Mentre continuano i colloqui per il cessate il fuoco a Gaza Netanyahu afferma che Israele invaderà Rafah

Redazione di Al Jazeera

30 aprile 2024-Al Jazeera

Il primo ministro israeliano Netanyahu dice che le forze israeliane entreranno nella città meridionale di Gaza “con o senza un accordo”.

Mentre sono in corso difficili negoziati di tregua per raggiungere un accordo di cessate il fuoco, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ribadito la sua promessa che Israele lancerà un assalto di terra a Rafah, nel sud di Gaza.

Martedì Netanyahu ha detto che Israele distruggerà i battaglioni di Hamas a Rafah “con o senza un accordo” per ottenere la “vittoria totale” nella guerra che dura da quasi sette mesi.

Israele e Hamas stanno negoziando un potenziale accordo di cessate il fuoco e uno scambio tra ostaggi detenuti da gruppi palestinesi a Gaza con prigionieri detenuti nelle carceri israeliane.

L’idea che fermeremo la guerra prima di raggiungere tutti i suoi obiettivi è fuori discussione. Entreremo a Rafah ed elimineremo lì i battaglioni di Hamas, con o senza un accordo, per ottenere la vittoria totale,” ha detto il primo ministro in un incontro con le famiglie degli ostaggi detenuti dai gruppi armati a Gaza.

Hamas ha ripetutamente affermato che non accetterà un accordo che non includa un cessate il fuoco permanente e un ritiro completo delle forze israeliane da Gaza – questi sono stati i principali punti critici dei negoziati.

Per mesi Netanyahu si è ripetutamente impegnato a procedere con l’invasione di Rafah, nonostante l’esplicita contrarietà da parte del principale alleato di Israele, gli Stati Uniti.

Le agenzie umanitarie hanno avvertito che un assalto a Rafah, dove hanno trovato rifugio più di un milione di palestinesi sfollati, sarebbe catastrofico.

Martedì il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha esortato Israele a non procedere con un attacco militare che “costituirebbe un’intollerabile escalation che ucciderebbe migliaia di civili e costringerebbe centinaia di migliaia di persone a fuggire”.

Assalto incombente

La radio dell’esercito israeliano ha affermato che un piano per attaccare Rafah otterrà il via libera “nei prossimi giorni” se non verrà raggiunto un accordo di cessate il fuoco con Hamas.

La radio israeliana GLZ, attribuendo le informazioni a “funzionari della sicurezza”, ha affermato in un post sui social media che “verrà dato l’ordine di lanciare un’operazione a Rafah” se non verranno fatti progressi entro pochi giorni nei “negoziati per un accordo”.

In un post su X il media israeliano N12 ha riferito che, secondo quanto riferito dalle famiglie degli ostaggi, Netanyahu ha detto loro che l’evacuazione della popolazione a Rafah è già iniziata.

Tuttavia, il capo dell’UNRWA Philippe Lazzarini ha dichiarato martedì che “alla popolazione non è stato ancora chiesto di evacuare Rafah.

Ma c’è la sensazione che se non ci sarà un accordo di cessate il fuoco questa settimana, potrebbe accadere in qualsiasi momento”, ha detto durante una conferenza stampa a Ginevra.

L’agenzia di stampa Reuters ha riferito che “una persona vicina al primo ministro Benjamin Netanyahu” ha detto che Israele sta aspettando la risposta di Hamas alla sua proposta prima di inviare una squadra in Egitto per continuare i colloqui per il cessate il fuoco.

Secondo il ministro degli Esteri britannico David Cameron la proposta israeliana prevede una pausa di 40 giorni nei combattimenti invece di un cessate il fuoco permanente come Hamas ha ripetutamente chiesto.

Una risposta da parte di Hamas all’ultima proposta di Israele è prevista entro mercoledì sera, ha riferito Stefanie Dekker di Al Jazeera. [Oggi, 2 maggio, ore 09,30 ora italiana, la risposta non è ancora arrivata, ndt.]

Hamas valuta la proposta

Il segretario di Stato americano Antony Blinken non ha risposto direttamente ai giornalisti quando gli è stato chiesto dei piani di Netanyahu di procedere con l’assalto di terra. Ha invece sottolineato che l’obiettivo di Washington è raggiungere un accordo di tregua e il rilascio degli ostaggi.

Ora tocca ad Hamas. Niente più ritardi, niente più scuse. Il momento di agire è adesso,” ha detto Blinken alla stampa alla periferia della capitale della Giordania, Amman. “Nei prossimi giorni vogliamo vedere questo accordo concretizzarsi.”

[Una tregua] è il modo migliore, il modo più efficace, per alleviare le sofferenze e anche per creare un contesto in cui si possa sperare di andare avanti verso qualcosa che sia veramente sostenibile e offra una pace duratura per le persone che ne hanno così disperatamente bisogno”, ha aggiunto.

Si prevede che nel suo ultimo viaggio nella regione, iniziato lunedì in Arabia Saudita, Blinken visiterà Israele.

Hamas ha detto che continua a valutare la proposta israeliana. Un alto funzionario del gruppo ha osservato che [Israele] persiste nell’ignorare le richieste per la fine definitiva della guerra.

Dal documento israeliano emerge chiaramente che stanno ancora insistendo su due questioni principali: non vogliono un cessate il fuoco permanente e non stanno parlando in modo serio del ritiro da Gaza. In effetti stanno ancora parlando della loro presenza, il che significa che continueranno ad occupare Gaza”, ha detto Hamdan lunedì ad Al Jazeera.

Abbiamo domande cruciali per i mediatori. Se ci saranno risposte positive, penso che potremo andare avanti”.

Egitto, Qatar e Stati Uniti stanno mediando i colloqui tra Israele e Hamas.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Guerra contro Gaza: politici israeliani preoccupati per ‘mandati d’arresto segreti da parte della Corte Penale Internazionale’

Redazione di Middle East Eye

30 aprile 2024 – Middle East Eye

Secondo alcune informazioni, alcuni legali dello Stato ebraico pensano che i mandati di arresto potrebbero essere annunciati solo dopo che i funzionari israeliani viaggiassero nei Paesi europei

Secondo un media israeliano, i legali per conto di Israele presso la Corte Penale Internazionale nella città olandese dell’Aia sono preoccupati che i mandati d’arresto contro funzionari israeliani possano essere stati emessi segretamente.

Un rapporto stilato da Ynet afferma che i legali sono preoccupati che i politici israeliani possano scoprire dei mandati senza preavviso dopo essere arrivati negli Stati europei.

Il rapporto afferma che le basi legali per tali mandati potrebbero essere le dichiarazioni fatte da molti leader israeliani durante la guerra in corso contro Gaza, nelle quali hanno avvertito i palestinesi nel territorio assediato che gli sarebbero stati negati cibo e aiuti.

Una fonte che ha parlato all’organo di stampa ha affermato che a quanto pare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sta usando tattiche “minacciose” contro il procuratore Karim Khan, paragonando il suo comportamento a quello di un “elefante in una cristalleria.”

Gli israeliani stanno anche cercando assicurazioni dal segretario di stato statunitense Antony Blinken che Washington interverrebbe per bloccare ogni azione intrapresa dalla Corte Penale Internazionale.

In precedenza il quotidiano israeliano Maariv aveva riferito che Netanyahu è “spaventato e inusualmente stressato” dalla possibilità di un imminente mandato d’arresto.

Washington ha già affermato che la Corte Penale Internazionale non ha alcuna autorità per perseguire i leader israeliani.

Supporto al Congresso statunitense

Israele sta già affrontando presso la Corte Internazionale di Giustizia altre accuse di genocidio riguardo il suo attacco militare in corso a Gaza dopo la denuncia presentata dal Sud Africa.

La guerra ha ucciso finora almeno 34.500 palestinesi a Gaza, la maggioranza dei quali donne e minori.

Alcuni politici presso il Congresso statunitense, dove Israele ha una grande influenza e supporto, hanno promesso di prendere misure punitive contro la Corte Penale Internazionale se perseguisse personalità pubbliche israeliane.

Il portavoce della Camera dei Deputati, Mike Johnson, ha avvertito che se si creasse un precedente con l’emissione di mandati di arresto per i leader israeliani, i politici americani potrebbero essere i prossimi.

Mentre Johnson è repubblicano, anche il suo avversario, il Partito Democratico, è massicciamente filo-israeliano e contrario a ogni azione della Corte Penale Internazionale.

