Gli Stati Uniti non possono continuare a ignorare i crimini di Israele a Gerusalemme

Gli scontri alla Porta di Damasco
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Daoud Kuttab

27 aprile 2021   Al Jazeera

L’amministrazione Biden deve usare maniere forti con Israele se vuole fare la differenza in Medio Oriente.

È diventato praticamente un cliché. La nuova amministrazione statunitense si insedia e delude le aspettative che intensifichi gli sforzi per risolvere il conflitto israelo-palestinese, elencando invece nuove priorità estere come Afghanistan, Russia e Cina. Allo stesso modo, l’amministrazione Biden ha segnalato una mancanza di serio interesse per la questione palestinese.

Ma le proteste violente e gli scontri scoppiati nella Gerusalemme est occupata all’inizio di questo mese dovrebbero smuovere la leadership degli Stati Uniti dalla loro apatia.

Il primo giorno di Ramadan le autorità israeliane hanno deciso di rompere il fondamentale impegno a rispettare il diritto di culto entrando con la forza nei quattro minareti della moschea di Al Aqsa, per interrompere la chiamata serale alla preghiera, che coincideva con la cerimonia israeliana per la Giornata della Memoria svoltasi presso il Muro Occidentale di Gerusalemme alla presenza di alti funzionari israeliani.

Dopo di che le autorità israeliane hanno anche deciso di negare l’ingresso ad Al Aqsa a un gran numero di fedeli musulmani che volevano unirsi ai loro fratelli e sorelle per la rottura del digiuno nel cortile della moschea. Ai palestinesi è stato anche vietato di riunirsi presso la Porta di Damasco, cosa che fanno tradizionalmente durante il Ramadan.

Le affermazioni dei funzionari che queste misure fossero state prese per proteggere i palestinesi dal COVID-19 non sono credibili. La maggior parte dei residenti di Gerusalemme Est è già stata vaccinata, poiché, a differenza dei palestinesi che vivono a Gaza e in Cisgiordania, hanno avuto accesso ai vaccini dalle autorità israeliane. A un numero limitato di palestinesi nel resto dei territori occupati è stato concesso il permesso di visitare la città occupata e tutti hanno dovuto presentare un certificato di vaccinazione.

Come se non bastasse, la polizia israeliana ha permesso a centinaia di giovani dell’organizzazione di estrema destra Lehava, considerata razzista ed estremista anche dagli israeliani, di marciare verso la città vecchia di Gerusalemme al grido di “morte agli arabi” e “via gli arabi”. Quando i palestinesi li hanno fronteggiati, per disperdere la folla palestinese la polizia israeliana ha usato granate assordanti, gas lacrimogeni e violenza fisica.

In tutto il mondo, le tattiche per prevenire la violenza includono non solo una presenza di polizia ampia e controllata, ma anche tentativi di convincere i leader politici o religiosi a usare la loro posizione per incoraggiare i membri della loro comunità a non entrare in alterchi fisici e a disperdersi pacificamente.

Il problema è che Israele ha da tempo abbandonato questi strumenti di comunicazione con i palestinesi di Gerusalemme est. Dal 1993, con la firma degli accordi di Oslo alla Casa Bianca a Washington, gli israeliani agiscono aggressivamente per recidere ogni legame dei palestinesi di Gerusalemme con la loro leadership nazionale.

Le autorità israeliane interrompono regolarmente gli eventi nella città occupata sponsorizzati dal governo palestinese di Ramallah anche se l’evento è uno spettacolo di marionette per bambini. I leader locali palestinesi vengono spesso trascinati via e imprigionati o minacciati di pene detentive se continuano a comunicare con i leader palestinesi loro colleghi.

E le violazioni israeliane dei diritti dei palestinesi in Gerusalemme non si fermano qui. Israele ha rifiutato di onorare una serie di clausole del patto interinale quinquennale degli accordi di Oslo che riguardano i gerosolimitani. Ha rifiutato di negoziare lo status della città occupata e ha continuato la sua campagna demografica e di sicurezza intesa a sradicare i residenti palestinesi. Ha anche continuato negli sforzi diplomatici per far riconoscere Gerusalemme come sua capitale.

Ora sta anche pianificando di impedire ai palestinesi di Gerusalemme di votare alle elezioni legislative palestinesi che si terranno il 22 maggio. Questo nonostante il fatto che l’accordo interinale garantisca il diritto dei palestinesi di Gerusalemme di votare alle elezioni palestinesi.

Il governo israeliano, che dichiara costantemente di presiedere “all’unica democrazia del Medio Oriente” e di rispettare il diritto dei fedeli di tutte le religioni a praticare la loro fede a Gerusalemme e in tutta la Terra Santa, sta tristemente venendo meno su entrambi i fronti.

Nel frattempo l’amministrazione Biden ha rilasciato solo una debole dichiarazione di “preoccupazione” sulla marcia degli estremisti ebrei a Gerusalemme che ha provocato tensioni. Significa anche che non si opporrà al rinvio delle elezioni palestinesi, cosa che l’Autorità Nazionale Palestinese potrebbe essere costretta a fare poiché non è riuscita a ottenere da Israele il permesso di indire le votazioni a Gerusalemme est.

In patria, l’amministrazione Biden si è opposta all’estremismo di estrema destra e alla repressione degli elettori. Non ha senso che la sua politica estera nei confronti di Israele e Palestina non rifletta gli stessi principi.

Se il presidente Joe Biden è davvero deciso a riparare i danni che il suo predecessore Donald Trump ha fatto in patria e all’estero, allora deve cambiare tattica con Israele. Chiudere un occhio sui crimini israeliani contro i palestinesi e scegliere continuamente di compiacere Israele non porterà a una risoluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese.

Biden deve fare pressione su Israele affinché sia accomodante su Gerusalemme, consenta lo svolgimento delle elezioni palestinesi in modo che possa essere eletta una nuova leadership palestinese, e poi procedere per riportare le due parti al tavolo dei negoziati.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione della redazione di Al Jazeera.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)