In Israele il Likud sta usando il coronavirus per orchestrare un colpo di stato

Richard Silverstein

23 marzo 2020Middle East Eye

Incombe la prospettiva di un governo di unità nazionale guidato da Netanyahu: come ci siamo arrivati?

Il Likud, il partito al governo in Israele, non ha vinto le ultime elezioni, ma, sfruttando le peggiori tattiche disponibili, continua a stare aggrappato al potere. Ora sembra proprio che riuscirà a rimanerci. 

Il blocco di centro-destra, dominato dall’alleanza Blu e Bianco, ha superato la soglia dei 60 seggi per formare un governo e il 15 marzo il presidente Reuven Rivlin ha conferito l’incarico a Benny Gantz, il leader del partito. 

Facciamo un salto in avanti al 20 marzo quando Gantz ha detto, per la prima volta, che lui sarebbe stato disponibile a partecipare a un governo di unità nazionale sotto il Primo Ministro Benjamin Netanyahu. 

Misure drastiche

Ciò costituisce un notevole cambiamento della situazione. Il processo per corruzione di Netanyahu avrebbe dovuto iniziare la scorsa settimana, ma il suo Ministro della Giustizia ha decretato la chiusura di tutti i tribunali, apparentemente a causa della pandemia dovuta al Covid 19. Così facendo ha posticipato il processo almeno fino a maggio. 

Ma ciò ha solo rimosso uno degli aspetti della difficile situazione in cui si trova Netanyahu. Per rimuovere l’ostacolo politico e far sì che il Likud resti al potere, doveva mettere il bastone fra le ruote dell’ingranaggio legislativo. La prima cosa da fare per formare un nuovo governo è nominare un nuovo presidente della Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.]. 

Quello attuale, Yuli Edelstein del Likud, ha strategicamente ordinato la chiusura della Knesset. Nessuna commissione può riunirsi. Non si può condurre alcuna attività, inclusa quella di formare un nuovo governo e sostituirlo. Edelstein ancora una volta ha preso a pretesto la pandemia per giustificare la sua decisione.

Durante un incontro di vari leader di partito, il consulente legale della Knesset ha detto che il parlamento ha ricevuto “un colpo mortale ”, aggiungendo: “Questa è una situazione diversa da tutte le altre Nazioni democratiche del mondo occidentale che soffrono a causa del coronavirus non meno di noi. Quando noi rifiutiamo di formare queste istituzioni (le commissioni della Knesset), noi diciamo al mondo che siamo una democrazia paralizzata.”

Ma c’è in gioco qualcosa di più che impedire a Blu e Bianco di formare un nuovo governo. Se lo facesse, non solo caccerebbe dal potere il Likud, ma guiderebbe anche delle iniziative legislative per impedire a Netanyahu di ridiventare primo ministro, contribuendo alla sua disperazione e a quella della sua banda del Likud.

Un’occasione d’oro per i dittatori

Le emergenze globali, come la pandemia da coronavirus, offrono delle ottime occasioni ai dittatori e aspiranti tali. Loro diventano indispensabili, responsabili, leader a cui i cittadini possono rivolgersi nell’ora del bisogno.

Yuval Noah Harari, autore di best-seller e storico, ha definito queste manovre “la prima dittatura da coronavirus”.

Perché sennò avrebbe scavalcato i tribunali e la Knesset incaricando i servizi di sicurezza israeliani di rivelare dati privati di cittadini israeliani sospettati di avere il virus? In nome della sicurezza pubblica? Se la malattia è criminalizzata, le vittime saranno riluttanti a farsi avanti e ad ammettere di essere malate. Ciò nasconderà ulteriormente la malattia: tutti sospetteranno di tutti.

Netanyahu ha ordinato alle autorità di monitorare le abitazioni dei malati di coronavirus. A loro sarà proibito di lasciare le proprie case e in teoria saranno punibili se lo faranno. I dati di geolocalizzazione identificheranno anche chi è stato a meno di due metri di distanza da questi individui per 10 minuti o più e ordinerà loro con un messaggino di mettersi in quarantena. Presumibilmente, il passaggio successivo potrebbe essere una visita della polizia. 

Haaretz ha riferito di una minacciosa direttiva segreta del ministero della Salute ai membri della Knesset, che li incoraggia a imporre “un blocco totale delle libertà personali”. Quando la commissione si è tirata indietro davanti alla proposta del ministero di concedere immediatamente questi poteri, Netanyahu ha autonomamente emanato questa sua direttiva, scavalcando l’assemblea legislativa.

