Israele sceglie la violenza

L'attacco alla Moschea di Al-Aqsa (Olivier Fitoussi/Flash90)
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Haggai Matar

10 maggio 2021- +972 magazine

Dalla repressione a Sheikh Jarrah al bombardamento di Gaza, il governo israeliano ha scelto di incrementare la sua brutalità nei confronti dei palestinesi.

L’acuirsi della violenza degli ultimi giorni in Israele-Palestina è principalmente il risultato di una serie di scelte fatte dal governo israeliano. Mentre tale violenza è tutt’altro che inedita nella nostra regione ed è intrinseca alle pluridecennali politiche oppressive di Israele, ci sono scelte che in ultima analisi sono utili agli interessi del primo ministro Benjamin Netanyahu, che sta lottando disperatamente per salvare la sua carriera politica ed evitare la possibilità di finire in carcere.

Le scelte pericolose sono di fatto cominciate con l’inizio del mese santo musulmano del Ramadan, quando le autorità israeliane hanno preso l’incomprensibile decisione di collocare nuovi posti di controllo provvisori all’ingresso della Porta di Damasco, nella Città Vecchia di Gerusalemme. Poi hanno attaccato i palestinesi che si erano riuniti lì per festeggiare la rottura del digiuno quotidiano con amici e famiglie. Ci sono volute due settimane di violenza poliziesca e la risoluta risposta da parte dei manifestanti palestinesi perché la polizia si ritirasse.

Nel contempo la ripresa delle manifestazioni settimanali e delle veglie quotidiane nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est per protestare contro l’espulsione forzata di famiglie palestinesi ha visto la polizia fare uso di una forza brutale contro gli abitanti e i dimostranti. Come ha informato Oren Ziv di +972, la polizia è andata accentuando la violenza in un quartiere che è diventato un importante simbolo della spoliazione dei palestinesi.

A Sheikh Jarrah Israele sta cercando di restituire ad ebrei terreni che si sostiene siano stati in precedenza di proprietà di ebrei prima del 1948. Così facendo sta espellendo famiglie palestinesi che prima del 1948 [anno di nascita di Israele, ndtr.] erano proprietarie di terreni in quello che è diventato Israele, senza consentire loro di rivendicare la terra che hanno perso durante la Nakba [la Catastrofe, ossia la pulizia etnica subita dai palestinesi dal 1947 al 1948, ndtr.]. È difficile trovare una forma più palese di discriminazione razzista.

Negli ultimi anni lanci di pietre e scontri attorno alla moschea di Al-Aqsa nel periodo del Ramadan sono diventati frequenti. Spesso finiscono subito dopo essere iniziati, con la polizia che decide di lasciare che le proteste si esauriscano da sole. Questa volta la polizia ha optato per una violenza esagerata, ferendo negli ultimi giorni oltre 300 palestinesi sulla Spianata delle Moschee/Monte del Tempio. Ciò include un certo numero di giornalisti, tra cui Faiz Abu Rmeleh, membro del collettivo Activestills [gruppo di fotogiornalisti impegnati nella controinformazione su Israele/Palestina, ndtr.] e collega di +972, a cui hanno sparato con proiettili di acciaio ricoperti di gomma e picchiato dalla polizia.

Ma la violenza poliziesca non si è fermata lì: alcuni reparti sono entrati nella moschea di Al-Aqsa ed hanno lanciato granate stordenti contro i palestinesi che vi si trovavano. Il valore simbolico di poliziotti armati che calpestano tappeti da preghiera e aggrediscono fedeli in uno dei luoghi più sacri per l’Islam e durante il suo mese più santo è risultato evidente a tutti e non avrebbe potuto avvenire senza che qualcuno prendesse deliberatamente la decisione di intraprendere un’iniziativa così estrema.

Quando i cittadini palestinesi di Israele hanno organizzato autobus per andare a pregare nella [moschea di] Al-Aqsa e per proteggerla, le autorità hanno risposto chiudendo le strade 1 e 443. Così facendo hanno impedito a migliaia di musulmani che stavano digiunando di andare a Gerusalemme per esercitare la libertà di culto, lanciando granate assordanti contro quelli che hanno iniziato a marciare nonostante gli ordini della polizia. Essa ha spiegato la sua decisione affermando di voler impedire che 20 potenziali “istigatori” raggiungessero la capitale. Persino importanti giornalisti israeliani, che spesso sono lieti di ripetere pedissequamente la narrazione ufficiale del governo, hanno messo in dubbio la validità di queste affermazioni.