Secondo Axios alcuni membri del Congresso stanno promuovendo una legge per sanzioni contro la Corte Penale Internazionale, mentre altri stanno discutendo se ritirarsi dallo Statuto di Roma in base al quale è stata creata la corte.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Le proteste nei campus: potrebbe essere il momento in cui Israele perde l’Occidente

David Hearst

29 aprile 2024 – Middle East Eye

Il movimento di protesta contro la guerra a Gaza ha rivitalizzato la causa nazionale palestinese e una nuova generazione di ebrei americani si sta opponendo all’identificazione con il sionismo.

Dal punto di vista militare l’offensiva del Tet, un attacco di sorpresa lanciato dai vietcong e dall’esercito nordvietnamita in Vietnam nel gennaio 1968, fu un fallimento.

Intendeva provocare un’insurrezione generale nel Vietnam del Sud che non scoppiò mai. Dopo la sorpresa iniziale l’esercito sudvietnamita e le forze USA si riorganizzarono e inflissero gravissime perdite alle migliori truppe vietcong.

Ma ebbe conseguenze molto importanti sulla guerra in Vietnam.

Il generale Tran Do, il comandante nordvietnamita della battaglia di Hue [una delle principali città del Paese e dove più duri furono i combattimenti, ndt.], ricordò: “Ad essere onesti, non raggiungemmo il nostro principale obiettivo, che era scatenare una rivolta in tutto il Sud. Eppure infliggemmo gravissime perdite agli americani e ai loro fantocci e questo fu un grande risultato per noi. Quanto ad avere un impatto sugli Stati Uniti, non era nelle nostre intenzioni, ma si dimostrò un risultato fortunato.”

L’offensiva del Tet si dimostrò un punto di svolta nell’appoggio dell’America alla guerra.

Il Pentagono venne sottoposto a critiche senza precedenti per le sue ottimistiche affermazioni sull’andamento della guerra e mentre i vietcong persero 30.000 soldati, l’anno seguente gli Usa subirono 11.780 caduti, dimostrando così le capacità di resistenza militare del Nord.

Si aprì un’ampia frattura nella credibilità tra l’allora presidente Lyndon B. Johnson (KBJ) e l’opinione pubblica. Lo stesso LBJ perse fiducia nei comandi militari e li sostituì.

Nel 1968 la Columbia University divenne uno degli epicentri delle proteste contro la guerra, spinte dai legami dell’università con l’industria bellica. Gli studenti occuparono cinque edifici e tennero in ostaggio per 36 ore Henry Coleman, il preside. C’è l’immagine iconica di uno studente che fuma un sigaro nel suo ufficio.

Venne fatta entrare la polizia. Ci furono centinaia di studenti arrestati, feriti, uno sciopero e poi le dimissioni del rettore della Columbia, Grayson Kirk. Le proteste contro la guerra raggiunsero l’apice fuori dalla Convenzione Nazionale Democratica di Chicago e in seguito vennero viste come una delle ragioni dell’elezione di Richard Nixon.

Nel contempo il movimento contro la guerra si era esteso come un incendio a tutto il mondo.

Ci fu un’enorme manifestazione a Berlino ovest. Il Vietnam fu una delle scintille che provocarono settimane di scontri di piazza nella rivolta di operai e studenti del maggio ’68 a Parigi e in tutta la Francia. Ancor oggi si possono vedere fori di proiettile nel Marais, [quartiere] di Parigi.

Il movimento di protesta del maggio ’68 ebbe politicamente vita breve. L’insurrezione di Parigi finì in dieci settimane, benché a un certo punto l’Eliseo arrivò talmente vicino a perdere il controllo della situazione che il presidente in carica, De Gaulle, scappò dal Paese.

Il presidente francese si rifugiò nel caldo abbraccio della Nato. Dove altro avrebbe potuto andare? Scappò nel quartier generale dell’esercito francese in Germania insieme agli alleati della Nato.

Il giorno dopo mezzo milione di lavoratori sfilarono a Parigi scandendo “De Gaulle addio”. De Gaulle riuscì a vincere le successive elezioni, ma lo shock della notizia fu profondo. Tutto questo in Francia cambiò un’intera generazione.

Il 1968 oggi

Sono molti i paralleli tra il movimento di protesta del ’68 contro la guerra del Vietnam e le attuali proteste globali contro la guerra a Gaza.

Come nell’offensiva del Tet, l’evasione di massa dalla prigione di Gaza organizzata dalle Brigate al-Qassam il 7 ottobre è andata fuori controllo in poche ore. Ciò è stato dovuto in parte all’inaspettatamente rapido collasso della brigata Gaza dell’esercito israeliano nel sud di Israele.

Un attacco contro obiettivi militari, in cui sono stati uccisi centinaia di soldati israeliani, si è trasformato in una serie di massacri contro civili, sia abitanti di kibbutz che spettatori di un festival musicale in cui si sono imbattuti Hamas e altri gruppi scatenati oltre il confine. Secondo le fonti ufficiali di uno Stato del Golfo, l’attacco del 7 ottobre è stato la madre di ogni errore di calcolo.

Ma la risposta israeliana, la distruzione sistematica di Gaza durata sette mesi, una campagna genocida contro ogni cittadino e famiglia nella Striscia indipendentemente dall’affiliazione, la distruzione delle loro case, ospedali, scuole, università, ha determinato un punto di svolta nell’opinione pubblica mondiale.

Ancora una volta l’appoggio a questa guerra è fornito da un presidente democratico USA in un anno elettorale. Ancora una volta la Columbia è stata al centro della rivolta, con un accampamento di protesta contro l’attacco israeliano che ha provocato un’ondata di azioni simili nei campus dei college in tutti gli USA.

Columbia, Yale e Harvard sono tutte nel mirino di questa rivolta studentesca a causa dei legami delle università con Israele.

Alla Columbia gli studenti chiedono che l’università ponga fine agli investimenti nei giganti della tecnologia Amazon e Google che hanno un contratto di 1.2 miliardi di dollari per una super cloud di dati con il governo di Tel Aviv.

A Yale gli studenti stanno chiedendo che l’università disinvesta da “ogni impresa di produzione bellica che contribuisce all’aggressione israeliana contro la Palestina”. Yale ha scambi di studenti con sette università israeliane. Harvard ha programmi con tre di queste università, mentre la Columbia ha rapporti con quattro di esse.

Come nel 1968 molte di queste proteste sono state represse con la forza. Il preside della Columbia Nemat Minouche Shafik ha ordinato alla polizia di New York di disperdere l’accampamento di 50 tende sul South Lawn [il prato che si trova nella parte sud del campus, ndt.], il che ha portato all’arresto di 100 studenti della Columbia e del Barnard College, compresa la figlia della parlamentare statunitense Ilhan Omar.

Gli studenti sono stati anche sospesi dalle lezioni ed è stato detto loro che non potranno terminare il semestre accademico. A Yale 50 manifestanti sono stati arrestati con l’accusa di “violazione aggravata di proprietà privata”. In Ohio i dimostranti sono stati picchiati e colpiti con i taser. Circa 900 manifestanti sono stati arrestati in tutto il Paese dal primo scontro alla Columbia, il 18 aprile.

Niente di tutto ciò è nuovo.

Nel 1970 la Guardia Nazionale dell’Ohio aprì il fuoco contro i manifestanti uccidendone quattro e ferendo nove studenti in quello che è noto come il massacro della [università] Kent State. Allora come adesso la brutalità della polizia contro gli studenti ha solo provocato la diffusione delle proteste.

Ore dopo che l’amministrazione aveva chiuso un accampamento a Princeton, centinaia di studenti hanno occupato un cortile interno portando libri, computer portatili e lavagne per organizzare una “università popolare per Gaza”. Alcuni docenti si sono uniti e hanno guidato dibattiti e discussioni.

La polizia è stata chiamata in 15 università in tutti gli USA e ci sono proteste in altre 22 università e college.

Le proteste negli USA si sono estese a università britanniche, anche se hanno ricevuto minore attenzione mediatica.

Al Trinity College, Cambridge, il ritratto di Lord Balfour, il ministro degli Esteri britannico responsabile della dichiarazione che riconosceva il diritto degli ebrei a una patria in Palestina, è stato imbrattato e sfregiato prima di essere tolto dall’università.

Londra ha appena assistito alla sua tredicesima manifestazione nazionale dall’inizio della guerra. Per la loro persistenza e le dimensioni le proteste contro la guerra a Gaza sono comparabili solo con la manifestazione di oltre un milione di persone contro la decisione di Tony Blair di invadere l’Iraq, che nel 2003 è stata la più grande di questo genere.