In seguito a un appello presentato dai gruppi per i diritti civili, giovedì la Corte Suprema di Israele ha decretato che non potranno essere approvate drastiche misure di sorveglianza senza il controllo del parlamento, dando al governo un lasso di tempo di cinque giorni per farlo.

Cittadini sotto sorveglianza 

Lo Shin Bet, l’agenzia di intelligence interna israeliana, ha un enorme database della popolazione israeliana, non ha bisogno di un mandato per ottenere queste informazioni e le può usare come meglio crede. 

Secondo un reportage del New York Times, il servizio di sicurezza “ha raccolto, in modo riservato, ma regolarmente, i metadati dei cellulari, a cominciare almeno dal 2002”, senza rivelare i dettagli di come tali dati siano protetti.

La Legge sulle Telecomunicazioni, emendata nel 1995, dà ampi poteri al primo ministro di ordinare agli operatori di permettere l’accesso alle loro strutture e ai loro database, e l’Articolo 11 della Legge dell’Agenzia di Intelligence israeliana, promulgata nel 2002, permette al primo ministro di determinare che tipo di informazioni titolari di contratti telefonici possano essere richiesti dallo Shin Bet, riferisce il NYT.

Sin dal 2002, ha detto un ex alto funzionario del Ministero della Giustizia, i primi ministri hanno richiesto alle compagnie di cellulari di trasferire all’agenzia un’ampia gamma di metadati sui loro clienti.” fa notare il quotidiano. 

Il funzionario si è rifiutato di dire quali categorie di dati fossero forniti o negati, ma i metadati includono l’identità di ogni abbonato, chi chiama o riceve ogni chiamata, i pagamenti eseguiti dal conto così come le informazioni sulla geolocalizzazione raccolte quando i telefoni agganciano i ripetitori.”

Negli USA, Edward Snowden aveva causato una crisi della sicurezza nazionale [denunciando il fatto che la CIA controlla illegalmente i dati di milioni di americani, ndtr.]. In Israele le autorità hanno avuto potere e controllo ancora maggiori su tali dati per decenni, quasi senza alcuna supervisione e senza che qualcuno si opponesse.

Ma allora perché il Likud non fa un vero e proprio colpo di stato, invece di farne uno “soft”? Né i militari né i servizi di intelligence appoggerebbero un colpo di stato per mantenere al potere Netanyahu. In generale si oppongono all’avventurismo militare dei leader del Likud, non perché siano progressisti o particolarmente umani, ma perché hanno una certa deferenza per le tradizioni politiche.

Inoltre riconoscono che il Likud è corrotto e consegnare in eterno il Paese a questo partito ne significherebbe la rovina.

Nel frattempo, Blue e Bianco ha presentato appello alla Corte Suprema contro la decisione di Edelstein di chiudere il parlamento. Il governo non è ancora riuscito a bloccare totalmente il potere giudiziario. Sebbene si speri che la Corte riesca a non farsi ingannare da tali trucchetti e ristabilisca la legalità, non c’è alcuna garanzia, dato che molti giudici sono stati nominati dal Likud.

Questo è un Paese in cui questi sono valori solo apparenti o non esistono del tutto. Se fa un mezzo passo avanti, come quando Blu e Bianco si era dichiarato d’accordo a formare un governo con il supporto della Lista Unita palestinese, può altrettanto facilmente fare due passi indietro, e ora che abbiamo la prospettiva di un governo di unità con a capo Netanyahu, è esattamente quello che è avvenuto.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non rispecchiano necessariamente la politica editoriale del Middle East Eye.

Richard Silverstein

Richard Silverstein scrive sul blog Tikun Olam, dedicato a denunciare gli eccessi dello stato della sicurezza nazionale israeliano. I suoi articoli appaiono su Haaretz, Forward, sul Seattle Times e sul Los Angeles Times. Ha contribuito alla raccolta di saggi sulla Guerra del Libano del 2006 A Time to Speak Out [Il momento di denunciare], edizioni Verso e con un altro saggio nel volume collettaneo Israel and Palestine: Alternate Perspectives on Statehood [Israele e Palestina: prospettive alternative di statualità], edito da Rowman & Littlefield.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)