I soldati israeliani uccidono una donna palestinese

Tamara Nassar

3 maggio 2021  The Electronic Intifada

Domenica un palestinese non identificato ha presumibilmente ferito tre israeliani in quella che l’esercito israeliano ha detto essere stata una sparatoria da un’auto in corsa vicino a Nablus, nella Cisgiordania occupata.

Nello stesso giorno le forze di occupazione hanno colpito a morte una donna palestinese che, a quanto sostenuto da Israele, stava tentando di attaccare i soldati ad un checkpoint militare vicino a Betlemme.

L’emittente di Stato israeliana Kan ha postato il video di una vicina videocamera di sorveglianza che pare abbia ripreso la sparatoria da un’auto in corsa presso il checkpoint all’incrocio di Tapuach vicino a Nablus.

Le immagini mostrano un SUV color argento che si avvicina ad una guardiola bianca dove delle persone stanno scaricando una macchina.

Intanto due uomini camminano verso la guardiola seguite da un soldato israeliano.

Il veicolo argentato si ferma brevemente davanti alla guardiola e sembra esserci un trambusto a seguito di un’evidente sparatoria.

Allora sembra che il soldato israeliano spari contro il veicolo, ma questo esce di scena.

Nella sparatoria sono rimasti feriti tre israeliani.

I media israeliani hanno riferito che uno di essi versa in condizioni critiche, un altro in condizioni gravi e il terzo è stato dimesso dall’ospedale.

Tutti e tre sono studenti diciannovenni del collegio religioso di Itamar, uno degli insediamenti coloniali israeliani costruiti nella Cisgiordania occupata in violazione del diritto internazionale.

I media locali hanno riferito che il veicolo sospettato di essere coinvolto è stato trovato lunedì a Aqraba, una cittadina palestinese vicino a Nablus.

Fotografie circolate sui social media mostrano le forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese che arrivano sulla scena, probabilmente per cercare i presunti aggressori in coordinamento con le forze di occupazione israeliane.

Il veicolo sembra essere stato dato alle fiamme poco dopo da gente del posto.

Minacce mantenute

L’esercito israeliano ha detto che avrebbe incrementato le forze in tutta la Cisgiordania occupata per cercare i presunti aggressori.

Il numero esatto delle persone coinvolte non è chiaro.

Naftali Bennett, avvocato israeliano e capo del partito di destra Yamina [La Destra, partito estremista dei coloni, ndtr.], ha detto che Israele deve rispondere “col pugno di ferro […] mantenendo la nostra presa sulla terra di Israele.”

Bennett si era in precedenza vantato di aver “ucciso un sacco di arabi”.

In risposta all’incidente il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha minacciato che Israele “colpirà duramente i nostri nemici”.

Lunedì le forze di occupazione e i coloni israeliani hanno messo in atto queste minacce.

Coloni della colonia di Shilo hanno attaccato il villaggio palestinese di Jalud vicino a Nablus palesemente per vendetta.

I coloni hanno lanciato pietre e appiccato fuochi nel villaggio e hanno forato i pneumatici di diversi veicoli della polizia israeliani.

L’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha diffuso filmati del villaggio bruciato il giorno seguente: i coloni hanno anche infranto automobili e finestre palestinesi.

Dove era l’esercito?” ha detto B’Tselem, “C’era e si è unito agli aggressori.”

Nonostante gli aggressori del villaggio palestinese fossero i coloni, le forze israeliane hanno sparato con proiettili d’acciaio ricoperti di gomma e con altre armi contro i palestinesi.

Le forze israeliane hanno arrestato 11 palestinesi e nessun colono israeliano, secondo quanto riferisce The Times of Israel.

Donna uccisa

Intanto domenica le forze israeliane hanno colpito a morte una donna palestinese all’incrocio di Gush Etzion vicino a Betlemme.

L’esercito israeliano ha sostenuto che Fahima al-Hroub, di 60 anni, stava tentando di accoltellare dei soldati quando le hanno sparato.

Il video diffuso sui social media mostra al-Hroub che si avvicina lentamente a due soldati israeliani al checkpoint.

Porta una borsetta al braccio destro e sembra avere un oggetto nella mano sinistra, ma non è chiaro che cosa sia.

I soldati le ordinano di fermarsi e di alzare le mani, e alla fine uno di loro spara un colpo di avvertimento in aria.

Al-Hroub sembra sobbalzare al rumore dello sparo, ma continua ad avanzare lentamente verso i soldati.

La persona che sta filmando l’incidente si allontana e il momento in cui i soldati israeliani sparano a al-Hroub non appare nella ripresa.

Quando le immagini riprendono, al-Hroub è stesa a terra mentre soldati israeliani sono in piedi accanto a lei.

Uno dei soldati ha sparato a al-Hroub nella parte superiore del corpo, secondo quanto riferito dai media israeliani che hanno citato un’organizzazione medica.

Al-Hroub è stata portata al Centro Medico Shaare Zedek a Gerusalemme, dove è stata constatata la sua morte.

In nessun momento il video mostra al-Hroub abbastanza vicina ai soldati ben armati tanto da rappresentare una minaccia mortale, ed era chiaramente a diversi metri di distanza quando è stato sparato il colpo di avvertimento.

Come in altri incidenti in cui le forze di occupazione sono ricorse all’uso di forza letale contro un palestinese, i soldati palesemente non hanno cercato di bloccarla con mezzi non letali.

L’esercito ha confermato che nessun soldato israeliano è stato ferito durante l’incidente, come in molti casi precedenti in cui è stato ucciso un presunto aggressore palestinese.

L’esercito israeliano ha postato su Twitter una fotografia del coltello che a suo dire aveva al-Hroub.

Al-Hroub proveniva dal vicino villaggio di Husan.

Il mese scorso Israele ha annunciato la confisca di ampie porzioni di terra a Husan e nel villaggio adiacente di Nahalin allo scopo di espandere la colonia ebraica di Beitar Illit e la sua strada di accesso.

Il fratello di al-Hroub ha detto al quotidiano di Tel Aviv Haaretz che lei aveva dei disturbi mentali ed aveva tentato il suicidio dopo essere stata licenziata dal suo salone di bellezza a causa della pandemia da coronavirus.

Gli incidenti di domenica sono avvenuti dopo che in aprile sono circolati allarmanti video che mostrano un gran numero di giovani ebrei israeliani scatenati in tutta Gerusalemme est occupata che aggrediscono i palestinesi.

Più di 100 palestinesi sono stati feriti in seguito alle molte violenze provocate dal gruppo ebraico di estrema destra Lehava.

Tamara Nassar è vice caporedattore di The Electronic Intifada

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Superato il limite. Le autorità israeliane e i crimini di apartheid e persecuzione

27 aprile 2021 – Human Rights Watch

(Gerusalemme) – In un rapporto reso noto oggi, Human Rights Watch [notissima Ong per i diritti umani con sede negli USA, ndtr.] afferma che le autorità israeliane stanno commettendo i crimini contro l’umanità di apartheid e persecuzione. Queste conclusioni si fondano su una politica complessiva del governo israeliano per mantenere il dominio degli ebrei israeliani sui palestinesi e su gravi violazioni commesse contro i palestinesi che vivono nei territori occupati, compresa Gerusalemme est.

Il rapporto di 213 pagine, “Superata la soglia. Le autorità israeliane e i crimini di apartheid e persecuzione”, esamina il trattamento dei palestinesi da parte di Israele. Presenta la situazione attuale di un’autorità unica, il governo israeliano, che è il potere dominante nell’area tra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo, popolata da due gruppi più o meno delle stesse dimensioni numeriche, e che privilegia metodicamente gli ebrei israeliani reprimendo i palestinesi, in modo più pesante nei territori occupati.

“Per anni voci autorevoli hanno avvertito che l’apartheid sarebbe stato proprio dietro l’angolo se la traiettoria del dominio di Israele sui palestinesi non fosse cambiata,” afferma Kenneth Roth, direttore esecutivo di Human Rights Watch. “Questo studio dettagliato mostra che le autorità israeliane sono già andate oltre quell’angolo e oggi stanno commettendo i crimini contro l’umanità di apartheid e persecuzione.” La conclusione che si tratta di apartheid e persecuzione non muta lo status giuridico dei territori occupati, costituiti da Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e Gaza, né la situazione concreta dell’occupazione.

Originariamente coniato riguardo al Sud Africa, oggi “apartheid” è un termine giuridico universale. La proibizione contro discriminazioni e oppressione istituzionalizzati particolarmente gravi, o apartheid, costituisce un principio fondamentale del diritto internazionale. La Convenzione Internazionale sulla Soppressione e Punizione del Crimine di Apartheid e lo Statuto di Roma del 1998 che ha creato la Corte Penale Internazionale (CPI) definiscono l’apartheid un crimine contro l’umanità che consiste in tre elementi fondamentali:

1. L’intenzione di conservare la dominazione di un gruppo razziale su un altro.

2. Un contesto di oppressione sistematica del gruppo dominante sul gruppo emarginato.

3. Atti disumani.

Il riferimento a un gruppo razziale è inteso oggi come relativo non solo a modalità di trattamento sulla base di tratti genetici, ma anche di discendenza e origine nazionale o etnica, come definita nella Convenzione Internazionale sull’Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione Razziale. Human Rights Watch applica questa interpretazione più ampia di razza.

