Tribunale israeliano consente alla NSO di continuare a vendere tecnologia per lo spionaggio ai governi autoritari

13 lug 2020 – Al Jazeera

Amnesty afferma che il sistema di spionaggio tecnologico Pegasus viene utilizzato dai governi repressivi per colpire attivisti e giornalisti a favore dei diritti umani.

Un tribunale israeliano ha respinto la richiesta di togliere alla controversa società israeliana di tecnologia per lo spionaggio NSO Group la licenza di esportazione per sospetto uso della tecnologia dell’azienda ai danni di giornalisti e dissidenti in tutto il mondo.

L’istanza legale, presentata da Amnesty International a gennaio, richiedeva al tribunale di impedire a NSO di vendere la sua tecnologia all’estero, in particolare a governi repressivi.

Il tribunale del distretto di Tel Aviv ha stabilito che gli avvocati di Amnesty non hanno fornito prove sufficienti “per dimostrare l’affermazione che fosse stato fatto un tentativo di rintracciare un attivista per i diritti umani cercando di hackerare il suo cellulare” o che l’hackeraggio fosse stato effettuato da NSO.

“La concessione di una licenza viene effettuata dopo un’indagine estremamente rigorosa e anche dopo la concessione dell’autorizzazione le autorità conducono dei controlli e rigorose indagini, se necessario”, ha affermato il tribunale. In caso di violazione dei diritti umani, ha aggiunto, tale permesso può essere sospeso o annullato.

Il tribunale ha emesso la sentenza domenica, ma l’ha resa pubblica solo lunedì.

Gil Naveh, portavoce di Amnesty International Israel, ha dichiarato che l’organizzazione è rimasta delusa ma non sorpresa.

“È una tradizione di lunga data da parte dei tribunali israeliani avvallare burocraticamente le decisioni del Ministero della Difesa israeliano”, ha detto.

L’organizzazione non è a conoscenza delle prove fornite dalla NSO o dal Ministero della Difesa alla corte, perché le udienze si sono tenute a porte chiuse. “Anche se lo sapessimo, non potremmo parlarne”, ha detto.

Nel 2018 Amnesty ha denunciato che uno dei suoi dipendenti è stato preso di mira dal sistema di spionaggio di NSO, affermando che un hacker ha cercato di penetrare nello smartphone del membro dello staff usando come esca un messaggio su WhatsApp riguardante una protesta davanti all’ambasciata saudita a Washington.

NSO, una società israeliana di noleggio hacker, utilizza il suo sistema di spionaggio Pegasus per prendere il controllo di un telefono, delle sue videocamere e dei suoi microfoni e per ricavarne i dati personali dell’utente.

L’azienda è stata accusata di vendere il suo software di sorveglianza a governi repressivi che lo usano contro i dissidenti. La clientela non viene rivelata, ma si ritiene che includa Stati mediorientali e latinoamericani. La società ha dichiarato di vendere la propria tecnologia ai governi approvati da Israele per aiutarli a combattere criminalità e terrorismo.

NSO Group ha affermato in una dichiarazione che la società “continuerà a lavorare per fornire tecnologia agli Stati e alle organizzazioni di intelligence”, aggiungendo che il suo scopo è “salvare vite umane”.

In un rapporto pubblicato il mese scorso Amnesty International ha affermato che il telefono del giornalista marocchino Omar Radi è stato violato con l’uso della tecnologia dell’NSO nell’ambito degli sforzi del governo per reprimere il dissenso.

Un dissidente saudita ha accusato l’NSO di essere coinvolta nell’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi nel 2018.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Un fotogiornalista palestinese rischia di essere espulso da Israele

Linah Alsaafin

1 giugno 2019 – Al Jazeera

Mustafà al-Kharouf, che vive a Gerusalemme est occupata, rischia l’espulsione in Giordania

Negli ultimi cinque mesi Mustafà al-Kharouf è stato a languire nel carcere israeliano di Givon, lontano dalla moglie Tamam e dalla figlia Asia di un anno e mezzo, ma ora rischia la deportazione in Giordania.

Il trentaduenne fotogiornalista, figlio di madre algerina e padre palestinese, ha vissuto a Gerusalemme dal 1999, quando la sua famiglia vi è tornata.

Nonostante vari tentativi negli ultimi dieci anni, gli è stato negato lo status di residente permanente, a cui avrebbe diritto, facendo quindi di lui un apolide.

Quando la famiglia di Kharouf ha raggiunto i requisiti stabiliti dalle regole per avere la residenza, Mustafà aveva 18 anni e la sua famiglia non poteva presentare per lui una richiesta di ricongiungimento familiare o di registrazione di un minore.

A gennaio Mustafà, che lavorava per l’agenzia Anadolu [agenzia di notizie turca, ndtr.], è stato arrestato dopo che il suo legale si è opposto alla decisione del ministero dell’Interno israeliano di negargli la domanda per la regolarizzazione. Ora il suo destino è nelle mani di un tribunale israeliano, che deciderà se sarà espulso in Giordania, un Paese con cui non ha nessun legame.

Per ottenere lo status legale come palestinesi in città, la famiglia di Kharouf aveva presentato richieste di ricongiungimento familiare.

Ma alla base delle complicate leggi israeliane per i residenti palestinesi di Gerusalemme – a cui vengono concessi i diritti di residenza ma non la cittadinanza israeliana – è la politica del “centro della vita”, che è stata descritta come una “pulizia etnica legalizzata”.

Questa politica, che esige dai palestinesi che vivono nella Gerusalemme est occupata di dimostrare di avere il centro della propria vita in città per conservare il proprio status giuridico, è stata criticata dai gruppi per i diritti umani in quanto discriminatoria e come prodromo dell’espulsione – una grave violazione delle leggi internazionali.