Il movimento di protesta sta avendo un profondo effetto sulla stessa Gaza perché per una volta il popolo palestinese che affronta questo massacro non si sente solo.

Il giornalista e creatore di contenuti Bisan Owda ha detto: “Continuate così, perché voi siete la nostra unica speranza. E vi promettiamo che terremo duro e vi diremo sempre la verità. E per favore non lasciate che la loro violenza vi spaventi. Non hanno nessun’altra opzione se non farvi tacere e terrorizzarvi perché state demolendo decenni di lavaggio del cervello.”

Il bersaglio è il sionismo

Owda ha ragione. Se i bersagli del movimento di protesta del 1968 erano il Pentagono o il paternalismo repressivo dello Stato gollista, oggi sono il sionismo e chi arma Israele negli USA, in GB e in Germania.

Questa è la lobby filo-israeliana che etichetta e calunnia i politici come antisemiti per il loro appoggio alla Palestina. Sono loro che fanno sì che università codarde e in preda al panico caccino docenti dal loro lavoro. Si vedono come democratiche ma mettono mano alla strumentazione fascista. Danneggiano lo stato di diritto, la libertà di parola e il diritto a protestare.

Alla testa della rivolta contro il sionismo c’è una nuova generazione di ebrei che partecipano in numero sempre crescente a queste proteste.

Uno studente della Columbia e due del Barnard hanno spiegato perché: “Abbiamo scelto di essere arrestati nel movimento per la liberazione dei palestinesi perché siamo ispirati dai nostri antenati ebrei che lottarono per la libertà 4.000 anni fa. Quando la polizia è entrata nel nostro accampamento abbiamo formato una catena e cantato canzoni dell’epoca dei diritti civili che molti nei nostri predecessori più recenti hanno cantato negli anni ’60. Veniamo da un passato di attivismo progressista ebraico che ha superato linee di razza, classe e religione per trasformare le nostre comunità.

L’arresto e la brutalizzazione di oltre 100 studenti filopalestinesi della Columbia è l’azione peggiore di violenza nel nostro campus da decenni. Nel momento in cui la Columbia ha chiesto alla polizia di arrestare centinaia di studenti che protestavano, la nostra università ha normalizzato una cultura in cui le differenze politiche sono accolte con violenza e ostilità… Mentre scriviamo questo, studenti israeliani che ci passano vicino ci chiamano ‘animali’ in ebraico perché pensano che nessuno di noi li capirà, ripetendo le affermazioni del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant secondo cui i palestinesi di Gaza sono ‘animali umani’.”

La guerra a Gaza sta provocando un dibattito senza precedenti tra gli ebrei, con importanti intellettuali come la giornalista canadese Naomi Klein che afferma che il sionismo è un “falso idolo che ha preso l’idea della terra promessa e l’ha trasformata in un atto di compravendita a favore di uno Stato etnico militarista.”

Klein ha scritto: “Fin dall’inizio ha prodotto un orrendo genere di ‘libertà’ che vedeva i bambini palestinesi non come esseri umani ma come minacce demografiche, così come nel Libro dell’Esodo il faraone temeva la crescente popolazione israelita e quindi ordinò la morte dei loro figli.

Il sionismo ci ha portati all’ attuale catastrofe ed è tempo di dire chiaramente: ci ha sempre portati qui. È un falso idolo che ha guidato troppi del nostro popolo lungo un sentiero profondamente immorale che ora li fa giustificare il fatto di gettare via comandamenti fondamentali: non uccidere, non rubare, non desiderare i beni altrui.”

La Palestina è ovunque

Questi avvenimenti avranno delle conseguenze.

Nel futuro immediato il movimento contro la guerra a Gaza ha rivitalizzato la causa nazionale palestinese come non mai. Nei campi profughi in Libano sbiadite scritte sui muri che commemorano le battaglie di Fatah e dell’OLP sono state sostituite da nuovi e rilucenti simboli che celebrano l’attacco del 7 ottobre. Il triangolo invertito che rappresenta Hamas che attraversa in paracadute la barriera di Gaza è ovunque.

Ogni manifestazione in tutto il mondo è guidata dalla diaspora palestinese che ha reagito in modo opposto a quello che era stato immaginato da Israele e dai suoi sostenitori. Il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva pensato che se avesse ucciso gli anziani i loro figli e figlie avrebbero dimenticato la lotta.

Invece Netanyahu ha ricreato e rafforzato ovunque il legame dei palestinesi con la loro terra perduta. Se chiedi ai palestinesi del campo profughi giordano di Hitten dove sia la loro casa la risposta assolutamente maggioritaria è a Gaza o in Cisgiordania.

Questa ondata di solidarietà ha distrutto allo stesso modo anni di progetti per eliminare ogni legame tra la causa palestinese e il mondo arabo. Gli avvenimenti hanno contribuito. Le primavere arabe, la loro repressione e le guerre civili che ne sono seguite hanno soppiantato la Palestina come principale fonte di notizie per almeno un decennio.

Il tentativo israeliano di bypassare la causa nazionale palestinese tendendo direttamente la mano agli Stati del Golfo più ricchi stava per aver successo quando Hamas ha messo in atto il suo attacco.

Sette mesi dopo la Palestina è ovunque. Ogni sondaggio lo dimostra. Invece lo stesso Israele è sul banco degli imputati della giustizia internazionale, sotto indagine sia alla Corte Penale Internazionale, che sta per emettere mandati di arresto per Netanyahu e altri, e alla Corte Internazionale di Giustizia per genocidio.

Queste sono le conseguenze immediate, ma ce ne sono due a lungo termine che potrebbero essere ancora più importanti.

Il primo è che per la prima volta nella storia di questo conflitto Gaza, sia il suo popolo che i suoi combattenti, hanno evidenziato una determinazione a resistere e a lottare che l’OLP e Yasser Arafat non hanno mai dimostrato. Per la prima volta nella loro storia i palestinesi hanno una dirigenza che non rinuncerà alle sue principali richieste e che ispira rispetto.

La seconda conseguenza è che negli USA, l’unico Paese che può porre fine a questo conflitto ritirando il supporto militare, politico ed economico a Israele, sta crescendo una nuova generazione. È ancora oggi l’unica Nazione che Israele ascolta e che prende sul serio.

Tra loro gli ebrei sono orripilati da quello che si sta facendo nel loro nome. Orripilati da come la loro religione è stata trasformata in un’apologia della pulizia etnica. Orripilati da come la loro orgogliosa e sofferta eredità sia stata ridotta a una licenza di uccidere. Orripilati dal potere esercitato da Israele sul Congresso USA, sul parlamento britannico e su ogni importante partito in Europa.

Gli ebrei stanno sfidando l’affermazione secondo cui il sionismo è titolare della loro storia. Per questo sono in vario modo accusati di essere traditori, “kapo” (gli ebrei incaricati dalle SS naziste di controllare il lavoro forzato), odiatori di se stessi o semplicemente “animali”. Ma per me sono la principale fonte di speranza in questo paesaggio desolato. La guerra del Vietnam durò altri sette anni dopo l’offensiva del Tet. Neanche l’occupazione israeliana di Gaza avrà facilmente fine.

Ma potremmo aver raggiunto il punto di svolta nell’appoggio a Israele negli USA, in Gran Bretagna e in Europa, e ciò ha un significato storico.

Le opinioni esposte in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è co-fondatore e caporedattore di Middle East Eye. È commentatore, esperto della regione e analista sull’Arabia Saudita. È stato l’editorialista per l’estero del Guardian e corrispondente in Russia, Europa e a Belfast. È arrivato al Guardian da The Scotsman [quotidiano britannico edito a Edimburgo, ndt.], dove era corrispondente per l’istruzione.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Contro l’ipocrisia dell’accademia e della politica

Contro l’ipocrisia dell’accademia e della politica

Wind M., Towers of Ivory and Steel. How Israeli Universities Deny Palestinian Freedom [Torre d’avorio e acciaio. Come le università israeliano negano la libertà ai palestinesi], Verso Books, 2024, London/New York, 288 pagine.

Recensione di Amedeo Rossi

 Mentre nelle università statunitensi ed europee si intensificano le proteste contro la collaborazione con le istituzioni accademiche e il complesso militare industriale israeliani, il libro di Maya Wind rappresenta uno strumento fondamentale per denunciare quello che le istituzioni occidentali molto spesso si rifiutano di vedere.

