Biden ha perso il contatto con la realtà

Odeh Bisharat

20 luglio 2022 – Haaretz

Nonostante le infinite dichiarazioni del presidente USA Joe Biden secondo cui la meta del suo viaggio era Israele e dopo aver incessantemente declamato quello che si pensava che avrebbe dichiarato durante la sua visita, sembra che qualcosa sia andato storto: la sua mente sveglia ha ritenuto di trovarsi sul suolo ucraino. Quando ha messo piede sulla pista dell’aeroporto internazionale Ben Gurion è diventato estremamente empatico con il Paese che sta lottando contro l’occupazione. Che errore imbarazzante.

Ma persino dopo che finalmente si è reso conto di essere in Medio Oriente e non in Ucraina è rimasto ossessionato dall’argomento dell’occupazione. Ha manifestato al proprio staff sorpresa riguardo al motivo per cui il primo ministro israeliano Yair Lapid non va in giro in uniforme come il presidente ucraino Vladimyr Zelenskyy, che sta combattendo contro i russi. Perché non sta infondendo nell’eroico popolo ebraico uno spirito combattivo. Dov’è lo spirito dei Maccabei [combattenti dell’insurrezione ebraica contro il re seleucide Antioco IV nel II secolo a.C., ndt.]?

Lo sfortunato entourage di Biden gli ha spiegato ancora una volta che qui la situazione è diversa e gli ha ricordato che Lapid nell’esercito ha fatto solo il giornalista. L’accorto Biden li ha corretti ed ha affermato che Lapid ha fatto il servizio militare nella Bamahane, e i suoi collaboratori sono stati ancora una volta costretti a spiegargli che Bamahane è il nome di un settimanale, non di una base militare.

Durante la sua visita Israele è sembrato a Biden un Paese che geme sotto l’occupazione palestinese, che lotta eroicamente per la sua libertà. I suoi occhi si sono riempiti di lacrime e ha giurato di proteggerne la sicurezza. Se c’è l’America, Israele può riposare in pace, ha promesso. L’ex-primo ministro Benjamin Netanyahu, comandante ancor prima di essere nato del Beitar, organizzazione clandestina pre-statale, che combatté contro i palestinesi e in precedenza contro i britannici, ha ottenuto la stima dell’accorto presidente. “Ti voglio bene,” gli ha detto, e così facendo ha cancellato una penosa vicenda di controversi rapporti tra il moderno Bar Kochba [condottiero ebreo che combatté contro i romani, ndtr.] e il partito Democratico USA.

La verità è che non è Biden ad essere rimbambito, è tutta l’America ad essere politicamente rimbambita (nel senso di perdere il contatto con la realtà), compresi i suoi scienziati, filosofi, politici, giornalisti, AIPAC [principale organizzazione della lobby filo-israeliana, ndt.] e organizzazioni per i diritti umani. In effetti tutta l’America è una fonte di assurdità. Tratta ancora Israele come un lattante che ha bisogno di altri miliardi per rafforzare la propria sicurezza e per altre cerimonie in cui giura “mai più”, mentre il suo esercito calpesta un intero popolo. “Mai più” e l’orrore sta invadendo le colline e le valli.

Mai più, e le armi americane stanno riempiendo gli arsenali, non per liberare gli ebrei dall’oppressione, ma per rafforzare l’assedio e l’occupazione del popolo palestinese da parte di Israele. Ogni anno l’America arriva in Israele con miliardi di dollari, e ai palestinesi, assediati e sottoposti all’occupazione, 200 milioni, metà dei quali sono soldi arabi degli Emirati, per gli ospedali palestinesi. Miliardi per l’occupante, spiccioli per l’occupato. Mai più. E lo stupendo Israele e i discendenti dei Maccabei stanno entrando ovunque in Paesi vicini e lontani, nella forma di armi vendute al miglior offerente, non importa quante vittime provocheranno.

E sullo stesso argomento Yaya (Yair) Fink [ex-dirigente del partito Laburista israeliano, ndt.] scrive su Twitter: “La prossima volta che il presidente degli Stati Uniti atterrerà qui potrebbe incontrarsi con (Bezalel) Smotrich [noto politico di estrema destra, ndt.] come ministro della Giustizia, (Itamar) Ben-Gvir [dirigente del partito di estrema destra razzista “Potere ebraico”, ndt.] come ministro della Pubblica Sicurezza e Avi Maoz [politico dell’estrema destra religiosa, ndt.] come ministro delle Questioni religiose. C’è qualcun altro che sta pensando di non andare a votare?”

E io, alla luce di questo orrido post, ho pensato: “E se questo terrificante scenario diventasse realtà?” Nel mezzo del mio sconforto ho avuto una rivelazione: forse questo terrificante scenario è la chiave della salvezza dei palestinesi. Il mondo intero accoglie i bellissimi carcerieri israeliani, che stanno tenendo imprigionati milioni di palestinesi. Forse se sostituiamo i guardiani graziosi con quelli orribili, il flusso di empatia finirà e inizieranno a comprendere che farebbero bene a lavarsi le mani di questo abominio.

Ogni pentola ha il suo coperchio, dicono gli arabi, e niente è più apppropriato alla pentola dell’occupazione di orrendi coperchi come Ben-Gvir e Smotrich. Non quelli bellissimi come Yair Lapid. Forse in questo modo libereremo dall’incantesimo il nostro Joe Biden, che si riprenderà e smetterà di inviare miliardi e anche di appoggiare la macchina dell’occupazione.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’UE si schiera a favore di Israele contro i suoi stessi Stati membri

Ali Abunimah

19 luglio 2022 – The Electronic Intifada

L’Unione Europea è più fedele a Israele che ai propri Stati membri? Sembra proprio di sì.

All’inizio di questo mese nove governi dell’UE hanno finalmente definito una cavolata la designazione di “organizzazioni terroristiche” da parte di Israele di sei organizzazioni palestinesi per i diritti umani molto stimate.

La designazione di ottobre faceva parte della lunga campagna di Israele volta a criminalizzare, definanziare e sabotare chiunque tenti di chiamarlo a rispondere dei suoi crimini contro i palestinesi.

Da Israele non sono pervenute informazioni sostanziali che giustifichino la revisione della nostra politica” nei confronti delle sei organizzazioni, afferma la dichiarazione congiunta del 12 luglio di Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Spagna e Svezia.

“In assenza di tali prove – aggiungono – continueremo la nostra cooperazione e forte sostegno alla società civile nei territori palestinesi occupati”.

Molte delle associazioni prese di mira da Israele ricevono finanziamenti direttamente da questi governi e dall’apparato burocratico dell’UE a Bruxelles.

Tre di loro – Addameer, Al-Haq e Defence for Children International-Palestine – hanno collaborato strettamente con le indagini della Corte Penale Internazionale sui crimini di guerra in Cisgiordania e a Gaza.

Quindi, appena è stata resa nota la dichiarazione dei nove governi, ho scritto a Peter Stano, portavoce dell’UE per gli affari esteri, per chiedere se Bruxelles l’avesse adottata.

Dopo oltre una settimana – e nonostante due solleciti – il solitamente tempestivo Stano non ha inviato alcuna risposta.

Posso solo interpretare questo silenzio come un segnale che l’irresponsabile apparato burocratico dell’UE non sia d’accordo con i propri Stati membri e stia adottando in modo ancora più deciso il proprio approccio filo-israeliano.

In effetti Bruxelles è schierata a favore di Tel Aviv contro i governi dell’UE che sono arrivati ad essere talmente esasperati dalle diffamazioni e dalle bugie di Israele da dichiararlo pubblicamente.

Anche senza una risposta di Stano le prove di ciò sono abbastanza chiare.

The Electronic Intifada ha rivelato in ottobre che Israele ha comunicato in anticipo all’UE la sua intenzione di designare le organizzazioni palestinesi come “terroriste”, ma Bruxelles non ha respinto [la designazione] e non ha nemmeno inviato tale comunicazione ai propri Stati membri.

In quell’occasione Stano ha ammesso che l’UE aveva bisogno di “maggiori informazioni a proposito di queste designazioni” – un’ammissione del fatto che Israele non aveva fornito alcuna prova effettiva.

Sospensione illegittima”.

Il mese scorso Al-Haq è riuscita a presentare una petizione alla Commissione europea perché revocasse la sospensione dei finanziamenti per uno dei progetti dell’ organizzazione per i diritti umani sponsorizzati dall’UE.

Al-Haq ha affermato che la “sospensione vergognosa” era stata “illegale fin dall’inizio e basata sulla propaganda e sulla disinformazione israeliane”.

Una lettera dell’UE ha confermato che l’unità antifrode del blocco OLAF [Ufficio europeo per la lotta antifrode, istituito per contrastare le frodi, la corruzione e qualsiasi attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità europea, ndt.] aveva “concluso che non vi sono sospetti di irregolarità e/o frode ai danni dei fondi dell’UE” forniti ad Al-Haq.

Al-Haq ha accusato della sospensione Olivér Várhelyi, un alto funzionario non eletto dell’UE, affermando che [la sospensione, ndt.] fosse “mirata a dare al governo israeliano un aiuto nei suoi tentativi di danneggiare e diffamare la società civile palestinese e di opprimere le voci delle organizzazioni e difensori palestinesi dei diritti umani”.

Várhelyi è stato anche responsabile della sospensione degli aiuti dell’UE ai palestinesi, compresi i finanziamenti per pagare le cure salvavita per i malati di cancro palestinesi.

Tali aiuti sono stati sbloccati il mese scorso, poco prima che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si recasse in Israele e nella Cisgiordania occupata, dove ha trascorso la maggior parte del suo tempo a compiacere Tel Aviv.

