele afferma di prendere di mira la limitata resistenza armata palestinese nel nord della Cisgiordania, ma molti civili, compresi i bambini, vengono spesso uccisi e feriti durante tali raid e le loro proprietà vengono distrutte.

Con 62 palestinesi, tra cui 13 bambini, finora uccisi quest’anno, e centinaia di altri feriti, i primi due mesi del 2023 sono stati i più letali dal 2000 rispetto allo stesso periodo.

Mercoledì il Ministero della Salute palestinese ha affermato in una dichiarazione che “l’inizio di quest’anno è il più sanguinoso nella Cisgiordania occupata almeno dall’anno 2000. Negli ultimi 22 anni non abbiamo mai registrato un tale numero di martiri [61] nei primi due mesi di un anno”.

I quasi giornalieri omicidi in Cisgiordania che continuano da più di un anno, così come altre politiche oppressive israeliane tra cui l’aumento delle demolizioni di case palestinesi e le misure punitive sui prigionieri, stanno ulteriormente rendendo esplosiva la situazione sul campo.

In migliaia hanno partecipato mercoledì pomeriggio ai funerali delle 11 persone uccise, con canti appassionati contro l’occupazione israeliana e in onore dei combattenti e dei civili uccisi. Erano presenti centinaia di combattenti con i fucili in mano.

Mercoledì notte gruppi di resistenza armata nella Striscia di Gaza assediata hanno lanciato razzi su Israele in risposta al raid di Nablus, cui Israele ha sollecitamente risposto lanciando raid aerei su Gaza.

La resistenza a Gaza è commisurata all’escalation dei crimini del nemico nella Cisgiordania occupata contro il nostro popolo, la cui pazienza si sta esaurendo”, ha detto Abu Obeida portavoce del movimento Hamas.

L’escalation della violenza fa temere un conflitto più ampio, e alcuni affermano che una terza Intifada sia inevitabile.

Tornando a Nablus, i residenti continueranno a lungo a subire lo choc per le conseguenze del micidiale attacco israeliano.

“È stato orribile. Ero seduto lì alla fine del giorno sul pavimento dell’ospedale con il sangue addosso, piangendo con un gruppo di giovani”, ha detto Jamal.

(traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Israele intende autorizzare nove insediamenti “selvaggi” in Cisgiordania

Agenzia France-Presse in Gerusalemme

15 febbraio 2023 The Guardian

Dopo una serie di attentati a Gerusalemme est il consiglio di sicurezza israeliano annuncia il riconoscimento delle aree costruite senza autorizzazione

Il consiglio di sicurezza israeliano ha annunciato che autorizzerà nove insediamenti nella Cisgiordania occupata dopo una serie di attacchi a Gerusalemme est, tra cui uno in cui sono morti tre israeliani.

“In risposta agli attacchi terroristici omicidi a Gerusalemme, il consiglio di sicurezza ha deciso all’unanimità di autorizzare nove comunità in Giudea e Samaria”, ha dichiarato l’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu in una dichiarazione di domenica che utilizza il nome che Israele usa per la Cisgiordania.

“Queste comunità esistono da molti anni, alcune da decenni”, ha affermato.

I cosiddetti insediamenti “selvaggi” sono stati costruiti senza l’autorizzazione del governo israeliano.

“Il comitato di pianificazione superiore dell’amministrazione civile sarà convocato nei prossimi giorni per approvare la costruzione di nuove unità residenziali nelle comunità esistenti in Giudea e Samaria”, si legge nella nota.

Vi si dice che “Il consiglio di sicurezza ha preso una serie di decisioni ulteriori nel quadro di una risoluta lotta contro il terrorismo”, incluso il rafforzamento delle forze di sicurezza a Gerusalemme.

Domenica scorsa durante una riunione del suo governo Netanyahu ha detto che voleva “rafforzare gli insediamenti”, illegali secondo il diritto internazionale.

Più di 475.000 israeliani vivono in insediamenti coloniali in Cisgiordania, dove abitano 2,8 milioni di palestinesi.

Netanyahu ha anche annunciato che questa settimana il suo governo intende presentare al parlamento una legge per revocare la cttadinanza israeliana ai “terroristi”.

Le misure si applicano agli arabi israeliani e ai palestinesi residenti a Gerusalemme est, parte della città annessa da Israele.

Gli annunci arrivano nel pieno di un’esplosione di violenza israelo-palestinese.

Venerdì un palestinese ha ucciso tre israeliani, tra cui due bambini, in un attacco a Ramot, un quartiere di insediamenti ebraici a Gerusalemme est, e domenica le forze israeliane hanno ucciso un adolescente palestinese in un raid nel nord della Cisgiordania.

Dall’inizio dell’anno il conflitto ha provocato la morte di almeno 46 palestinesi sia combattenti che civili, nove civili israeliani e una donna ucraina, secondo un conteggio dell’Agenzia France Press basato su fonti ufficiali israeliane e palestinesi.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Israele colpisce a morte un diciassettenne palestinese durante un’incursione

Redazione di MEMO

14 febbraio 2023 – Middle East Monitor

Le forze di occupazione israeliane hanno colpito a morte un ragazzo palestinese diciassettenne durante un’incursione nel campo profughi di Al-Faraa, nella citta di Tubas della Cisgiordania occupata.

Secondo l’agenzia di notizie Wafa, Mahmoud Majed Al-Aydi è stato colpito alla testa ed è stato portato in condizioni critiche in ospedale, dove è morto per le ferite ricevute.

Un numero elevato di forze israeliane di occupazione all’alba ha fatto una incursione nel campo profughi di Al-Faraa ed ha attaccato molti abitanti con proiettili e lacrimogeni, scatenando le proteste degli abitanti.

L’occupazione israeliana ha affermato che i soldati hanno sparato al ragazzo che si stava avvicinando a loro con un ordigno esplosivo mentre stavano facendo un arresto. Tuttavia non ci sono prove di quanto affermano.

Almeno cinque palestinesi sono stati feriti dopo essere stati colpiti da proiettili veri durante l’incursione e una persona è stata arrestata.

Mahmoud è il quarantottesimo palestinese ucciso dallo Stato di Israele dall’inizio dell’anno. La sua morte avviene due giorni dopo che il quattordicenne Qusai Radwan Waked è stato colpito a morte da un cecchino israeliano mentre giocava sul tetto della sua casa a Jenin.

Nei mesi scorsi c’è stato un incremento del numero delle incursioni israeliane in tutta la Cisgiordania occupata, insieme alle azioni violente dei coloni illegali che a volte hanno attaccato anche le forze israeliane.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Tre palestinesi uccisi in 3 giorni durante l’escalation militare israeliana

Mariam Barghouti

13 Febbraio 2023 – Mondoweiss

Le forze israeliane e i coloni israeliani hanno ucciso 3 palestinesi in tre giorni poco dopo che Itamar Ben Gvir aveva chiesto una “Operazione Scudo difensivo 2″*  in risposta all’attacco ai coloni israeliani. *[operazione militare condotta in Cisgiordania nel 2002 ndt]

I coloni israeliani e l’esercito israeliano hanno ucciso tre palestinesi in tre giorni di seguito. Ciò avviene poco dopo che il Ministro della Sicurezza Nazionale israeliano, Itamar Ben Gvir, ha chiesto di invadere la Cisgiordania in risposta all’uccisione di coloni israeliani, una “Operazione Scudo difensivo 2”.

Sabato 11 febbraio, Mithqal Rayyan, 27 anni, è stato ucciso da un colono israeliano a Qarawa Bani Husan, vicino a Salfit; domenica 12 febbraio le forze israeliane hanno invaso il campo profughi di Jenin e ucciso il quattordicenne Qusai Radwan e lunedì 13 febbraio le forze israeliane hanno fatto irruzione a Nablus in un’operazione militare contro i combattenti della resistenza palestinese durante la quale Ameer Bustami, 21 anni, è stato colpito e ucciso dall’esercito.

Nel fine settimana: l’uccisione di un padre e di un adolescente

Due palestinesi sono stati uccisi durante il fine settimana: sabato 11 febbraio il 27enne Mithqal Rayyan a Qarawat Bani Husan vicino a Salfit e domenica 12 febbraio il quattordicenne Qusai Radwan nel campo profughi di Jenin.

Sabato pomeriggio Mithqal Rayyan è stato ucciso da un colono israeliano con una pallottola alla testa durante un attacco di coloni contro contadini palestinesi e i loro campi.

Rayyan era padre di tre figli. Suo figlio maggiore ha solo 4 anni e ha una figlia di 2 anni e un neonato di meno di un mese.

Durante il suo funerale la madre di Rayyan è stata vista tenergli la testa e baciarlo in lacrime.

Ha detto alla Maan News Agency: “È partito la mattina senza salutare sua moglie e i suoi figli solo per tornare da loro come martire”.

Il giorno successivo, 12 febbraio, l’adolescente Qusai Radwan è stato ucciso durante un’incursione israeliana a Jenin – un evento quasi quotidiano – che aveva lo scopo di arrestare il fratello del detenuto politico palestinese Zakaria Zubeidi, uno dei sei palestinesi che sono fuggiti dalla prigione di Gilboa nel settembre 2021.

Gibril Zubeidi ed altri due sono stati arrestati durante il raid. Nel maggio dello scorso anno, Daoud Zubeidi, il fratello maggiore di Zakaria e Gibril, è stato arrestato dalle forze israeliane pochi giorni dopo l’uccisione di Shireen Abu Akleh, e sarebbe poi morto per le ferite riportate durante il suo arresto.

Qusai Radwan è stato sepolto nel suo villaggio natale di Arqah più tardi domenica sera.