L’autrice, antropologa israeliana che insegna all’università canadese della British Columbia e in precedenza attivista nel suo Paese, in questo lavoro estremamente approfondito smentisce ogni ipocrisia relativa alla neutralità del sapere e del lavoro accademico in Israele. Il libro evidenzia anche quanto sia fuorviante l’opposizione al boicottaggio riguardante il bando MAECI per la collaborazione con le università israeliane nei settori della tecnologia del suolo, dell’acqua e dell’ottica di precisione. Wind dimostra come sia tradizionalmente pervasiva la vicinanza tra istituzioni accademiche, governi e forze di sicurezza israeliane e le università siano parte integrante del progetto di colonizzazione ed espulsione dei palestinesi dalla loro terra. Si tratta di un argomento già trattato in altre ricerche, anche italiane, ma il fatto di essere israeliana ha consentito all’autrice l’accesso ad archivi, documenti e fonti in ebraico che, come evidenzia anche l’abbondanza di note e riferimenti, le consentono un’indagine più diretta. E lo fa con nomi e cognomi degli accademici che partecipano a questa stretta collaborazione.

Il volume si divide in due parti, “Complicità” e “Repressione”, e inizia con un breve saggio della studiosa palestinese Nadia Abu El-Haj e si chiude con un testo dello storico statunitense Robin D. G. Kelley.

Wind chiarisce subito quale sia il suo intento: “Le università israeliane sono complici nella violazione dei diritti dei palestinesi? Questo libro intende rispondere a questa domanda svelando come le università israeliane siano coinvolte nel sistema di oppressione israeliano.”

Questa complicità risale alle origini della colonizzazione sionista. L’Università Ebraica (1918) è stata ideata per essere “un avamposto strategico del movimento sionista e avanzare pretese simboliche e politiche su Gerusalemme”, mentre il Technion (1925) e l’Istituto Weizmann (1934) “sono state fondate per lo sviluppo scientifico e tecnologico” del futuro Stato di Israele, afferma l’autrice, a partire dall’applicazione in ambito militare delle loro competenze.

La sua analisi non inizia dalle facoltà scientifiche legate direttamente al complesso militare-industriale, ma dalle discipline umanistiche, im particolare archeologia, orientalistica, diritto e criminologia. L’archeologia, scrive Wind, “costruisce prove per sostenere le rivendicazioni israeliane sulla terra attraverso la cancellazione della storia araba e musulmana e convalida l’uso israeliano di scavi per espandere le colonie israeliane ed espropriare terra palestinese.” La disciplina ha avuto fin da prima della fondazione dello Stato la funzione di legittimare la rivendicazione su base biblica della Palestina come terra ebraica. Ma l’archeologia viene utilizzata anche come mezzo per cacciare i palestinesi dalla Cisgiordania, e quindi fa pienamente parte del sistema di occupazione. Wind cita il caso degli abitanti di Susiya, nel sud della Cisgiordania, dove esercito e coloni, con l’attiva collaborazione dell’Università Ebraica di Gerusalemme, da anni minacciano di espulsione gli abitanti anche in base al ritrovamento di un’antica sinagoga. L’orientalistica funge da base ideologica per certificare l’inferiorità dei popoli arabi, diffondendo i pregiudizi dell’Occidente. A proposito di nomi e cognomi, un tipico esempio è il professore di etica dell’università di Tel Aviv Asa Kasher, che ha elaborato un’interpretazione delle leggi internazionali e di guerra ad uso e consumo delle politiche israeliane e delle prassi militari che legittimano l’uccisione dei civili palestinesi. Nel 2002 ha fatto parte di un’apposita commissione che ha stabilito il numero di civili che è lecito uccidere nelle esecuzioni “mirate” di militanti palestinesi per salvare la vita di un israeliano. Gli esperti hanno concordato come accettabile una media di 3,14 civili per ogni ipotetica vittima israeliana. Presso l’università di Haifa Kasher ha redatto la “Dottrina etica per combattere il terrorismo”, con i risultati che si sono visti a Gaza, anche prima del 7 ottobre. Ha anche stilato le linee guida per censurare i suoi colleghi dissidenti. Non sono solo gli accademici a contribuire attivamente al sistema di dominazione messo in atto da Israele, ma addirittura gli stessi edifici universitari. Wind cita tre casi: l’Università Ebraica a Gerusalemme, quella di Haifa nel nord e la Ben Gurion nel Negev (Naqab), a sud. Oltre ad essersi impossessata dei libri sequestrati nelle biblioteche della Cisgiordania attraverso un vero e proprio saccheggio, l’Università Ebraica è stata costruita su terreni del villaggio palestinese di Sheikh Badr. Essa svolge un ruolo attivo nel progetto di “ebraizzazione” di Gerusalemme e nelle vessazioni a danno degli abitanti palestinesi di Issawiyeh, che si trova nei pressi del campus. Le altre due università sono impegnate, soprattutto con il lavoro dei demografi, nell’elaborare le modalità di espulsione degli abitanti palestinesi con cittadinanza israeliana e della loro sostituzione con immigrati ebrei. L’università di Haifa ha promosso la legge che consente ai “comitati di accoglienza” di negare la residenza a persone non gradite in comunità che intendano rimanere esclusivamente ebraiche. All’interno di queste università viene comunemente accolto un folto contingente di militari e membri dei servizi di sicurezza, che rappresentano una concreta intimidazione nei confronti degli studenti palestinesi ed ebrei di sinistra. Infine l’autrice cita l’università di Ariel, che si trova nell’omonima colonia, illegale in base alle leggi internazionali, ma con cui alcune istituzioni accademiche italiane, come Firenze e Milano, hanno stretto rapporti di collaborazione annullati solo dopo le proteste degli studenti e delle associazioni filo-palestinesi. Questa università “ha trasformato…la percezione [di Ariel] da parte dell’opinione pubblica israeliana da una colonia illegale e fortemente militarizzata a un sobborgo di Tel Aviv […] L’istituzione conferisce lauree come mezzo per estendere la sovranità israeliana e procedere nell’annessione dei Territori Palestinesi Occupati,” scrive Wind.

Più evidente e nota è la collaborazione delle facoltà scientifiche con l’apparato militare, con l’occupazione e il processo di espulsione dei palestinesi. Questo vale non solo per le ricerche tecnologiche direttamente legate all’industria militare, ma in generale per il mondo universitario israeliano.

Nella seconda parte del libro, a smentita della presunta democraticità del mondo accademico israeliano, Wind evidenzia la metodicità della repressione nei confronti dei docenti, non solo di origine palestinese, ma anche ebrei critici con le politiche del governo, spesso obbligati ad andare a insegnare all’estero, come Ilan Pappé e Neve Gordon. Ma la questione di fondo è che non possono esistere libertà e sviluppo “etico” delle conoscenze in un contesto coloniale. Nel caso del bando MAECI, non ci sono legittimi dubbi solo riguardo al doppio uso civile/militare dell’ottica di precisione, ma anche gli altri due settori coinvolgono direttamente le politiche e le pratiche della dominazione israeliana. Infatti le tecnologie del suolo e dell’acqua rientrano a pieno titolo nelle politiche di dominazione dei palestinesi. E, come ricorda Wind, sia che si tratti di tecnologie belliche che di ricerche ed elaborazioni teoriche, le “scoperte” israeliane hanno un’evidente applicazione pratica e vengono pubblicizzate come prodotti “testate sul campo”, cioè sui palestinesi. Il modello stesso di stretta collaborazione tra accademia, esercito e industrie belliche è stato ormai adottato anche in Italia.

C’è da augurarsi che venga tradotto al più presto in italiano questo libro, uno strumento fondamentale per chi sostiene il boicottaggio accademico di Israele. E andrebbe accolto l’appello di Maya Wind nelle conclusioni: È nostro dovere chiedere di interrompere i rapporti con l’accademia israeliana fino a quando non prenderà parte al processo di decolonizzazione.”




‘Peggioramento delle condizioni’. A Gaza due bambini muoiono per l’aumento delle temperature

Redazione di Palestine Chronicle

28 aprile 2024 – Palestine Chronicle

Due bambini sarebbero morti a causa dell’insolita ondata di caldo nella Striscia di Gaza assediata, mentre il ministero della Salute palestinese segnala che l’acqua non potabile sta mettendo a rischio le vite degli abitanti.

Domenica l’Agenzia dell’ONU per i Rifugiati Palestinesi (UNRWA) ha dichiarato su X che “con il salire delle temperature le condizioni di vita a Gaza stanno peggiorando.”.

