Cosa accadrebbe nel caso in cui la CIG delegittimasse l’occupazione israeliana della Palestina?

L'interno all'Aja della Corte Internazionale di Giustizia Foto: Abdullah Asiran/Anadolu Agency
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Ramzy Baroud

10 gennaio 2023 – Middle East Monitor

Ancora una volta la Corte internazionale di giustizia (CIG) è in procinto di emettere un parere legale sulle conseguenze dell’occupazione israeliana della Palestina. Il 31 dicembre uno storico voto delle Nazioni Unite ha invitato la CIG a esaminare in termini giuridici l’occupazione, i diritti del popolo palestinese all’autodeterminazione e la responsabilità da parte di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite di porre fine alla prolungata occupazione israeliana. Un accento particolare sarà posto sulla “composizione demografica, carattere e status” della Gerusalemme occupata.

L’ultima volta venne chiesto alla CIG di fornire un parere giuridico sulla questione fu nel 2004. Tuttavia allora il parere era in gran parte incentrato sulle “conseguenze legali derivanti dalla costruzione del muro [dell’apartheid israeliano]”.

Sebbene sia vero che la CIG concluse che la totalità delle azioni israeliane nei Territori palestinesi occupati è illegale ai sensi del diritto internazionale – la Quarta Convenzione di Ginevra, le relative disposizioni dei precedenti Regolamenti dell’Aia e, naturalmente, numerose risoluzioni della Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – questa volta la corte esprimerà la sua opinione sul tentativo di Israele di rendere permanente quella che dovrebbe essere un’occupazione militare temporanea.

In altre parole, la CIG potrebbe – e molto probabilmente lo farà – delegittimare ogni singola azione intrapresa da Israele nella Palestina occupata dal 1967. Questa volta le conseguenze non saranno simboliche, come spesso accade nelle decisioni dell’ONU relative alla Palestina.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha fatto più di ogni altro leader israeliano per “normalizzare” l’occupazione della Palestina, si è comprensibilmente adirato dopo il voto delle Nazioni Unite. Lo ha descritto come “spregevole”.

I suoi partner di coalizione sono stati altrettanto intransigenti. “L’occupazione [israeliana] della Cisgiordania è permanente e Israele ha il diritto di annetterla”, ha detto il membro della Knesset Zvika Fogel il 1° gennaio in un’intervista sulla emittente israeliana Radio 103FM. Più di ogni altra cosa, le parole di Fogel riassumono la nuova realtà in Israele e Palestina. Sono finiti i giorni dell’ambiguità politica riguardo alle motivazioni ultime di Israele nei Territori palestinesi occupati.

In effetti Israele sta ora cercando di gestire una fase completamente nuova del suo progetto coloniale in Palestina, un’impresa iniziata propriamente nel 1947-48 e che, secondo i calcoli di Israele, sta per concludersi con la colonizzazione totale della Palestina. Questa è la versione israeliana di una “soluzione a uno Stato” basata su apartheid e discriminazione razziale.

Il partito di Fogel, Otzma Yehudit, è un membro importante della nuova coalizione di destra di Netanyahu. Le sue parole non riflettono semplicemente le sue opinioni personali o solo quelle del suo versante ideologico.

Il nuovo governo è pieno di estremisti del calibro, tra gli altri, di Bezalel Smotrich, Itamar Ben-Gvir e Yoav Galant – ed è ora impegnato in un’agenda contraria alla pace per una questione politica. Il 28 dicembre, subito dopo aver prestato giuramento, il nuovo governo ha annunciato che “avanzerà e realizzerà insediamenti in tutte le parti di Israele”. Non è stata fatta alcuna distinzione tra “Israele”, come riconosciuto dai Paesi di tutto il mondo, e i Territori palestinesi occupati. Nelle intenzioni della coalizione l’annessione è già avvenuta.