A Nablus continuano gli scontri

Dopo la mezzanotte di lunedì, intorno all’una di notte, le forze speciali israeliane sotto copertura hanno attaccato Nablus vicino al campo profughi di Al-Ain.

Entro la prima mezz’ora dell’incursione le forze israeliane sono riuscite a circondare e ad assediare un edificio vicino alla Città Vecchia che si credeva ospitasse un combattente della resistenza. I combattenti della resistenza circondati si sono rifiutati di consegnarsi, ne è seguito un lungo scontro a fuoco che è durato quasi quattro ore.

Due palestinesi sono stati infine arrestati, Osama Al-Tawil e Abed Al-Kamel Jury, con l’accusa di essere sospettati di aver effettuato nell’ottobre dello scorso anno una sparatoria nei pressi dell’insediamento illegale di Shavei Shomron durante la quale un ufficiale israeliano che stava proteggendo una marcia di coloni è stato ucciso.

Durante l’assalto notturno a Nablus sette persone sono state ferite con proiettili veri, ma le forze israeliane hanno negato l’accesso al personale medico per raggiungere i feriti. Secondo la Mezzaluna Rossa palestinese anche tre medici volontari sono stati trattenuti per diverse ore in un edificio ed è stato loro impedito di fornire cure di emergenza. Secondo la Mezzaluna Rossa nella Città Vecchia a un ferito con proiettili veri alla coscia è stato impedito di raggiungere l’ospedale.

“I soldati della Fossa dei Leoni sono attualmente impegnati nella battaglia per la dignità”, ha affermato lunedì un comunicato stampa rilasciato dal gruppo di resistenza armata la Fossa dei Leoni. “Una battaglia per gli stessi valori di Al-Azizi, Al-Nabulsi e Al-Wadee”, riferendosi ai combattenti caduti che erano figure di spicco del gruppo di resistenza armata. La dichiarazione prosegue invitando i palestinesi ad affrontare le incursioni israeliane.

Vicino all’ingresso occidentale della città le forze israeliane hanno circondato un edificio e lo hanno attaccato con una serie di esplosivi, come mostrano filmati condivisi con Mondoweiss da abitanti e giornalisti locali.

Alle 2:30 del mattino le moschee della città hanno dato l’allarme avvertendo dell’incursione con suoni acuti, mentre nel centro della città sono seguiti scontri armati. In concomitanza con la Fossa dei leoni, anche le Brigate Quds-Battaglione Nablus, un gruppo di resistenza armata affiliato alla Jihad islamica palestinese (PIJ), si sono unite agli scontri.

Il Battaglione Nablus delle Brigate Al-Quds, secondo una dichiarazione sul suo account Telegram, ha riferito che il suo gruppo si è unito agli scontri contro le forze di invasione israeliane e ha sparato ordigni esplosivi da diverse posizioni.

L’assalto è stato così brutale che testimoni oculari lo hanno definito un “vero campo di battaglia”. Riprese video e reportage di giornalisti locali mostrano continue e consecutive sparatorie con munizioni vere. Queste si sono ulteriormente intensificate quando un veicolo dell’esercito si è fermato vicino a una scuola a Nablus, mentre i combattenti della resistenza hanno continuato a sparare contro l’esercito mentre si ritirava intorno alle 4:00 del mattino.

Alle 4:25, la Mezzaluna Rossa ha riferito che Ameer Bustami è stato dichiarato morto dopo diversi tentativi di rianimazione da parte dei medici dell’ospedale Rafidia vicino a Nablus.

Secondo locali fonti di notizie di Jenin, durante l’incursione di domenica al campo profughi di Jenin per arrestare Gibril Zubeid i combattenti della resistenza palestinese hanno impiegato un drone volante per monitorare il movimento dei veicoli militari israeliani che invadevano il campo. Questo è considerato un nuovo sviluppo della resistenza palestinese che, fino allo scorso anno, si era limitata a lanciare pietre e bombe molotov contro le forze israeliane d’invasione.

Con l’uccisione di Bustami, il numero di palestinesi uccisi in Cisgiordania è salito a 48 in meno di due mesi dall’inizio del nuovo anno, compresi dieci minori.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Il piano per mettere dietro le sbarre un israeliano antisionista

Oren Ziv

9 febbraio 2023 – +972 Magazine

La collusione tra la polizia e le organizzazioni di destra per incriminare lo storico attivista Jonathan Pollak è un allarmante inasprimento che minaccia tutti gli ebrei dissidenti.

Venerdì scorso i palestinesi della città cisgiordana di Beita, vicino Nablus, hanno fatto la loro manifestazione settimanale contro un avamposto di coloni israeliani costruito sulla loro terra circa due anni fa. In un clima tempestoso, mentre alcuni manifestanti bruciavano copertoni, altri esibivano le foto di un prigioniero politico, una scena consueta nelle proteste palestinesi. Ma questa volta l’immagine sui poster non era quella di un palestinese, ma di Jonathan Pollak, un attivista ebreo israeliano antisionista che è stato arrestato dai soldati israeliani durante la protesta della settimana precedente.

Pollak è stato attivo nella lotta palestinese per gran parte della sua vita ed è uno dei pochi israeliani che si unisce regolarmente alle manifestazioni popolari settimanali guidate dai palestinesi in tutta la Cisgiordania occupata e in Israele. Il quarantenne è stato arrestato una decina di volte nel passato e per quattro volte condannato; di norma si rifiuta di collaborare con i procedimenti giudiziari relativi alle denunce penali e alle accuse contro di lui, considerandole illegittime.

Ora Pollak si trova in un carcere israeliano da quasi due settimane. Il 27 gennaio, quattro giorni dopo il suo arresto, è stato incriminato con l’accusa di aver lanciato pietre contro una jeep della polizia di frontiera. A parte un piccolo numero di attivisti che appoggiano Pollak, e le organizzazioni di destra che hanno colto l’occasione per rafforzare la loro campagna contro gli attivisti israeliani anti-apartheid, il suo arresto non ha provocato molta sensazione – nonostante il fatto che la polizia abbia chiesto la sua detenzione fino al termine del processo, cosa molto rara quando si tratta di attivisti israeliani.

Ma il recente arresto di Pollak dovrebbe interessare ad ogni attivista, compresi quelli che sono scesi in piazza ogni sabato sera nell’ultimo mese per protestare contro il governo di estrema destra. La possibilità che quei manifestanti siano continuamente arrestati e subiscano false accuse può essere minima, ma c’è comunque molto da imparare da questa vicenda.

Persecuzione politica’

I palestinesi manifestano regolarmente nella cittadina di Beita dal maggio 2021, quando i coloni hanno insediato l’avamposto di Eviatar sul Monte Sabih con l’appoggio dello Stato che ha preso possesso delle terre appartenenti a palestinesi a Beita, Qabalan e Yatma. Beita è diventata il fulcro della resistenza all’ avamposto, con gli abitanti e gli attivisti accampati sul Monte Sabih per oltre 100 giorni consecutivi, prima che le manifestazioni divenissero settimanali. Dall’inizio delle proteste sono stati uccisi dall’esercito israeliano 10 palestinesi, e più di mille sono stati feriti da proiettili di metallo ricoperti di gomma, in spugna, di piccolo calibro e proiettili veri. Migliaia hanno anche inalato gas lacrimogeni.

Il 27 gennaio, il giorno in cui Pollak è stato arrestato, la protesta a Beita si è svolta non solo di fronte a Eviatar, ma anche all’ingresso della città vicino all’autostrada 60. A mezzogiorno una jeep della polizia di frontiera ha caricato i manifestanti e i poliziotti hanno arrestato Pollak. In tribunale la sua avvocata, Riham Nasra, ha detto che Pollak aveva sentito due poliziotti che concordavano la loro versione della vicenda del suo arresto.

Pollak è stato anche interrogato in merito ad una denuncia sporta contro di lui dall’organizzazione di destra Ad Kan, che ha precedentemente avviato un’azione legale contro Pollak; la denuncia lo accusava di aver intralciato un poliziotto durante il suo servizio e di uso pericoloso del fuoco (copertoni in fiamme) durante una manifestazione nel villaggio di Burqa, sempre vicino a Nablus, nel 2019. Il 30 gennaio Ad Kan si è vantata su Twitter del fatto che la polizia l’aveva contattata dopo l’arresto di Pollak, a quanto pare per richiedere prove incriminanti.

La polizia non lo ha negato e ha detto a +972: “La polizia di Israele ha condotto un’indagine nei confronti di parecchi sospettati in seguito a disturbo dell’ordine pubblico pubblico avvenuto nell’area della Samaria (Cisgiordania settentrionale). Al termine dell’indagine è stato deciso dall’ufficio del procuratore di inoltrare un esposto del procuratore contro uno dei sospettati.” Questo strumento legale consente alla polizia di tenere un indiziato in custodia per parecchi giorni dopo la conclusione di un’indagine e prima che venga formulata un’incriminazione. Solo Pollak è stato arrestato in quell’occasione.

In seguito Liran Baruch del ‘Disabled Forum for Israel’s Security’ dell’esercito (collegato con l’organizzazione di destra Im Tirtzu) ha inoltrato alla polizia un’altra denuncia contro Pollak per un discorso da lui tenuto quando ha ricevuto il Premio Yeshayahu Leibowitz nel 2021 – un premio assegnato ogni anno dal movimento di obiettori di coscienza Yesh Gvul ad un attivista israeliano per il suo impegno contro l’occupazione. Nel suo discorso di accettazione Pollak ha ripetuto le parole che aveva scritto in un articolo su Haaretz dopo il suo arresto nel 2020, che invitavano gli israeliani a “marciare accanto ai ragazzi delle pietre e delle bottiglie molotov.” Pollak è già stato interrogato a questo proposito quando è stato arrestato nel 2021 e non è ancora chiaro se verrà incriminato per questo fatto.