Il crimine contro l’umanità di persecuzione, come definito dallo Statuto di Roma e dal diritto consuetudinario internazionale, consiste in una grave privazione di fondamentali diritti di un gruppo razziale, etnico o altro con intenti discriminatori.

Human Rights Watch ha rilevato che gli elementi di questi crimini si ritrovano nel territorio occupato come parte di un’unica politica del governo israeliano. Questa politica intende conservare la dominazione degli ebrei israeliani sui palestinesi in Israele e nei territori occupati, dove è accompagnata da oppressione sistematica e azioni inumane contro i palestinesi che vi vivono.

Avvalendosi di anni di documentazione sui diritti umani, studi di caso e dell’esame di documenti programmatici del governo, di affermazioni di politici e di altre fonti, Human Rights Watch ha messo a confronto politiche e prassi nei confronti dei palestinesi nei territori occupati e in Israele con quelli riguardanti ebrei israeliani che vivono nelle stesse zone. Nel luglio 2020 Human Rights Watch ha scritto al governo israeliano, sollecitando il suo punto di vista su questi problemi, ma non ha ricevuto alcuna risposta.

In Israele e nei territori occupati le autorità israeliane hanno cercato di estendere il più possibile la terra a disposizione delle comunità ebraiche e di concentrare la maggior parte dei palestinesi in centri densamente popolati. Le autorità hanno adottato politiche per contenere quello che hanno descritto esplicitamente come una “minaccia demografica” da parte dei palestinesi. A Gerusalemme, per esempio, i progetti del governo per il Comune, comprese sia la parte occidentale che quella orientale occupata della città, hanno fissato l’obiettivo di “conservare una solida maggioranza ebraica in città” e persino specificato la percentuale demografica che sperano di preservare.

Per mantenere la loro dominazione le autorità israeliane discriminano sistematicamente i palestinesi. La discriminazione istituzionale che i cittadini palestinesi di Israele devono affrontare include leggi che consentono a centinaia di cittadine ebraiche di escludere di fatto i palestinesi e stanziamenti che destinano solo una quota ridotta alle scuole palestinesi rispetto a quelle che accolgono bambini ebrei israeliani. Nel territorio occupato la durezza della repressione, compresa l’imposizione di un regime militare draconiano sui palestinesi, accordando nel contempo agli ebrei israeliani che vivono in modo segregato nello stesso territorio pieni diritti in base alla legge civile israeliana che ne rispetta i diritti, rappresenta la sistematica oppressione inerente all’apartheid.

Le autorità israeliane hanno commesso una serie di abusi contro i palestinesi. Molti di quelli commessi nel territorio occupato costituiscono gravi violazioni dei diritti fondamentali e azioni inumane relative di nuovo all’apartheid, tra cui: vaste restrizioni agli spostamenti nella forma del blocco di Gaza e di un regime di permessi, la confisca di più di un terzo della terra in Cisgiordania, dure condizioni in parti della Cisgiordania che hanno portato al trasferimento forzato di migliaia di palestinesi fuori dalle loro case, negazione dei diritti di residenza a centinaia di migliaia di palestinesi e dei loro familiari e la sospensione dei diritti civili fondamentali di milioni di palestinesi. Molte delle violazioni che sono al centro della perpetrazione di questi crimini, come la quasi totale negazione dei permessi edilizi ai palestinesi e la demolizione di migliaia di case con il pretesto della mancanza di permessi, non hanno alcuna giustificazione riguardante la sicurezza. Altre, come l’effettivo congelamento dell’anagrafe che Israele controlla nei territori occupati, che non ha altro scopo che impedire la riunificazione della famiglia per i palestinesi che vi vivono e impedisce agli abitanti di Gaza di vivere in Cisgiordania, utilizzano la sicurezza come pretesto per ulteriori obiettivi demografici. Anche quando la sicurezza fa parte della motivazione, essa non giustifica l’apartheid e la persecuzione più di quanto lo facciano la forza eccessiva o la tortura, afferma Human Rights Watch.

“Negare a milioni di palestinesi i diritti fondamentali senza alcuna legittima giustificazione riguardo alla sicurezza ed esclusivamente perché sono palestinesi e non ebrei non è solo una questione di occupazione illegittima,” scrive Roth. “Queste politiche, che concedono agli ebrei israeliani gli stessi diritti e privilegi ovunque vivano e discriminano i palestinesi a vari livelli ovunque essi vivano riflette una politica che privilegia un popolo a spese di un altro.”

Negli ultimi anni affermazioni e azioni delle autorità israeliane, compresa l’approvazione nel 2018 di una legge con valenza costituzionale che definisce Israele “lo Stato-Nazione del popolo ebraico”, il crescente insieme di leggi che privilegiano ulteriormente i coloni israeliani in Cisgiordania e non si applicano ai palestinesi che vivono sullo stesso territorio, così come negli ultimi anni la massiccia espansione di colonie e relative infrastrutture che le collegano a Israele hanno chiarito l’intenzione di conservare la supremazia degli ebrei israeliani. La possibilità che un futuro leader israeliano possa un giorno definire un accordo con i palestinesi che smantelli il sistema discriminatorio non smentisce la situazione attuale.

Le autorità israeliane dovrebbero eliminare ogni forma di repressione e discriminazione che privilegi gli ebrei israeliani a spese dei palestinesi, anche per quanto riguarda la libertà di movimento, la destinazione di terre e risorse, l’accesso all’acqua, all’elettricità e ad altri servizi e la concessione di permessi di costruzione. La procura generale della Corte Penale Internazionale (CPI) dovrebbe indagare e perseguire quanti sono verosimilmente implicati nei crimini contro l’umanità di apartheid e persecuzione. Dovrebbero farlo anche i Paesi in accordo con le proprie leggi nazionali in base al principio della giurisdizione universale e imporre sanzioni individuali, compreso il divieto di viaggiare e il blocco dei beni, contro funzionari pubblici responsabili di aver commesso questi crimini.

Le prove di crimini contro l’umanità dovrebbero indurre la comunità internazionale a rivedere la natura del proprio impegno in Israele e Palestina e adottare un approccio centrato sui diritti umani e sulla responsabilizzazione invece che esclusivamente sul “processo di pace” in fase di stallo. I Paesi dovrebbero formare una commissione d’inchiesta ONU per indagare la discriminazione e repressione sistematiche in Israele e Palestina e [nominare] un inviato internazionale dell’ONU per i crimini di persecuzione e apartheid con il mandato di mobilitare un’azione internazionale per porre fine a persecuzione e apartheid in tutto il mondo. I Paesi dovrebbero condizionare la vendita di armi e l’assistenza militare e per la sicurezza a Israele al fatto che le autorità israeliane prendano iniziative concrete e verificabili e smettano di commettere questi crimini. I Paesi dovrebbero vietare accordi, programmi di cooperazione e ogni tipo di commercio e trattati con Israele per individuare quanti contribuiscono direttamente a commettere questi crimini, ridurre l’impatto sui diritti umani e, ove non fosse possibile, porre fine ad attività e finanziamenti destinati ad agevolare questi gravi crimini.

“Mentre la maggior parte del mondo considera la cinquantennale occupazione come una situazione temporanea che il pluridecennale “processo di pace” presto risolverà, l’oppressione dei palestinesi ha raggiunto là un livello e una persistenza che corrispondono alla definizione di crimini di apartheid e persecuzione,” afferma Roth. “Quanti si impegnano per la pace tra israeliani e palestinesi, che sia una soluzione a uno Stato unico o a due Stati o una confederazione, dovrebbero nel contempo riconoscere questa situazione per quello che è e attivare gli strumenti per la difesa dei diritti umani necessari per porvi fine.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 13 – 26 aprile 2021

Nella città di Gerusalemme, nel corso di molteplici episodi di violenza, sono rimasti feriti almeno 166 palestinesi e 20 israeliani, tra civili ed agenti di polizia.