L’UE rilancia il forum ad alto livello con Israele

Ma qualunque disaccordo possa esserci tra l’UE e i suoi Stati membri sulle sei organizzazioni, ciò non ha intaccato la loro unanimità quando si tratta di offrire a Israele riconoscimenti incondizionati per i suoi crimini contro il popolo palestinese.

Lunedì i 27 ministri degli esteri del blocco hanno deciso di riprendere le riunioni del Consiglio di associazione UE-Israele.

Questo forum di alto livello non si riuniva da un decennio, con grande disappunto di Israele e della sua lobby.

Secondo un comunicato di Bruxelles i ministri “hanno convenuto di riconvocare gli incontri e di iniziare a lavorare per determinare la posizione dell’Ue”.

“La posizione dell’UE sul processo in Medio Oriente non è cambiata rispetto alle conclusioni del Consiglio del 2016 a sostegno della soluzione dei due Stati”, si legge nella dichiarazione.

Sebbene l’UE abbia mantenuto il sostegno verbale alla moribonda “soluzione dei due Stati”, continua a premiare e incentivare la colonizzazione violenta da parte di Israele dei territori palestinesi occupati, vanificando l’idea di uno Stato palestinese indipendente.

La reazione di Várhelyi alla decisione di lunedì sottolinea che non c’è motivo di aspettarsi alcun cambiamento.

Egli ha salutato la ripresa del forum ad alto livello come un ulteriore segno che l’UE è “fermamente impegnata” nelle sue relazioni con Israele e ha esortato il blocco “a cogliere l’opportunità di normalizzare le relazioni tra Israele e un certo numero di Paesi arabi .”

Dimiter Tzantchev, l’ambasciatore dell’UE a Tel Aviv, ha affermato che il Consiglio di associazione UE-Israele “dovrebbe permettere di impegnarci con i nostri partner israeliani e di riflettere sul processo di pace in Medio Oriente e sul ruolo dell’UE in esso”.

La generica formulazione di Tzantchev è stata senza dubbio elaborata con cura per dare l’impressione che questo sfacciato riconoscimento ad Israele farebbe in qualche modo progredire il “processo di pace” morto da tempo, pur non offrendo assolutamente alcun sostegno concreto da parte di Bruxelles per promuovere i diritti dei palestinesi.

Secondo il giornalista israeliano Barak Ravid la decisione dell’UE di ripristinare il dialogo ad alto livello è un “risultato importante” per il primo ministro israeliano Yair Lapid.

Ravid osserva che questo era uno degli obiettivi chiave di Lapid quando ha assunto la carica di ministro degli Esteri israeliano poco più di un anno fa.

Rinvio compiacente

Citando un anonimo “alto funzionario europeo”, il Times of Israel [giornale israeliano online in lingua inglese, ndt.] ha riferito lunedì che Josep Borrell, capo della politica estera dell’UE, ha rinviato la ripresa delle riunioni del consiglio UE-Israele “a causa dell’uccisione della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh” a maggio.

Lo stesso mese Israele ha anche annunciato una massiccia espansione delle sue colonie in Cisgiordania, provocando un’insolita condanna da parte di Borrell.

Secondo The Times of Israel l’anonimo funzionario europeo ha detto: ”Ci sono state due cose inaccettabili sul piano diplomatico: l’uccisione della giornalista e l’annuncio di 4.000 nuovi insediamenti coloniali“.

“Borrell ci ha detto:Come potete immaginare che metta all’ordine del giorno un incontro di cooperazione con le immagini in TV… suvvia!’“, ha aggiunto il funzionario.

Ma questa non è stata una posizione di principio.

Il codardo Borrell era semplicemente preoccupato di salvare le apparenze e pensava che fosse prudente aspettare che l’omicidio della corrispondente di Al Jazeera non fosse più sulle prime pagine dei giornali prima di offrire ulteriori ricompense a Israele.

The Times of Israel riferisce che Borrell ha annunciato che avrebbe portato avanti la questione solo durante i sei mesi di presidenza ceca, iniziata il 1° luglio.

Ed è esattamente quello che è successo – nonostante l’ininterrotta espulsione da parte di Israele degli abitanti dei villaggi palestinesi da Masafer Yatta nella Cisgiordania occupata – tra gli altri crimini di guerra che l’UE pretende di contrastare.

“Il fatto che 27 ministri degli Esteri dell’UE abbiano votato all’unanimità a favore del rafforzamento dei legami economici e diplomatici con Israele è una prova della forza diplomatica di Israele e della capacità di questo governo di creare nuove opportunità con la comunità internazionale”, si è vantato il primo ministro israeliano Lapid dopo la decisione dell’UE di lunedì.

È anche la prova dell’assoluta codardia e della volontaria complicità dell’Unione Europea e di ogni suo membro.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Chi sono i vincitori e i vinti dell’israeliana Marcia delle Bandiere? 

Motasem A Dalloul

1 giugno 2022 – Middle East Monitor

Governo israeliano di occupazione, gruppi dell’opposizione e coloni ebrei dell’estrema destra avevano tutti scommesso che, durante il weekend, la provocatoria Marcia delle Bandiere avrebbe causato gravi disordini al suo passaggio attraverso il quartiere musulmano della Città Vecchia di Gerusalemme. I coloni hanno usato queste marce fin dal 1967 per celebrare l’occupazione israeliana di Gerusalemme Est. L’attuale governo israeliano, guidato da Naftali Bennett, voleva utilizzare il grottesco sfoggio di razzismo sfacciato per rafforzare la propria sovranità sulla città santa e dimostrare che Israele ha ancora un deterrente contro la resistenza palestinese.

Il leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu, il cui partito, il Likud, ha il maggior numero di seggi nella Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] ha cercato di sfruttare l’evento per scatenare incidenti che avrebbero potuto danneggiare il governo Bennett. Nel frattempo i coloni estremisti hanno insistito sul percorso della marcia proposto da loro e respinto ogni tentativo di deviarlo, nonostante forti pressioni da parte degli alleati di Bennett nel governo di coalizione. Hanno insistito che la marcia doveva svolgersi secondo il loro piano per dimostrare la sovranità di Israele sulla città santa occupata.

Bennett e alti ufficiali dell’esercito hanno insistito che si poteva tenere la marcia nonostante gli avvertimenti non solo da parte di veterani militari e politici, ma anche di gruppi della resistenza palestinese che avevano avvertito che avrebbero reagito contro Israele qualora fosse successo qualche incidente intollerabile.

“Se non fossimo passati per il percorso normale, di fatto non avremmo mai più potuto farlo. Sarebbe stata una rinuncia alla sovranità,” ha detto Bennett. “Abbiamo dimostrato che lo Stato di Israele agisce in base a ciò che è giusto e non in seguito a minacce.”

Netanyahu ha incoraggiato la partecipazione di due fanatici gruppi di ebrei israeliani, La Familia [ultras razzisti della squadra di calcio di Gerusalemme Betar, ndt.] e Lehava [organizzazione di estrema destra suprematista ebraica, ndt.], che per vari anni sono stati collegati a casi di violenze contro gli arabi in Israele e nella Cisgiordania occupata.

Il governo ha impiegato migliaia di agenti per far svolgere la marcia senza infrazioni e garantire che i coloni non avrebbero provocato i palestinesi, innescando così una risposta da parte dei gruppi della resistenza o suscitando critiche a livello internazionale. Ciononostante Netanyahu è riuscito a far sì che alcuni elementi dei gruppi ebrei più estremisti riuscissero comunque a provocare e attaccare i palestinesi e poi a svolgere le proprie cerimonie religiose nei pressi della moschea Al-Aqsa.

Secondo il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid, La Familia e Lehava hanno monopolizzato la giornata. “Non possiamo accettare che queste siano le immagini che ci restano alla fine del Giorno di Gerusalemme,” ha detto. “La maggioranza israeliana deve riappropriarsi della Marcia delle Bandiere, di Gerusalemme e dello Stato di Israele. Noi siamo la maggioranza. Loro sono una minoranza estremista.”

È discutibile che la Marcia delle Bandiere “dimostri” la sovranità israeliana come sostiene Bennett. Dopotutto i coloni hanno avuto bisogno di migliaia di forze di sicurezza e del coprifuoco per proteggerli lungo il percorso. Nessuno di loro avrebbe avuto il coraggio di sventolare una bandiera israeliana e sfilare da solo lungo il percorso, nonostante le restrizioni imposte ai palestinesi e gli attacchi contro i fedeli nella moschea di Al-Aqsa.

I coloni ebrei avrebbero potuto restare per ore a Gerusalemme, presso la porta di Damasco e poi tornare a casa, mentre i palestinesi sventolavano le proprie bandiere, nonostante il grosso contingente di polizia israeliana impiegato per fronteggiarli, e loro sono ancora là nonostante l’imponente presenza della polizia. Cosa vuol dire sovranità, se lo Stato non è in grado di controllarla?

Secondo Amichai Attali, reporter per gli affari parlamentari di Yedioth Ahronoth [quotidiano di centro, uno dei più letti in Israele, ndt.]: “Non c’è sovranità a Gerusalemme durante l’era di Naftali Bennett. Non c’è stata tale sovranità con Netanyahu, Olmert, Sharon o tutti i loro predecessori. Gerusalemme non è mai stata unita perché i leader non hanno il coraggio di prendere decisioni.”