Come se non bastasse, lo scorso mese estremisti di estrema destra dell’organizzazione razzista Lehava sono comparsi a Sheikh Jarrah, alla Porta di Damasco e nel centro di Gerusalemme. Sono stati appoggiati dal deputato kahanista [seguace del rabbino razzista Meir Kahane, ndtr.] Ben-Gvir e dal vicesindaco di Gerusalemme Aryeh King, che la scorsa settimana ha pubblicamente augurato la morte a un importante attivista palestinese a Sheikh Jarrah.

Due settimane dopo gli eventi di Sheikh Jarrah e alla Porta di Damasco, il presidente [palestinese, ndtr.] Mahmoud Abbas ha annunciato la cancellazione delle elezioni palestinesi. La ragione ufficiale è stata la decisione israeliana di impedire ai palestinesi gerosolimitani di parteciparvi, in violazione degli Accordi di Oslo. Però la decisione era chiaramente destinata a favorire gli interessi di Abbas e, come hanno sostenuto molti attivisti politici palestinesi, era ancora possibile e forse persino necessario tenere le elezioni indipendentemente dall’esclusione di Gerusalemme.

Benché questa sia una questione tra palestinesi, Israele avrebbe potuto annunciare di star agendo in base agli obblighi previsti dal contesto di Oslo, rispettare i principi democratici e consentire ai palestinesi di Gerusalemme di votare. Ha scelto di non farlo e prima dell’annuncio di Abbas la polizia ha arrestato in città dei palestinesi che appoggiavano le elezioni e cercavano di organizzarle. Anche questa è stata un’escalation nel modo di agire di Israele.

Lunedì, durante la tristemente nota “Marcia della Bandiera” israeliana del Giorno di Gerusalemme, miliziani di Hamas hanno lanciato razzi verso Gerusalemme. Israele ha scelto di rispondere ai razzi attaccando Gaza, uccidendo a quanto si dice almeno 20 persone, tra cui 9 bambini. Il governo ha annunciato che l’operazione militare durerà “giorni, non ore”. Netanyahu ha aggiunto che farà “pagare un prezzo molto alto” a Gaza. Anche questa è stata una scelta.

Troppo poco, troppo tardi

Ovviamente quello a cui stiamo assistendo non è solo il risultato della condotta unilaterale di Israele. Il lancio di razzi contro civili da parte di Hamas, com’è successo oggi a Gerusalemme, nel Naqab/Negev occidentale e nelle città attorno a Gaza, è un crimine di guerra. Inoltre lo scorso mese video pubblicati su TikTok hanno mostrato palestinesi che maltrattano e aggrediscono ebrei ultraortodossi. Militanti palestinesi hanno anche messo in atto alcuni attacchi con armi da fuoco contro civili e soldati israeliani in Cisgiordania, uccidendo la scorsa settimana il diciannovenne Yehuda Guetta. Negli ultimi giorni palloni incendiari sono stati lanciati in Israele da Gaza, bruciando campi nel sud. Però è chiaro che niente di tutto ciò è comparabile con l’enorme forza e brutalità del più potente esercito della regione, come dimostra ancora una volta il bilancio dei morti.

Quasi allo stesso tempo in Cisgiordania, nei pressi dell’incrocio di Gush Etzion [prima colonia israeliana nei territori occupati, ndtr.], i soldati hanno ucciso Fahima al-Hroub, a causa di una cultura criminale che consente ai soldati e alla polizia israeliani di uccidere impunemente palestinesi con problemi mentali [la vittima era una donna sessantenne con gravi problemi di depressione, ndtr.].

Inoltre nei giorni che hanno portato all’attacco contro Gaza, Israele (e in particolare lo Shin Bet [intelligence interna di Israele, ndtr.]) si è sempre più preoccupato di quanto stava avvenendo e ha iniziato a cercare di ridurre il danno. Netanyahu ha chiesto a Ben Gvir di smantellare un “ufficio” provvisorio che aveva costruito a Sheikh Jarrah e di andarsene dal quartiere. L’udienza della Corte Suprema sull’espulsione delle famiglie è stata rinviata su richiesta del procuratore generale. Nel Giorno di Gerusalemme il Monte del Tempio è stato chiuso agli ebrei e all’ultimo minuto il governo ha bloccato il suo piano di consentire alla famigerata Marcia della Bandiera di attraversare la Porta di Damasco e i quartieri arabi. Tutti questi passi sono stati presentati come un modo per allentare la tensione.