In scontri quotidiani, i palestinesi hanno lanciato pietre e bottiglie incendiarie e le forze israeliane hanno sparato lacrimogeni, granate sonore e proiettili di gomma. La violenza è stata particolarmente intensa il 22 aprile, dopo che civili israeliani avevano marciato verso la Porta di Damasco della Città Vecchia, cantando slogan anti-arabi e scontrandosi con palestinesi prima che entrambi i gruppi venissero dispersi dalle forze israeliane. Attacchi sparsi, sia ad opera di palestinesi che di civili israeliani, hanno incluso aggressioni fisiche, lancio di pietre ed incendio di automobili. Gli eventi si sono estesi alla maggior parte dei governatorati della Cisgiordania ed a Gaza, lungo la recinzione perimetrale con Israele (vedi più avanti). A Gerusalemme, 208 palestinesi, tra cui sette minori, sono stati arrestati, anche a seguito di segnalazioni di aggressione contro israeliani. Gli episodi di violenza sono iniziati il 13 aprile, la prima notte del Ramadan, dopo che le autorità israeliane avevano installato barriere metalliche fuori dalla Porta di Damasco, bloccando l’accesso a un’area pubblica dove, tradizionalmente, nel mese di Ramadan, i palestinesi si riuniscono la sera, dopo la l’interruzione del digiuno. La calma è ritornata il 25 aprile, quando le autorità israeliane hanno rimosso le barriere metalliche.

Nella Striscia di Gaza, a quanto riferito in collegamento con gli eventi di Gerusalemme, gruppi armati palestinesi hanno lanciato circa 45 razzi contro Israele. Sono seguiti attacchi aerei e bombardamenti israeliani sulla Striscia: una fattoria è stata danneggiata. Fonti israeliane hanno riferito che i razzi sarebbero stati lanciati per tre notti di seguito, tra il 23 e il 25 aprile: quattro persone, tra cui una donna incinta, hanno riportato lesioni cadendo mentre correvano verso i rifugi. Secondo quanto riferito, il lancio di razzi ha danneggiato un numero non precisato di edifici e veicoli. Il 25 aprile le autorità israeliane hanno ridotto, da 15 a 9 miglia nautiche, la zona di pesca consentita al largo della costa meridionale di Gaza; tra il 26 e il 28 aprile hanno vietato la navigazione a qualsiasi distanza dalla costa.

Sempre in relazione con gli eventi di Gerusalemme, centinaia di palestinesi di Gaza hanno partecipato a proteste notturne vicino alla recinzione israeliana che perimetra la Striscia. I manifestanti hanno bruciato pneumatici, lanciato pietre e si sono avvicinati alla recinzione; le forze israeliane hanno risposto con fuoco di avvertimento, ma non sono state riportati ferimenti. Secondo fonti israeliane, da Gaza verso Israele sarebbero stati lanciati anche palloni incendiari, senza causare danni.

Oltreché in Gerusalemme Est, in Cisgiordania 31 palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane [seguono dettagli]. Ventiquattro di essi, tra cui un bambino di tre anni, sono rimasti feriti in manifestazioni che, in solidarietà con le proteste di Gerusalemme, si sono svolte nelle città di Tulkarm, Betlemme e Al Bireh, e nei villaggi di Deir Sharaf e Al Lubban ash Sharqiya. Quattro persone sono rimaste ferite nel villaggio di Kafr Qaddum (Qalqiliya) durante una protesta settimanale contro le attività di insediamento [colonico]; due in un’operazione di ricerca-arresto nel Campo Profughi di Aqbet Jaber; una ad At Tuwani (Hebron), negli scontri con coloni israeliani accompagnati da forze israeliane. Dei feriti, sedici sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno, sei sono stati colpiti da proiettili di gomma, cinque sono stati colpiti con proiettili veri e quattro sono stati aggrediti fisicamente.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 66 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 43 palestinesi. Di queste, 14 operazioni si sono svolte nel governatorato di Hebron e 12 in quello di Nablus.

In aree di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale e in mare, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento in almeno 18 occasioni, secondo quanto riferito, per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]. In altre tre occasioni, le forze israeliane hanno effettuato la spianatura di terreni prossimi alla recinzione. Non sono stati segnalati feriti.

Per mancanza di permessi edilizi, le autorità israeliane hanno confiscato due strutture nella Comunità di Susiya (Hebron), compromettendo il sostentamento di una famiglia di otto persone. Il calo delle demolizioni e delle confische a cui si è assistito nelle ultime settimane è in linea con la prassi attuata, in precedenti anni, durante il mese di Ramadan (ad eccezione del 2020, quando furono prese di mira circa 40 strutture). Ad Al Walaja (Betlemme), sulla base del fatto che l’area era stata dichiarata [da Israele] “terra di stato”, le forze israeliane hanno distrutto con bulldozer 120 ulivi e mandorli di proprietà palestinese, oltre a terrazzamenti.

In Cisgiordania, oltre quanto accaduto nella città di Gerusalemme, coloni israeliani, noti o ritenuti tali, hanno ferito un palestinese e danneggiato decine di alberi di proprietà palestinese [seguono dettagli]. L’uomo ferito stava lavorando la sua terra vicino al villaggio di Al Khader (Betlemme) quando è stato attaccato, secondo quanto riferito, da una guardia di sicurezza di insediamenti colonici. Un altro uomo è stato aggredito fisicamente, ma non ferito, a Huwwara (Nablus). Circa 90 ulivi sono stati danneggiati in quattro diverse località; in altre tre località sono stati vandalizzati oltre 10 ettari di raccolti stagionali e, a quanto riferito, ulteriori danni sono stati arrecati a una casa in costruzione, a recinzioni, a muri di sostegno, a un cancello agricolo, oltre che a strutture idriche e ad automobili. A Wadi as Seeq (Ramallah), coloni israeliani hanno attaccato pastori palestinesi, provocando la morte di due pecore. A Mughayir al Abeed, coloni hanno lanciato pietre contro palestinesi, costringendoli a lasciare l’area, quindi hanno installato due tende ed hanno occupato una grotta per sette giorni, prima che le forze israeliane smontassero le tende e li costringessero ad uscire.

Inoltre, in Cisgiordania, oltre agli episodi riferiti alla città di Gerusalemme, palestinesi, noti o ritenuti tali, hanno causato danni a otto veicoli israeliani lanciando pietre. Gli episodi sono stati riportati da fonti israeliane.

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Ultimi sviluppi (successivi al periodo di riferimento)

Il 29 aprile Israele ha rimosso le restrizioni, in vigore dal 25 aprile, relative alla zona di pesca consentita al largo della costa di Gaza [vedi sopra, al secondo paragrafo].

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Il vero apartheid

Asa Winstanley

17 aprile 2021 Middle East Monitor

“E’ questo il vero apartheid,” ha twittato la scorsa settimana l’avvocata ebrea americana Brooke Goldstein. “il fatto che gli ebrei non possano entrare in territorio palestinese,” ha dichiarato. “Non accetto che ci siano posti dove è pericoloso entrare perché SONO EBREA.”

Goldstein ha inserito nel tweet la foto di un grande cartello rosso in Cisgiordania con la scritta (in ebraico, arabo e inglese): “Questa strada porta a villaggio palestinese [sic] l’ingresso è pericoloso per i cittadini israeliani.”

Tuttavia la Goldstein, a prescindere dalla vergognosa sovrapposizione di ebrei con israeliani, ha trascurato un fatto basilare – il cartello era opera di Israele, non dei palestinesi. In questo modo ha fatto apparire i palestinesi colpevoli di “odio per gli ebrei”.

E’ il regime di apartheid israeliano che stabilisce chi può andare e dove in Cisgiordania. E’ il sistema dittatoriale israeliano dei posti di blocco dell’esercito, delle basi militari e dell’elaborato sistema di permessi che decreta chi si può muovere, dove e perché.

Il post della Goldstein è stato parecchio deriso dagli utenti di Twitter.

Ha ricevuto ciò che i giovani definiscono una “ratio”, vale a dire che ha suscitato molti più commenti (1.100 mentre scrivo questo articolo) che “likes” (378) o retweet (soltanto 145). Le risposte e le citazioni sono quasi tutte critiche e di scherno, fra cui alcune decisamente esilaranti.

Questi cartelli si vedono spesso in Cisgiordania. Chiunque vi sia stato li ha visti all’ingresso dei maggiori agglomerati urbani palestinesi.

Ma questi divieti sono conseguenza del razzismo del regime di apartheid israeliano, non di un immaginario endemico antisemitismo palestinese. L’esercito israeliano ha incominciato a mettere i cartelli intorno all’anno 2006, il periodo in cui vivevo in Cisgiordania.

Questi cartelli non sono unici nella storia del separatismo razziale e coloniale. Molti ricordano che nel sud degli USA ai tempi delle leggi Jim Crow [in vigore fra il 1877 e il 1964, servirono a mantenere la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici, ndtr] (prima che il movimento per i diritti civili ottenesse le decisive vittorie degli Anni Sessanta) e in Sud Africa durante l’epoca dell’apartheid, quei regimi avevano implementato un sistema talvolta definito di “segregazione secondaria”.

Cartelli e altre attrezzature segnalavano numerosi spazi pubblici come “riservati ai bianchi” oppure “riservati agli europei”. E’ noto che ai neri veniva negato l’accesso alle fontanelle pubbliche, ed anche a tavole calde ed altri negozi.