Inoltre qualsiasi fattore di deterrenza che Israele possa aver mai avuto è scomparso da tempo. La forte presenza della polizia, il coprifuoco e le limitazioni dei movimenti dei palestinesi sono tutte prove di questo fatto. Come lo è stato l’attivazione del sistema antimissilistico Iron Dome, [cupola di ferro] su tutto lo Stato occupato nel caso in cui i gruppi di resistenza avessero risposto alle provocazioni e al razzismo anti-arabo dei partecipanti alle marce. L’esercito è stato impiegato in una delle più imponenti esercitazioni militari per essere pronto a un massiccio attacco contro i palestinesi “per ogni evenienza”.

Il corrispondente militare dell’israeliano Channel 13 ha riferito che i soldati erano nascosti lungo la recinzione del confine formale con la Striscia di Gaza e dei veicoli militari vuoti erano parcheggiati in posti visibili per attirare il fuoco dei palestinesi, rendendo inefficace qualsiasi risposta da parte del popolo di Gaza. Dove starebbe in tutto ciò il fattore di deterrenza israeliano?

I gruppi della resistenza palestinesi possono ancora rispondere alle violazioni israeliane a Gerusalemme e durante la Marcia delle Bandiere: non penso che questo capitolo si sia concluso. “La resistenza deciderà come e quando reagire, a seconda delle informazioni che ha e al momento giusto,” ha detto Mohammad Hamada, portavoce di Hamas per gli Affari di Gerusalemme.

Noi sappiamo anche che Israele ha inviato mediatori qatarioti, egiziani e dell’ONU per chiedere a Ismail Haniyeh, leader di Hamas, di dire che il movimento non avrebbe reagito e che entrambe le parti potevano tornare a una vita normale. Il suo consulente per i media ha sottolineato che Haniyeh ha respinto tutte le richieste.

L’incitamento dei fanatici da parte di Netanyahu non è riuscito a raggiungere l’obiettivo e sarà quindi deluso dal risultato. A peggiorare le cose per l’ex primo ministro dell’estrema destra, Benny Gantz, ministro della Difesa israeliano, sta parlando di mettere La Familia e Lehava sulla lista israeliana delle organizzazioni considerate terroriste.

Perciò, per come la vedo io, gli organizzatori della marcia che volevano dimostrare la sovranità israeliana su Gerusalemme e i politici israeliani che pensavano che avrebbe contribuito a promuovere i propri interessi sabato hanno perso. I vincitori sono i gerosolomitani palestinesi le cui sofferenze sotto lo Stato neo-fascista di occupazione e di apartheid ancora una volta sono state evidenziate cosicché tutto il mondo vedesse; analogamente i palestinesi di Gaza hanno trionfato dato che i gruppi di resistenza hanno preso la saggia decisione di evitare la ben preparata offensive israeliana contro l’enclave costiera.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)

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La polizia israeliana ha bloccato la via a centinaia di persone che marciavano verso il quartiere musulmano di Gerusalemme

Jonathan Lis, Jack Khoury, Nir Hasson 

 20 aprile 2022  Haaretz

Hamas dice che Israele dovrebbe assumersi la piena responsabilità delle conseguenze della marcia

Il parlamentare di estrema destra Ben-Gvir si unisce ai manifestanti, e in 20 sfondano le barriere per raggiungere la Porta di Damasco

Mercoledì la polizia israeliana ha bloccato la strada per la Porta di Damasco a Gerusalemme mentre centinaia di attivisti di destra hanno sfidato gli ordini della polizia e hanno iniziato a marciare verso il quartiere musulmano della Città Vecchia.

Con l’aumentare della tensione, circa 20 persone sono riuscite a sfondare le barriere della polizia e a raggiungere la Porta, ma sono state respinte dagli agenti.

La polizia ha arrestato due palestinesi nell’area della Porta di Damasco, uno con l’accusa di aver lanciato una bottiglia [molotov] e l’altro con l’accusa di aver lanciato pietre contro le forze di sicurezza.

Gli organizzatori di destra hanno accusato il governo del divieto di esporre la bandiera della marcia, contestando l’affermazione della polizia secondo cui avrebbero inizialmente accettato di marciare lungo un percorso alternativo per poi tornare sull’accordo.

“Seguiremo il percorso pianificato attraverso la Città Vecchia e speriamo che la polizia abbia coraggio e accompagni la marcia”, hanno detto. “In ogni caso, la polizia non può impedire alle persone di camminare con una bandiera fino al Muro Occidentale nei territori dello Stato di Israele. Non esiste un ordine del genere”.

Sebbene gli organizzatori abbiano inizialmente affermato che non avrebbero marciato in violazione agli ordini della polizia, in seguito hanno invitato il pubblico a recarsi in piazza Safra davanti al municipio di Gerusalemme alle 17:00 per l’inizio della marcia, dicendo: “Riporteremo la sensazione di sicurezza per le strade di Gerusalemme”.

Mercoledì scorso Hamas ha reagito con un comunicato stampa in cui si lanciava un avvertimento all’occupazione e ai manifestanti che si avvicinassero ai luoghi santi, aggiungendo che la “leadership dell’occupazione” si sarebbe dovuta assumere la piena responsabilità delle conseguenze di quelle definite mosse pericolose e provocatorie.

“Sappiamo cosa è successo l’anno scorso durante la marcia e il lancio dei razzi da Gaza che ha portato all’operazione Guardian of the Walls [Guardiano delle Mura: 11 giorni di bombardamenti su Gaza da parte di Israele nel maggio 2021, ndtr.], e non vogliamo un Guardian of the Walls 2, quindi la polizia non approverà la marcia e in questo caso lo farà secondo la legge”, ha detto ad Haaretz un alto ufficiale di polizia.

Il ministro degli Esteri Yair Lapid ha criticato la marcia programmata definendola “una provocazione che ci danneggia”. Ha aggiunto che “si tratta di estremisti interessati a lanciare provocazioni. Quello che vogliono è che ci sia violenza e una escalation che faccia saltare Gerusalemme. Non permetteremo loro di far saltare Gerusalemme per la loro politica”.

Il legislatore di estrema destra Itamar Ben-Gvir era presente alla marcia, nonostante mercoledì il primo ministro Naftali Bennett gli avesse proibito di recarsi alla Porta di Damasco nella Città Vecchia. “Non c’è motivo al mondo per un ebreo di non poter marciare lungo le mura di Gerusalemme”, ha detto Ben-Gvir. “Il nostro problema è Naftali Bennett, che ha lasciato spazio alla polizia”.

Ben-Gvir ha anche annunciato che avrebbe insediato un ufficio volante in piazza Tzahal, il luogo in cui la polizia aveva eretto delle barricate sulla strada per la Porta di Damasco.

La marcia si svolge nel pieno di crescenti tensioni a Gerusalemme, con scontri tra forze di sicurezza e palestinesi culminati venerdì con l’ingresso delle forze israeliane nella moschea di Al-Aqsa.

Altri scontri si sono verificati mercoledì mattina tra i palestinesi e la polizia nel complesso del Monte del Tempio a Gerusalemme, un luogo che è stato a lungo un punto focale della violenza israelo-palestinese.

Una bottiglia molotov lanciata da un palestinese ha appiccato un piccolo incendio nella moschea di Al-Aqsa, che è stato rapidamente spento, mentre i palestinesi hanno anche lanciato pietre contro la polizia presente per proteggere gli ebrei che visitavano il luogo sacro durante le festività pasquali.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Un premier espansionista, violento e razzista si reca in Russia per verificare se Putin è sano di mente

Jonathan Ofir

9 marzo 2022, Mondoweiss

Il primo ministro israeliano Naftali Bennett si è recato a Mosca sabato scorso e dopo un incontro di tre ore con Vladimir Putin ha dato questo responso:

[Putin] non sta teorizzando il complotto e non è fuori di senno, né soffre di attacchi di collera…”

È abbastanza comico. Mi chiedo cosa avrebbe detto Bennett se Putin avesse affermato “Ho ucciso molti ucraini nella mia vita, e non c’è nessun problema”.

Questa è ovviamente la frase sugli “arabi” che Bennett ha pronunciato nel 2013, e che da allora ha cercato di ammorbidire (con l’aiuto di gruppi di apologeti israeliani) quando è diventata scomoda.

Immaginate se Putin durante l’incontro avesse detto: “Quando ancora gli ucraini si arrampicavano sugli alberi, noi qui avevamo già uno Stato”.

Avrebbe potuto cambiare il giudizio di Bennett: sarebbe stato evidente che chiamava subumani gli ucraini. Eppure questa è semplicemente la battuta di Bennett sui palestinesi, indirizzata al deputato israelo-palestinese Ahmad TIbi nel 2010.

Se Putin avesse detto che gli ucraini sono come “schegge nel sedere” (come ha detto Bennett a proposito dei palestinesi), allora Bennett avrebbe potuto concludere che Putin ha seri problemi di collera e dopo tutto potrebbe non essere così equilibrato. 

Bennett e Putin condividono una quantità inquietante di teorie complottiste e, in fondo, sono molto simili nel negare che i loro presunti nemici – rispettivamente palestinesi e ucraini – siano persone vere che meritano un vero Stato. Come ha scritto ieri Peter Beinart nel suo ottimo articolo su Jewish Currents “Giustificazioni alla distruzione di un popolo”: “Gli argomenti utilizzati dal governo russo per disumanizzare gli ucraini sono sorprendentemente simili a quelli che il governo israeliano usa per disumanizzare i palestinesi.”

Detto questo, c’è una differenza cruciale tra il pensiero israeliano e russo rispettivamente ai palestinesi e agli ucraini. Beinart: “Il discorso ufficiale russo e quello israeliano differiscono in almeno un aspetto importante. Putin sostiene che gli ucraini sono in realtà russi, che devono essere sottomessi e integrati. [Golda] Meir e [Benjamin] Netanyahu non hanno mai sostenuto che i palestinesi siano veramente israeliani o ebrei. Sostenevano invece che i palestinesi siano genericamente arabi, che Israele potrebbe quindi incoraggiarli a reinsediarsi altrove nel mondo arabo. Nonostante questa differenza, i leader israeliani definiscono l’identità palestinese non solo come falsa, ma manipolata dai nemici di Israele, che è ciò che Putin dice dell’identità ucraina.”