Philippe Lazzarini, il commissario generale dell’UNRWA, ha detto: “Ci è stata segnalata la morte di almeno due bambini a causa del caldo eccessivo.”

Cos’altro c’è da sopportare: morte, fame, malattie, sfollamenti e adesso vivere in strutture simili a serre sotto un sole cocente,” ha sottolineato.

Lazzarini ha spiegato che negli ultimi giorni “a Gaza c’è stata un’insolita ondata di caldo che ha reso le già disumane condizioni di vita persino peggiori per il milione e mezzo di persone che a Rafah vivono sotto teloni di plastica. Non possiamo permettere oltre a queste sofferenze che si proceda con una massiccia operazione militare. Questa guerra deve finire, si è già aspettato troppo un cessate il fuoco a Gaza.”

Nessuna possibilità di potabilizzare l’acqua

Sabato il ministero della Salute palestinese ha detto che con la chiusura del laboratorio per la salute pubblica e con l’impossibilità di testare la potabilità dell’acqua, oltre al “divieto di ingresso del cloro”, o altre alternative per trattare l’acqua potabile, attuato da Israele, “tutti gli abitanti della Striscia di Gaza stanno usando acqua contaminata mettendo a repentaglio la propria vita.”

Il ministero ha anche messo in guardia sulla diffusione di malattie risultanti dalle acque reflue e dall’accumulo di rifiuti in strada e fra le tende degli sfollati.”

Il ministero ha detto che tutto ciò va ad aggiungersi “alla diffusione di rettili e insetti e all’aumento delle temperature, una situazione che “segnala un imminente disastro sanitario”.

Mercoledì il ministero ha comunicato casi di meningite ed epatite.

Oltre 34.000 morti

Al momento presso la Corte Internazionale di Giustizia è stata intentata una denuncia per il genocidio dei palestinesi contro Israele, che dal 7 ottobre ha scatenato una guerra devastante a Gaza.

Secondo il ministero della Salute di Gaza sono stati uccisi 34.454 e feriti 77.575 palestinesi nell’attuale genocidio attuato da Israele a Gaza iniziato il 7 ottobre.

Inoltre ci sono almeno 7.000 dispersi, presumibilmente morti sotto le macerie delle loro case in tutta la Striscia.

Organizzazioni palestinesi e internazionali dicono che la maggioranza dei morti e dei feriti sono donne e bambini.

La guerra israeliana ha causato una gravissima carestia, specialmente nel nord di Gaza, provocando la morte di molti palestinesi, quasi tutti bambini.

L’aggressione israeliana ha inoltre causato lo sfollamento forzato di circa due milioni di persone in tutta la Striscia, dove la maggioranza è stata costretta a concentrarsi nella già sovraffollata città di Rafah, vicino al confine con l’Egitto in quello che è diventato il più ampio esodo di massa palestinese dalla Nakba del 1948.

Israele dice che 1.200 fra soldati e civili sono stati uccisi il 7 ottobre durante l’operazione Diluvio Al-Aqsa. I media israeliani hanno pubblicato resoconti che suggeriscono che quel giorno molti degli israeliani sono stati uccisi dal ‘fuoco amico’.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Secondo i media locali le dimissioni del responsabile militare israeliano possono provocare un ‘effetto domino’

Redazione di Middle East Monitor

24 aprile 2024 – Middle East Monitor

Secondo l’agenzia Anadolu ieri un quotidiano locale ha affermato che le dimissioni del capo dell’intelligence militare israeliana di questa settimana potrebbero portare ad un “effetto domino”, in cui il capo di stato maggiore [dell’esercito israeliano] Herzi Halevi e altri alti ufficiali potrebbero fare un passo indietro.

Il generale di divisione Aharon Haliva, il capo del dipartimento dell’intelligence militare israeliana, si è dimesso in anticipo lunedì riconoscendo le proprie responsabilità per gli errori che hanno permesso l’operazione del 7 ottobre della resistenza palestinese attraverso il confine.

Il quotidiano Yedioth Ahronoth ha riferito che “presto si potrebbe verificare un effetto domino dei capi dell’intelligence militare, incluse le dimissioni del capo di stato maggiore.”

Ha osservato che Haliva è “il primo membro dello stato maggiore a ritirarsi a causa del fallimento dell’intelligence il 7 ottobre, ma sembra che non sarà l’ultimo tra gli alti ufficiali”, aggiungendo che “altri responsabili di alto livello, inclusi almeno quattro generali di brigata tra i comandanti dell’unità operative hanno informato i loro stretti collaboratori della loro intenzione di dimettersi.”

Il quotidiano ha sottolineato che il generale di brigata comandante della divisione Gaza Avi Rosenfeld potrebbe dimettersi presto.

Il problema con gli ufficiali che intenderebbero dimettersi è la tempistica, ma la fine delle operazioni militari a Gaza nelle settimane scorse, con il ritiro della maggior parte delle forze dalla Striscia, e il congedo di Haliva potrebbero rendere la decisione più vicina.

Il quotidiano ha aggiunto che “tuttavia ci si aspetta che l’esercito porti avanti una operazione di terra a Rafah nella parte meridionale della Striscia di Gaza o a Deir Al-Balah e Nuseirat, nella zona centrale.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Tre giorni sotto attacco: i palestinesi di Tulkarem descrivono il “più violento” raid israeliano da anni

Qassam Muaddi

24 aprile 2024 – Mondoweiss

Non è la prima volta che gli occupanti assalgono Nur Shams”, dice a Mondoweiss l’abitante del campo Baraa al-Ghoul, “ma questa volta è stato diverso perché le forze di occupazione hanno impiegato una violenza senza precedenti.”

Un terrore senza precedenti” continua ad assillare i palestinesi nel campo profughi di Nur Shams a Tulkarem, due giorni dopo che l’esercito israeliano ha terminato l’invasione del campo durata 52 ore, in cui ha ucciso 14 palestinesi, almeno nove dei quali secondo gli abitanti erano civili disarmati.

Giovedì notte 18 aprile l’esercito israeliano ha annunciato di aver avviato “una vasta operazione” a Nur Shams, il campo di due chilometri quadrati adiacente alla città di Tulkarem, nel nord ovest della Cisgiordania occupata. L’invasione aveva per obbiettivo la “Brigata Tulkarem” che opera nel campo dal 2022.

Non è la prima volta che gli occupanti assalgono Nur Shams”, dice a Mondoweiss Baraa al-Ghoul, un abitante di Nur Shams. “Ma questa volta è stato diverso perché le forze di occupazione hanno impiegato una violenza senza precedenti durante il raid. Nei precedenti assalti se un carro armato arrivava a un punto senza uscita tra i vicoli del campo faceva retromarcia e cercava un’altra via di accesso. Questa volta hanno semplicemente demolito qualunque cosa si trovassero di fronte”.

I soldati aggressori si avvicinavano alle case che sospettavano nascondessero combattenti della resistenza e la prima cosa che facevano era lanciare una granata dalle finestre e dalle porte anche se dentro c’erano dei civili e senza essere certi che ci fossero dei combattenti”, racconta al-Ghoul. “L’intero campo è rimasto chiuso dentro le case, in attesa che in qualunque momento un missile penetrasse nelle case. I miei figli erano terrorizzati, consapevoli di quanto avveniva al di fuori e piangevano senza sosta”, racconta.

I soldati entravano nelle case cercando i combattenti e arrestavano uomini a caso. Il mio vicino, Rajai Sweilem di 39 anni, è stato arrestato in casa sua di fronte ai suoi quattro figli e portato fuori in strada”, ricorda al-Ghoul. “Dopo che l’esercito di occupazione si è ritirato è stato trovato a terra morto con il corpo pieno di proiettili. Era soltanto un lavoratore, niente altro.”

Oltre alle persone uccise dalle forze israeliane, due anziani sono morti durante il raid a causa delle condizioni di salute in quanto hanno loro impedito di raggiungere un centro medico.

Nasr Ghreifi, un noto e rispettato membro della comunità di poco più di settant’anni, aveva un appuntamento per la dialisi all’ospedale”, dice a Mondoweiss Hussein Ali, un altro abitante.

Non ha potuto uscire di casa per via dell’incursione e le sue condizioni sono peggiorate ancor più a causa del caldo e della completa mancanza di elettricità”, specifica Ali. “E’ morto in casa sua e il suo corpo è rimasto tra i membri della famiglia per due giorni fino al ritiro degli occupanti”, aggiunge.