Giovedì scorso, circa 24 ore dopo la denuncia di Baruch, Pollak è stato portato in una cella ed interrogato dalla polizia distrettuale di Tel Aviv. “La polizia mi ha assicurato che rimarrà sotto custodia fino alla fine del procedimento”, ha poi affermato Baruch su Twitter, aggiungendo: “Le accuse consistevano nell’attacco e lancio di pietre contro le forze di sicurezza, anche venerdì scorso, e nell’incitamento all’uccisione di ebrei nel suo famoso discorso ‘Unitevi ai ragazzi della generazione delle pietre e delle bottiglie molotov.’ Facciamo in modo che ogni anarchico che alzi la mano contro le forze di sicurezza e lo Stato di Israele sappia che prima o poi faremo i conti con lui.” La polizia non ha negato quanto riferito da Baruch.

Questa è persecuzione politica”, ha affermato Nasra, avvocata di Pollak. “In passato sono state sporte denunce contro Pollak, ma chiedere la detenzione fino al termine del processo è una nuova escalation. Non vediamo molte richieste come questa in casi riguardanti attivisti di sinistra ebrei”.

Le autorità sanno (che manifesta là ogni settimana) e non ha condanne per incidenti violenti”, continua Nasra. “Quando hanno arrestato Pollak uno dei poliziotti gli ha detto: ‘Ti conosco, sei qui per provocare’. La denuncia è debole e basata su tre testimonianze di poliziotti che, secondo Pollak, fin dall’inizio dell’indagine erano concordate.” A parte questo, Pollak ha rivendicato il suo diritto a non rispondere.

Un vero sostenitore della lotta palestinese’

Storico attivista antisionista, Pollak all’inizio degli anni 2000 fu co-fondatore di ‘Una sola lotta’, un gruppo anarchico che sottolineava i legami tra i diritti degli animali e altre forme di oppressione, compresa l’occupazione. E’ anche membro fondatore di ‘Anarchici contro il muro’, i cui attivisti si unirono alla lotta popolare nei villaggi palestinesi, tra cui Mas’ha, Budrus, Bil’in, Nil’in e decine di altri in Cisgiordania, contro la costruzione della barriera di separazione di Israele sulle loro terre da quasi dieci anni. Nel 2005 fu ricoverato in ospedale dopo essere stato colpito alla testa da un candelotto lacrimogeno sparato da un soldato israeliano durante una protesta a Bil’in.

Dopo il completamento da parte di Israele del muro nelle aree rurali palestinesi della Cisgiordania, Pollak fu tra i pochi attivisti israeliani che si unirono alle proteste nel villaggio di Nabi Saleh, dove i palestinesi facevano manifestazioni fin dal 2009 contro l’appropriazione di una sorgente del villaggio da parte di coloni israeliani. Partecipa anche regolarmente alle dimostrazioni contro le appropriazioni dei coloni nel quartiere di Gerusalemme di Sheikh Jarrah e contro la gentrificazione che spinge gli abitanti palestinesi fuori dalle loro case a Giaffa. Nell’ultimo anno e mezzo si è recato quasi ogni settimana a Beita.

Pollak, che non si copre il volto durante le manifestazioni a cui partecipa, da parecchi anni è diventato un bersaglio delle organizzazioni israeliane di destra. Esse hanno pubblicato un filmato in cui partecipa alle manifestazioni, aiuta a bloccare le strade per impedire le incursioni dell’esercito, porta ai palestinesi copertoni da bruciare – ma non hanno mai prodotto prove che sia ricorso ad alcun tipo di violenza. Nel 2019 fu aggredito da due israeliani mentre lasciava gli uffici del quotidiano Haaretz, dove lavora. Uno di loro cercò di accoltellarlo e lo ferì al viso; un altro gridò anche che lui era un “pazzo sinistrorso”.

Nel 2018 Ad Kan sporse una denuncia penale contro Pollak e altri due attivisti israeliani, Kobi Snitz e Ilan Shalif, per la loro partecipazione ad una manifestazione contro il muro in Cisgiordania. Nel processo, il primo del genere contro attivisti anti-occupazione, Ad Kan sostenne che “insieme ad altri rivoltosi essi hanno attaccato illegalmente soldati dell’esercito israeliano e agenti della polizia di frontiera.” Le diverse autorità non ritennero opportuno incriminare i tre attivisti.

Pollak rifiutò di assistere al procedimento giudiziario e in seguito fu raggiunto da un mandato di arresto. Dopo essere riuscito ad evitare numerosi tentativi di detenzione, fu arrestato nel gennaio 2020 e incarcerato per un mese e mezzo, fino a quando il pubblico ministero comunicò che stava rinviando le procedure nel processo di denuncia penale. Così facendo la causa contro Pollak e i due altri attivisti fu di fatto chiusa.

L’ultima condanna per Pollak è stata nel 2021: è stato accusato di intralcio ad un agente di polizia in servizio durante una manifestazione vicino al muro a Betlemme nel 2017. È stato condannato a 30 giorni di prigione e altri due mesi di libertà condizionale nei due anni seguenti. Come nel procedimento per la denuncia fatta da Ad Kan, Pollak ha scelto ancora una volta di non collaborare. Il giudice, Eitan Cohen, ha scritto nella sentenza che il rifiuto di Pollak di collaborare ha contribuito alla decisione di condannarlo. Il giudice ha deliberato che la risposta di Pollak nelle udienze relative all’accusa di aver intralciato un agente di polizia – “Non li ho intralciati abbastanza” – si configurava come “ammissione di colpevolezza”.

Khaled Abu-Qare, un attivista che ha partecipato all’ultima protesta di venerdì a Beita, ha detto a +972: “I palestinesi a Beita la scorsa settimana hanno esibito orgogliosamente la foto di Jonathan Pollak per esprimere il loro sostegno alla sua causa, che è direttamente legata alla causa palestinese. Il suo caso è stato citato dall’imam durante le preghiere del venerdì di fronte a centinaia di persone, perché lui è un vero sostenitore della lotta palestinese per la decolonizzazione dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo). La presenza di Jonathan sul campo è ciò che lo pone nel cuore dei palestinesi. Lui chiama le cose con il loro nome: apartheid. È stato leale con la lotta palestinese, perciò i suoi compagni sono leali verso di lui e noi chiediamo il suo immediato rilascio.”

Pagare il prezzo

Dal momento in cui la polizia ha arrestato Pollak, molte istituzioni israeliane – compresa la polizia, l’ufficio del procuratore e le organizzazioni di destra – si sono mobilitate per fargli pagare un alto prezzo per le sue attività politiche. Perché per loro sia facile farlo non è un mistero: alla luce delle sue esplicite opinioni politiche e della documentazione delle sue proteste (che l’esercito e la destra amano definire “terrorismo popolare”), il suo arresto non provocherà proteste nella Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] come nel caso degli arresti di coloni del movimento “hilltop youth” [I giovani della cima della collina] che aggrediscono i palestinesi.

La velocità e l’efficienza con cui le incriminazioni, che comprendono gravi accuse, sono state disposte contro di lui meno di una settimana dopo il suo arresto e la collaborazione tra la polizia e i gruppi di destra dovrebbero mettere in allarme chiunque scenda in strada per protestare – anche se ha opinioni opposte a quelle di Pollak. Fatta eccezione per le testimonianze dei tre agenti e un rapporto segreto, la polizia non ha presentato finora alcuna prova reale. Ma in tribunale è la loro parola contro quella di Pollak. E su loro richiesta, salvo una nuova decisione, non verrà rilasciato fino alla prossima udienza il 13 febbraio.

Gli arresti arbitrari durante le proteste e la rapida formulazione di incriminazioni basate su scarse prove, mentre sono un’anomalia per gli israeliani, sono la realtà per migliaia di palestinesi ogni anno, oltre alle centinaia di prigionieri in detenzione amministrativa senza accuse. I pochi attivisti israeliani che si sono uniti alle proteste in Cisgiordania negli ultimi anni sono stati normalmente protetti rispetto a queste prassi perché erano ebrei; anche quando sono stati arrestati sono stati rilasciati entro un giorno e di norma non vi è stata alcuna incriminazione nei loro confronti. Ma con il nuovo governo di estrema destra e l’attuale clima politico anche questo potrebbe cambiare – e non solo per i pochi che vanno a manifestare a Masafer Yatta, Sheikh Jarrah o nella Valle del Giordano, che da anni subiscono violenze e aggressioni da parte dei soldati e dei coloni.

Durante le manifestazioni “Balfour” [dal nome della via in cui risiede il premier, ndt.] contro il precedente governo di Benjamin Netanyahu, che si sono svolte per gran parte del 2020 fino all’inizio del 2021, la polizia israeliana ha arrestato centinaia di manifestanti e in seguito ha elevato denunce contro parecchi di loro. Ed è stato là che, per la prima volta, ha usato misure che fino ad allora erano state largamente riservate ai palestinesi, agli haredim [ultraortodossi, ndt.] e agli ebrei etiopi che protestavano. Se le manifestazioni di massa contro l’attuale governo e la sua proposta di riforma giudiziaria diventerà la “disobbedienza civile” che i leader della protesta invocano, i manifestanti di centro sinistra potrebbero trovarsi anch’essi a subire arresti arbitrari e incriminazioni come Pollak.

Nel suo discorso di accettazione nel ricevere il Premio Yeshayahu Leibowitz nel 2021, Pollak ha detto: “Tra il fiume e il mare c’è un solo regime colonialista che è del tutto illegittimo. E quando il regime è illegittimo qual è il ruolo dei membri della società coloniale che lo rifiutano? Qual è il nostro ruolo?”