Quindi, cosa ha fatto Bennett con Putin per tre ore, oltre a valutare se lo stato mentale di Putin sia o no equilibrato? A quanto pare, non molto. Il Times of Israel riferisce: “Una fonte diplomatica citata nel rapporto ha affermato che Bennett è stato prudente con Putin, visto che il leader russo ‘non è interessato a un cessate il fuoco o ai corridoi umanitari’ “.

Certo, non si vorrà fare pressione su una persona perché accetti una soluzione così radicale come i corridoi umanitari …

In un altro articolo, The Times of Israel cita due esperti russi che si mostrano preoccupati di come Putin stia usando persone come Bennett per guadagnare tempo per riorganizzarsi. Uriel Epshtein della Renew Democracy Initiative di Gary Kasparov afferma semplicemente che “non c’è nessuno spazio, assolutamente nessuno per un contributo di Israele a por fine alla guerra, e che “l’idea che Israele sarà il fulcro del processo decisionale di Putin per arrivare in qualche modo a un accordo tra Russia e Ucraina, o Russia e Occidente, è un’illusione”.

In questo articolo viene citata anche Anna Borshchevskaya, esperta russa del Washington Institute for Near East Policy (uno spin-off del gruppo di lobby israeliano AIPAC [Comitato Americano per gli Affari Pubblici Israeliani, che sostiene le politiche filo-israeliane al Congresso, ndtr.]) Putin “non considera l’Ucraina un vero paese”, ha detto Borshchevskaya. “È abbastanza chiaro che Putin è davvero convinto della sua guerra in Ucraina. In effetti, nonostante gli annunciati corridoi di cessate il fuoco, la Russia continua a bombardare i civili… È difficile per me vedere come funzionerà concretamente la mediazione israeliana in questo momento, in questa fase”.

I due esperti concordano sulle due ragioni del gioco diplomatico di Putin, come riassume Times of Israel: “prendere tempo per riorganizzare la strategia e acquistare legittimità presso i leader mondiali”. Quanto alla legittimità: “Uno degli obiettivi finali di Putin è la legittimità. Vuole essere percepito come legittimo. Sembra essere una delle sue insicurezze più profonde”, ha detto Epshtein.

E questo ci porta in Israele, perché anche Israele vuole legittimità, e questa è anche una delle sue insicurezze di fondo.

Anche Israele cerca legittimità

Bennett è concentrato sulla negazione di uno Stato palestinese, su cui è veramente esplicito. La sua dichiarazione sulle “schegge nel sedere” risale al 2013 quando era ministro dell’Economia e del Commercio nel governo di Netanyahu, . Parlando al consiglio dei coloni di Giudea e Samaria si espresse così: “Vi racconterò una breve storia. Ho un amico che si chiama Yoav. Ha prestato servizio nella Brigata Golani dell’IDF [Forze di difesa israeliane], e in uno scontro una scheggia gli è rimasta conficcata nel sedere. Sono andato a trovarlo in ospedale e lui mi ha detto: ‘Guarda, ho questa scheggia. … Secondo i medici ho due possibilità: o farmi operare per rimuovere la scheggia, correndo il rischio di restare handicappato o paralizzato a vita, oppure lasciarla lì, anche se di tanto in tanto, al cambio di stagione, potrebbe farmi un po’ male.’… Così, decise di continuare a conviverci. … Ci sono situazioni in cui la ricerca ingannevole della perfezione rischia di causare un disastro.”

E se la morale non fosse stata chiara, ha aggiunto: “Il tentativo di istituire uno Stato palestinese nella nostra patria è finito; è arrivato a un punto morto.”

La rozza valutazione di Bennett è una chiara ammissione della sua irremovibile posizione; ora come Primo Ministro Bennett “rifiuta fermamente” la creazione di uno Stato palestinese. I satelliti di sinistra che adornano la coalizione di Bennett non si fanno illusioni, non esiste una tale prospettiva con Bennett.

Ma Bennett è anche un convinto sionista, quindi vuole a tutti i costi uno Stato ebraico. E qual è il risultato di governare le persone negando loro il diritto a una nazione? Avete indovinato, apartheid. Fa parte della logica che ha portato una ampia schiera di organizzazioni per i diritti umani – palestinesi, israeliane e internazionali – a giudicare Israele uno Stato di apartheid.

E gli Stati di apartheid vogliono legittimità per il loro apartheid. Al giorno d’oggi l’apartheid non è considerato legale, poiché è un crimine contro l’umanità secondo solo al genocidio, quindi Israele cerca principalmente di negare il suo apartheid, anche se il cammino intrapreso e i suoi discorsi sono esattamente questo.

Il doppio gioco

Così ora Israele cerca di fare il doppio gioco: essere uno Stato di aggressivo apartheid, e tuttavia presentarsi come un agente di civiltà e pace. Così, il ministro degli Esteri israeliano “progressista” di centro Yair Lapid, che in passato aveva sostenuto l’esecuzione senza processo di palestinesi anche se si limitavano a tenere in mano “un cacciavite” e sostenuto il “massimo numero di ebrei sulla massima estensione di terra in massima sicurezza e con un minimo di palestinesi”, ora si erge a condannare l’invasione russa: “L’attacco della Russia all’Ucraina è un massiccio attacco all’ordine mondiale… Le guerre non sono il modo giusto per risolvere i conflitti. Possiamo fermarlo (l’attacco) e tornare al tavolo dei negoziati per una soluzione pacifica.”

Nel suo articolo su Haaretz “Il bollitore israeliano e la pentola russa” il giornalista israeliano Gideon Levy l’ha definito “sostegno comico”, chiedendosi anche: “Può essere che l’autocoscienza [di Lapid] sia così bassa, o forse il cinismo, l’ipocrisia e il doppio standard hanno raggiunto nuove vette?”

Secondo quanto riferito, Lapid ha incaricato il vice ambasciatore alle Nazioni Unite Noa Furman di trasmettere il suo messaggio, al fine di evitare che lo pronunciasse l’attuale ambasciatore Gilad Erdan, un sostenitore del Likud di Netanyahu noto per essere un falco. Furman ha fatto eco a Lapid sulla “grave violazione dell’ordine internazionale” e ha esortato la Russia “a prestare ascolto agli appelli della comunità internazionale di fermare l’attacco e rispettare l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina”.

Israele ha fatto il doppio gioco anche all’ONU, cosa che ha seriamente infastidito i funzionari statunitensi. Israele ha rifiutato di sostenere una risoluzione degli Stati Uniti contro l’invasione della Russia al Consiglio di sicurezza dell’ONU (con il pretesto che la Russia avrebbe comunque posto il veto), ma in seguito ha approvato la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che condannava l’invasione, per mostrare di non stare dalla parte della Russia (141 paesi hanno votato a favore, 5 contrari e 35 si sono astenuti). Le risoluzioni dell’Assemblea generale hanno un significato più simbolico delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU, che sono considerate più come leggi.

L’alleanza strategica di Israele con la Russia ha in gran parte a che fare con il beneplacito russo ai bombardamenti israeliani di obiettivi affiliati all’Iran in Siria.

Ma può darsi che Israele non potrà reggere ancora a lungo questo doppio gioco, dal momento che il suo maggior patron dopo tutto sono gli Stati Uniti, i cui funzionari si stanno seriamente irritando. L’ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti William Cohen (repubblicano) ha dichiarato:Ora si tratta di: sei con i russi o sei con gli Stati Uniti e l’Occidente? Devono prendere una decisione in merito.”

Israele non solo ha un’alleanza strategica con la Russia sulla Siria, ha anche fornito alla Siria armi informatiche con cui effettuare attacchi contro oppositori politici, come riferito ieri da Eitay Mack su Haaretz, in un articolo intitolato “Guerra in Ucraina: come Israele sta aiutando Putin a reprimere le proteste in Russia contro la guerra”. C’è voluta un’enorme pressione da parte degli attivisti israeliani per i diritti umani per fermare le vendite, ma i prodotti continuano a fare il loro lavoro. Dice Mack: “Dopo che 80 attivisti israeliani per i diritti umani hanno presentato una petizione contro sia al Ministero della Difesa israeliano che a Cellebrite per revocare la licenza di esportazione di Cellebrite in Russia, la società ha annunciato nel marzo dello scorso anno che avrebbe smesso di fornire servizi alla Russia, ma si è rifiutata di impegnarsi a disabilitare tutte le apparecchiature già consegnate al Comitato Investigativo (russo).”

Israele ha sempre fatto questo doppio gioco: la sua natura di Stato di apartheid colonialista e ebreo-suprematista lo colloca naturalmente tra i regimi più regressivi del pianeta. Purtroppo, cerca di presentarsi come un “avamposto di civiltà contro la barbarie”, come scrisse il fondatore sionista Theodor Herzl nel suo libro Der Judenstaadt (Lo Stato ebraico, 1896). Il modo in cui questa presunta “barbarie” dev’essere respinta è sempre scusato come forse infelice ma necessariamente violento, per preservare l’occidente illuminato di cui Israele sarebbe un “avamposto”.

Questi trucchi propagandistici vengono ora alla superficie con Putin e le sue intenzioni di “denazificazione” come pretesto per l’invasione dell’Ucraina. L'”Occidente” non se la beve.