Infrastrutture distrutte

Dopo il ritiro dell’esercito israeliano i media locali hanno riferito di una vasta distruzione delle infrastrutture del campo, comprese strade devastate e case parzialmente o totalmente demolite. A causa dei danni alle infrastrutture sono stati anche interrotti i servizi essenziali.

Tutte le strade del campo erano asfaltate prima che gli occupanti iniziassero il raid”, dice al-Ghoul. “Adesso per camminare sull’asfalto dobbiamo uscire dal campo. Sono state distrutte anche le tubature della rete fognaria, riportandoci alla mente come appariva il campo decenni fa”, racconta. “La gente compra l’acqua in serbatoi di 3 metri cubi trasportati da camion e l’elettricità è stata riallacciata a una parte del campo solo martedì, mentre la maggioranza delle case è tuttora senza elettricità”, aggiunge.

In totale circa 60 case di Nur Shams sono state o completamente distrutte o danneggiate dopo essere rimaste abitabili durante l’ultima invasione israeliana. L’attacco si è aggiunto alle distruzioni provocate da precedenti raid israeliani – finora 18 negli ultimi due anni.

Nur Shams, il terzo angolo del “nord”

Nel 2021 le forze israeliane hanno intensificato i raid in Cisgiordania, nelle città e nei campi profughi, specialmente nel nord, durante l’operazione ‘Spezzare l’Onda’, quando sono sorti gruppi locali di resistenza. Nel 2022 tre gruppi armati locali a Tulkarem si sono uniti sotto il nome di ‘Brigata Tulkarem’.

Il gruppo ha affrontato le forze di assalto israeliane in scontri a fuoco urbani. Il campo profughi di Nur Shams è stato preso particolarmente di mira dall’esercito israeliano, costituendo una triangolazione di conflitti armati con le forze israeliane insieme a Jenin e Nablus.

Dall’inizio dell’anno 40 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane a Tulkarem, segnando il più alto numero di vittime in qualunque città della Cisgiordania occupata fino a questo momento. Con l’ultima invasione israeliana di Tulkarem il numero di palestinesi uccisi dalle forze israeliane o dai coloni in Cisgiordania è salito a 168 da gennaio e a 487 da ottobre 2023.

Qassam Muaddi è il redattore per la Palestina di Mondoweiss

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)

 




Studiosi promuovono il boicottaggio della Columbia University mentre le proteste si espandono a tutti gli Stati Uniti

Azad Essa

22 aprile 2024 – Middle East Eye

Le proteste si estendono ad almeno dieci delle principali università mentre il trattamento riservato agli studenti filo-palestinesi suscita una crescente condanna da parte degli accademici

Accademici e studiosi hanno promesso di boicottare la Columbia University per le sue politiche repressive contro gli studenti impegnati nella protesta, con immagini scioccanti che hanno determinato l’estendersi del movimento studentesco per la Palestina in tutto il territorio degli Stati Uniti.

Nelle ultime 24 ore si sono moltiplicati gli accampamenti studenteschi all’interno dei college – soprattutto sulla costa orientale – e si prevede che altri ne sorgeranno nei prossimi giorni. Middle East Eye è a conoscenza di almeno altre due università che ne stanno progettando di simili senza che ancora ne sia stata data notizia.

Accampamenti in cui gli studenti chiedono il disinvestimento dalle società coinvolte nelloccupazione israeliana della terra palestinese e nel genocidio” a Gaza sono spuntati presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT), la Tufts e la Emerson a Boston, la New York University e la New School di New York City, la Vanderbilt a Nashville, Tennessee la Yale University nel Connecticut, la Berkeley in California, l’Università del Michigan, la Washington University di St. Louis e l’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill.

In una dichiarazione inviata a Middle East Eye gli studenti della Tufts University affermano di aver allestito, insieme agli studenti dell’Emerson e del MIT, accampamenti nei loro campus “come parte di un crescente movimento studentesco nazionale per il disinvestimento dal genocidio e dall’apartheid”.

“La nostra presenza nel campus, in particolare negli spazi dell’accampamento solidale con Gaza, è dedicata alla costruzione di una coalizione e di un’importante organizzazione solidale che promuova la nostra campagna per il disinvestimento istituzionale. Impegnarsi attraverso le manifestazioni nelle tendopoli è incoraggiato in tutti i modi, ma qualsiasi sforzo in questi spazi deve essere centrato su Gaza e le condizioni materiali dei palestinesi e deve sfruttare le nostre energie e prerogative per disinvestire dai loro oppressori,” hanno detto a MEE gli studenti della Tufts University di Boston.

La Coalizione per la Liberazione della Palestina alla Tufts, composta da diversi gruppi, tra cui i Tufts Students for Justice in Palestine, ha affermato che le manifestazioni continueranno.

Fino a quando le nostre istituzioni non renderanno pubblici i loro investimenti e disinvestiranno da tutte le società che aiutano e incoraggiano il genocidio in Palestina, continueremo ad organizzarci per interrompere l’ordinaria amministrazione”.

La Tufts, il MIT e la Emerson al momento non hanno risposto alla richiesta di commento di MEE.

Mentre le proteste si diffondono in molti campus in tutto il Paese diversi accademici e organizzazioni hanno rilasciato dichiarazioni che prendono le distanze dalla Columbia University sulla sua decisione di chiamare la polizia nel campus per arrestare gli studenti, nonché sulle sospensioni di massa degli studenti per essersi rifiutati di porre fine alle loro proteste per Palestina.

Giovedì almeno 108 studenti della Columbia sono stati arrestati dopo che la rettrice dell’università, Nemat Minouche Shafik, ha chiamato il dipartimento di polizia di New York chiedendo loro di entrare nel campus e smantellare un accampamento allestito il giorno prima sul prato principale.

Da allora circa 85 studenti della Columbia University e del Barnard College sono stati sospesi per aver preso parte alle azioni dirette. Allo stesso modo, allUniversità di Yale 47 studenti sono stati arrestati lunedì mattina, ora locale, per essersi rifiutati di smantellare il loro campo.

La protesta iniziata alla Columbia University nelle prime ore del 17 aprile, che comprendeva poco più di 100 studenti, dopo gli arresti si è trasformata in un movimento di centinaia di persone. Gli studenti si sono recati spontaneamente sui prati e hanno immediatamente allestito un nuovo campo.

Gli organizzatori hanno riferito a MEE che diversi studenti che inizialmente non avevano preso parte allaccampamento si sono sentiti obbligati ad unirsi al movimento disgustati dagli amministratori delluniversità.

“L’università qui si è assolutamente data la zappa sui piedi. Quando è sorto il primo accampamento ho cercato di stare lontano dai guai. Mi sono seduta lontano sui gradini e osservavo”, ha detto a MEE una studentessa ebrea della Columbia.

“Quando sono iniziati gli arresti ho visto i miei amici trascinati via… trattati in modo così orribile da quei giganteschi agenti di polizia, ed è stato così crudele. È stato molto sconvolgente.”

Afferma di essersi sentita obbligata, come molti altri, a mettere da parte le paure e apprensioni e a unirsi all’allestimento spontaneo di un successivo accampamento sui prati.

“Comprendiamo che la liberazione palestinese non è antitetica alla liberazione ebraica”, aggiunge la studentessa.

Boicottaggio accademico e culturale

L’aver preso di mira gli studenti, gli attacchi alla libertà accademica e il controllo della libertà di parola all’università da parte degli amministratori hanno attirato la condanna anche di diversi accademici e studiosi con legami con la Columbia.

Lunedì i docenti della Columbia e del Barnard College hanno organizzato uno sciopero a sostegno degli studenti.

Sempre lunedì l’accademico Marc Lamont Hill, docente onorario alla CUNY [università della città di New York, ndt.], ha detto che si ritirerà dalla conferenza programmata alla Columbia a causa della repressione in corso all’università.

“Quest’anno avrei dovuto tenere alla Columbia University il seminario in onore di Mamie Phipps Clark e Kenneth B Clark [due psicologi afroamericani famosi per i loro studi negli anni ’40 sugli effetti della segregazione razziale sui bambini, ndt.].

“Alla luce dell’attuale repressione e criminalizzazione degli studenti da parte dell’università, nonché dell’attuale boicottaggio accademico dell’istituzione, ho annullato la mia presenza e non accetterò il relativo premio di 10.000 dollari. Esorto la Columbia University a soddisfare ciascuna delle richieste ragionevoli e di saldi principi sul boicottaggio”, ha aggiunto Hill.