La lotta per la liberazione deve essere condotta da coloro che cercano di liberarsi, non da noi”, ha continuato. “Quando i sudafricani bianchi si opposero all’apartheid…si unirono come minoranza all’ANC [African National Congress, il partito di Mandela, ndt.] – alcuni di loro hanno anche imbracciato le armi – nella lotta per cacciare il regime di apartheid e il colonialismo. È lo stesso qui in Palestina: per unirsi davvero alla lotta per eliminare l’apartheid i pochi coloni ebrei che sono interessati a questo devono levarsi contro l’essenza del regime coloniale, non contro questa o quella manifestazione di esso.”

Ed ha concluso: “Dobbiamo cercare e trovare la nostra strada all’interno del movimento di liberazione palestinese, tenendo conto che gli ebrei devono essere una minoranza (in esso) e che solo in questo modo…attraverso un ribaltamento consistente degli equilibri di potere, possiamo lavorare per la vera uguaglianza e la liberazione.”

Oren Ziv è un fotoreporter, corrispondente di Local Call [versione in ebraico di +972], e membro fondatore del collettivo di fotografi Activestills.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Aggressione con un’auto uccide due persone nella Gerusalemme est occupata

Al Jazeera e agenzie di notizie

10 febbraio 2023 – Al Jazeera

Il conducente ha lanciato la sua macchina contro un’affollata fermata dell’autobus nell’illegale colonia di Ramot prima di essere colpito e ucciso.

La polizia e i medici israeliani affermano che un palestinese ha lanciato la sua auto contro un’affollata fermata d’autobus nella Gerusalemme est occupata, uccidendo due persone, tra cui un bambino, prima di essere colpito e ucciso.

L’attacco con l’auto di venerdì è avvenuto nella colonia israeliana illegale di Ramot. Le tensioni sono notevolmente cresciute nella parte orientale della città dopo che il 27 gennaio, compiendo l’aggressione più mortale a Gerusalemme da oltre un decennio, un palestinese ha condotto un attacco a mano armata fuori da una sinagoga uccidendo sette persone.

Il pronto soccorso ha identificato le due persone uccise venerdì come un bambino di sei anni e un uomo ventenne. Ha affermato che i medici stanno curando cinque feriti, compreso un bambino di otto anni in condizioni critiche ricoverato in rianimazione. Gli altri feriti vanno dai 10 ai 40 anni e si trovano in condizioni da moderate a gravi.

È stata una scena scioccante,” afferma il paramedico Lishai Shemesh, che si trovava nei pressi nel momento dell’attacco. “Ero in auto con mia moglie e i miei figli e ho notato un’auto che si è lanciata a tutta velocità contro una fermata dell’autobus investendo le persone in attesa.”

La polizia ha affermato che un agente fuori servizio ha sparato al sospetto e lo ha ucciso sul posto. Non ci sono informazioni immediate sulla sua identità.

Immagini mostrano poliziotti e paramedici che si affollano attorno a una Mazda blu incidentata e schiantatasi contro la fermata dell’autobus. Corpi sanguinanti giacciono sparsi sul luogo.

La casa del sospetto verrà demolita

Le organizzazioni palestinesi Jihad Islamico e Hamas, che governa la Striscia di Gaza, hanno lodato l’attacco ma non lo hanno rivendicato.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito l’incidente un’aggressione “terroristica” e ha ordinato che le forze di sicurezza vengano potenziate.

Il sito di notizie israeliano i24 ha informato che Netanyahu ha deciso di far sigillare e distruggere la casa del sospetto.

Il segretario di Stato USA Antony Blinken ha duramente condannato l’attacco in vista della sua visita nella regione intesa a ridurre le tensioni.

Prendere di mira deliberatamente civili innocenti è ripugnante e inconcepibile,” ha detto Blinken in un comunicato.

La colonia israeliana di Ramot venne costruita nel 1974 su terreni confiscati ai villaggi palestinesi di Beit Iksa e Beit Hanina.

Israele rivendica tutta Gerusalemme come sua capitale indivisibile, mentre l’Autorità Nazionale Palestinese vorrebbe Gerusalemme est, conquistata da Israele nella guerra dei Sei Giorni del 1967, come capitale del suo futuro Stato.

Da quando lo scorso anno Israele ha incrementato le incursioni e i palestinesi gli “attacchi individuali” in Israele, a Gerusalemme est e in Cisgiordania occupate le ostilità sono aumentate vertiginosamente.

Secondo l’importante associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem nel 2022, l’anno più letale in quei territori dal 2004, circa 150 palestinesi sono stati uccisi a Gerusalemme est e in Cisgiordania occupate.

L’anno scorso 30 persone sono morte in attacchi palestinesi contro israeliani.

In base a un calcolo dell’Associated Press [agenzia di notizie USA, ndt.] finora quest’anno sono stati uccisi 43 palestinesi, 10 dei quali in un conflitto a fuoco durante un’incursione dell’esercito a Jenin, in Cisgiordania.

Il nuovo governo israeliano di estrema destra guidato da Netanyahu ha accusato il precedente esecutivo di inazione dopo una serie di attacchi palestinesi, sollevando interrogativi riguardo alla sua posizione nei confronti dei palestinesi in un momento di accresciute tensioni.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’esercito israeliano uccide 5 palestinesi durante l’incursione nel campo profughi di Aqbat Jabr

MARIAM BARGHOUTI

6 FEBBRAIO 2023 – MONDOWEISS

Dopo un assedio di dieci giorni imposto a Gerico e dintorni l’esercito israeliano ha assaltato il campo profughi di Aqbat Jabr e ha ucciso 5 palestinesi

Lunedì mattina, 6 febbraio, le forze israeliane hanno condotto un’incursione mortale nel campo profughi di Aqbat Jabr, situato a sud-ovest di Gerico, nella Valle del Giordano. Aqabat Jabr è il più grande campo profughi della Cisgiordania.

Il raid arriva più di una settimana dopo che un palestinese avrebbe aperto il fuoco in un ristorante vicino alla colonia illegale di Almog il 28 gennaio. Nessuno è rimasto ferito nella sparatoria e lo sparatore è fuggito. Le forze israeliane hanno successivamente lanciato una caccia all’uomo di una settimana che ha comportato la chiusura dell’area di Gerico e che è culminata con l’incursione di questa mattina.

I palestinesi descrivono l’incursione come una “missione omicida” che prende di mira i combattenti della resistenza ricercati nell’area.

L’esercito israeliano ha inizialmente riferito che almeno quattro palestinesi sono stati uccisi e uno gravemente ferito, anche se i media palestinesi e israeliani sostengono che il bilancio delle vittime sia più alto alcuni parlano dell’uccisione di sette persone.

I cinque palestinesi uccisi sono stati identificati dal Ministero della Salute palestinese (MOH) come Ra’fat Wael Oweidat, 21 anni, Ibrahim Wael Oweidat, 27, Malek Ouni Lafi, 22, Adham Majdi Oweidat, 22, e Thaer Oweidat, 28.

Inoltre i media israeliani hanno riferito che l’esercito ha trattenuto i corpi di tutti i palestinesi uccisi.

Il ministero della Salute palestinese deve ancora confermare ufficialmente il numero totale delle vittime. Prima di mezzogiorno ora locale ha rilasciato una dichiarazione secondo cui “non ci sono informazioni ufficiali sullo stato di salute dei cittadini arrestati dalle forze di occupazione durante l’attacco alla città”.

Secondo la Mezzaluna Rossa palestinese almeno tre palestinesi sono stati feriti con proiettili veri durante l’incursione. Nel campo sono stati arrestati altri otto palestinesi.

L’incursione su Aqbat Jabr

L’incursione di lunedì mattina avviene più di una settimana dopo una presunta sparatoria in un ristorante vicino ad Almog. Secondo fonti militari israeliane e l’agenzia di notizie Aqsa, affiliata ad Hamas, i combattenti che hanno effettuato la sparatoria erano membri delle Brigate Izz al-Din al-Qassam, l’ala militare di Hamas.

Sabato, appena due giorni prima dell’incursione mortale di lunedì, l’esercito ha condotto un’operazione simile nello stesso campo profughi con il pretesto di cercare i colpevoli della sparatoria, ma l’esercito israeliano ha annunciato di non essere stato in grado di arrestare i combattenti della resistenza responsabili.

L’incursione odierna è avvenuta all’alba, quando, secondo gli abitanti del campo, le forze israeliane hanno circondato una casa.secondo i rapporti militari israeliani che sono stati confermati da fonti di notizie palestinesi locali e dagli abitanti del campo.

Secondo i rapporti militari israeliani confermati da fonti di notizie palestinesi locali e dagli abitanti del posto l’invasione è durata almeno quattro ore

Secondo il corrispondente dell’esercito israeliano Itay Blumenthal l’esercito ha preso di mira e ucciso i due combattenti della resistenza armata presumibilmente responsabili della sparatoria all’incrocio della colonia di Almog e ne ha ucciso altri tre durante gli scontri.

Secondo i giornalisti e il personale medico sul posto è stato negato l’accesso al campo ai giornalisti e al personale medico.

Poche ore dopo l’incursione un testimone oculare ha detto: “Questa è una politica sistematica della macchina da guerra israeliana per prevenire la denuncia dei crimini quotidiani commessi contro i palestinesi”.

Aggiunge: “Questo mira a spezzare il popolo palestinese, siamo presi di mira nelle nostre case, nelle nostre fattorie e non si fa nulla. Ci sono crimini di guerra organizzati che vengono compiuti per allontanarci dalle nostre case” e chiede: “fino a quando la comunità internazionale rimarrà in silenzio e non sarà in grado di fermare questi crimini?”

