Gaza: due mesi dopo la guerra l’enclave palestinese resta paralizzata

Adam Khalil – Gaza, Striscia di Gaza sotto assedio

31 luglio 2021- Middle East Eye

A Gaza le restrizioni israeliane alle importazioni hanno ostacolato gli sforzi di ricostruzione e aumentato la disoccupazione, ma ciò porterà a nuove ostilità?

Due mesi dopo il raggiungimento da parte di Israele e Hamas di un accordo di cessate il fuoco che ha segnato la fine di un conflitto durato 11 giorni che ha ucciso 248 palestinesi nella Striscia di Gaza e 13 persone in Israele, nell’enclave palestinese sotto assedio per molti la vita è rimasta sospesa.

I due milioni di palestinesi che vivono a Gaza continuano ad affrontare le rigide restrizioni israeliane all’ingresso delle merci nel piccolo territorio, che provocano una grave recessione economica e rendono impossibile la ricostruzione.

Mentre la mediazione dell’Egitto ha avuto successo nel porre fine alle uccisioni e alla distruzione, gli sforzi del Cairo devono ancora riuscire a riportare la situazione a Gaza ai livelli prebellici – uno status quo che era già precario e difficile per i suoi abitanti, che vivono da 14 anni sotto l’assedio israeliano.

Data l’ostinazione da parte di Israele nel voler collegare la questione delle importazioni e della ricostruzione al rilascio di quattro israeliani che si ritiene siano detenuti da Hamas, gli analisti sono divisi sul fatto che la paralisi in corso a Gaza possa innescare ulteriori scontri lungo la linea di confine.

Tentativi di ricostruzione in sospeso

A Gaza fonti ufficiali hanno reso noto che le rigide restrizioni israeliane hanno avuto effetti negativi su tutti gli aspetti della vita nel territorio palestinese sotto assedio, portando a un aumento senza precedenti della povertà e dei tassi di disoccupazione.

Rami Abu al-Rish, direttore generale del commercio e valichi del ministero dell’Economia di Gaza, ha riferito a Middle East Eye: “Israele non consente l’accesso di più del 30% della quantità di articoli e merci che entrava a Gaza prima dello scoppio della guerra, il che ha causato un aumento pazzesco dei prezzi”.

Israele ha impedito l’importazione a Gaza di materie prime, materiali da costruzione, elettrodomestici ed apparecchiature, nonché attrezzature in legno, metallo e plastica, imponendo rigide restrizioni alle esportazioni e consentendo l’uscita dal territorio palestinese solo di piccole quantità di prodotti e pesce.

Abu al-Rish aggiunge che le restrizioni hanno portato Gaza a uno stato di “paralisi” in vari settori industriali, commerciali e agricoli, determinando conseguenze negative sulla popolazione in generale, con un tasso di disoccupazione salito al 75%.

Secondo il ministero dell’Economia di Gaza negli ultimi mesi migliaia di lavoratori hanno perso il proprio sostentamento, sia a causa della distruzione di strutture commerciali e industriali, sia della sospensione della produzione a causa del blocco e delle limitazioni, oltre che per l’impatto delle restrizioni marittime [la marina israeliana mantiene un blocco a tre miglia dalla costa, con periodici inasprimenti fino alla chiusura totale della zona di pesca, ndtr.] sulla vita di migliaia di persone il cui sostentamento dipende dalla pesca.

Con le merci ordinate bloccate sul versante israeliano dei valichi, le imprese palestinesi si trovano in sofferenza. Adel Hussein, direttore di un’azienda che lavora nel settore dell’energia solare, ha dichiarato a MEE: “Ci sono grosse spedizioni di merci per la nostra e per altre aziende che non possono entrare, nonostante la sofferenza della Striscia di Gaza a causa delle interruzioni di corrente e la necessità di impianti per la produzione di energia solare.”

Secondo le stime dell’Alto Comitato governativo per la ricostruzione di Gaza, le perdite e i danni dovuti agli 11 giorni di guerra ammontano a circa 479 milioni di dollari [404 milioni di euro, ndtr.]. Tuttavia Hussein sostiene che il costo a lungo termine del conflitto è difficile da quantificare.

“Le perdite dirette a causa della guerra sono ormai evidenti, ma ci sono anche quelle legate alla chiusura, e nessuno ne parla, non se ne discute”, dice. “C’è una grave recessione economica dovuta alla mancanza di molti beni e allo scarso potere d’acquisto dei cittadini».

Nel frattempo, dalla Grande Marcia del Ritorno del 2018 Israele ha bloccato l’accesso degli aiuti del Qatar, pari a circa 30 milioni di dollari [25 milioni di euro, ndtr.] al mese, – impedendo a Mohammed al-Emadi, un funzionario del Comitato per la ricostruzione del Qatar, di portare i soldi in una valigia attraverso il valico di Erez.