E questo porta a un’altra preoccupazione per Israele: che la hasbara, la propaganda israeliana progettata per respingere le critiche e ogni condanna allo Stato possa essere vista come simile a quella russa. Se ciò accadesse, c’è anche il pericolo per Israele che la campagna BDS di boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni, intesa a far pagare a Israele un prezzo per le sue sistematiche violazioni, possa essere legittimata dal caso ucraino. Con l’Ucraina vediamo che l’Occidente non solo mostra approvazione per una politica totale di boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni, ma anche comprensione per la resistenza armata civile ucraina con bombe molotov e tutto il resto, e si parla direttamente di armare l’Ucraina.

Anche quello che Israele ha proclamato “il primo fan di Israele”, il senatore della Carolina del Sud Lindsey Graham sta criticando Israele per non aver partecipato alla campagna di invio di armi: “Hanno chiesto a Israele – nessun fan di Israele più convinto di Lindsey Graham – degli Stinger [armi antiaeree] e a quanto pare Israele ha detto di no. Quindi parlerò al telefono con Israele – sai, sosteniamo Israele sulll’Iron Dome, e Putin è un delinquente, è un criminale di guerra, sta distruggendo una nazione sovrana… E se non facciamo bene con l’Ucraina i cinesi occuperanno Taiwan e gli iraniani verranno fuori con una bomba e dunque è nell’interesse di tutti.”

Graham, nella sua presunta grandiosa percezione delle possibili ramificazioni internazionali, semplicemente non vede che c’è un ovvio parallelo tra Ucraina e Palestina visto che l’Ucraina è invasa, occupata e soggetta all’aggressione imperialista espansionistica. Ma molti altri lo vedono. Israele sta ora camminando sul filo del rasoio su acque davvero imprevedibili per quanto concerne l’opinione pubblica occidentale, perché questa ondata di opposizione all’aggressione russa ha colto molti di sorpresa, me compreso. Se Israele viene considerato troppo favorevole alla Russia, la cosa potrebbe costargli in modi difficili da immaginare, misurare e prevedere. Israele è ora in una posizione molto difficile.

Ma il primo ministro Bennett ora interpreta il ruolo del dottor Freud, valutando lo stato mentale di Putin, per poi riferire in occidente. Il primo ministro israeliano squilibrato, espansionista e razzista Bennett sta verificando se Putin è in sé. E pensa che lo sia, quindi cerchiamo di essere misurati e razionali. Cerchiamo di essere calmi e civili, non c’è bisogno di chiamare le persone scimmie o schegge nel sedere o sparare a molte di loro, anche se non è un problema. Il dottor Bennett sta cercando di difendere la pace nel mondo. E sapete una cosa, sono sicuro che anche Putin sta ridendo.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il Jewish National Fund sospende la messa a dimora di alberi nel Negev israeliano dopo giorni di scontri con i beduini

Michael Hauser Tov, Josh Breiner, Deiaa Haj Yahia, Jack Khoury, Anshel Pfeffer

12 gennaio 2022 – Haaretz

Il partito Islamico minaccia di boicottare per protesta le votazioni nella Knesset mentre il Jewish National Fund pianta alberi su terreni agricoli dei contadini beduini locali. Sulle fasi future del progetto di forestazione si negozierà

Mercoledì il governo israeliano ha detto che in futuro i lavori del Jewish National Fund [Fondo Nazionale Ebraico, ente no profit dell’Organizzazione Sionista Mondiale, ndtr.]  nel Negev verranno negoziati dagli alleati della coalizione per tentare di allentare le tensioni dopo giorni di violenti scontri a causa dei lavori di forestazione su terre coltivate dai beduini locali.

La messa a dimora di alberi del JNF iniziata lunedì è finita come previsto mercoledì.

Meir Cohen, ministro laburista che guida la politica governativa nei villaggi beduini non riconosciuti del Negev, ha detto che la prossima fase dei lavori del JNF inizierà giovedì. La data per la continuazione del progetto deve ancora essere fissata.

Il piano di forestazione del JNF è particolarmente significativo per la Lista Araba Unita, partito di cui i beduini costituiscono una parte consistente del bacino elettorale. Uno dei suoi parlamentari ha minacciato di boicottare il voto sul progetto nella Knesset.

Anche prima della formazione dell’attuale governo i beduini della zona avevano detto che i lavori riguardano zone da loro coltivate e avevano richiesto l’interruzione del piano.

Almeno 10 persone sono state arrestate mercoledì durante scontri con la polizia, che ha rafforzato la propria presenza nei pressi del villaggio non riconosciuto di Sawa, il giorno dopo che più di una decina di dimostranti vi erano stati arrestati e due agenti erano stati feriti. Sul posto la polizia di frontiera si è unita alla polizia, alle forze speciali di polizia e a altre unità che e sono state schierate anche in un villaggio vicino.

Hussein Irfaiya, leader della comunità, ha detto ad Haaretz che durante la piantumazione la polizia ha impedito l’accesso alla zona ad abitanti, attivisti e loro sostenitori. Le scaramucce sono continuate mentre le persone che si trovavano sul posto hanno lanciato pietre contro i le forze dell’ordine che hanno risposto con granate stordenti.

Il JNF progetta di piantare a foresta 5.000 dunam (500 ettari) di terreni lungo il corso dell’Anim che sfocia nel Be’er Sheva. La prima fase del progetto include la preparazione e la piantumazione di 300 dunam (30 ettari) che i contadini beduini avevano seminato a grano appena un mese fa.

Leader politici e attivisti hanno condanno il piano poiché minaccia la sopravvivenza delle famiglie dei beduini del posto.

Crisi nella coalizione

Mentre avvenivano i disordini nel Negev, Walid Taha, membro della Knesset appartenente al partito della Lista Araba Unita [coalizione arabo-israeliana di orientamento islamista, ndtr.], ha detto a radio Alshams che lasciare la coalizione, cosa che comporterebbe la caduta del governo, “è sempre un’opzione, ma il problema è in che modo avvantaggerebbe il nostro pubblico, viste le alternative.”

La Lista Araba Unita fa parte della coalizione governativa e sebbene Taha ammetta che quanti nella coalizione e nel gabinetto vorrebbero sostituire il partito islamico e vederlo all’opposizione al momento non hanno alternative.

Mazen Ghanayim, suo collega di partito, ha dichiarato in un post su Facebook che si opporrà al governo fino a quando non cesserà tutti i lavori agricoli nel Negev. “Non esiste che gli diamo un governo e che loro non ci lascino vivere con dignità sulle nostre terre,” ha scritto riferendosi al cruciale sostegno che la Lista Araba Unita dà alla coalizione. “Il Negev è la mia casa. Il Negev è la mia famiglia. Il Negev è la linea rossa,” ha aggiunto. 

Itamar Ben-Gvir, parlamentare del partito kahanista [cioè razzista, ndtr.] religioso sionista, mercoledì mattina ha twittato che si stava recando sul posto. Anche se è un anno shmita, o anno sabbatico, in cui è proibito lavorare la terra, Ben-Gvir ha scritto di aver ottenuto da un importante rabbino favorevole ai coloni il permesso di piantare alberi per “salvare il sud.”

“Insieme faremo fiorire il deserto,” ha aggiunto, citando la famosa frase di David Ben-Gurion sul Negev. 

Chi si trovava sul posto ha riferito che quando Ben-Gvir è arrivato è stato mandato via dal sito della forestazione dalle autorità. Ha piantato un solo albero lontano da Sawa e dalle proteste e ha lasciato la zona. 

Il ministro laburista Cohen è intervenuto per allentare le tensioni e ha fatto notare che “a parte il diritto fondamentale dello Stato di piantare sui suoi terreni, è importante farlo responsabilmente e dobbiamo rivalutare il caso della forestazione.”   

“Imploro tutti i politici di tutti i partiti di agire responsabilmente, di non attizzare il fuoco della discordia e di non ostacolare il processo di riconoscimento dei villaggi non riconosciuti,” ha detto.

Martedì il ministro degli esteri Yair Lapid ha chiesto l’interruzione dei lavori. “Come il governo di Netanyahu ha interrotto i lavori di forestazione nel 2020, anche noi possiamo fermarli e ripensarci,” ha twittato Lapid martedì. 

Rabbia contro lo Stato

Salameh al-Atrash, la cui famiglia abita nella zona, ha detto ad Haaretz: “Cosa vi aspettate da un giovane a cui distruggono la casa lasciandolo senza un tetto sulla testa: che stia lì a guardare? Siamo vissuti qui per oltre 100 anni, perché ci dovrebbero cacciare?” 

Ha aggiunto che la dimostrazione di forza da parte dello Stato sta alimentando l’odio contro le autorità da parte dei giovani della zona. Muhammad Abu Sabit, dello stesso villaggio, è d’accordo e aggiunge che secondo lui lo Stato non vuole piantare alberi nel Negev, lo definisce piuttosto un tentativo di “pulizia etnica”.

“Noi viviamo in pace con le famiglie ebree e abbiamo un sacco di amici qui, ma sono lo Stato e il governo con le loro politiche a dividerci,” dice Abu Sabit. “In tutto il Negev ci sono migliaia di dunam disabitati e loro si concentrano solo sulle nostre case, su poche centinaia di metri [di terra].”

Talib Al-Atawna, un altro abitante, ha riferito che la polizia si è comportata violentemente con loro e che pallottole di gomma sono entrate nelle loro case. Per come la vede lui non ci sono membri arabi nella Knesset: “Noi non voteremo per nessun partito arabo e soprattutto non per Mansour Abbas’ ([leader della] Lista Araba Unita).”