Un assedio di dieci giorni

A seguito dell’incursione nel campo di sabato 4 febbraio, che ha visto scontri sia armati che disarmati da parte degli abitanti del campo, l’esercito israeliano ha rilasciato una dichiarazione in cui rilevava la sua incapacità di catturare i responsabili della sparatoria.

Dal 4 febbraio tutti i punti di entrata e di uscita intorno a Gerico sono stati bloccati dai militari, mentre l’esercito ha eretto diversi posti di blocco volanti nell’area circostante perquisendo le auto e trattenendo i palestinesi in viaggio da e per Gerico.

Secondo la Palestine Prisoners Society nell’arco di dieci giorni più di 23 palestinesi sono stati arrestati ad Aqbat Jabr , compresi almeno due minori. Altri 13 palestinesi sono stati arrestati durante incursioni militari in Cisgiordania, in particolare nei distretti di Nablus e Ramallah.

La scorsa settimana l’esercito israeliano ha anche chiesto di rafforzare la sua presenza in Cisgiordania dispiegando nuovi battaglioni in varie aree.

I palestinesi entrano in sciopero generale

In seguito alle uccisioni nel campo profughi i palestinesi di Gerico hanno risposto bruciando pneumatici e protestando contro le forze israeliane intorno ai punti di ingresso della città.

Vari gruppi politici palestinesi hanno chiesto di rispondere con ulteriori reazioni agli assalti israeliani e agli attacchi contro i palestinesi in Cisgiordania e Gerusalemme. A Gerico, Ramallah, Salfit, Hebron e Nablus i palestinesi hanno dichiarato uno sciopero generale, chiudendo i negozi per tutto il giorno. Gruppi di queste località hanno anche chiesto ad altri paesi e città di osservare lo sciopero.

I consigli studenteschi di Birzeit, Gerusalemme e Hebron hanno chiesto un “giorno della rabbia” pubblico e il confronto con l’esercito israeliano ai posti di blocco militari.

La resistenza armata palestinese ha continuato a diffondersi in Cisgiordania e a Gerusalemme. Mentre la resistenza armata era inizialmente concentrata nel campo profughi di Jenin e Nablus, si è poi diffusa fino alla nascita di piccoli gruppi armati in aree come Ramallah, Tubas, Salfit, Tulkarem, Hebron e Gerico.

Il 26 gennaio le forze israeliane hanno invaso il campo profughi di Jenin e ucciso dieci palestinesi in quello che è diventato noto come il massacro del giovedì nero. Da allora sono state segnalate diverse sparatorie in vari punti del territorio occupato.

Dall’inizio dell’anno, le forze israeliane e i coloni armati hanno ucciso 41 palestinesi. Nelle prime cinque settimane del 2023 sono stati uccisi più palestinesi che in tutti i primi quattro mesi dello scorso anno, segnalando una probabile escalation della violenza nella regione.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Da un apartheid all’altro tra Soweto e Nazareth

Jean Stern, inviato speciale a Nazareth

6 febbraio 2023 – Orient XXI

Gli abitanti di Nazareth non vivono sotto occupazione militare come in Cisgiordania o sotto un blocco come a Gaza. Però, sia a Soweto visitata nel 1989 sia nella città araba del nord di Israele visitata nel 2022, lo spirito degli abitanti e l’organizzazione urbana e sociale riflettono il fulcro dell’apartheid che è la separazione.

Settembre 1989, Soweto. La gigantesca città nera alle porte di Johannesburg contava allora più di 2 milioni e mezzo di abitanti ed io mi ci recai poco prima che Nelson Mandela uscisse dal carcere, l’11 febbraio 1990. L’apartheid, che relegava i neri del Sudafrica in uno stato di cittadinanza di serie B e in zone specifiche, crollò allora ovunque. Sotto l’influenza di Mandela e dei suoi sostenitori le manifestazioni si moltiplicarono nelle strade delle città sudafricane. Vennero violentemente represse a Soweto come in tutto il Paese. Durante quelle proteste vennero uccisi centinaia di neri, così come dopo decenni centinaia di palestinesi durante manifestazioni a Gaza, nei Territori [palestinesi occupati, ndt.], a Gerusalemme est, ma anche a Nazareth. Nell’autunno del 2000 la polizia israeliana uccise molti abitanti di Nazareth, che manifestavano la loro solidarietà con la rivolta di Gerusalemme est.

Stiamo conquistando la nostra libertà”

Soweto nel 1989 era un mondo a parte, un immenso ghetto urbano, ma è meno tagliato fuori dal mondo di quanto non lo siano oggi Gaza e i territori palestinesi occupati. Si poteva entrare ed uscire anche se, a seconda delle circostanze, i poliziotti controllavano più o meno severamente l’accesso alle sue strette strade e alle sue casette di lamiera ondulata.

Percorsi di notte i locali clandestini di Soweto, gli shebeens, incontrai persone ottimiste che preparavano il futuro di un Paese presto liberato da un sistema razzista contestato dal mondo intero. “Stiamo conquistando la nostra libertà”, diceva Souizo, un uomo di una trentina d’anni, che ballava con me per la gioia di vedere crollare l’apartheid. Dopo tanta rabbia e tanti morti, Souizo sapeva che la mobilitazione mondiale aveva fatto uscire dall’ombra la loro lotta. Con i suoi amici era fiero di spazzare via un sofisticato e subdolo sistema di discriminazione.

A Nazareth, grosso centro orientale e polveroso, più di 30 anni dopo incontro invece persone inquiete, depresse, che pensano che il loro futuro sia bloccato. Città di pellegrinaggi per una parte della cristianità, conosciuta a livello mondiale quanto Soweto, la città della Galilea si trova all’interno delle frontiere del 1948, non lontano dal lago di Tiberiade. In linea d’aria Jenin è a una ventina di chilometri. Popolata soprattutto da arabi, musulmani e cristiani, il suo agglomerato urbano conta circa 200.000 abitanti.

I miei interlocutori condividono la visione premonitrice di Nelson Mandela, espressa nel 2001:

L’efficacia della separazione si misura in termini di capacità di Israele di mantenere lo Stato ebraico e di non avere una minoranza palestinese che potrebbe avere la possibilità di diventare maggioritaria nel futuro. Se questo accadesse, ciò costringerebbe Israele a diventare uno Stato democratico o binazionale laico, oppure a trasformarsi in uno Stato di apartheid de facto.”

Sì, siamo guardati con ostilità”

La maggior parte di coloro che incontro, che una volta venivano chiamati arabi israeliani e che oggi in gran parte preferiscono definirsi palestinesi, ne è testimone. Mandela aveva ragione. Cittadini di serie B, solidali con i palestinesi rinchiusi dall’altra parte del muro o bloccati a Gaza, hanno assolutamente l’impressione di vivere quotidianamente un apartheid. “Sì, per noi l’orizzonte è bloccato, a meno di lasciare questo Paese. Sì, siamo guardati con ostilità dalla maggioranza ebrea di questo Paese. Non dicono tutti i giorni ‘morte agli arabi’, come i coloni più estremisti, ma molti lo pensano”, dice Nassira, una giovane architetta.

Nazareth è cambiata dopo la creazione dello Stato di Israele nel 1948. All’inizio c’era Nazareth “bassa”, 75.000 abitanti di cui il 35% cristiani. Dopo oltre un secolo la città della presunta Annunciazione è in maggioranza musulmana. “Nazareth è stata segnata nel 1948 dall’espulsione della popolazione e dalla demolizione da parte degli israeliani di due villaggi palestinesi contigui, Saffuriya e Ma’aloul”, mi spiega Reda, un intellettuale palestinese trentenne molto impegnato. Fare partire la popolazione araba era l’obbiettivo della creazione nel 1956 di “Nazareth alta”, ©, 40.000 abitanti, ribattezzata nel 2019 Nof HaGalil [Vista sulla Galilea] per distinguersi dalla sua rivale araba. Nazareth Illit è un progetto urbano concepito per riequilibrare la popolazione della Galilea. In questo Paese la demografia governa la politica, come osservava Mandela. Nel 1973 centinaia di persone appena arrivate dall’URSS si stabilirono a Nazareth Illit. Già allora, dopo un sordido fatto di cronaca scesero per le strade al grido di “morte agli arabi”.

La separazione urbana si vede a occhio nudo, anche se non ci sono posti di blocco né barriere tra la vecchia Nazareth araba e la nuova Nazareth a maggioranza ebrea.

Arrivando si scoprono due centri commerciali, il primo nella conca alle porte della città vecchia e il secondo sulle alture all’entrata di Nof HaGalil.

Quello in basso si chiama Big Fashion e quello in alto Mail One. Sono quasi uno di fronte all’altro, a qualche centinaio di metri. Gli stessi marchi internazionali, in basso H&M, Adidas, Mango, Pizza Hut, McDonald e in alto ancora Adidas e anche Mango, Castro, Diesel. La separazione è fatta, un centro per gli arabi, un altro per gli ebrei. A Nazareth ci si evita. I neri di Soweto non avevano il diritto di aggirarsi nei lussuosi centri commerciali del centro di Johannesburg e si accontentavano dei negozi del ghetto, spesso gestiti da indiani, classificati come “indians” dall’apartheid.

L’apartheid inizia nel mio letto”

Ricchi e poveri, bianchi o neri, ebrei o arabi, la regola della separazione produce società spaccate. Si può tradurre il termine apartheid con ‘mettere da parte’, ed è proprio ciò che accade in Israele. Mata, cittadino israeliano, musicista di una quarantina d’anni, riccioli alla Jim Morrison, lo racconta: “La legge produce discriminazione. Per esempio mia moglie ed io abbiamo due status differenti; l’apartheid quindi è già nel mio letto.” Nassira, sua moglie, è “residente” di Gerusalemme est, dove è nata, e di fatto non ha gli stessi diritti di suo marito.