Ore prima, il Corso di laurea in Inglese aveva annunciato un completo boicottaggio accademico della Columbia e del Barnard College “fino a quando non reintegreranno gli studenti sospesi e risponderanno alle loro richieste: trasparenza, disinvestimento, liberazione”.

Molti altri hanno rilasciato pubblicamente dichiarazioni di cessazione dei legami con la prestigiosa università.

Martedì l’organizzazione antisionista Jewish Voice for Peace (JVP), ha affermato che lUniversità della Columbia e il Barnard College hanno creato un clima di repressione e danno per gli studenti che protestavano pacificamente per la fine del genocidio” israeliano a Gaza contro i palestinesi.

Mentre diversi sostenitori e commentatori filoisraeliani, così come la Casa Bianca, hanno rilasciato dichiarazioni in cui esprimevano preoccupazione per lantisemitismo nei campus, JVP ha chiarito che a essere presi di mira dagli amministratori sono stati gli studenti ebrei che difendevano la Palestina.

“Gli studenti hanno subito attacchi alla loro sicurezza fisica mentre si trovavano nel campus, hanno subito la pubblica diffusione nei media di informazioni personali e sono esposti a discorsi di odio da parte di docenti e personale”, rileva JVP, aggiungendo: “La Columbia University ha creato con forza un ambiente ostile per gli studenti palestinesi o per coloro che sostengono la libertà dei palestinesi. Inoltre, gli interventi dell’amministrazione hanno reso il campus molto meno sicuro per gli studenti ebrei”.

L’organizzazione sottolinea che degli 85 studenti sospesi per aver preso parte all’accampamento della Columbia 15 erano ebrei.

[traduzione dall’inglese di Aldo Lotta]




Netanyahu promette di combattere le sanzioni USA contro un’unità dell’IDF accusata di violazioni in Cisgiordania

Peter Beaumont da Gerusalemme

22 aprile 2024 – The Guardian

Le sanzioni previste riguardano la legge Leahy e sono contro il battaglione Netzah Yehuda, accusato di violazioni dei diritti umani contro i palestinesi.

Benjamin Netanyahu ha affermato che lotterà contro ogni tentativo di imporre sanzioni contro unità dell’esercito israeliano dopo notizie secondo cui un battaglione delle Forze di Difesa Israeliane [l’esercito israeliano, ndt.] sta per subire sanzioni USA per come tratta i palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Sabato il sito di notizie statunitense Axios ha informato che funzionari del dipartimento di Stato USA hanno confermato che stanno per imporre sanzioni contro il battaglione Netzah Yehuda dell’IDF, che è stato accusato di gravi violazioni dei diritti umani contro i palestinesi. Domenica il giornale israeliano Haaretz ha scritto che gli USA stanno prendendo in considerazione iniziative simili anche contro altre unità della polizia e dell’esercito.

La mossa particolarmente significativa, che rappresenterebbe la prima volta che un governo statunitense prende di mira un’unità dell’IDF, giunge mentre il congresso USA ha approvato 26 miliardi di nuovi aiuti d’emergenza a Israele.

Se qualcuno pensa di poter imporre sanzioni contro un’unità dell’IDF, io mi opporrò con tutte le mie forze,” ha affermato il primo ministro israeliano in un comunicato. “Nelle scorse settimane ho lavorato contro le sanzioni a cittadini israeliani, anche nelle mie conversazioni con l’amministrazione americana,” ha scritto Netanyahu su X.

Nel momento in cui i nostri soldati stanno combattendo mostruosi terroristi l’intenzione di emanare sanzioni contro un’unità dell’IDF è il colmo dell’assurdità e di bassezza morale,” ha aggiunto.

L’IDF ha sostenuto di non essere al corrente di sanzioni in atto contro una sua unità ed ha aggiunto: “Se verrà presa una decisione in materia essa sarà presa in esame.”

Le sanzioni, che sarebbero imposte in base alla legge Leahy del 1997, vieterebbero il trasferimento di aiuti militari statunitensi all’unità e impedirebbero ai soldati e agli ufficiali di partecipare all’addestramento con l’esercito statunitense o a programmi che ricevano finanziamenti USA.

Secondo fonti ufficiali del ministero della Sanità di Gaza sabato notte bombardamenti israeliani sulla città meridionale di Rafah nella Striscia hanno ucciso 22 persone, tra cui 18 minori.

In base ai dati dell’ospedale la maggioranza sembra essere stata vittima del secondo di due attacchi aerei, che ha ucciso 17 minorenni e due donne della stessa famiglia estesa.
Mohammed al-Beheiri ha affermato che sua figlia Rasha e i suoi sei figli, di età compresa tra i 18 mesi e i 16 anni, sono stati tra le vittime. La seconda moglie del marito e i suoi tre figli sono ancora sotto le macerie, ha detto al-Beheiri.

Venerdì il segretario di Stato USA Antony Blinken ha affermato di aver preso “decisioni” riguardo alle denunce secondo cui Israele ha violato la legge Leahy, che vieta la fornitura di assistenza militare a polizia o forze di sicurezza che commettano gravi violazioni dei diritti umani.

Dalla promulgazione della legge l’aiuto USA è stato bloccato a centinaia di unità in tutto il mondo accusate di violazioni dei diritti.

Il dipartimento di Stato ha indagato un certo numero di unità della sicurezza israeliana, anche della polizia e dell’esercito, per presunte violazioni, mentre importanti funzionari israeliani affermano di aver fatto pressione contro l’imposizione di qualsiasi sanzione.

Il battaglione Netzah Yehuda, che fa parte della brigata Kfir, è stato originariamente creato nel 1999 per soddisfare le convinzioni religiose di reclute delle comunità ultraortodosse e nazional-religiose, comprese quelle delle colonie estremiste, e storicamente è stato principalmente schierato in Cisgiordania.

Soldati dell’unità sono stati accusati della morte del settantottenne cittadino statunitense Omar Assad, morto di infarto nel 2022 dopo essere stato arrestato, legato, imbavagliato e poi abbandonato da membri dell’unità. È stato uno dei numerosi incidenti gravi che hanno incluso accuse di torture e maltrattamenti.

Quel caso ha suscitato l’attenzione da parte del dipartimento di Stato che ha chiesto un’inchiesta penale.

In seguito dalla Cisgiordania l’unità è stata schierata al nord di Israele e anche a Gaza.

Secondo ProPublica [organizzazione USA no profit che si occupa di giornalismo investigativo, ndt.] della scorsa settimana il dipartimento di Stato ha ricevuto a dicembre un dossier sulle violazioni della legge Leahy.

Le notizie secondo cui un battaglione dell’IDF sta per affrontare imminenti sanzioni ha provocato una dura risposta da altre importanti personalità israeliane.

Il battaglione Netza Yehuda è una parte inseparabile delle Forze di Difesa Israeliane,” ha affermato Benny Gantz, importante membro del gabinetto di guerra di Netanyahu ed ex capo di stato maggiore dell’esercito israeliano.

È soggetto alla legge militare ed è responsabile di operare in pieno accordo con le leggi internazionali. Lo Stato di Israele ha un sistema giudiziario forte e indipendente che valuta meticolosamente ogni denuncia di violazione o deviazione dagli ordini e dal codice di condotta dell’IDF, e continuerà a farlo.”

Tuttavia organizzazioni per i diritti umani hanno a lungo sostenuto che il sistema investigativo dell’IDF non indaga in modo corretto né persegue le violazioni dei diritti umani commesse dai soldati.

Il citato piano per imporre sanzioni contro l’unità è venuto alla luce tra crescenti campagne per sanzioni internazionali contro israeliani coinvolti in violenze contro palestinesi nella Cisgiordania occupata, che hanno portato a nuovi annunci che prendono di mira individui e organizzazioni quasi ogni mese.

Venerdì gli USA e l’UE hanno annunciato separatamente nuove sanzioni contro gruppi e ong israeliani di estrema destra legati alle violenze dei coloni, così come a noti personaggi, tra cui Bentzi Gopstein, politico molto legato al ministro di estrema destra della Sicurezza Nazionale israeliano Itamar Ben Gvir.

Il complesso e contraddittorio balletto di aiuti e sanzioni a Israele, estremamente evidente in questa settimana e durante l’attacco dell’Iran contro Israele una settimana fa, sembra inteso a dimostrare che, mentre i suoi alleati appoggeranno quella che viene vista come la difesa di Israele, essi sono determinati a punire la crescente violenza estremista contro la Cisgiordania.