Israele ha sostenuto che le procedure per la concessione degli aiuti a Gaza devono essere modificate per garantire che non giungano nelle mani di Hamas – modifiche finora respinte dall’organizzazione palestinese, che dal conflitto armato nel 2007 con il rivale politico Fatah è di fatto il partito di governo nella Striscia di Gaza.

La municipalità di Gaza City, che è la più grande della Striscia di Gaza, è stata colpita in modo particolarmente pesante dalle restrizioni sulle importazioni. Secondo il ministero dei Lavori pubblici e degli alloggi a Gaza, sono state distrutte circa 1.800 unità abitative, mentre circa 16.800 abitazioni sono state parzialmente danneggiate. Tra gli edifici distrutti risultano cinque torri, 74 strutture pubbliche e governative, 66 scuole e tre moschee.

Il consigliere comunale Hisham Skaik ha riferito a MEE che in seguito allo scoppio della guerra sono stati interrotti 13 progetti infrastrutturali in corso.

“L’inasprimento delle restrizioni a Kerem Shalom, l’unico valico commerciale verso Gaza, ha anche causato il mancato avvio di circa 16 progetti infrastrutturali, che erano stati finanziati due anni fa e i cui contratti erano già stati firmati”, dice Skaik.

Aggiunge inoltre che il Comune deve ancora ricevere molti aiuti internazionali per far fronte ai danni causati a maggio alle infrastrutture dagli attacchi aerei israeliani, stimati in 20 milioni di dollari [17 milioni di euro, ndtr.].

Per al-Rish, “l’orizzonte è bloccato”. Con la situazione di Gaza che peggiora di giorno in giorno, l’imprenditore palestinese non vede alcun indizio di una svolta a breve termine.

Pressioni per il rilascio dei prigionieri

Si ritiene che, attraverso le sue rigide restrizioni sulle importazioni, Israele stia deliberatamente facendo pressioni su Hamas per ottenere il rilascio di quattro israeliani, due dei quali morti, che si pensa siano trattenuti dal movimento palestinese a Gaza.

Secondo quanto riferito, i corpi dei soldati israeliani Oron Shaul e Hadar Goldin sarebbero nelle mani di Hamas dalla guerra del 2014. Due civili israeliani, Avera Mengistu e Hisham al-Sayed, sono finiti accidentalmente a Gaza rispettivamente nel 2014 e nel 2015 e si ritiene che siano tenuti prigionieri da Hamas.

Hamas ha insistito affinché il rilascio avvenga nel quadro di un accordo di scambio di prigionieri simile all’accordo Shalit del 2011, in seguito al quale un soldato israeliano, Gilad Shalit, è stato consegnato in cambio di 1.027 palestinesi imprigionati da Israele.

In seguito ai tentativi di mediazione condotti dall’Egitto fonti ufficiali palestinesi hanno affermato che finora non sono stati compiuti progressi tangibili.

In risposta, Hamas e le sue fazioni alleate a Gaza hanno cercato negli ultimi giorni di esercitare pressioni su Israele attraverso il parziale rilancio dei cosiddetti interventi di “confusione notturna”, già attuati durante la Grande Marcia del Ritorno lungo la barriera di separazione tra Gaza e Israele – dall’incendio notturno di pneumatici al lancio di palloni incendiari ed esplosivi verso il territorio israeliano al di là di Gaza.

Secondo i rapporti dei media israeliani i funzionari militari e della sicurezza del Paese temono la possibilità di un rinnovato confronto con Hamas nel caso persistesse lo stallo sull’ingresso a Gaza degli aiuti del Qatar e sui colloqui per l’accordo sui prigionieri, e non fossero allentate le continue difficoltà economiche e umanitarie nell’enclave e le persistenti tensioni nella Gerusalemme est occupata, inclusa la moschea di al-Aqsa.

Il portavoce di Hamas Abdul-Latif al-Qanu ha avvertito che “ulteriori restrizioni nei confronti di Gaza genereranno solo una violenta reazione contro l’occupazione”.

Ma l’analista politico palestinese Hassan Abdo esclude una ripresa del confronto militare su larga scala con Israele nel breve termine.

La realtà sul campo a Gaza dopo l’ultima guerra non ha i requisiti idonei per una nuova fase di scontri armati, mentre d’altra parte il nuovo governo israeliano guidato da Naftali Bennett è un governo ‘fragile’ che teme che qualsiasi scontro con Gaza porti alla sua caduta».

Tuttavia Abdo non scarta la prospettiva che le continue restrizioni israeliane nei confronti di Gaza potrebbero portare al riemergere di movimenti della Grande Marcia del Ritorno e alla nascita di nuove forme di resistenza all’occupazione”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)