È semplice,” mi spiega Nassira. “Mata ha il diritto di voto, io no. Può prendere l’aereo per andare dove vuole da un momento all’altro, io no. Ha potuto andare nell’università che ha scelto, io no. Viviamo qui insieme, ma io potrei essere costretta da un momento all’altro a ritornare a Gerusalemme est.” Infatti l’assemblea nazionale israeliana nella primavera del 2022 ha rimesso in vigore una legge che impedisce il ricongiungimento familiare per matrimonio tra palestinesi di Israele, di Gerusalemme est e dei territori [palestinesi occupati].

Quale democrazia prevede per una parte della sua popolazione quattro status differenti, a seconda che abiti, come a Nazareth, entro le frontiere del 1948 [cioè in Israele, ndt.], a Gerusalemme est, in Cisgiordania o a Gaza?

L’identità araba è percepita come una minaccia”

Reda denuncia anche la legge del 2018 sullo Stato-Nazione del popolo ebraico, che consacra Israele come una teocrazia ebraica. “Non capisco come gli amici di Israele possano accettare questo. A me non importa di essere ebreo, cristiano o musulmano. Qui l’identità araba è percepita come una minaccia. I media, la vox populi, ci fanno sapere chiaramente che facciamo parte di coloro che minacciano Israele”, precisa.

La piccola galleria-libreria- sala da concerto nel cuore di un suk in piena rinascita, dove ci ritroviamo una sera per un’avvincente esibizione della cantante elettro-folk Sama Mustafa, è un locale accogliente, come i numerosi caffè nei dintorni, come il Centro Baladna – “la nostra città” in arabo – aperto nel 2021 da un collettivo di giovani palestinesi.

Ritrovo l’atmosfera degli shebeens [bar clandestini sudafricani in cui si servivano alcoolici senza licenza, ndt.]. Come a Soweto, ognuno racconta una storia di oppressione, di umiliazione. “Si sta bene qui ed è il nostro momento di tranquillità”, mi spiega Louisa. “Essere israeliane non significa niente per noi. Il mio bisnonno era turco, mio nonno inglese, mio padre israeliano. Israele non è il mio Paese, e me lo fa sapere.”

Quarantenne gioviale, Siman viene da una famiglia comunista e cristiana di Nazareth. Ha lavorato a lungo nel cinema, a Tel Aviv e in tutto il mondo. “Nell’ottobre 2000 si erano organizzate a Nazareth delle manifestazioni a sostegno dell’Intifada. Sono state brutalmente represse, ci sono stati dei morti. Allora ho capito che Israele era uno Stato di apartheid. Non voglio più essere una marionetta imprigionata.” Siman fa una pausa. “Gli israeliani non vogliono porre rimedio alle discriminazioni, le utilizzano e le gestiscono. È questo il loro apartheid.”

Khaled, un professore di matematica incontrato il giorno seguente, mi dice più o meno la stessa cosa. “L’apartheid? Bisogna intendersi sul senso dei termini. Per esempio, io posso dirvi che sono antisionista, quindi godo di una certa libertà di espressione, ma non posso sposare una ragazza di Ramallah o di Gaza, che non potrà venire a vivere con me. E se per esempio io lavorassi nella filiale di Nazareth di una ditta di informatica di Tel Aviv, sarei pagato il 40% in meno di un ebreo israeliano…”

A Soweto avevo incontrato un commesso di una profumeria, che guadagnava nettamente meno dei suoi colleghi bianchi e non lavorava nemmeno nello stesso posto.

Ho capito che era la mia terra”

Certo a Nazareth c’è una borghesia araba ricca, come a Soweto c’era una borghesia nera. Amat, un aitante giovanotto anch’egli molto gioviale, lavora in una società di gestione e guadagna bene. A 27 anni gira in decappottabile, porta vestiti di marca, si destreggia con due cellulari. Si fa il segno della croce davanti ad ogni chiesa, rendendo la scoperta delle stradine strette e ripide nel suo coupé divertente, ma caotica… “Io dico che sono Amat, non dico mai che sono cristiano, musulmano o ebreo”, mi spiega trascinandomi in una visita approfondita dei confini della città, alcuni visibili, un viale, la fine di un isolato, altri invisibili. “Ci sono molti bambini musulmani nelle scuole cristiane, ma non ci sono cristiani o musulmani nelle scuole ebraiche”, dice ad esempio. Amat sottolinea anche la crescente insicurezza. I numerosi e sanguinosi regolamenti di conti fra trafficanti di droga per lui sono la prova che il governo si cura poco della vita degli arabi. Amat segnala l’impossibilità per la sua famiglia di acquistare un appartamento sulle alture di Haifa o a Tel Aviv. Non è una questione di soldi, ma “nessuno vende a noi.”

Kaid è un ragazzo gracile, appena uscito dall’adolescenza. A 18 anni, nella primavera del 2021 ha subito un arresto arbitrario, un pestaggio e tre notti di prigione. Kaid manifestava la sua solidarietà con i palestinesi di Gerusalemme est, di Gaza, della Cisgiordania. La manifestazione è stata brutalmente dispersa, molti giovani arrestati a Nazareth, ma anche a Haifa e a Lod [altre città israeliane con presenza araba, ndt.]. Kaid ammette senza vergogna di aver avuto paura. “Ho l’età per divertirmi, ma le cose che mi sono successe mi hanno cambiato. Dopo sono andato a Gerusalemme e a Betlemme, per la prima volta nella mia vita. Ho capito che era la mia terra.” Ciò che lo rende orgoglioso è che suo nonno e suo padre si sono battuti senza sosta per farlo liberare e non hanno avuto una parola di rimprovero per aver manifestato.

Per Reda, a cui racconto la storia di Kaid, “parlare di una polizia che ci prende di mira è parlare di apartheid. Dieci o venti anni fa quando parlavamo di apartheid ci si accusava di radicalismo, aggiunge. Un’organizzazione israeliana, B’Tselem, ha posto la questione dell’apartheid, seguita da Amnesty. È bello sapere che almeno il problema dei nostri diritti non è più a geometria variabile.”

Anche se, aggiunge Mata, “le cose non stanno cambiando. È molto deprimente.”

L’accesso all’acqua e all’educazione al primo posto

Due esempi tratti dal rapporto di Amnesty International chiariscono le differenze di livello nelle discriminazioni di cui sono vittima i palestinesi a seconda del luogo in cui risiedono. Per chi vive nei territori [palestinesi occupati, ndt.] l’accesso all’acqua è limitato. Il loro consumo è di circa 70 litri al giorno per persona, contro i 369 litri per un colono israeliano. Secondo le Nazioni Unite il 90% delle famiglie di Gaza deve comprare l’acqua a un prezzo molto alto presso gli impianti di desalinizzazione o di purificazione. I palestinesi che vivono in Israele invece hanno accesso alle stesse quantità di acqua degli altri cittadini. Con la notevole eccezione dei beduini del Negev, soggetti ad una serie di misure restrittive, compreso l’accesso all’acqua corrente…

Quanto all’educazione, gli alunni palestinesi di ambienti sfavoriti in Israele e a Gerusalemme est dispongono di meno risorse rispetto agli alunni ebrei. Secondo uno studio del 2016 il 30% di finanziamenti in meno per ora di apprendimento nella scuola elementare, il 50% in meno alle medie inferiori e il 75% in meno alle superiori.

Molti detrattori della posizione di Amnesty considerano che ciò che può sembrare pertinente per la Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est non lo è per l’Israele di prima del 1967. Significa dimenticare che dopo la Nakba gli arabi rimasti in Israele sono stati sottoposti dal 1948 al 1966 ad un regime militare con espulsione dalle case, arresti arbitrari e un sistema drastico di controllo e sorveglianza – antenato di Pegasus [sistema israeliano di spionaggio elettronico, ndt.]. Rimuovere la polvere della Storia è uno dei meriti del rapporto di Amnesty.

Jean Stern

Veterano di Libération, La Tribune e La Chronique d’Amnesty International. Ha pubblicato nel 2012 Les patrons de la presse nationale, tous mauvais [I padroni della stampa nazionale, tutti cattivi] per La Fabrique; per le edizioni Libertalia: nel 2017 Mirage gay à Tel Aviv [Miraggio gay a Tel Aviv] e nel 2020 Canicule [Canicola].

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




Rapporto OCHA del periodo 10 – 30 Gennaio 2023

Questo rapporto copre eccezionalmente tre settimane.

1). In Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, durante il periodo di riferimento, sono stati uccisi 31 palestinesi, 6 israeliani e un cittadino straniero; sono rimasti feriti 441 palestinesi e nove israeliani, compreso un membro delle forze israeliane.