Durante le proteste di lunedì 18 ragazzi fra i 13 e i 15 anni sono stati arrestati con l’accusa di aver lanciato pietre contro le forze dell’ordine e due ufficiali sono stati feriti lievemente dalle pietre lanciate dai manifestanti.

Nel frattempo un gruppo di circa 20 manifestanti ha assalito Nati Yefet, un reporter di Haaretz che stava seguendo gli eventi. Uno degli aggressori gli ha rubato e incendiato la macchina mentre gli altri lo picchiavano. È riuscito a fuggire ed è stato salvato dalla polizia. Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza [interno israeliano, ndtr.] sta indagando sul caso così come sulle pietre trovate sulle rotaie del treno nella zona.   

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele teme di essere paragonato al regime di apartheid

10 gennaio 2022 – Middle East Monitor

Gli allarmi recentemente espressi da Yair Lapid, Ministro degli Esteri israeliano, riguardo all’insistenza di coloro che ha descritto come nemici dell’occupazione in quanto descrivono la politica israeliana nei confronti dei palestinesi “uno Stato di apartheid”, che equivale a dire “regime di apartheid”, stanno tuttora provocando ulteriori reazioni interne ad Israele ed anche malumori che si stanno diffondendo nella comunità diplomatica israeliana.

Gli israeliani sono spaventati da ciò che considerano una politica adottata dalle organizzazioni per i diritti umani per stravolgere la reputazione dello Stato di occupazione e paragonarlo al sistema di apartheid dominante in Sudafrica decenni fa, basato sull’etnicità e sulla separazione tra bianchi e africani neri, che erano la grande maggioranza. Questo sistema è stato predominante per oltre 40 anni in una situazione di disprezzo, poiché i neri erano privati del diritto al voto e di altre libertà.

Dan Perry, che scrive sul sito “The Times of Israel” [principale quotidiano israeliano in lingua inglese, ndtr.] ed è capo dell’Associazione Stampa Estera, ha affermato nel suo articolo tradotto da “Arabi 21” che “i timori israeliani sono dovuti agli sforzi delle organizzazioni giuridiche internazionali per i diritti umani di paragonare la politica israeliana verso i palestinesi a ciò che è avvenuto in passato ai neri in Sudafrica. Oggi essi sono perseguitati negli Stati Uniti; sono privati della maggior parte dei diritti e vengono considerati vittime di apartheid da parte di un gruppo etnico di minoranza.”

Ha aggiunto che “le posizioni delle forze anti-israeliane ritengono che vi sia un’ampia base originaria comune tra i Paesi che praticano l’apartheid, come il precedente regime sudafricano ed ora gli Stati Uniti insieme a Israele, che pratica la stessa politica verso i palestinesi in Cisgiordania, attuando una politica genocidaria e collegando i palestinesi al termine ‘illegale’ senza alcun riferimento alle colonie israeliane.”

Prendendo in esame le statistiche, gli israeliani sono preoccupati dal fatto che la maggioranza della popolazione mondiale è nata dopo il crollo del regime di apartheid in Sudafrica. Perciò le persone si affrettano a descrivere Israele con la stessa immagine, cosa che richiede che Israele si attivi per impedire l’uso dell’espressione “sistema di apartheid”, anche se controlla le terre palestinesi da 54 anni. Non si prevede che modificherà la sua politica ostile verso di loro. Adesso costruisce colonie per ebrei e crea delle università in quei luoghi, nonostante il biasimo del mondo.

Al tempo stesso ciò che rafforza la riproposizione a livello mondiale del concetto di governo di apartheid è il fatto che le terre dell’Autorità Nazionale Palestinese sono diventate delle isole circondate da territori sotto il controllo totale dell’esercito israeliano. Ciò provoca un deprimente riconoscimento dei bantustan, che ricordano a tutto il mondo la situazione dominante negli anni ’70 e ’80 sotto il regime sudafricano. Forse la politica praticata dalle forze di occupazione contro i palestinesi è razzismo.

Vale la pena di ricordare che le pessimistiche previsioni israeliane ipotizzano che nel nuovo anno 2022 si assisterà ad una campagna da parte delle organizzazioni internazionali e dell’ONU per scegliere termini e parole collegati all’apartheid in relazione alle politiche israeliane verso i palestinesi, cosa che ha spinto il Ministero degli Esteri israeliano e le rappresentanze diplomatiche in tutto il mondo a lanciare un allarme per contrastare ciò che ritengono uno tsunami politico contro di loro.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Naftali Bennett: il falco della destra israeliana sulla soglia del potere

Shir Hever

1 giugno 2021 – Middle East Eye

L’ex ministro della Difesa ha detto di non avere problemi ad uccidere gli arabi e ha sollecitato il bombardamento di Gaza. Ora sembra che metterà fine ai 12 anni di potere di Netanyahu

Trasferendo il suo sostegno da Benjamin Netanyahu al leader dell’opposizione Yair Lapid [alla guida di Yesh Atid (“C’è un futuro”), partito politico israeliano centrista e laico, ndtr.], e assicurandosi con molte probabilità la carica di primo ministro, Naftali Bennett è finito sulle prime pagine non solo all’interno di Israele ma anche sui media internazionali.

Diventare primo ministro dopo 12 anni di Netanyahu sarebbe un momento epocale per Israele e per il mondo, ma non arriverà senza turbolenze. Lapid, sebbene amico personale di Bennett, sta formando un’ampia coalizione di partiti politici piccoli e frammentati di sinistra e di estrema destra. Non sarà semplice esercitare il potere.

In quanto politico legato al movimento ebraico nazionale ortodosso, che si batte per espandere i confini dello Stato di Israele per ragioni teologiche, Bennett fa parte dei leader della destra israeliana.

Egli ha ripetutamente promesso ai suoi elettori che non formerà una coalizione con i partiti che definisce di “sinistra”, dal centrista Yesh Atid di Lapid al partito Meretz [di ispirazione laica, sionista e socialdemocratica, ndtr.] guidato da Nitzan Horowitz. Ma nei giorni scorsi Bennett ha infranto le sue promesse elettorali e ha annunciato la sua intenzione di entrare nella coalizione di Lapid, che comprende la sinistra e i palestinesi, in cambio della nomina a primo ministro.

Nel 1996 Bennett era un ufficiale dell’esercito quando nei pressi del villaggio di Kafr Kana in Libano chiese un bombardamento d’artiglieria per coprire la ritirata della sua unità. Tale fuoco di sbarramento uccise oltre 100 civili libanesi. Bennett fu quindi etichettato come un codardo per aver ordinato la ritirata e il supporto dell’artiglieria.

Come molti dei principali attori politici israeliani, tra cui il procuratore generale Avichai Mandelblitt [dal 2004 al 2011 Chief Military Advocate General, la più alta autorità giuridica nelle forze armate israeliane, ndtr.] e il leader di Yisrael Beiteinu [partito politico israeliano, appartenente all’area dell’ estrema destra nazionalista, sionista e laica, ndtr.] Avigdor Lieberman, Bennett ha iniziato la sua carriera politica con il ruolo di responsabile del personale dell’ufficio di Netanyahu, per breve tempo nel 2005, quando il capo del Likud era a capo dell’opposizione.

Questo gli aprì la strada per la direzione del partito nazionale ortodosso associato al movimento dei coloni, allora chiamato Jewish Home [Casa Ebraica, ndtr.]

Divenne il capo del Consiglio Yesha, l’alleanza dei comuni delle colonie illegali israeliane nella Cisgiordania occupata, che funge da guida informale per il movimento dei coloni.

Un leader fuori dal comune

Come politico, Naftali Bennett ha sviluppato un’immagine di uomo pieno di contraddizioni interne, uno che tenta di atteggiarsi a deciso e interventista ma che spesso non riesce ad essere all’altezza di tale ruolo. Guida il movimento dei coloni, ma vive a Raanana, sul lato israeliano della Linea Verde [linea di demarcazione stabilita negli accordi d’armistizio arabo-israeliani del 1949, ndtr.] Nella sua veste di milionario ed ex manager di un’azienda, è un leader insolito per il movimento dei coloni.

Bennett è alla guida di un movimento religioso, ma sua moglie era laica [ora è ebrea osservante, ndtr.]. Nel 2014, nel corso del conflitto di quell’anno, come ministro dell’Istruzione fece pressioni per un più brutale bombardamento della Striscia di Gaza. Durante l’invasione israeliana Bennett ha usato i contatti con i rabbini militari per ottenere informazioni che secondo lui l’esercito e il primo ministro non avrebbero condiviso con la compagine governativa.

Le dichiarazioni pubbliche di Bennett sono state studiate per collocarlo sul versante estremista, razzista e religioso della politica israeliana. Com’è noto, nel 2013 disse: “Ho ucciso molti arabi nella mia vita e ciò non è un problema” e “i palestinesi sono come un frammento [di bomba] nel sedere”. Nel 2018 ha minacciato di bombardare il Libano e riportarlo all’età della pietra.

Nel 2017 ha paragonato i genitori ebrei che protestavano contro l’indottrinamento religioso nelle scuole israeliane ai “cristiani che incolpano gli ebrei della crocifissione di Cristo” e ha definito gli ebrei di sinistra “auto-antisemiti”.

Queste affermazioni non hanno tuttavia impedito che in programmi satirici venisse deriso come immaturo, pavido e permaloso. Nel 2020 è stata resa pubblica una registrazione del 2018 in cui Netanyahu lo chiamava “cagnolino”, e a cui Bennett ha risposto: “Gli attacchi personali non mi feriscono”. I video bizzarri della sua campagna in cui è travestito da hipster [nel video Bennet intende ridicolizzare la cultura hipster espressa da giovani del ceto medio e benestante, tipica, secondo lui, della sinistra, ndtr.] con una barba finta o mentre parla con un piccione hanno alimentato la sua immagine di buffone.