Ma il corollario naturale dei cartelli “riservati ai bianchi” erano i concomitanti “riservati ai neri” o “riservati alla gente di colore”, anche questi esposti dagli stessi regimi suprematisti bianchi. Non diversamente, il regime segregazionista israeliano erige questi cartelli rossi per mantenere “al loro posto” i palestinesi.

L’obiettivo vero di quei cartelli non è tenere gli israeliani – certamente non gli ebrei – fuori dalle zone palestinesi in Cisgiordania, semmai di rafforzare l’ideologia europea di separatismo razziale, che nega la pari umanità alla popolazione indigena “non bianca”.

L’obiettivo è far rispettare il principio che nel Sud statunitense delle leggi Jim Crow veniva raccontato come “separati ma uguali”, mentre in realtà era tutto tranne che equo. Gli afroamericani erano sistematicamente tenuti nella povertà più abietta, non diversamente da come il Sudafrica dell’apartheid teneva la maggioranza nera in sistemica povertà.

Il regime segregazionista israeliano nega ai palestinesi pari accesso al sistema scolastico, ai contributi pubblici, alle infrastrutture e alle altre normali funzioni dello Stato, mentre destina generosi investimenti alle comunità ebraiche israeliane. Se questo vale per i palestinesi che teoricamente sono “cittadini israeliani”, non parliamo poi della questione della Cisgiordania occupata, che non è altro che una dittatura dominata dall’esercito israeliano, in cui i palestinesi hanno zero diritti.

Se abbiamo consapevolezza di questa ideologia, possiamo allora comprendere che a chi ha preso in giro la Goldstein per la sua stupidità, pur avendo avuto tutte le ragioni di farlo, è sfuggito però un punto fondamentale.

Quello della Goldstein non è stato un semplice equivoco ed è altrettanto improbabile che ignorasse che è Israele a erigere quei cartelli. E’ invece assai più plausibile che stesse intenzionalmente mentendo per distogliere l’attenzione dal fatto che Israele è un regime segregazionista, fatto di cui si sta sempre di più prendendo coscienza. Ecco perché ha dichiarato che in quel cartello sta il “vero apartheid”.

La realtà è che la Goldstein non è esattamente una qualsiasi sprovveduta con un account su Twitter. In effetti, è una razzista impegnata nella causa anti-palestinese e nell’accanita propaganda a favore dell’imposizione del regime di apartheid israeliano – che si estende alla punizione e persecuzione di chi sostiene i diritti dei palestinesi in ogni parte del mondo.

Gestisce l’organizzazione sionista Lawfare Project [Progetto Guerra Legalista, che finanzia cause legali a sostegno delle comunità ebraiche filoisraeliane, ndtr], che ha la missione di attaccare i palestinesi ed i loro sostenitori nel mondo utilizzando cause legali pretestuose.

Una volta è arrivata a sostenere che “Non esistono persone palestinesi”.

Quindi l’accusa ingiustificata di antisemitismo rivolta dalla Goldstein ai palestinesi è stato un tipico caso di proiezione per cui il razzista presume che tutti quanti – specialmente le sue vittime – condividano le sue stesse idee razziste.

 Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale del Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)

 




Libri per illuminare la vita dei giovani palestinesi

John Cassel

Maggio 2021 – Washington Report on Middle East Affairs 

Libri per illuminare la vita dei giovani palestinesi

John Cassel

Maggio 2021 – Washington Report on Middle East Affairs 

Estephan Salameh se ne era andato da Gerusalemme con in tasca una borsa di studio per frequentare la scuola di specializzazione all’Università di North Park a Chicago e soldi sufficienti per pagare metà dell’affitto di un mese. Per far fronte alle spese, Salameh ha insegnato arabo agli studenti di North Park e ad altri nella comunità. Una di loro, Laurie Millner, che stava studiando per conseguire un master in managerialità non profit, è diventata sua moglie nel 2004.

I Salameh volevano migliorare la situazione in Palestina, dove circa 5 milioni di palestinesi vivono vite pesantemente condizionate dall’occupazione israeliana. Il loro amore condiviso per i libri faceva sì che la conversazione della coppia ritornasse spesso alla necessità di biblioteche sia per i bambini che per le loro famiglie. Nel 2005 hanno lanciato il Seraj Library Project [progetto Seraj per le biblioteche] per portare informazioni e instaurare un legame con il mondo nei villaggi isolati e nei campi profughi in Palestina. A simbolo del progetto è stata scelta la parola Seraj, che in arabo sta per lampada ad olio o luce. 

Le biblioteche sono la soluzione ideale per la Palestina, dove la cultura è incentrata sulla famiglia e l’istruzione è grandemente valutata. Secondo Factbook, la pubblicazione annuale della CIA [che riporta dati statistici fondamentali e informazioni sintetiche riguardanti tutti i Paesi del mondo], più della metà degli abitanti della Cisgiordania e di Gaza ha meno di 25 anni e più del 97% oltre i 15 anni sa leggere e scrivere. I palestinesi sono un popolo affamato di conoscenza. Secondo l’Ufficio centrale di statistica palestinese, purtroppo solo il 3% dei nuclei famigliari indica di aver accesso a una biblioteca o a Internet dopo l’orario scolastico. 

In Cisgiordania, ci sono ora 10 biblioteche comunitarie, a cominciare dalla biblioteca a Jifna, lanciata dalla Seraj in collaborazione con la Jifna Women Charitable Society. La Seraj US, un’organizzazione di volontari, ha contribuito con circa 900.000 dollari a creare queste 10 biblioteche, oltre a una rete di programmi culturali per i bambini e le loro famiglie. 

Le biblioteche sono sempre sviluppate grazie a collaborazioni tra la Seraj e un’organizzazione locale. Di solito la comunità offre lo spazio, i volontari e la direzione, mentre la Seraj fornisce libri, arredamento, computer ed esperienza. 

Quest’anno, la Seraj Palestine, ora un’ONG formalmente riconosciuta in Palestina con un proprio consiglio di amministrazione, sta per lanciare due grandi progetti, uno a Kufor Aqab, vicino a Gerusalemme, e un altro a Birzeit, vicino a Ramallah. Essi rappresentano una novità importante per l’organizzazione e un notevole contributo alla vita culturale della Palestina.

Raccontare storie è sempre stato particolarmente importante per la Seraj. Infatti tutto il suo lavoro e tutte le attività nascono dalle storie, riscoprendo narrazioni perdute e conservando sia quelle significative che quelle che apparentemente sembrano insignificanti per riportarle in vita nelle comunità palestinesi tramite l’interpretazione di vari tipi di artisti. 

Le storie ci dicono da dove siamo arrivati e possono guidarci nel percorso che abbiamo intrapreso. Dicono la verità sul nostro passato in modo tale che, una volta risanati, si possa affrontare il futuro. Ci connettono con chi è venuto prima di noi, con chi ci circonda e con coloro che devono ancora arrivare.

Ecco perché il National Storytelling Center [Centro Nazionale per lo Storytelling] della Seraj, il primo del genere in Palestina, è così entusiasmante. Cosa eccezionale, la Seraj è stata invitata a partecipare a un progetto del Riwaq Center for Architectural Conservation [centro per la conservazione del patrimonio architettonico con sede a Ramallah; il riwaq è un porticato, ndtr.] per ristrutturare due case di 150 anni a Kufor Aqab. Riwaq ha completato magnificamente la ristrutturazione e ha consegnato le chiavi alla Seraj per iniziare il lavoro di arredo degli interni. Queste due case ospiteranno una biblioteca, un centro studi con un caffè, un piccolo ufficio per la Seraj e, cosa più importante, il nuovo Centro della Narrazione. 

Anche il comune di Birzeit in Cisgiordania progetta di rivitalizzare la Città Vecchia, “attivando” l’area tramite l’aggregazione di organizzazioni culturali, piccole attività interessanti ed istituzioni educative. Il municipio crede che avere una biblioteca e un centro culturale attirerà la gente nella parte storica della cittadina. Così il Comune ha contattato la Seraj per aprire una biblioteca e un centro culturale. 

Naturalmente il punto centrale sono le biblioteche. Ci sarà abbastanza spazio per una biblioteca per i bambini e una per gli studenti universitari. A Birzeit al momento non ce n’è una, eccetto quella universitaria, e non c’è un posto dove gli studenti possano andare dopo la chiusura dell’università alle 16.30. Inoltre la Seraj progetta di aprire una biblioteca musicale e artistica per ospitare oggetti d’arte e per tenere eventi musicali creati da altre organizzazioni palestinesi. Quello che nel corso degli ultimi 15 anni la Seraj ha sempre fatto bene è il partenariato con le organizzazioni comunitarie per cooperare su obiettivi condivisi. La filosofia della Seraj si basa non sulla competizione con il lavoro di altre organizzazioni, ma sull’accompagnarle per creare qualcosa di diverso e valido.