2). Durante una operazione condotta da forze israeliane nel Campo profughi di Jenin sono stati uccisi dieci palestinesi, tra cui due minori e una donna, e altri 26 sono rimasti feriti: tutti colpiti con proiettili veri. Questo è il numero più alto di palestinesi uccisi in una singola operazione da quando, nel 2005, l’OCHA iniziò a registrare in Cisgiordania il numero di vittime. Lo stesso giorno, un undicesimo palestinese è stato ucciso da forze israeliane nella città di Ar Ram (Gerusalemme), nel corso di una protesta contro l’operazione condotta a Jenin (seguono dettagli). Il 26 gennaio, forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo. Secondo l’esercito israeliano, citato dai media israeliani, l’operazione era finalizzata all’arresto di palestinesi sospettati di pianificare attacchi contro israeliani. Durante l’operazione le forze israeliane hanno circondato un edificio; ne è nato uno scambio a fuoco con palestinesi, tre dei quali sono stati uccisi e un altro è stato arrestato; tutti e quattro sono stati rivendicati dalla Jihad islamica come affiliati. Altri tre palestinesi sono stati uccisi in scontri a fuoco con forze israeliane: costoro sono stati rivendicati come affiliati sia dalla Brigata dei martiri di Al-Aqsa che dalla Jihad islamica. Inoltre, tre palestinesi, tra cui due minori (16 e 17 anni) e una donna palestinese di 61 anni, sono stati colpiti e uccisi con proiettili veri da forze israeliane, benché, secondo quanto riferito, non costituissero alcuna minaccia immediata. Durante l’operazione di cui sopra, le forze israeliane hanno sparato gas lacrimogeni nelle vicinanze dell’ospedale di Jenin, colpendo l’unità pediatrica e rendendo necessaria l’evacuazione dei pazienti, compresi i minori. Quando le forze israeliane hanno sparato con missili a spalla contro l’edificio residenziale dove sono stati uccisi i tre palestinesi, sono stati distrutti diversi appartamenti, provocando lo sfollamento di tre persone. Durante l’operazione nessun soldato israeliano ha riportato ferite. Un palestinese, rivendicato come affiliato dalla Brigata dei martiri di Al-Aqsa, è deceduto il 29 gennaio per le ferite da arma da fuoco riportate il 26 gennaio nel Campo profughi di Jenin. Dopo l’operazione, in tutta la Cisgiordania, i palestinesi hanno tenuto manifestazioni; nel corso di alcune di esse i partecipanti hanno lanciato pietre e mortaretti contro le forze israeliane che, a loro volta, hanno sparato lacrimogeni, proiettili di gomma e proiettili veri. Un palestinese è stato ucciso vicino alla città di Ar Ram (Gerusalemme) durante una protesta contro l’operazione di Jenin e almeno altri 147 sono rimasti feriti (vedi sotto).

3). In un insediamento israeliano a Gerusalemme est, un palestinese ha sparato, uccidendo sei israeliani, tra cui un minore, e un cittadino straniero (per un totale di sette vittime); cinque israeliani sono rimasti feriti in questo e in un altro attacco palestinese, sempre in Gerusalemme est (seguono dettagli). Il 27 gennaio, un palestinese ha sparato, uccidendo sei israeliani, tra cui un ragazzo di 14 anni, e un cittadino straniero; ne ha quindi feriti altri tre nell’insediamento israeliano di Neve Ya’acov a Gerusalemme est. L’aggressore è stato successivamente colpito e ucciso dalla polizia israeliana. Dal 2008 questo è l’attacco più mortale condotto da palestinesi contro israeliani.

Il 28 gennaio, a Silwan, Gerusalemme est, un palestinese di 13 anni ha sparato, ferendo due israeliani, prima di essere colpito e ferito. Sono state segnalate altre due sparatoria: una vicino ad Almog, un insediamento israeliano a sud di Gerico, e un secondo contro un autobus israeliano sulla strada 60 vicino all’insediamento di Karmei Tsur, a nord di Hebron. Non sono stati segnalati feriti, solo danni al bus. Sulle strade della Cisgiordania, in ulteriori tre episodi separati, almeno tre veicoli israeliani sono stati danneggiati da pietre o bottiglie incendiarie lanciate da persone conosciute come palestinesi, o ritenute tali.

4). In Cisgiordania, forze israeliane hanno ucciso sette palestinesi, tra cui un ragazzo; altri due palestinesi sono morti per le ferite riportate durante operazioni di ricerca-arresto e altre operazioni condotte da forze israeliane (seguono dettagli). L’11 gennaio, nel Campo profughi di Balata (Nablus), durante uno scontro a fuoco seguito a un’incursione sotto copertura di un’unità dell’esercito israeliano, forze israeliane hanno sparato con proiettili veri, ferendo un palestinese che in seguito è morto per le ferite riportate.

Il 12 gennaio, nel Campo profughi di Qalandiya (Gerusalemme), durante un’operazione di ricerca-arresto, un palestinese è stato ucciso da forze israeliane mentre cercava di impedire loro di arrestare il figlio.

Il 16 gennaio, forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo profughi di Ad Duheisha (Betlemme), innescando scontri con palestinesi che hanno lanciato pietre e bottiglie molotov, mentre le forze israeliane hanno sparato proiettili veri e lacrimogeni: un ragazzo palestinese di 14 anni è rimasto ucciso, colpito da proiettili veri.

Il 19 gennaio, forze israeliane hanno effettuato una operazione nel Campo profughi di Jenin, dove hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi; due palestinesi sono stati uccisi, tra cui un insegnante che stava cercando di aiutare uno dei palestinesi feriti durante l’operazione. Durante la stessa operazione, secondo quanto riferito, un soldato israeliano è stato ferito da un ordigno esplosivo lanciato da un palestinese e tre palestinesi sono stati arrestati.

Il 12 gennaio, forze israeliane hanno fatto irruzione nella città di Qabatiya (Jenin), dove hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi, due dei quali sono stati colpiti e uccisi.

Inoltre, il 14 e il 25 gennaio, un palestinese è morto per le ferite riportate il 2 gennaio ad opera delle forze israeliane a Kafr Dan (Jenin); un altro è stato ucciso nel Campo profughi di Shu’fat (Gerusalemme), colpito da proiettili veri sparati da forze israeliane durante scontri tra manifestanti e forze israeliane; entrambi sono rimasti uccisi durante demolizioni punitive di case di due palestinesi che avevano ucciso soldati israeliani prima di essere uccisi a loro volta.

5). In episodi separati, alcuni dei quali avvenuti ai checkpoints militari israeliani prossimi a Ramallah, Qalqilya e Hebron, forze israeliane hanno ucciso altri sette palestinesi, compreso un minore (seguono dettagli). Il 14 gennaio, nei pressi di Al Fandaqumiya (Jenin), forze israeliane hanno inseguito due palestinesi, colpendoli ed uccidendoli nel loro veicolo; secondo l’esercito israeliano, avevano aperto il fuoco contro soldati nei presi di Jaba’ (Jenin).

Il 15 gennaio, a un checkpoint volante disposto all’ingresso di Silwad (Ramallah), forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese; secondo testimoni oculari, è stato colpito da una distanza ravvicinata, dopo essere sceso dall’auto per controllare il figlio, che era stato spruzzato da forze israeliane con spray al peperoncino. Secondo i media israeliani, le forze israeliane hanno inizialmente affermato che l’uomo aveva lanciato pietre o aveva cercato di sottrarre l’arma ad un soldato; tuttavia, successivamente hanno ammesso che l’uccisione potrebbe essere stata ingiustificata.

Il 17 gennaio, un palestinese ha aperto il fuoco contro soldati in servizio ad un checkpoint militare vicino all’ingresso di Halhul (Hebron); è stato colpito e ucciso. Secondo le forze israeliane, che ne hanno trattenuto il corpo, l’uomo era sospettato di aver sparato contro un autobus il 15 gennaio. Durante l’episodio, due passanti palestinesi sono stati colpiti e feriti con proiettili veri dalle forze israeliane.

In un altro episodio, accaduto il 30 gennaio al checkpoint militare di Al Salaymeh, nell’area H2 della città di Hebron, forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese che, secondo le forze israeliane, aveva cercato di fuggire dopo essere passato con l’auto sul piede di un soldato.

Altri due distinti episodi sono stati registrati nei pressi dell’insediamento israeliano di Kedumim a est di Qalqiliya. Nel primo, accaduto il 25 gennaio, forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese che, secondo le forze israeliane, aveva cercato di accoltellare soldati israeliani posizionati a un checkpoint. Nel secondo caso, accaduto il 29 gennaio, una guardia dell’insediamento israeliano ha sparato, uccidendo un palestinese che, secondo le forze israeliane, era stato avvistato vicino all’insediamento con una pistola. In nessuno dei cinque episodi sopra descritti è stato registrato alcun ferimento di israeliani.

Il 27 gennaio, un sedicenne palestinese è deceduto per ferite: il 25 gennaio era stato colpito da forze israeliane durante una manifestazione palestinese tenutasi nell’area di Silwan a Gerusalemme Est per protestare contro una demolizione punitiva avvenuta nel Campo profughi di Shu’fat (altri dettagli sotto).

6). Nei pressi degli avamposti di insediamenti di nuova costituzione a Hebron e Ramallah, coloni israeliani hanno sparato, uccidendo due palestinesi: il primo aveva accoltellato un colono israeliano; il secondo aveva tentato l’accoltellamento (seguono dettagli). L’11 gennaio, nei pressi di un nuovo avamposto colonico costruito su un terreno appartenente a palestinesi di As Samu’ (Hebron), un palestinese ha aggredito e ferito con un coltello un colono israeliano; a sua volta l’aggressore è stato colpito, con arma da fuoco, e ucciso da un altro colono.

Il 21 gennaio, nei pressi di un avamposto colonico di nuova costituzione vicino a Kafr Ni’ma (Ramallah), un altro palestinese è stato colpito e ucciso da un colono israeliano; come mostrato in un filmato pubblicato sui media israeliani, il palestinese aveva tentato un accoltellamento. I corpi di entrambi i palestinesi sono stati trattenuti dalle autorità israeliane.

7). In Cisgiordania, durante il periodo di riferimento, 422 palestinesi, tra cui almeno 49 minori, sono stati feriti da forze israeliane; 74 di loro (18%) sono stati colpiti da proiettili veri (seguono dettagli). Dei feriti, 249 (59 %) sono stati registrati in varie manifestazioni, comprese quelle contro l’espansione degli insediamenti e le restrizioni di accesso relative agli insediamenti vicino a Kafr Qaddum (Qalqilya), Beit Dajan, Beita e Jurish (tutte a Nablus) e altre manifestazioni contro l’operazione Jenin che ha comportato la morte di dieci palestinesi (vedi sopra).