In particolare l’amministrazione Biden è sembrata più propensa a condannare le azioni e politiche israeliane in Cisgiordania che a Gaza, dove Israele sta combattendo Hamas in un conflitto durato sei mesi che ha cacciato più dell’85% della popolazione della striscia costiera e ha ucciso 34.000 palestinesi, molti dei quali civili.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele deve ancora fornire prove dei legami terroristici del personale dell’UNRWA, afferma il rapporto Colonna

Julian Borger, New York

lunedì 22 aprile 2024 – The Guardian

Esclusiva: l’indagine rileva che il governo non ha ancora comprovato le affermazioni secondo cui il personale dell’agenzia di soccorso dell’ONU avrebbe legami con Hamas o con la Jihad islamica

Israele deve ancora fornire prove a sostegno delle affermazioni secondo cui dei dipendenti dell‘UNRWA, l’agenzia umanitaria dell’ONU UNRWA sarebbero membri di organizzazioni terroristiche, ha affermato un’indagine indipendente guidata dall’ex ministra degli Esteri francese Catherine Colonna.

Il rapporto Colonna, commissionato dalle Nazioni Unite sulla scia delle accuse israeliane, ha rilevato che lUNRWA aveva regolarmente fornito a Israele gli elenchi dei suoi dipendenti da sottoporre a controllo, e che sulla base di questi elenchi, dal 2011 il governo israeliano non ha notificato all’UNRWA alcuna preoccupazione relativa ad alcun membro del personale”.

Le accuse di coinvolgimento del personale dellUNRWA nellattacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre hanno fatto sì che a gennaio i principali donatori tagliassero i loro finanziamenti allagenzia, il principale canale di sostegno umanitario non solo per i palestinesi di Gaza, ma per le comunità di rifugiati palestinesi in tutta la regione.

I finanziamenti sono stati tagliati nonostante le terribili necessità di 2,3 milioni di persone a Gaza, la maggior parte delle quali dal 7 ottobre è stata costretta a lasciare le proprie case a causa delloffensiva israeliana incontrando gravi difficoltà nella ricerca di acqua, cibo, riparo o assistenza medica.

Nelle ultime settimane la maggior parte dei Paesi donatori ha ripreso a fornire i finanziamenti. I ministri britannici avevano affermato che avrebbero aspettato il rapporto Colonna per prendere una decisione sulla ripresa dei finanziamenti. In seguito alle accuse il sostegno finanziario degli Stati Uniti all’UNRWA è stato bloccato dal Congresso per almeno un anno.

Lunedì il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Oren Marmorstein, ha accusato più di 2.135 lavoratori dell’UNRWA di essere membri di Hamas o della Jihad islamica palestinese. Secondo lui l’indagine Colonna sarebbe insufficiente e rappresenterebbe un tentativo di evitare il problema e di non affrontarlo di petto”.

Il rapporto Colonna ignora la gravità del problema e offre soluzioni cosmetiche che non affrontano lenorme portata dellinfiltrazione di Hamas nellUNRWA”, ha affermato.

Ha aggiunto che Israele invita i donatori a non dare soldi all’UNRWA di Gaza e a finanziare invece altre organizzazioni umanitarie nel territorio.

Colonna ha detto ai giornalisti di avere avuto durante l’indagine buoni rapporti con Israele, ma non è rimasta sorpresa dalla risposta. Ha detto di aver fatto appello a Israele affinché “per favore, lo accetti, qualunque cosa raccomandiamo – se implementata – porterà del bene”.

Louis Charbonneau, direttore dell’ONU presso Human Rights Watch, ha dichiarato: Non credo che i risultati del rapporto Colonna siano particolarmente sorprendenti. I governi che non lo hanno fatto dovrebbero ripristinare immediatamente tutti i finanziamenti allUNRWA in modo che possa fornire aiuti ai civili disperati. Molti palestinesi si trovano ad affrontare la carestia a causa delluso della fame come arma di guerra da parte di Israele”.

Sullattacco del 7 ottobre è in corso unindagine separata da parte dellUfficio dei servizi di supervisione interna delle Nazioni Unite. L’ONU ha affermato che l’inchiesta non è ancora stata completata.

L’indagine Colonna, una valutazione della neutralità dell’UNRWA redatta con l’aiuto di tre istituti di ricerca nordici e che sarà pubblicata lunedì, chiarisce che Israele non ha ancora suffragato alcuna delle sue vaste accuse sul coinvolgimento del personale dell’UNRWA con Hamas o la Jihad islamica.

Vi si rileva che a marzo Israele ha reso pubbliche affermazioni secondo cui un numero significativo di dipendenti dell’UNRWA sarebbero membri di organizzazioni terroristiche”. Tuttavia, Israele deve ancora fornire prove a sostegno di ciò”, afferma il rapporto.

Oltre al rapporto Colonna, una valutazione più dettagliata è stata inviata all’ONU da tre organismi di ricerca nordici: lIstituto Raoul Wallenberg per i diritti umani e la legislazione umanitaria con sede in Svezia, lIstituto norvegese Chr Michelsen e lIstituto danese per i diritti umani.

Il loro rapporto afferma: Le autorità israeliane fino ad oggi non hanno fornito alcuna prova a sostegno né hanno risposto alle lettere dellUNRWA a marzo, e di nuovo ad aprile, che chiedevano i nomi e gli elementi di prova che avrebbero consentito allagenzia di aprire unindagine”.

Il segretario generale dell’ONU, António Guterres, ha dichiarato lunedì di accettare le raccomandazioni del rapporto Colonna sui modi per migliorare la capacità dellUNRWA di monitorare e affrontare le questioni sulla neutralità.

D’ora in avanti, il segretario generale fa appello a tutte le parti interessate affinché sostengano attivamente lUNRWA, poiché è unancora di salvezza per i rifugiati palestinesi nella regione”, ha affermato in una nota il portavoce capo dell’ONU, Stéphane Dujarric.

L’indagine Colonna chiarisce che lUNRWA è “indispensabile” per i palestinesi di tutta la regione.

In assenza di una soluzione politica tra Israele e palestinesi, lUNRWA rimane fondamentale nel fornire aiuti umanitari salvavita e servizi sociali essenziali, in particolare nel campo della sanità e dellistruzione, ai rifugiati palestinesi a Gaza, Giordania, Libano, Siria e Cisgiordania”, dice il rapporto. In quanto tale, lUNRWA è insostituibile e indispensabile per lo sviluppo umano ed economico dei palestinesi. Inoltre, molti vedono lUnrwa come unancora di salvezza umanitaria”.

Lindagine Colonna suggerisce diversi modi in cui si potrebbero migliorare le garanzie di neutralità per gli oltre 32.000 dipendenti dellUNRWA, ad esempio potenziando il servizio di supervisione interna, fornendo maggiore formazione diretta e maggiore sostegno da parte dei Paesi donatori. Ma si rileva che tali parametri sono già più rigorosi rispetto alla maggior parte delle altre istituzioni analoghe.

“L’indagine ha rivelato che l’UNRWA ha istituito un numero significativo di meccanismi e procedure per garantire il rispetto dei principi umanitari, con particolare attenzione al principio di neutralità, e che possiede un approccio alla neutralità più sviluppato rispetto ad altre entità simili delle Nazioni Unite o ONG”, si legge nel documento.

Una delle critiche israeliane più frequenti allUNRWA è che le sue scuole in tutta la regione utilizzerebbero libri di testo dellAutorità Nazionale Palestinese con contenuti antisemiti. Tuttavia la relazione tecnica fornita dalle istituzioni nordiche ha trovato prove molto limitate a sostegno di tali affermazioni.

Negli ultimi anni tre valutazioni internazionali dei libri di testo dellANP hanno fornito un quadro sfumato”, afferma il rapporto. Due hanno identificato la presenza di pregiudizi e contenuti antagonisti, ma non hanno fornito prove di contenuti antisemiti. La terza valutazione, condotta dallIstituto Georg Eckert, [con sede in Germania], ha studiato 156 libri di testo dellAutorità Nazionale Palestinese e ha identificato due esempi che mostravano tematiche antisemiti, ma ha notato che uno di essi era già stato rimosso, laltro era stato corretto”.

Lassenza finora di prove a sostegno delle accuse di Israele ha sollevato interrogativi sulla decisione improvvisa dei Paesi donatori di tagliare milioni di dollari di finanziamenti allUNRWA, in concomitanza con un aumento vertiginoso del bilancio delle vittime a Gaza, il crollo del sistema sanitario e l’incombenza della carestia a Gaza.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)