Prima i droni. Poi le bombe

le coseguenze di un attacco israeliano a Gaza il 4 novembre. Foto: Ashraf AmraAPA images
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Abdallah al-Naami 

The Electronic Intifada 10 novembre 2022

Il fine settimana era finalmente arrivato.

E la cosa migliore dei fine settimana è che posso passare del tempo con mio nipote Yahya di 5 mesi.

Lui e mia sorella Inas vengono a trovarci ogni fine settimana nella nostra casa nel campo di Maghazi al centro di Gaza.

Ma lo scorso fine settimana vorrei che non l’avessero fatto.

Il 3 novembre, verso le 10 di notte, eravamo tutti in soggiorno a dire come i droni israeliani volassero particolarmente bassi e rumorosi.

Sebbene i droni siano una maledetta costante nella vita di ogni palestinese a Gaza, non mi ci sono mai abituato. Il ronzio rende difficile lo studio e il lavoro e devo dormire con il ventilatore acceso, anche in inverno, per coprirne il rumore.

Ma più che un fastidio i droni sono una minaccia mortale. Un promemoria che l’occupazione israeliana ci osserva sempre dall’alto, pronta ad uccidere in qualsiasi momento.

La conversazione si è interrotta quando mia sorella ha chiesto chi volesse dar da mangiare a Yahya. Gli ho dato un biberon di latte e l’ho cullato per farlo addormentare, cantandogli una canzone per coprire, anche solo un po’, il ronzio dei droni.

Un brusco risveglio

Andammo tutti a letto, Yahya e mia sorella al piano di sopra, ma non dormimmo a lungo.

Intorno alle 3 del mattino, mi sono svegliato al frastuono di un’enorme esplosione.

Ho subito pensato a Yahya. Sono riuscito a malapena ad alzarmi dal letto che è arrivata la seconda esplosione. L’elettricità è saltata. Ho preso il cellulare per usare la torcia, ma la terza esplosione è stata così forte che la finestra sopra il mio letto è andata in frantumi, coprendo me e il cuscino di vetri.

Sono seguite altre due esplosioni. Dal rumore sembrava che gli aerei israeliani lanciassero due missili ad ogni esplosione.

Potevo sentire i vetri infrangersi, terra e mattoni cadere, urla. Era passato meno di un minuto.

Mi feci strada al piano di sopra, nella stanza di Inas e Yahya. L’ho sentito prima di vederlo: strillava, la faccia rossa per le urla.

Siamo andati nella “zona sicura” della nostra casa, che in realtà non è affatto sicura. È solo un corridoio che ci diciamo sia sicuro perché non ha finestre. Ma le finestre contano davvero quando l’intera casa trema per le esplosioni?

Eravamo tutti sotto shock, terrorizzati, ma abbiamo fatto del nostro meglio per calmare Yahya. Abbiamo cantato, applaudito e riso per cercare di calmare la sua paura.

Ho poi saputo che quando alla prima esplosione Yahya si è svegliato, le mie sorelle lo hanno riparato con i loro corpi per proteggerlo da possibili ferite.

Dopo circa un’ora nel corridoio, Yahya si è riaddormentato e io ho controllato il resto della casa.

Le finestre erano in frantumi in ogni stanza e si erano aperte crepe lungo molte pareti.

Distruzione

Il giorno dopo sono andato alla moschea per la preghiera del venerdì. La nostra strada era irriconoscibile: coperta di fango, mattoni e pietre lanciati fino a 300 metri di distanza dal luogo dello scoppio.

I vicini parlavano dell’attacco israeliano, di quali bombe fossero state usate, quali aerei fatti volare. Questi attacchi sono così numerosi che ora siamo tutti esperti di aerei e bombe.

Dopo la preghiera ho fatto una passeggiata per il quartiere. Riuscivo a malapena a riconoscere il parco giochi di al-Mamoura, dove sono cresciuto e ho giocato, dove avevo di recente guardato le partite di calcio su un grande schermo all’aperto. Il parco giochi era ora sepolto da terra e macerie.

Ho pensato a come questo non fosse nemmeno il primo attacco israeliano vissuto da Yahya, come il 5 agosto 2022, quando Israele attaccò Gaza, Yahya avevesse pianto tutta la notte.

È passata quasi una settimana da quest’ultimo attacco israeliano e, sebbene fortunatamente non siano stati segnalati decessi, la copertura dei media in lingua inglese è stata minima o inesistente.

Nel frattempo, lavoriamo per riparare i danni alla nostra casa. Stiamo ancora raccogliendo pezzi di vetro così piccoli da essere penetrati in vestiti, tende e tappeti. E infine ieri abbiamo sostituito i vetri delle finestre. Fino ad allora, il vento soffiava dentro la pioggia torrenziale attraverso le tende e io mi precipitavo ad asciugare l’acqua.

Ho tenuto sott’occhio Yahya ogni giorno dal bombardamento. È piccolo, ma il trauma degli attacchi israeliani ha un impatto incalcolabile e duraturo sui bambini. La mia speranza è che dimentichi tutto.

E, mentre il fine settimana si avvicina, non vedo l’ora di abbracciare di nuovo Yahya, e di cantare per farlo dormire.

Abdallah al-Naami è un giornalista e fotografo che vive a Gaza.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)

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