Ben-Gvir, il cui raid alla moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata ha suscitato molte critiche in tutto il mondo, sta inviando chiari messaggi ai palestinesi e alla comunità internazionale in generale: per quanto riguarda Israele, nessuna legge internazionale è rilevante, niente è sacro e nessun centimetro della Palestina è off limits.

Questa volta, però, non è come al solito. Sì, l’espansione territoriale di Israele a spese della Palestina occupata è stata il comune denominatore tra tutti i governi israeliani negli ultimi 75 anni, ma vari governi, comprese le prime presidenze di Netanyahu, hanno trovato modi indiretti per giustificare la costruzione di insediamenti coloniali illegali. Le cosiddette “espansioni naturali” e le “esigenze di sicurezza” erano solo due dei tanti pretesti forniti da Israele per giustificare la sua continua spinta all’acquisizione di terre con la forza.

In pratica, nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza l’inesauribile sostegno finanziario, militare e politico degli Stati Uniti. Inoltre i veti statunitensi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’incessante pressione sui membri dell’Assemblea generale dell’ONU hanno permesso a Israele di aggirare indenne il diritto internazionale. Esso è in grado di agire con totale impunità. Il risultato è la tragica realtà di oggi.

Secondo il sito web ufficiale delle Nazioni Unite attualmente ci sono quasi 700.000 coloni ebrei illegali che vivono in territorio palestinese occupato. La ONG israeliana Peace Now afferma che questi coloni ebrei vivono in 145 colonie illegali nella Cisgiordania occupata, oltre a 140 avamposti di insediamenti coloniali, illegali anche secondo la legge israeliana ma che probabilmente saranno ufficializzati dal nuovo governo.

La coalizione guidata da Netanyahu è stata costituita con il programma che in futuro gli avamposti saranno effettivamente legalizzati e quindi riceveranno finanziamenti governativi ufficiali. Ciò non dovrebbe rappresentare un grosso problema politico per Netanyahu che nel 2020 è riuscito a convincere la Knesset [parlamento, ndt.] israeliana sulla prospettiva dell’annessione di gran parte della Cisgiordania ed è ora determinato a portare avanti un processo di “annessione morbida”; annessione de facto che rischia di essere legalizzata in seguito come annessione de jure.

Né la piena colonizzazione della Palestina si rivelerebbe un problema giuridico. La legge israeliana sullo Stato-nazione del 2018 ha già fornito la copertura legale a Tel Aviv per violare il diritto internazionale e fare ciò che vuole in termini di colonizzazione di tutta la Palestina ed emarginazione dei legittimi diritti dei palestinesi. Secondo la nuova Legge Fondamentale di Israele, “Lo Stato di Israele è lo Stato-nazione del popolo ebraico in cui esso realizza il suo diritto naturale, culturale, religioso e storico all’autodeterminazione”. Proprio questo riferimento è stato citato nella dichiarazione del nuovo governo del 29 dicembre.

Non molti in Israele protestano contro tale situazione. In un recente articolo sul Palestine Chronicle lo storico israeliano Ilan Pappe ha spiegato come le attuali formazioni socio-politiche della società israeliana, oltre le tre correnti dominanti di destra ed estremiste impegnate nella Coalizione Netanyahu: ebrei ultraortodossi, ebrei religiosi nazionalisti ed ebrei laici del Likud, rendano quasi impossibile l’emergere di politiche alternative di rilevante consenso.

Ciò significa che il cambiamento in Israele non potrebbe mai venire dall’interno dello stesso Israele. Mentre i palestinesi continuano a resistere, i governi arabi e musulmani, e la comunità internazionale in generale, devono affrontare lo stato di occupazione, usando tutti i mezzi a loro disposizione per porre fine a questa farsa. L’opinione della CIG è molto importante ma senza un’azione significativa un’opinione legale da sola non capovolgerà la sinistra realtà dei fatti in Palestina, specialmente quando questa realtà è finanziata, appoggiata e sostenuta da Washington e dagli altri alleati occidentali di Israele.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)