Dato che la collaborazione è essenziale in tutto quello che la Seraj fa, il lavoro con organizzazioni locali, famiglie, artisti, musicisti e narratori è alla base dei progetti di Kufor Aqab e Birzeit. Ma la partnership fondamentale è fra gli USA e la Palestina. I volontari in America raccolgono fondi dopo aver descritto a una rete di donatori il lavoro e i bisogni. I fondi sono trasformati da volontari e alcuni stipendiati in Palestina in biblioteche e programmi. La direttrice, Laurie Salameh, e il coordinatore della biblioteca, Fida’a Ataya (un maestro in storytelling), durante anni in biblioteche comunitarie e programmi di sviluppo hanno conseguito un tesoro di esperienze.

Mentre espande il proprio cerchio di sostenitori, il Seraj Library Project continua a collegarsi con persone e organizzazioni interessate che vogliono far parte di questo importante lavoro. E naturalmente i visitatori sono sempre i benvenuti nelle varie biblioteche sparse in Cisgiordania. 

John Cassel, funzionario della Seraj, ha compilato questo articolo attingendo a varie fonti della Seraj. Estephan Salameh, che è ritornato a Gerusalemme con un dottorato in urbanistica e politiche pubbliche, insegna presso l’Università di Birzeit e lavora come consulente del Primo Ministro Palestinese per la Pianificazione e il Coordinamento degli aiuti. Laurie Salameh siede nel consiglio di amministrazione di World Vision Gerusalemme- Cisgiordania- Gaza. [WV è una grande ONG statunitense con sedi in 97 Paesi che si occupa principalmente di adozione a distanza di orfani di guerra, ndtr.].

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Rapporto OCHA del periodo 30 marzo 12 aprile 2021

Il 6 aprile, a Bir Nabala (Gerusalemme), ad un posto di blocco istituito per un’operazione di ricerca-arresto, le forze israeliane hanno sparato contro un’auto, uccidendo il guidatore palestinese 45enne e ferendo la moglie.

Secondo le autorità israeliane, dopo l’alt, l’auto avrebbe accelerato improvvisamente in un apparente tentativo di travolgere i soldati. Secondo la donna ferita, suo marito, nel procedere, stava seguendo le istruzioni del soldato.

In Cisgiordania, complessivamente, le forze israeliane hanno ferito cinquantadue palestinesi [seguono dettagli]. Ventitré sono rimasti feriti nel corso di quattro operazioni di ricerca-arresto condotte a Silwan (Gerusalemme Est), nei Campi profughi di Al ‘Arrub (Hebron) e Aqbat Jaber (Gerico) e nella città di Nablus. Ventidue sono rimasti feriti nei villaggi di Kafr Qaddum (Qalqiliya) e Beit Dajan (Nablus), in due proteste settimanali contro l’attività di insediamento colonico. Due 13enni sono rimasti feriti nella città di Hebron, in due distinti episodi; uno di loro ha perso un occhio, colpito da un proiettile di gomma durante scontri in cui non era coinvolto. Due palestinesi sono rimasti feriti a Sabastiya (Nablus), in scontri seguiti ad una visita di israeliani a siti archeologici locali e un altro a Nablus, durante una visita di israeliani alla Tomba di Giuseppe. Un anziano è rimasto ferito nel villaggio di Bani Na’im (Hebron), durante scontri scoppiati nel corso della confisca di una tenda da parte delle forze israeliane. Un altro palestinese è rimasto ferito nell’area di Gerusalemme mentre tentava di attraversare una breccia nella Barriera. Del totale dei feriti, 29 sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno, 12 sono stati colpiti da proiettili di gomma, cinque sono stati colpiti con proiettili veri e sei sono stati aggrediti fisicamente o spruzzati con sostanze irritanti.

Le forze di polizia israeliane hanno aggredito fisicamente nove attivisti (fra loro anche un membro del parlamento israeliano) che stavano manifestando contro lo sfratto di famiglie palestinesi dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est. Il capo della polizia del distretto di Gerusalemme ha ordinato la chiamata a rapporto degli agenti coinvolti, mentre, a quanto riportato, il parlamentare ferito ha presentato una denuncia al Ministero della Giustizia.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 154 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 167 palestinesi. Il governatorato di Ramallah ha registrato il maggior numero di operazioni (43), seguito da quello di Gerusalemme (27) e di Hebron (23).

In aree di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale e in mare, le forze israeliane hanno aperto il fuoco d’avvertimento in almeno 14 occasioni, a quanto riferito, per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]: non sono stati segnalati feriti.

In Area C ed a Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi edilizi, sono state demolite o sequestrate 20 strutture di proprietà palestinese, sfollando 13 persone e incidendo sui mezzi di sussistenza di altre 90 [seguono dettagli]. Dieci strutture sono state demolite in otto Comunità dell’Area C; in un caso, nell’area Dhahrat an Nada di Betlemme, sono state sfollate sette persone. A Susiya (Hebron), le autorità israeliane hanno sequestrato una tenda fornita come assistenza umanitaria. A Gerusalemme Est, nel quartiere di Jabal al Mukkabir, una famiglia di sei persone è stata costretta a demolire la propria casa mentre, ad Al ‘Isawiya, sono state demolite sei strutture di sussistenza. Le autorità israeliane hanno inoltre emesso sei ordini di arresto dei lavori contro almeno 32 strutture palestinesi (residenziali e agricole) e contro una strada a Khirbet ar Ras al Ahmar (Tubas).

Coloni israeliani, noti o ritenuti tali, hanno ferito sette palestinesi, di cui due ragazzi, ed hanno danneggiato alberi di proprietà palestinese [seguono dettagli]. I ragazzi sono stati aggrediti fisicamente in due episodi separati accaduti nell’area H2 di Hebron. Gli altri cinque sono stati colpiti con pietre o aggrediti fisicamente mentre lavoravano la loro terra: quattro [dei 5] ad An Nabi Salih (Ramallah) e uno a Jalud (Nablus). Palestinesi hanno riferito che a Qusra (Nablus) sono stati sradicati circa 100 alberelli di olivo. Nella zona H2 di Hebron una casa è stata danneggiata da una bottiglia incendiaria e a Kifl Haris (Salfit) sono stati danneggiati contatori dell’acqua. A Qaryut (Nablus) e Al Bqai’a (Hebron) coloni hanno devastato con bulldozer terreni privati palestinesi. A Deir Jarir (Ramallah), coloni hanno aggredito fisicamente e ferito un attivista israeliano che stava fornendo presenza protettiva a pastori palestinesi.

Palestinesi, noti o ritenuti tali, hanno aggredito fisicamente e ferito due israeliani; inoltre, lanciando pietre e altri oggetti, hanno danneggiato otto veicoli israeliani, che transitavano su strade della Cisgiordania. Gli episodi sono stati riferiti da fonti israeliane.

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Rapporto OCHA del periodo 16 – 29 marzo 2021

Il 19 marzo, durante una protesta settimanale svolta vicino al villaggio di Beit Dajan (Nablus), un palestinese di 45 anni, che stava lanciando pietre contro le forze israeliane, è stato colpito con arma da fuoco ed ucciso.

A quanto riferito, i soldati coinvolti sarebbero stati chiamati a rapporto. Con questa uccisione sale a tre il numero di palestinesi uccisi dalle forze israeliane in Cisgiordania dall’inizio dell’anno. Nei pressi di Beit Dajan, dieci persone sono rimaste ferite nel corso di proteste che, da sei mesi, si svolgono ogni venerdì contro la costruzione di un nuovo avamposto colonico su un terreno di proprietà del villaggio.

In Cisgiordania, oltre ai dieci di cui sopra, altri 53 palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane: quarantatré in scontri occorsi nel quartiere Kafr ‘Aqab di Gerusalemme Est; cinque a Beit Ummar (Hebron) e Bir Nabala (Gerusalemme), in due operazioni di ricerca-arresto; quattro a Kafr Qaddum (Qalqiliya), nelle proteste settimanali contro l’espansione degli insediamenti; uno nell’area di Tulkarm, mentre cercava di entrare in Israele attraverso una delle brecce nella Barriera. Dei [63]feriti complessivi, 40 sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, 16 sono stati colpiti da proiettili di gomma e sette sono stati aggrediti fisicamente o colpiti da candelotti lacrimogeni. Inoltre, a Gerico, un pastore palestinese è rimasto ferito dall’esplosione di un residuato bellico che stava maneggiando.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 128 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 115 palestinesi, compresi cinque minori. Il governatorato di Ramallah ha registrato il maggior numero di operazioni (27), seguito da Tulkarm (21) ed Hebron (18). A Beit Kahil (Hebron), in una sola un’operazione sono stati arrestati 21 palestinesi.

L’ingresso dei palestinesi nell’Area [residenziale chiusa] H2 della città di Hebron è risultato rallentato per lunghi periodi a causa della reintroduzione, da parte delle forze israeliane, di pesanti restrizioni al checkpoint di accesso al quartiere Tel Rumeida. Al checkpoint, le forze israeliane hanno imposto ai residenti palestinesi di passare attraverso i metal detector; tale disposizione non era più in uso da diversi anni.