Ma è stato troppo poco e troppo tardi. La decisione di lunedì sera del governo di bombardare Gaza ha compromesso totalmente ogni tentativo che sosteneva di aver fatto per porre rapidamente fine alla violenza a Gerusalemme.

Ovviamente questi sono solo gli sviluppi delle ultime settimane. La situazione dell’assedio di Gaza che dura da 14 anni, di un regime militare costruito su sistemi giudiziari separati per ebrei e palestinesi, della spoliazione e dell’ingegneria demografica a Gerusalemme, delle sistematiche discriminazioni contro i cittadini palestinesi di Israele e di esilio forzato dei rifugiati palestinesi, spiega tutto quello che stiamo vedendo succedere adesso. Il tentativo durato anni da parte di Netanyahu di “gestire il conflitto” può aver cancellato queste ingiustizie dalla coscienza dell’opinione pubblica israeliana, ma esse rimangono la situazione quotidiana per milioni di palestinesi, e alimentano attivamente quello che avviene attualmente.

Una lotta per la vita

La reazione israeliana al lancio di razzi di Hamas è stata immediata. I principali mezzi di comunicazione e i politici israeliani, compresi quelli che sperano di sostituire Netanyahu, hanno ripetuto a pappagallo la ben nota linea di partito. “Israele deve agire in modo risoluto e forte e ristabilire la deterrenza,” ha dichiarato Yair Lapid, che recentemente è stato scelto per cercare di mettere insieme un governo e che è stato appoggiato dal partito Laburista [di centro, ndtr.], dal Meretz [sinistra sionista, ndtr.] e dalla maggioranza della Lista Unita [coalizione di partiti arabo-israeliani di sinistra, ndtr.]. L’ex dirigente del Likud Gideon Sa’ar [di destra, ndtr.] e Naftali Bennett di Yamina [La Destra, partito di estrema destra dei coloni, ndtr.], che potrebbe benissimo essere il prossimo primo ministro, si sono entrambi uniti a Lapid nel chiedere attacchi più pesanti contro Gaza, senza alcuna riflessione sulle azioni israeliane che ci hanno portato a questo punto.

D’altra parte il partito islamista Ra’am [arabo-israeliano di destra, ndtr.], che ha affermato di sostenere Lapid e Bennett per la formazione di un governo, in seguito all’escalation da parte di Israele ha sospeso i colloqui per una coalizione. Né Ra’am né la Lista Unita potrebbero appoggiare la formazione di un governo con politici che chiedono attivamente un incremento degli attacchi contro Gaza.

Nel novembre 2019, quando per la prima volta è nata l’idea di formare un’alleanza di centro destra con la Lista Unita, Netanyahu ha utilizzato Gaza come ragione assoluta per l’impossibilità di formare un simile governo. Ora, pochi giorni prima che Lapid e Bennett annuncino la formazione di un nuovo governo per spodestare Netanyahu, gli eventi di Gaza stanno facendo direttamente il gioco del primo ministro in carica.

Netanyahu ha pianificato e orchestrato questa escalation? Non c’è ovviamente nessun modo per dimostrare una cosa simile. Ci sono le sue impronte digitali su questi sviluppi? Dato che il primo ministro è responsabile delle varie iniziative delle autorità sotto il suo comando, la risposta è indubbiamente sì. Tutto quello che è successo in quest’ultimo mese, con livelli di violenza inediti da anni, lo ha aiutato nel tentativo di evitare di essere spodestato? Assolutamente sì.

L’incremento della violenza costituisce un avvertimento che non possiamo abbandonare la lotta contro l’occupazione e l’apartheid e che sostituire Netanyahu con un altro uomo di destra non risolverà le questioni fondamentali che influenzano ogni aspetto delle nostre vite su questa terra. Ci troviamo in una terribile trappola, ma è la trappola della situazione colonialista di Israele. Non c’è altro modo per andare avanti se non una lotta per l’uguaglianza e la libertà per tutti gli abitanti di questa terra. Non è niente meno che una lotta per la vita stessa.

Haggai Matar è un giornalista israeliano pluripremiato e un attivista politico, oltre ad essere direttore esecutivo di “+972 – Promozione del giornalismo dei cittadini”, l’associazione no-profit che pubblica +972 Magazine.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)