Nell’aprile 2019, la prima delle quattro elezioni israeliane in due anni, Bennett ha subito l’umiliazione di non aver vinto un solo seggio quando il suo Partito della Nuova Destra non è riuscito a varcare la soglia di sbarramento.

Le complessità

Sotto Netanyahu Bennett ha ricoperto la carica di ministro in vari ambiti: ministro dei servizi religiosi, di Gerusalemme, dell’economia, della diaspora, dell’istruzione e infine ministro della difesa.

Quest’ultimo è stato notoriamente per molti anni un ardente desiderio di Bennett, ma è stato ministro della Difesa solo per pochi mesi, tra il novembre 2019 e il maggio 2020. Durante questo periodo ha per lo più supervisionato i ripetuti bombardamenti contro obiettivi iraniani in Siria, che egli ha affermato avessero ridotto al 30% la presenza delle forze sostenute dall’Iran in Siria. In tale periodo una famosa immagine di Bennett in piedi con una espressione di rabbia sul volto è stata una fonte di ulteriore derisione nei suoi confronti.

La famiglia di Bennett proviene dagli Stati Uniti, ed egli ha rilasciato ai media internazionali in lingua inglese un gran numero di interviste in cui sostiene che la Bibbia assegna agli ebrei la proprietà sulla Palestina. In una di queste interviste mostra agitandola un’antica moneta con lettere ebraiche, sostenendo che essa rappresenti una prova di tale affermazione. Bennett ha detto a Mehdi Hasan di Al Jazeera che i musulmani hanno l’obbligo di accettare il controllo ebraico della Terra Santa sulla base della loro fede.

Nelle elezioni di marzo il partito di Bennett Yamina (“a destra”) ha conquistato solo sette dei 120 seggi della Knesset, il parlamento israeliano. Uno di quei parlamentari, Amichai Chikli, ha giurato di votare contro un governo di coalizione con elementi “di sinistra” e “arabi”, e non si unirà alla coalizione di Lapid.

Alcuni elettori di Yamina hanno reagito furiosamente all’abbandono da parte di Bennett della destra guidata da Netanyahu, che non sembrava in grado di formare un proprio governo. Hanno protestato davanti alla sua casa, e Bennett ha persino ricevuto minacce di morte, costringendolo ad accettare una scorta.

Naftali Bennett potrebbe aver trovato un modo per diventare primo ministro (fintanto che regge questa traballante coalizione), ma ha perso per strada la sua base elettorale.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La guerra che Israele ha perso

Shir Hever

21 maggio 2021 – Open Democracy

Le forze armate israeliane posseggono armamenti superiori a livello tattico, ma stanno perdendo legittimità internazionale a livello strategico

Nel 2000, Ariel Sharon, politico israeliano di destra, entrò nella moschea di Al-Aqsa accompagnato da un distaccamento di guardie del corpo. La provocazione innescò la seconda Intifada durata fino al 2005. Sharon all’epoca era il leader del Likud, il partito di opposizione. Gli scontri scoppiati dopo la sua visita attizzarono anche le fiamme del populismo e del nazionalismo nel Paese e meno di un anno dopo, nel marzo 2001, il governo del partito laburista di Ehud Barak cadde e Sharon diventò primo ministro.

Gli eventi di questo maggio in Israele-Palestina sono una spaventosa ripetizione di ciò che era successo nel 2000.

I risultati delle elezioni in Israele nel marzo 2021, le quarte in due anni, sono stati inconcludenti. Benjamin Netanyahu (Likud) non è riuscito a raccogliere una maggioranza per formare un governo nel tempo concessogli. L’8 maggio, immediatamente dopo che il presidente aveva dato l’incarico a Yair Lapid, il leader del partito dell’opposizione Yesh Atid, Netanyahu ha inviato la polizia israeliana ad assaltare la moschea di al-Aqsa a Gerusalemme durante le preghiere della notte di Al-Qadr [‘la notte del destino’, una delle ultime 10 notti del Ramadan, ndtr.]  ferendo 330 palestinesi.

Il 10 maggio, nell’assediata Striscia di Gaza, alcuni gruppi palestinesi (cioè Hamas e Jihad Islamica) hanno lanciato razzi in risposta alla violazione della moschea. I pogrom di Gerusalemme, durante i quali folle inferocite sono andate a caccia di palestinesi da picchiare o uccidere, si sono allargati ad altre città. A Lod e in altre cosiddette “città miste”, i cittadini palestinesi di Israele hanno organizzato i propri gruppi e un ebreo israeliano è stato ucciso. L’aviazione israeliana ha cominciato una brutale campagna di bombardamenti della Striscia di Gaza, ma i razzi lanciati da Gaza non si sono fermati. Quando è iniziato il cessate il fuoco, dopo 11 giorni, erano stati uccisi 232 palestinesi (inclusi 65 bambini) e 12 israeliani.

Una manovra politica

Quattro elezioni consecutive in due anni non hanno raggiunto una chiara maggioranza per nessun candidato. Dai politici ci si aspetta che mostrino lealtà al proprio gruppo identitario piuttosto che a valori e ideali. Gli ebrei ultra-ortodossi sono diffidenti nei confronti degli ebrei secolari di classe media, i nazionalisti religiosi ortodossi detestano la comunità LGBT e naturalmente i palestinesi sono odiati ed emarginati da tutti i partiti sionisti.

In quest’ultima tornata elettorale, comunque, uno dei quattro partiti che formano la Lista Unita che rappresenta la maggioranza dei cittadini palestinesi in Israele e parte della sinistra israeliana ebraica, si è scisso. Ra’am, il partito che se n’è andato, è guidato da Mansour Abbas, un musulmano conservatore. Paradossalmente questa divisione all’interno della rappresentanza politica palestinese ha rafforzato la legittimità palestinese, con Abbas che gioca il ruolo di chi controlla la situazione, che né la destra né la sinistra possono permettersi di inimicarsi.

Quando è scoppiata la violenza, i politici israeliani, specialmente i sostenitori di Netanyahu, hanno intensificato l’istigazione razzista contro i palestinesi (sia a Gaza che in Cisgiordania o in Israele). Un’atmosfera di odio e paura si è impadronita del Paese con la forza. Dato che i partiti impegnati nei negoziati per formare una coalizione senza Netanyahu rappresentano gruppi con identità opposte oltre a Yesh Atid di Lapid, che rappresenta gli ebrei secolari di classe media, e Ra’am c’è la Nuova Destra di Naftali Bennet che rappresenta ebrei nazionalisti religiosi – essi potrebbero non cooperare più e i colloqui della coalizione si interromperebbero.

Nel frattempo, Lapid ha omesso di pronunciare una sola parola di critica sull’uccisione dei palestinesi da parte dell’esercito e della polizia. Ha tempo fino al 2 giugno per trovare una maggioranza e formare un governo, altrimenti saranno indette nuove elezioni e Netanyahu resterebbe come primo ministro ad interim.

Due leader di partiti con cui Lapid ha negoziato, Bennet e Gideon Saar (già membro del Likud, scontento della presunta corruzione di Netanyahu), hanno entrambi già insinuato che potrebbero rimangiarsi l’impegno preso durante la loro campagna di non unirsi al governo di Netanyahu. Appena Bennet e Saar hanno cambiato le loro posizioni, Netanyahu ha rapidamente accettato la proposta dell’Egitto di un cessate il fuoco con Hamas.

Per il pubblico israeliano e i media in generale, la manovra di Netanyah è completamente trasparente. Lo stato di emergenza gli dà l’occasione di restare in carica come primo ministro e di bloccare il suo processo per corruzione.

Eppure i politici israeliani che criticano Netanyahu hanno paura di parlare della sua cinica manipolazione della violenza. Se lo facessero, sarebbero marchiati come di “sinistra” o “amanti degli arabi”, entrambi considerati insulti nella politica israeliana. In Israele la paura che la propria lealtà e il proprio nazionalismo vengano mesi in dubbio è più forte della paura dei razzi di Hamas.

Un pesante tributo

A oggi, migliaia di persone sono state ferite e centinaia uccise, mentre i danni economici ammontano a miliardi di dollari, ma la maggior parte delle sofferenze sono state inflitte ai palestinesi, specialmente nella Striscia di Gaza.

Provocazioni e populismo stanno colpendo pesantemente la società israeliana. Molti giovani israeliani non si arruolano più nell’esercito, non per un’opposizione politica alle azioni dell’esercito, ma semplicemente per priorità personali. La corruzione è rampante nel governo, quindi perché dei cittadini qualunque dovrebbero impegnarsi di più e sacrificare anni delle proprie vite all’esercito?

Con questa mentalità di “ognuno per sé”, le istituzioni pubbliche stanno collassando. La polizia si è rivelata incapace o riluttante a fermare i pogrom, a proteggere i manifestanti o ad arrestare ebrei facinorosi e violenti. Quando il capo della polizia ha invocato la calma e parlato di “terroristi da entrambe le parti,” è stato immediatamente rimproverato da Amir Ohana, il ministro della Pubblica Sicurezza, del Likud, che l’ha bollato come personaggio di sinistra.

Analogamente, l’esercito non agisce in modo organizzato, ma come una torma indisciplinata e inferocita. Il brutale bombardamento di Gaza è stato coordinato male e persino la qualità della propaganda che l’esercito israeliano produce per giustificare i bombardamenti è più scadente del solito.