In Area C e in Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi edilizi, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 26 strutture di proprietà palestinese, sfollando 34 persone, di cui 15 minori, e creando ripercussioni su circa 40 [seguono dettagli]. Il 17 marzo, in quattro Comunità dell’Area C, sono state prese di mira ventidue strutture, comprese otto tende sequestrate a Khirbet Tana (Nablus), sfollando 18 persone. Nella Comunità beduina di An Nuwei’ma Al Fauqa (Gerico), sono state demolite 11 case disabitate: 21 persone ne sono state colpite. A Gerusalemme Est sono state demolite quattro strutture, di cui tre ad opera dei proprietari: dodici le persone sfollate.

Coloni israeliani, noti o ritenuti tali, hanno ferito due palestinesi e danneggiato alcune centinaia di alberi di proprietà palestinese. Entrambi i palestinesi feriti sono stati aggrediti fisicamente, uno vicino alla Comunità di Susiya (Hebron) e l’altro vicino ad Al Khader (Betlemme), mentre lavorava la propria terra. Residenti nei villaggi di Jalud, Khirbet Sarra e Tell in Nablus, e Ras Karkar e Deir Nidham in Ramallah, hanno riferito che erano stati vandalizzati circa 300 alberi e alberelli [citati sopra]. A Beit Iksa (Gerusalemme) e Kafr ad Dik (Salfit), persone note come coloni, o ritenuti tali, hanno vandalizzato una casa, tre strutture agricole e tre veicoli. Ancora coloni, nella zona di Al Baq’a (Hebron), hanno iniziato a devastare con bulldozer terra privata palestinese. Nei pressi di Tubas coloni hanno bloccato una sorgente, impedendone l’accesso ai pastori palestinesi. A Tuqu’ e Kisan (Betlemme) coloni hanno eretto tende su terreni appartenenti a residenti dei villaggi. A Kisan, alla fine, hanno rimosso le tende, e a Tuqu’ le autorità israeliane hanno ordinato loro di rimuoverle entro il 4 aprile.

Autori, ritenuti palestinesi, hanno colpito con pietre veicoli israeliani in viaggio su strade della Cisgiordania: secondo fonti israeliane dieci veicoli hanno subito danni.

In aree di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale o al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco d’avvertimento in almeno 17 occasioni, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]; non sono stati registrati feriti. In due occasioni, le forze israeliane hanno spianato il terreno vicino alla recinzione, all’interno di Gaza; non sono stati segnalati feriti.

Da Gaza è stato lanciato un razzo verso il sud di Israele; a quanto riferito sarebbe caduto in un’area aperta senza provocare feriti o danni. Israele ha compiuto alcuni attacchi aerei che, viene riferito, hanno colpito siti militari a Gaza, causando danni.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Rapporto OCHA del periodo 2 – 15 marzo 2021

Il 7 marzo, a Gaza, al largo della costa di Khan Younis, in una barca palestinese si è verificata un’esplosione che ha provocato la morte di tre pescatori, due fratelli e un loro cugino.

La causa è stata inizialmente attribuita al malfunzionamento di un razzo durante una prova effettuata da gruppi armati palestinesi, che hanno però negato tale ipotesi. A seguito di un’indagine, il Ministero dell’Interno di Gaza ha ipotizzato che i pescatori avessero tirato su con le loro reti un drone israeliano, caduto in mare e contenente esplosivo. Le autorità israeliane hanno negato qualsiasi coinvolgimento nell’episodio.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno ferito sessantadue palestinesi, inclusi nove minori [seguono dettagli]. Quarantuno di loro sono rimasti feriti in scontri verificatisi in cinque villaggi del governatorato di Nablus: da parte palestinese si è ricorso principalmente al lancio di pietre e da parte delle forze israeliane al lancio di lacrimogeni e proiettili di gomma. Sedici persone sono rimaste ferite in altri scontri scoppiati durante quattro operazioni di ricerca-arresto condotte nella città di Al Bireh (Ramallah) e nei Campi profughi di Ad Duheisha (Betlemme), Al Fawwar (Hebron) e Al Am’ari (Ramallah). I rimanenti feriti si sono avuti nei governatorati di Betlemme, Qalqiliya e Gerusalemme, in scontri con lancio di bottiglie incendiarie contro veicoli israeliani, durante una protesta settimanale e durante scontri ad hoc. Complessivamente, 35 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, nove sono stati colpiti da proiettili veri, 12 da proiettili di gomma e sei sono stati aggrediti fisicamente. Infine, un pastore palestinese è rimasto ferito per l’esplosione di un residuato bellico che stava maneggiando.

L’8 marzo, a Tubas, nel corso di una operazione di ricerca-arresto, due palestinesi e un soldato israeliano sono rimasti feriti; secondo fonti israeliane, uno dei palestinesi sarebbe stato colpito e arrestato nel corso dell’operazione mentre cercava di accoltellare un soldato. Sempre secondo fonti israeliane, in un altro episodio verificatosi lo stesso giorno, una donna palestinese è stata arrestata in un insediamento avamposto, prossimo al villaggio di Ras Karkar (Ramallah), per aver tentato di accoltellare una colona.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 193 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 172 palestinesi, inclusi 15 minori. Il governatorato di Ramallah ha registrato il maggior numero di operazioni (48), seguito dai governatorati di Hebron (37) e Gerusalemme (35).

In aree di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale e in mare, le forze israeliane hanno aperto il fuoco d’avvertimento in almeno 29 occasioni, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]: due pescatori sono stati feriti, mentre la loro barca ha subito danni. In altre tre occasioni, le forze israeliane [sono entrate in Gaza e] hanno spianato terreni adiacenti alla recinzione. Non sono stati segnalati feriti.

In Area C e Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 26 strutture di proprietà palestinese, sfollando 42 persone, di cui 24 minori, e colpendone in altro modo circa 120 [seguono dettagli]. Diciassette delle strutture interessate e tutti gli sfollamenti sono stati registrati in Area C. Due edifici sono stati demoliti nel villaggio di Ein Shibli (Nablus), sfollando 17 persone, sulla base di “Ordini militari 1797” che consentono la demolizione entro 96 ore dall’emissione di un ordine di rimozione”. I restanti sfollamenti derivano dalla demolizione di quattro case nelle Comunità di At Tuwani e Khallet Athaba a Hebron, e a Beit Jala a Betlemme. Il sostentamento di 20 persone è stato colpito dallo smantellamento di una bancarella per la vendita di ortaggi vicino alla città di Qalqiliya; altre 16 persone sono state colpite dalla demolizione di due case disabitate e dalla confisca di un container metallico a Isteih (Gerico). Due delle nove strutture prese di mira a Gerusalemme Est sono state demolite dal proprietario.

Nel governatorato di Hebron, coloni israeliani, o individui ritenuti tali, hanno ferito sei palestinesi e danneggiato proprietà palestinesi, compresi veicoli e alberi. Quattro dei feriti sono stati aggrediti fisicamente in tre diversi episodi [seguono dettagli]. Due ragazzi, di 13 e 14 anni, sono rimasti feriti in due distinti episodi avvenuti rispettivamente nell’Area H2 della città di Hebron e nella zona di Bir al ‘Idd; in quest’ultimo caso, l’asino che il ragazzo stava cavalcando è stato accoltellato. Un uomo e una donna sono stati aggrediti con mazze vicino al Mantikat Shi’b al Butum: l’uomo ha riportato gravi ferite alla testa. I restanti due feriti erano pastori, aggrediti con pietre e coltelli vicino a Bani Na’im (Hebron); tre delle loro pecore sono state ferite. In diverse altre occasioni a Hebron (Saadet Tha’lah) e Betlemme (Kisan), coloni israeliani hanno scacciato i pastori dalla zona. Almeno 42 alberi e alberelli sono stati sradicati nei villaggi di At Tuwani (Hebron) e Kafr Qaddum (Qalqiliya); inoltre, in quest’ultima località, nel corso dell’episodio citato, sono stati rubati attrezzi agricoli. Palestinesi hanno riferito che, a Yanun (Nablus), coloni hanno pascolato il loro bestiame su terreni appartenenti a palestinesi del villaggio, danneggiando ulivi, mentre a Ein Samiya (Ramallah), hanno aggredito agricoltori che lavoravano la loro terra, danneggiando un trattore. Secondo fonti palestinesi, nei villaggi di Jalud e Huwwara (Nablus) e Kafr ad Dik e Bruqin (Salfit), coloni israeliani hanno danneggiato almeno cinque veicoli, una casa e una struttura agricola.

Il 10 marzo, nel governatorato di Hebron, nei pressi dell’insediamento avamposto di Havat Maon, cinque ragazzi palestinesi di età intorno ai 10 anni, mentre raccoglievano erbe selvatiche, sono stati fermati da coloni. Sono stati poi portati dai soldati alla stazione di polizia di Kiryat Arba, a quanto riferito perché sospettati di aver tentato di rubare dei pappagalli. Sono stati rilasciati in giornata.