In altri sette episodi separati, tutti registrati nel governatorato di Nablus, 95 palestinesi sono rimasti feriti in seguito all’ingresso di coloni israeliani nelle Comunità palestinesi, accompagnati dalle forze israeliane.

Altri 70 feriti si sono avuti in operazioni di ricerca-arresto e in altre operazioni condotte da forze israeliane; tre si sono verificati durante demolizioni (vedi sotto); altri cinque feriti sono stati registrati a Tulkarm, Jenin e Qalqilya, quando forze israeliane hanno sparato proiettili veri contro palestinesi che cercavano di attraversare varchi nella Barriera per raggiungere il loro posto di lavoro in Israele. Complessivamente, 288 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, 74 sono stati colpiti da proiettili veri, 45 sono stati feriti con proiettili di gomma, sei sono stati aggrediti fisicamente, uno è stato colpito da una granata assordante, quattro da lacrimogeni e quattro da schegge.

8). Coloni israeliani hanno ferito 18 palestinesi, tra cui almeno un minore, in nove episodi, e persone conosciute come coloni israeliani, o ritenute tali, hanno causato danni a proprietà palestinesi in altri 42 casi (oltre a quelli feriti da forze israeliane nel summenzionato episodio riferito a coloni / seguono dettagli). Il 27 gennaio, sulla strada 60 vicino all’ingresso di Beita (Nablus), cinque palestinesi sono stati colpiti e feriti con proiettili veri sparati da coloni israeliani che hanno aperto il fuoco su un gruppo di palestinesi.

L’11 e il 28 gennaio, su una strada principale, vicino a Huwwara e Qusra (entrambe a Nablus), coloni israeliani hanno preso a sassate un veicolo palestinese, ferendo tre palestinesi.

Il 13 gennaio, in prossimità della Comunità di Al Mu’arrajat East (Ramallah), coloni israeliani hanno attaccato con bastoni e manganelli escursionisti palestinesi, ferendo due donne.

Il 18 gennaio, nelle vicinanze della Comunità di Khirbet Bir Al Idd di Masafer Yatta (Hebron), coloni israeliani hanno ferito due pastori palestinesi ed hanno attaccato il loro bestiame.

Il 20 gennaio, nel villaggio di Jurish (Nablus), coloni avevano collocato delle roulottes per impossessarsi di terreni di proprietà palestinese; ne è seguito uno scontro, con reciproco lancio di pietre, tra coloni israeliani e palestinesi e due palestinesi e un colono sono rimasti feriti.

Il 28 gennaio, a Qusra, coloni israeliani hanno attaccato i residenti palestinesi con pietre: due palestinesi sono rimasti feriti e sono stati segnalati danni a due veicoli e a una casa.

Il 27 e il 29 gennaio, in altri due distinti episodi, coloni israeliani hanno attaccato palestinesi che viaggiavano sulle strade vicino a Salfit e Huwwara, aggredendoli fisicamente e spruzzandoli con gas al peperoncino, ferendo due uomini e provocando danni ai loro veicoli.

In altri diciassette episodi, più di 1.500 alberi sono stati vandalizzati su terreni palestinesi, alcuni dei quali vicino a insediamenti israeliani, comprese aree in cui l’accesso palestinese richiede l’approvazione dell’esercito israeliano (comunemente indicato come “previo coordinamento”).

In altre tredici occasioni, persone conosciute come coloni, o ritenute tali, hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi, danneggiandone almeno ventuno. Altre proprietà palestinesi sono state danneggiate in dodici episodi registrati nei pressi di Al Ganoub e A Seefer (entrambi a Hebron), Kisan (Betlemme), Ras ‘Ein al ‘Auja (Gerico) e Beit Sira, Al Mazra’a al Qibliya, Turmus’ayya (tutti a Ramallah); secondo testimoni oculari e fonti della Comunità locale, questi includevano strutture agricole, trattori, raccolti e bestiame.

9). A Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, che sono quasi impossibili da ottenere, le autorità israeliane hanno demolito, confiscato o costretto la gente a demolire 88 strutture, comprese 21 abitazioni. Tre delle strutture erano state fornite da donatori come assistenza umanitaria. Di conseguenza, 99 palestinesi, tra cui 54 minori, sono stati sfollati e i mezzi di sussistenza di oltre 21.000 altri ne sono stati colpiti. Cinquantacinque delle strutture si trovavano in Area C, comprese cinque strutture demolite in base al Military Order 1797, che fornisce solo un preavviso di 96 ore e motivi molto limitati per impugnare legalmente una demolizione. Le restanti ventisei strutture sono state demolite a Gerusalemme est, di cui otto sono state distrutte dai loro proprietari, per evitare il pagamento di multe alle autorità israeliane. In Area B della Cisgiordania, le autorità israeliane hanno sigillato due pozzi d’acqua artigianali in costruzione, uno ad Habla e un altro a Kaqr Laqif (entrambi a Qalqiliya); entrambi i pozzi avrebbero fornito la principale fonte di acqua potabile e irrigazione per almeno 1.500 famiglie palestinesi in quattro Comunità.

10). Il 25 gennaio forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo profughi di Shu’fat, e il 28 gennaio a Ras al ‘Amud, entrambi a Gerusalemme est, dove hanno demolito o sigillato due edifici a più piani appartenenti a famiglie i cui membri avevano ucciso un soldato israeliano il 19 ottobre 2022, e sei israeliani e un cittadino straniero il 27 gennaio 2023. Di conseguenza, due famiglie, composte da 13 persone, tra cui cinque minori, sono state sfollate. Durante la demolizione nel Campo profughi di Shu’fat, i palestinesi hanno lanciato pietre contro le forze israeliane, che hanno sparato proiettili veri: un palestinese è stato ucciso (riportato sopra). Dall’inizio dell’anno, le autorità israeliane hanno demolito o sigillato, per motivi punitivi, quattro case e un’altra struttura, rispetto alle undici in tutto il 2022 e tre nel 2021. Queste includono tre strutture in Area B e due a Gerusalemme est. Queste demolizioni punitive sono una forma di punizione collettiva, proibita dal diritto internazionale e spesso innescano scontri tra le Comunità palestinesi e le forze israeliane, con conseguenti vittime.

11). Nel sud di Hebron una scuola finanziata da donatori è a rischio imminente di demolizione. Il 18 gennaio, l’Alta Corte di giustizia israeliana ha stabilito che il piano delle autorità israeliane di demolire la scuola può procedere a partire dal 28 gennaio. La scuola finanziata da donatori è frequentata da 47 minori della Comunità beduina palestinese di Khashm Al Karem, situata in un’area designata come “Zona a fuoco 917” nel sud di Hebron.

12). In Cisgiordania le chiusure continuano a interrompere l’accesso di migliaia di palestinesi a mezzi di sussistenza e servizi. A seguito di un attacco con armi da fuoco, accaduto il 28 gennaio nei pressi di Almog (un insediamento israeliano a sud di Gerico) dove non sono stati segnalati feriti o danni, forze israeliane hanno dispiegato checkpoints volanti davanti a tutti gli ingressi e le uscite della città di Gerico, e successivamente hanno chiuso tutti e cinque i punti di accesso da e per Jericho City per un giorno intero (28 gennaio). Da allora sono stati eretti cinque checkpoints, compreso l’utilizzo di blocchi di cemento, e gli ingressi principali della città sono presidiati da forze israeliane. Ai checkpoints sono state effettuate lunghe perquisizioni, soprattutto all’uscita dalla città di Gerico. Ciò ha limitato il movimento di circa 50.000 persone, costringendo i residenti a utilizzare strade sterrate alternative e lunghe deviazioni per accedere a cliniche, scuole e mercati. In altri due circostanze, il 23 e il 29 gennaio, nell’area H2 della città di Hebron, forze israeliane hanno chiuso l’As Salaymeh (Checkpoint 160) per diverse ore durante l’orario scolastico. Ciò ha limitato gli spostamenti di circa 1.200 residenti della zona ed ha pregiudicato l’accesso di circa 300 studenti alle undici scuole vicine. In una di queste occasioni, le forze israeliane hanno applicato limiti di età, consentendo di attraversare il checkpoint solo ai minori sotto i 13 anni. Il 15 gennaio, l’esercito israeliano ha bloccato, con cumuli di terra e blocchi di cemento, l’ingresso della Comunità di Khirbet ‘Atuf a Tubas, ostacolando il movimento di almeno 120 palestinesi; secondo quanto riferito in risposta al lancio di pietre palestinesi contro veicoli israeliani.

13). Nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana o al largo della costa, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso, in almeno 56 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento; non sono stati segnalati feriti o danni. In una occasione, bulldozer militari israeliani hanno spianato terreni all’interno di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale a est di Khan Younis.

14). Sempre nella Striscia di Gaza, il 25 e 26 gennaio, gruppi armati palestinesi hanno lanciato una serie di razzi e proiettili verso il sud di Israele; i razzi sono stati intercettati o sono caduti in aree aperte a Gaza e in Israele. Forze israeliane hanno lanciato una serie di attacchi aerei contro siti militari appartenenti a gruppi armati della Striscia di Gaza. Non sono stati segnalati feriti da entrambe le parti, ma sono stati provocati danni ai siti presi di mira a Gaza.

Questo rapporto riflette le informazioni disponibili al momento della pubblicazione. I dati più aggiornati e ulteriori analisi sono disponibili su ochaopt.org/data.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it