Il 14 maggio l’ufficio stampa dell’esercito israeliano ha ingannato i media stranieri dichiarando che le truppe di terra israeliane stavano marciando dentro Gaza per costringere i combattenti di Hamas a rifugiarsi nei tunnel che sono stati prontamente bombardati. La bugia non è stata creduta perché l’ufficio stampa dell’esercito non ha mandato la stessa disinformazione ai giornali israeliani. I combattenti di Hamas hanno scoperto il trucco ed evitato di entrare nei tunnel.

I servizi di sicurezza israeliane avrebbero potuto prepararsi contro i razzi da Gaza o le proteste in Cisgiordania e in Israele, ma non l’hanno fatto. La loro unica strategia è stata la deterrenza, per causare abbastanza morte e sofferenza in modo da convincere i palestinesi a restare docili per paura. Ma quando i palestinesi superano le proprie paure, come hanno fatto nelle ultime settimane, la deterrenza è inutile.

Una dimostrazione di forza

Il 18 maggio lo sciopero generale dei palestinesi in tutto il territorio israelo-palestinese ha dimostrato un livello di unità senza precedenti evidenziando anche quanto sia divisa l’opinione pubblica israeliana.

La sorprendente forza militare di Hamas nella Striscia di Gaza, la furiosa sollevazione dei palestinesi dopo decenni di discriminazioni e umiliazioni, l’allargarsi delle proteste in Cisgiordania, i palestinesi delusi dalla decisione di annullare le elezioni attese per quest’anno, tutto ciò ha creato il panico nel discorso pubblico israeliano, specialmente sui media.

I giornalisti israeliani critici sono stati zittiti, alcuni hanno ricevuto minacce di morte e hanno cercato la protezione di addetti alla sicurezza. Altri giornalisti, al contrario, hanno invocato più violenza, persino il massacro dei palestinesi. (Sui media, un eufemismo usato spesso per un massacro è “foto della vittoria” un’immagine simbolica di distruzione che negherebbe ai palestinesi l’opportunità di dichiarare vittoria.)

A livello tattico, le forze armate israeliane sono dotate di armi superiori, ma a livello strategico stanno perdendo legittimità internazionale. La parte israeliana è completamente prevedibile. Le operazioni militari sono dettate dagli interessi politici di Netanyahu a breve termine. Gli israeliani sono divisi internamente e paralizzati politicamente. La paura di perdere la faccia impedisce loro di cercare dei compromessi.

La parte palestinese, al contrario, è unita, ma imprevedibile e ha molte alternative su come procedere. L’operazione militare, soprannominata da Israele: “Guardiano delle Mura” è finita con un cessate il fuoco. Ma sembra che, nonostante il tremendo bilancio delle vittime palestinesi, la parte israeliana abbia perso.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




La violenza fa il gioco di Netanyahu

Akiva Eldar

16 maggio 2021- Al Jazeera

Permettendo l’escalation di violenza, il primo ministro uscente sta sabotando la formazione del governo da parte dell’opposizione.

All’inizio, gli unici israeliani a dirlo forte sono stati i soliti sospetti della sinistra. Poi è stato Moshe Ya’alon, già ministro della Difesa ed ex capo di stato maggiore, a stabilire un collegamento fra gli interessi personali del primo ministro Benjamin Netanyahu e i violenti scontri che, iniziati a Gerusalemme Est, si sono poi allargati alla Striscia di Gaza, alla Cisgiordania occupata e a Israele. “L’escalation della sicurezza serve a Netanyahu e ad Hamas per ragioni di politica interna di entrambi,” ha twittato Ya’alon.

Poi persino Avigdor Lieberman, ex ministro della Difesa e fondatore del partito Yisrael Beitenu [Israele Casa Nostra, ultranazionalista laico, rappresenta soprattutto gli immigrati russi, ndt.] ha dichiarato che: “Lo scopo strategico dell’operazione [militare] è modificare in meglio l’opinione pubblica verso Netanyahu. Fino a quando Lapid ha il mandato di formare un governo, Netanyahu cercherà di estendere l’operazione.”

Infatti il primo ministro israeliano in carica non ha fatto alcuno sforzo per contenere la violenza. Il mese scorso avrebbe potuto ordinare alla polizia di rimuovere i blocchi stradali dalla Porta di Damasco, nella Città Vecchia di Gerusalemme. Perché ha aspettato fino a quando non è diventata un terreno di scontro fra la polizia e centinaia di giovani palestinesi? Perché ha permesso alla polizia di gettare granate stordenti dentro la moschea di Al-Aqsa durante la preghiera?

Yair Lapid, presidente del partito Yesh Atid, già ministro delle Finanze e leader della cosiddetta “coalizione per il cambiamento”, ha dato una risposta persino prima che iniziasse l’escalation.

Poco dopo le elezioni del 23 marzo ha incontrato Benny Gantz, ministro della Difesa e capo dell’Alleanza Blu e Bianco, e, secondo Yossi Verter, giornalista di Haaretz, gli ha detto ciò che segue: “C’è una cosa che devi considerare. Se Netanyahu sente che gli sta sfuggendo di mano il governo, cercherà di creare un incidente riguardante la sicurezza. A Gaza o lungo il confine nord. Se pensa che questo sia l’unico modo per salvarsi, non esiterà un attimo.”

Durante gli ultimi due anni Netanyahu ha lottato per la sua sopravvivenza politica con tutto quello che aveva a disposizione. È stato accusato di frode e corruzione e, se perdesse il potere, dovrebbe affrontare una pesante pena detentiva.

Ora egli teme la “coalizione per il cambiamento” di cui fanno parte Lapid e Gantz e che si è formata per spodestarlo. Include anche Lieberman, di destra, Naftali Bennett, capo di Yamina, partito di destra, e Gideon Sa’ar, capo di “Nuova Speranza”, formata da fuoriusciti dal Likud, Merav Michaeli, di sinistra, leader del partito laburista [partito di centro, ndtr.], e Nitzan Horowitz, capo di Meretz [partito della sinistra sionista, ndtr.]. Quest’alleanza eterogenea e piuttosto fragile aveva come unico scopo la formazione di un governo che escludesse Netanyahu.

Dopo che per la quarta volta in due anni Netanyahu non è riuscito a formare un governo, il presidente ha offerto il mandato a Lapid, il leader del maggiore partito della “coalizione per il cambiamento” e che ha 17 seggi alla Knesset. La recente ondata di violenza l’ha colto mentre stava per completare i negoziati con gli altri partiti.

Fino a pochi giorni fa alla “coalizione per il cambiamento” mancavano 4 voti sui 61 necessari per compiere questa missione. Ci si aspettava che questi voti arrivassero dal partito palestinese Ra’am, guidato da Mansour Abbas che aveva promesso di unirsi a ogni coalizione politica che fosse riuscita a formare un governo.

Mentre aumentava la tensione a Gerusalemme, Ya’alon ha sollecitato i leader della “coalizione per il cambiamento” ad accelerare la formazione di un nuovo governo. Ma sembra che questo consiglio sia arrivato un po’ troppo tardi.

Il 13 maggio, il blocco è andato a pezzi. Bennett ha annunciato che stava lasciando la “coalizione per il cambiamento” per riprendere i negoziati con Netanyahu. Lapid ha detto che avrebbe continuato il tentativo di formare un governo, ma le sue alternative si sono drammaticamente ridotte.

A parte Mansour, dovrà anche convincere la Lista Unita palestinese a “rimpiazzare” il partito di Bennett. Se fallisse in meno di tre settimane, dovrebbe restituire il mandato al presidente. In questo caso, Netanyahu potrebbe guidare il Paese verso la quinta elezione in due anni e nominare nel frattempo un Procuratore generale che trovi il modo di bloccare il suo processo.

A questo punto ci si deve chiedere se la “coalizione per il cambiamento” che si appoggia sulle forze politiche palestinesi sarebbe in grado di evitare il prossimo ciclo di scontri fra l’occupante e le forze della resistenza. Può un politico palestinese-israeliano rimanere in un governo che ordina alla polizia di attaccare la moschea di Al-Aqsa durante il Ramadan e manda i piloti a gettare bombe a Gaza, uccidendo bambini palestinesi innocenti?

Le differenti reazioni agli eventi attuali dimostrano l’enorme divario fra i partner potenziali della “coalizione per il cambiamento”. Se Abbas e gli altri membri palestinesi della Knesset devono prendere le distanze dai nuovi partner potenziali, i leader sionisti non possono voltare le spalle ai loro elettori che temono le raffiche di razzi di Hamas e la violenza intercomunitaria nelle città miste.

Sa’ar si è affrettato ad appellarsi a Netanyahu e Gantz affinché rispondano con forza agli attacchi contro i civili israeliani. Ha promesso che il suo partito sosterrà la forte risposta governativa a ripristinare la deterrenza. Anche Lapid ha dichiarato che sosterrà le azioni governative “nella guerra contro i nemici di Israele”. Nessuno dei leader del centro-destra ha detto una sola parola sull’origine del conflitto, né ha offerto una strategia per raggiungere un accordo politico.

L’escalation nei territori occupati è un avvertimento che la “coalizione per il cambiamento” deve innanzitutto cambiare la sua futile politica sul conflitto israelo-palestinese e la sua politica discriminatoria verso la minoranza palestinese in Israele. Gli eventi odierni ci ricordano che nessun governo israeliano può permettersi di ignorare questa questione senza danneggiare la sicurezza dei cittadini israeliani, compromettendo le relazioni con i vicini Paesi arabi e inimicandosi la comunità internazionale.

Il conflitto israelo-palestinese è come una macchina che ha solo due marce: “avanti” e “indietro”. Si deve scegliere fra queste due. Non ci sono “freno a mano” o “in folle”. Se non si fanno progressi, si è condannati ad andare indietro.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Akiva Eldar è un giornalista israeliano, ex editorialista e opinionista di Haaretz.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)