In quattro episodi, autori ritenuti palestinesi, hanno colpito con pietre e ferito quattro israeliani: due vicino agli insediamenti di Rimonim (Gerusalemme) e Gush Etzion (Betlemme), un autista entrato accidentalmente ad Al Isawiya (Gerusalemme Est) e un altro all’ingresso del villaggio di Bidiya (Salfit). Secondo fonti israeliane, venticinque veicoli israeliani che transitavano sulle strade della Cisgiordania, sono stati danneggiati da pietre.

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Vaccinare i palestinesi solo se è funzionale a Israele

Maureen Clare Murphy

12 marzo 2021 – The Electronic Intifada

Come direbbero i ragazzini, Il COGAT [Coordinatore delle attività governative nei territori: unità del ministero della difesa israeliano che coordina le questioni civili tra il governo di Israele, le forze di difesa israeliane, le organizzazioni internazionali, i diplomatici e l’Autorità Nazionale Palestinese, ndtr.] ricomincia con le sue stronzate.

All’inizio di questa settimana l’ente militare israeliano ha twittato foto di lavoratori palestinesi mentre vengono vaccinati contro il COVID-19 ai posti di blocco in Cisgiordania.

Il COGAT, famigerato per la sua propaganda mediocre e strumentale, ha affermato che l’iniziativa sui vaccini “è un passo importante per assicurare la salute pubblica e la stabilità economica”.

“Fatevi vaccinare!” ha implorato il COGAT, il quale troppo spesso ritarda o nega ai palestinesi i permessi di viaggio per accedere alle cure mediche.

Tuttavia la stragrande maggioranza dei palestinesi che vivono sotto l’occupazione militare israeliana, anche se lo volesse, non potrebbe essere vaccinata.

Mentre Israele si vanta della sua campagna di vaccinazione di tutti i suoi cittadini, ha rifiutato di fornire il vaccino ai palestinesi che vivono sotto occupazione, in base a quanto previsto dalla Quarta Convenzione di Ginevra.

Vaccinare i palestinesi a vantaggio di Israele

Israele ha recentemente iniziato a fornire vaccini a circa 130.000 palestinesi che lavorano nelle sue fabbriche, nei suoi cantieri e nelle sue colonie, il lavoro sottopagato e sfruttato da cui dipende l’economia israeliana.

Ma Israele non fornirà vaccini ai restanti oltre 5 milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Come ha detto un palestinese alla Reuters “ Anche i lavoratori palestinesi che [gli israeliani] hanno vaccinato, lo hanno fatto a vantaggio della comunità israeliana, non in funzione del benessere dei lavoratori”.

 

Omar Shakir, direttore del programma di Human Rights Watch [organizzazione non governativa internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani, ndtr.] ha osservato che “vaccinare solo quei palestinesi che entrano in contatto con israeliani rafforza [l’idea] che per le autorità israeliane la vita palestinese conti solo nella misura in cui influisca sulla vita ebraica”.

Nel frattempo le unità di terapia intensiva degli ospedali di alcune aree della Cisgiordania stanno attualmente operando al 100% della capacità, poiché nelle comunità palestinesi del territorio i casi di COVID-19 sono in aumento.

Nelle ultime due settimane le città palestinesi hanno introdotto blocchi totali per controllare la crescita del numero delle infezioni da COVID-19, proprio mentre il vicino Israele ha iniziato a revocare le restrizioni procede con una delle campagne di vaccinazione più veloci al mondo”, ha riferito la Reuters.

Apartheid sanitario

La disparità nell’accesso ai vaccini COVID-19 è un chiaro esempio del regime israeliano di apartheid imposto dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo.

“Il regime israeliano mette in campo leggi, pratiche e violenze di Stato progettate per cementare la supremazia di un gruppo – gli ebrei – su un altro – i palestinesi”, ha affermato l’associazione per i diritti umani B’Tselem [organizzazione israeliana non governativa che documenta le violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, ndtr.] in un recente studio.

La distribuzione del vaccino è una dimostrazione scioccante di come gli strateghi israeliani si muovano in modo di volta in volta differente riguardo ai gruppi sottoposti alle sue norme inique.

Mentre i palestinesi con cittadinanza o residenza israeliana hanno diritto a ricevere i vaccini da Israele, i palestinesi in possesso di documenti di identità della Cisgiordania sono stati cacciati dai siti di vaccinazione gestiti da Israele.

L’apartheid sanitario nei territori sotto il controllo di Israele non è una novità.

Physicians for Human Rights-Israel [Medici per i diritti umani: ONG no profit con sede negli Stati Uniti che utilizza medicina e scienza per documentare le gravi violazioni dei diritti umani in tutto il mondo, ndtr.] ha affermato che le disparità nelle condizioni della salute tra israeliani e palestinesi derivano direttamente dall’occupazione.

Uno studio del 2015 dell’organizzazione ha rilevato che l’aspettativa di vita dei palestinesi nella Cisgiordania occupata e a Gaza è di circa 10 anni inferiore a quella in Israele.

Lo stesso studio ha rilevato che la mortalità infantile e la mortalità materna erano quattro volte superiori in Cisgiordania e Gaza rispetto a Israele.

Nello stesso anno, uno studio dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, ha individuato nell’assedio da parte di Israele una delle ragioni dell’aumento a Gaza, per la prima volta in 50 anni, del tasso di mortalità infantile.

Le organizzazioni palestinesi per i diritti umani affermano che il regime dell’apartheid israeliano “ha portato per decenni alla frammentazione e al deterioramento del sistema sanitario” della Cisgiordania e di Gaza.

Ciò ha “negato ai palestinesi il diritto al soddisfacimento di standard ottimali di salute fisica e mentale”.

Vaccini al posto di blocco

La salute dei palestinesi è profondamente intrecciata con l’occupazione israeliana. Il COGAT lo dimostra inconsapevolmente nei suoi tweet sui lavoratori palestinesi che ricevono le vaccinazioni ai posti di blocco militari, che chiama eufemisticamente “punti di passaggio“.

Qualsiasi vaccino che i palestinesi ricevano, sia da Israele che da qualunque altro organismo, dovrebbe passare attraverso i posti di blocco israeliani.

Israele ha rallentato il primo trasferimento di dosi di vaccino agli operatori sanitari a Gaza poiché alcuni parlamentari hanno cercato di condizionare la spedizione a concessioni politiche da parte di Hamas.

Lo ha fatto mentre trasferiva vaccini in altri Paesi in cambio del loro sostegno politico:

giovedì i palestinesi di Gaza hanno ricevuto 40.000 dosi del vaccino russo Sputnik V.

Secondo quanto riferito, le dosi costituivano una donazione da parte degli Emirati Arabi Uniti, assicurata da Muhammad Dahlan, l’ex capo dell’intelligence dell’Autorità Nazionale Palestinese diventato signore della guerra e rivale del leader dell’ANP Mahmoud Abbas all’interno della fazione di Fatah.

Dahlan ha condotto una breve e sanguinosa guerra civile a Gaza dopo la vittoria di Hamas nelle elezioni legislative palestinesi del 2006. Le sue forze sono state sconfitte e Dahlan ora vive in esilio nello Stato del Golfo ricco di petrolio.

Secondo la Reuters, Dahlan ha dichiarato che metà della spedizione di vaccini a Gaza sarebbe stata assegnata ai palestinesi in Cisgiordania.

I pochissimi vaccini che sono arrivati ​​in Cisgiordania non sono stati distribuiti equamente dall’Autorità Nazionale Palestinese che, secondo quanto riferito, li ha assegnati alle élite del partito di Fatah, agli organi di informazione allineati e ai loro familiari.

Resta da vedere se Israele consentirà il trasferimento delle dosi da Gaza alla Cisgiordania, o se il COGAT scoprirà in esso una utilità propagandistica.

E così i palestinesi che vivono sotto l’occupazione militare continueranno ad aspettare mentre la loro salute viene gestita da Israele, da Dahlan e dall’Autorità Nazionale Palestinese in termini di battaglia politica e mentre i Paesi terzi stanno a guardare senza far nulla.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Questo è nostro – e anche questo: la politica coloniale di Israele in Cisgiordania

Marzo 2021 B’Tselem

sommario del rapporto congiunto con Kerem Navot[associazione della società civile israeliana che dal 2012 analizza la politica territoriale di Israele in Cisgiordania, ndtr]

 

Lo Stato di Israele sta imponendo un regime di supremazia ebraica nell’intera zona fra il fiume Giordano ed il Mar Mediterraneo. Il fatto che la Cisgiordania non sia stata formalmente annessa non impedisce ad Israele di trattarla come se fosse un proprio territorio, soprattutto se pensiamo alle ingenti risorse investite nello sviluppo delle colonie e nella costruzione delle infrastrutture necessarie ai residenti. Questa politica ha permesso la creazione di più di 280 colonie e avamposti abitati da oltre 440.000 cittadini israeliani (esclusa Gerusalemme Est). Grazie a questa politica sono stati rubati, sia con mezzi ufficiali sia non ufficiali, oltre due milioni di dunam (200.000 ettari) di terre palestinesi; la Cisgiordania è attraversata in lungo e in largo da strade che collegano le colonie fra di loro e con il territorio sovrano di Israele, ad ovest della Linea Verde [il confine tra Israele e i territori occupati, ndtr.] e l’intera area è disseminata di zone industriali israeliane. Nel corso dei decenni tutto questo ha trasformato la geografia della Cisgiordania tanto da renderla irriconoscibile.