Status giuridico rifiutato dal ministero degli Interni israeliano

Adi Lustigman, l’avvocatessa di Kharouf dell’organizzazione israeliana per i diritti umani “HaMoked”, ha detto ad Al Jazeera che per anni Kharouf ha cercato di regolarizzare la propria situazione a Gerusalemme, ma senza risultati. “Ha avuto un permesso temporaneo per qualche tempo, ma per il resto si è solo arrangiato in qualche modo, come fanno molti altri abitanti di Gerusalemme, apolidi e privi di status,” ha affermato Lustigman. “Ovviamente è estremamente difficile essere una persona senza diritti, senza permesso di lavoro e senza un luogo in cui andare per essere legale.”

Dall’ottobre 2014 all’ottobre 2015 Kharouf ha ottenuto un visto israeliano di lavoro B/1 per “ragioni umanitarie”. Eppure alla fine le richieste di una proroga del visto sono state rigettate dal ministero dell’Interno per “ragioni di sicurezza”.

Lustigman crede che i rifiuti del ministero riguardino il suo lavoro come fotogiornalista che documenta le violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità israeliane a Gerusalemme est occupata.

Dopo che nel 2016 si è sposato con Tamam, una palestinese di Gerusalemme, Kharouf ha presentato un’altra domanda di ricongiungimento familiare, ma è stata di nuovo rigettata nel dicembre del 2018 dal ministero dell’Interno.

Secondo Lustigman, la decisione era basata su accuse infondate secondo cui Kharouf sarebbe membro di Hamas, messa fuorilegge da Israele.

Il 21 gennaio 2019 l’avvocatessa ha presentato appello contro la decisione, ma il giorno dopo le forze israeliane hanno fatto irruzione nella casa di Kharouf e lo hanno arrestato, e da allora è sottoposto a detenzione amministrativa – incarcerazione indefinita senza processo o accuse contro di lui. “Mio marito è la persona più ottimista che conosca, ma ora è disperato,” ha detto ad Al Jazeera Tamam, la moglie di Kharouf.

Tamam ha il permesso di visitare suo marito una volta alla settimana per un massimo di 20 minuti solo attraverso una vetrata.

Il suo stato d’animo è molto peggiorato da quando è stato arrestato,” dice la ventisettenne consulente scolastica. “Ha perso 10 chili ed è molto depresso.”

Pochi mesi fa, in aprile, il tribunale distrettuale israeliano ha rigettato l’appello di Kharouf e gli ha concesso un permesso provvisorio perché non sia espulso, in modo che possa presentare il suo caso all’Alta Corte israeliana, con il 5 maggio come scadenza. L’appello è già stato presentato, ma l’Alta Corte non ha ancora preso una decisione. Kharouf rimane esposto al rischio di essere espulso in Giordania.

Ordine di espulsione ‘illegale’

Saleh Hijazi, il capo dell’ufficio di Amnesty International a Gerusalemme, ha definito la decisione israeliana di negare la richiesta di residenza di Kharouf e di espellerlo “crudele e illegale”. “[Kharouf] deve essere rilasciato immediatamente e gli deve essere concessa la residenza permanente a Gerusalemme est in modo che possa riprendere la sua vita normale con la moglie e la figlia,” dice Hijazi.

L’arresto arbitrario e la prevista espulsione di Mustafà al-Kharouf riflettono la pluriennale politica israeliana di riduzione del numero di palestinesi residenti a Gerusalemme est, negando loro i diritti umani,” prosegue.

In seguito all’annessione illegale di Gerusalemme est da parte di Israele nel 1967, almeno 14.600 palestinesi si sono visti revocare il permesso di residenza.

In base alla Quarta Convenzione di Ginevra l’espulsione da un territorio occupato di persone protette è illegale. Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale stabilisce che “la deportazione o il trasferimento [da parte del potere occupante] di tutta o parte della popolazione del territorio occupato all’interno o fuori da questo territorio” costituisce un crimine di guerra.

Una persona non può essere resa apolide,” ha sostenuto in aprile con un comunicato stampa Jessica Montell, direttrice esecutiva di HaMoked. “A livello pratico, non ha senso mantenere Mustafà in ‘attesa di espulsione’ quando non c’è nessun Paese in cui Israele lo possa espellere.

L’Alta Corte di Giustizia ha riconosciuto gli abitanti di Gerusalemme est come popolazione indigena con uno status unico. Israele quindi deve rilasciare senza indugio Mustafà e concedergli lo status legale a cui ha diritto in quanto gerosolimitano.”

Tamam si è molto impegnata per consultare avvocati e vedere quello che si può fare, ma dice che la maggior parte di loro afferma che il caso di suo marito è troppo complicato ed ha rifiutato di occuparsene.

Non ho mai pensato a un progetto alternativo per noi,” dice Tamam. “Se Mustafà viene espulso in Giordania, non otterrà la residenza, per non parlare della cittadinanza. Di fatto verrà arrestato dalle autorità giordane appena attraversato il confine per tutto il tempo che ci vorrà perché controllino la sua documentazione e prendano una decisione su cosa farne di lui,” continua. Se viene espulso non sarà solo una famiglia che verrà separata. Verrà strappato a me e a mia figlia, ai suoi genitori e ai suoi suoceri.”

Lustigman afferma che mettere in evidenza il caso di Kharouf può fare la differenza per non sradicare la vita del fotogiornalista.

Speriamo che l’opinione pubblica, l’interesse della stampa e le azioni delle Ong possano avere un certo peso ed aiutare,” sostiene l’avvocatessa.

(traduzione di Amedeo Rossi)