 Questo rapporto, che tratta dei meccanismi finanziari, legali e di pianificazione utilizzati dalle autorità israeliane da oltre cinquant’anni al fine di permettere la creazione, l’espansione e il mantenimento delle colonie, si concentra su due aspetti chiave. In primo luogo, gli sforzi intrapresi da diverse autorità statali per incoraggiare gli ebrei a trasferirsi nelle colonie e a sviluppare imprese economiche dentro e intorno ad esse. Lo Stato offre moltissimi benefici ed incentivi ai coloni e alle colonie tramite canali ufficiali ma anche non ufficiali – ampiamente esaminati nella relazione. I più significativi sono i sussidi per l’alloggio, che consentono di comprare case nelle colonie a quelle famiglie che non hanno capitali o fonti di reddito sufficienti. Questi sussidi spiegano in parte la rapida crescita della popolazione nelle grandi colonie ultra-ortodosse in Cisgiordania – Modi’in Illit and Beitar Illit. Oltre a ciò, agli abitanti di circa trenta colonie, alcune delle quali ricche, vengono offerte significative agevolazioni fiscali fino a 200.000 shekel, corrispondenti a circa € 50.600.

Alle zone industriali in Cisgiordania vengono offerti ulteriori benefici e incentivi, che comprendono imposte scontate sui terreni agricoli e sussidi per l’occupazione. Questi stimolano in modo significativo la crescita del numero di fabbriche in zona. Israele incoraggia inoltre gli ebrei a stabilire nuovi avamposti, che funzionano come aziende agricole e consentono l’acquisizione di pascoli e terreni agricoli palestinesi su vasta scala. Nel corso dell’ultimo decennio si sono create quaranta aziende agricole di questo tipo, che hanno di fatto incorporato decine di migliaia di dunam (un dunam equivale a 1000 mq).

 In secondo luogo, il rapporto analizza l’impatto territoriale dei due blocchi di colonie che attraversano la Cisgiordania. Un blocco, costruito a sud di Betlemme, si estende dagli agglomerati urbani di Beitar Illit and Efra ad ovest e gli insediamenti appartenenti al consiglio regionale di Gush Etzion, che circondano Betlemme ed i villaggi intorno, fino alla colonia di  Nokdim e dintorni ai margini del deserto della Giudea, ad est. L’altro blocco è situato nel centro della Cisgiordania e consiste delle colonie di Ariel, Rehelim, Eli, Ma’ale Levona, Shilo, nonchè degli avamposti costruiti intorno ad esse. Anche questo blocco attraversa la Cisgiordania, fino a raggiungere le colline che si affacciano sulla valle del Giordano.

Israele non risparmia alcuno sforzo per aumentare la popolazione di questi due blocchi e per estenderne l’impronta geografica. Ciò viene perseguito progettando nuove zone abitative, costruendo infrastrutture e preparando progetti e terreni per edifici e aree residenziali futuri. Nell’ultimo decennio queste iniziative hanno già portato ad una crescita demografica accelerata in entrambi i blocchi. Si prevede che la popolazione di Efrat raddoppierà o addirittura triplicherà nei prossimi decenni, che quella di Beitar Illit crescerà di 20.000 coloni e quella di Ariel di circa 8.000.

 L’impatto di questi due blocchi va ben oltre la superficie effettivamente coperta (che si estende su circa 20.000 dunam) ed il numero degli abitanti (un totale di circa 121.000 coloni). È la loro stessa esistenza a pregiudicare qualsiasi possibilità di sviluppo sostenibile per i palestinesi nella zona, oltre a colpire direttamente i mezzi di sostentamento e il futuro di decine di migliaia di palestinesi in numerose comunità

    Il blocco a sud di Betlemme si estende dalla Linea Verde ad ovest fino ai margini del deserto della Giudea ad est, quasi al confine municipale meridionale di Gerusalemme – incluse le parti della Cisgiordania annesse poche settimane dopo l’occupazione – e si estende a sud fino al campo profughi di al-‘Arrub. Le colonie ed avamposti di questo blocco interrompono lo spazio palestinese in quanto tagliano fuori la zona di Betlemme da quella di Gerusalemme a nord e da Hebron e dintorni a sud. Inoltre frammentano la stessa area di Betlemme, in quanto trasformano i villaggi in aree isolate, impediscono il futuro sviluppo della città e controllano la Route 60 – la maggiore arteria di traffico che attraversa la Cisgiordania da nord a sud e mette in collegamento Gerusalemme, Betlemme e la Cisgiordania meridionale.
  Il blocco centrale taglia in due la Cisgiordania da ovest ad est, interrompendo la contiguità di una serie di comunità palestinesi. Le colonie di Eli e Shilo con gli avamposti intorno ad esse sono state edificate in una delle aree più fertili e popolose della Cisgiordania, che sono state utilizzate da generazioni come aree rurali palestinesi, in cui gli abitanti affidavano alla coltivazione intensiva della terra il proprio sostentamento. I coloni di questa zona hanno gradualmente e accanitamente spogliato i palestinesi di migliaia di dunam di terreni fertili, privandoli così dei loro mezzi di sopravvivenza.

In seguito alla creazione di questi due blocchi di insediamenti, i palestinesi hanno perduto l’accesso a migliaia di dunam di terre fertili, sia direttamente (in aree dichiarate “terreno demaniale” o chiuse su ordine militare) oppure in conseguenza dell’effetto dissuasivo della violenza dei coloni che ha il sostegno dello Stato e impedisce a molti palestinesi di tentare di entrare nelle proprie terre. Intorno alle colonie di Tekoa and Nokdim, i palestinesi hanno perso l’accesso ad almeno 10.000 dunam, mentre nei dintorni di Shilo, Eli e avamposti connessi, gli è precluso l’accesso ad almeno 26.500 dunam.

Questo rapporto dovrebbe essere letto contestualmente al documento di sintesi pubblicato recentemente da B’Tselem, il quale afferma che il regime israeliano, impegnato a promuovere e perpetuare la supremazia ebraica nell’intera area fra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, è un regime di apartheid. La linea politica del regime volta alla ebreizzazione dell’area non è circoscritta ai due blocchi di insediamenti discussi in questo rapporto, ma viene implementata su tutto il territorio in base alla logica che la terra sia una risorsa che deve andare a beneficio primario della popolazione ebraica. Ne consegue che la terra viene usata per sviluppare ed ampliare le colonie ebraiche esistenti e costruirne di nuove, mentre i palestinesi vengono espropriati e rinchiusi in piccole affollate enclave. Questa politica della terra è praticata all’interno del territorio sovrano di Israele dal 1948, e dal 1967 si applica ai palestinesi nei territori occupati.

 

i coloni aggrediscono i raccoglitori di olive a huwarah, distretto di nablus. fotogramma da video. video: muhammad fawzi, 7 ottobre 2020.

 

Il rapporto è l’ennesima dimostrazione che, anche se il progetto dell’annessione de jure della Cisgiordania può esser stato accantonato, questo si rivela in pratica irrilevante. Le costruzioni e gli interventi infrastrutturali effettuati recentemente in Cisgiordania non raggiungevano da decenni una simile portata. Questo sviluppo su larga scala è inteso a facilitare un’ulteriore significativa impennata nel numero dei coloni residenti in Cisgiordania, che secondo le previsioni dei leader delle colonie arriverà in poco tempo a un milione.

 Questi massicci investimenti rafforzano ulteriormente la stretta di Israele sulla Cisgiordania a dimostrazione dei progetti a lungo termine del regime. Uno di questi consiste nel suggellare la posizione di milioni di palestinesi quali soggetti privi di diritti e di protezione, a cui è negata qualsiasi possibilità di decidere del proprio futuro e che vengono costretti a vivere in enclave separate, in declino, senza alcuna possibilità di sviluppo economico. Spogliati di sempre più terre, sono costretti a guardare mentre si costruiscono quartieri e infrastrutture per i cittadini ebrei. Sono passati due decenni dall’inizio del XXI secolo e Israele sembra più che mai deciso a proseguire nel mantenimento e rafforzamento nell’intera area di un regime di apartheid sotto il suo controllo per i prossimi decenni.

 

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)