Secondo i media locali le dimissioni del responsabile militare israeliano possono provocare un ‘effetto domino’

Redazione di Middle East Monitor

24 aprile 2024 – Middle East Monitor

Secondo l’agenzia Anadolu ieri un quotidiano locale ha affermato che le dimissioni del capo dell’intelligence militare israeliana di questa settimana potrebbero portare ad un “effetto domino”, in cui il capo di stato maggiore [dell’esercito israeliano] Herzi Halevi e altri alti ufficiali potrebbero fare un passo indietro.

Il generale di divisione Aharon Haliva, il capo del dipartimento dell’intelligence militare israeliana, si è dimesso in anticipo lunedì riconoscendo le proprie responsabilità per gli errori che hanno permesso l’operazione del 7 ottobre della resistenza palestinese attraverso il confine.

Il quotidiano Yedioth Ahronoth ha riferito che “presto si potrebbe verificare un effetto domino dei capi dell’intelligence militare, incluse le dimissioni del capo di stato maggiore.”

Ha osservato che Haliva è “il primo membro dello stato maggiore a ritirarsi a causa del fallimento dell’intelligence il 7 ottobre, ma sembra che non sarà l’ultimo tra gli alti ufficiali”, aggiungendo che “altri responsabili di alto livello, inclusi almeno quattro generali di brigata tra i comandanti dell’unità operative hanno informato i loro stretti collaboratori della loro intenzione di dimettersi.”

Il quotidiano ha sottolineato che il generale di brigata comandante della divisione Gaza Avi Rosenfeld potrebbe dimettersi presto.

Il problema con gli ufficiali che intenderebbero dimettersi è la tempistica, ma la fine delle operazioni militari a Gaza nelle settimane scorse, con il ritiro della maggior parte delle forze dalla Striscia, e il congedo di Haliva potrebbero rendere la decisione più vicina.

Il quotidiano ha aggiunto che “tuttavia ci si aspetta che l’esercito porti avanti una operazione di terra a Rafah nella parte meridionale della Striscia di Gaza o a Deir Al-Balah e Nuseirat, nella zona centrale.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Tre giorni sotto attacco: i palestinesi di Tulkarem descrivono il “più violento” raid israeliano da anni

Qassam Muaddi

24 aprile 2024 – Mondoweiss

Non è la prima volta che gli occupanti assalgono Nur Shams”, dice a Mondoweiss l’abitante del campo Baraa al-Ghoul, “ma questa volta è stato diverso perché le forze di occupazione hanno impiegato una violenza senza precedenti.”

Un terrore senza precedenti” continua ad assillare i palestinesi nel campo profughi di Nur Shams a Tulkarem, due giorni dopo che l’esercito israeliano ha terminato l’invasione del campo durata 52 ore, in cui ha ucciso 14 palestinesi, almeno nove dei quali secondo gli abitanti erano civili disarmati.

Giovedì notte 18 aprile l’esercito israeliano ha annunciato di aver avviato “una vasta operazione” a Nur Shams, il campo di due chilometri quadrati adiacente alla città di Tulkarem, nel nord ovest della Cisgiordania occupata. L’invasione aveva per obbiettivo la “Brigata Tulkarem” che opera nel campo dal 2022.

Non è la prima volta che gli occupanti assalgono Nur Shams”, dice a Mondoweiss Baraa al-Ghoul, un abitante di Nur Shams. “Ma questa volta è stato diverso perché le forze di occupazione hanno impiegato una violenza senza precedenti durante il raid. Nei precedenti assalti se un carro armato arrivava a un punto senza uscita tra i vicoli del campo faceva retromarcia e cercava un’altra via di accesso. Questa volta hanno semplicemente demolito qualunque cosa si trovassero di fronte”.

I soldati aggressori si avvicinavano alle case che sospettavano nascondessero combattenti della resistenza e la prima cosa che facevano era lanciare una granata dalle finestre e dalle porte anche se dentro c’erano dei civili e senza essere certi che ci fossero dei combattenti”, racconta al-Ghoul. “L’intero campo è rimasto chiuso dentro le case, in attesa che in qualunque momento un missile penetrasse nelle case. I miei figli erano terrorizzati, consapevoli di quanto avveniva al di fuori e piangevano senza sosta”, racconta.

I soldati entravano nelle case cercando i combattenti e arrestavano uomini a caso. Il mio vicino, Rajai Sweilem di 39 anni, è stato arrestato in casa sua di fronte ai suoi quattro figli e portato fuori in strada”, ricorda al-Ghoul. “Dopo che l’esercito di occupazione si è ritirato è stato trovato a terra morto con il corpo pieno di proiettili. Era soltanto un lavoratore, niente altro.”

Oltre alle persone uccise dalle forze israeliane, due anziani sono morti durante il raid a causa delle condizioni di salute in quanto hanno loro impedito di raggiungere un centro medico.

Nasr Ghreifi, un noto e rispettato membro della comunità di poco più di settant’anni, aveva un appuntamento per la dialisi all’ospedale”, dice a Mondoweiss Hussein Ali, un altro abitante.

Non ha potuto uscire di casa per via dell’incursione e le sue condizioni sono peggiorate ancor più a causa del caldo e della completa mancanza di elettricità”, specifica Ali. “E’ morto in casa sua e il suo corpo è rimasto tra i membri della famiglia per due giorni fino al ritiro degli occupanti”, aggiunge.

Infrastrutture distrutte

Dopo il ritiro dell’esercito israeliano i media locali hanno riferito di una vasta distruzione delle infrastrutture del campo, comprese strade devastate e case parzialmente o totalmente demolite. A causa dei danni alle infrastrutture sono stati anche interrotti i servizi essenziali.

Tutte le strade del campo erano asfaltate prima che gli occupanti iniziassero il raid”, dice al-Ghoul. “Adesso per camminare sull’asfalto dobbiamo uscire dal campo. Sono state distrutte anche le tubature della rete fognaria, riportandoci alla mente come appariva il campo decenni fa”, racconta. “La gente compra l’acqua in serbatoi di 3 metri cubi trasportati da camion e l’elettricità è stata riallacciata a una parte del campo solo martedì, mentre la maggioranza delle case è tuttora senza elettricità”, aggiunge.

In totale circa 60 case di Nur Shams sono state o completamente distrutte o danneggiate dopo essere rimaste abitabili durante l’ultima invasione israeliana. L’attacco si è aggiunto alle distruzioni provocate da precedenti raid israeliani – finora 18 negli ultimi due anni.

Nur Shams, il terzo angolo del “nord”

Nel 2021 le forze israeliane hanno intensificato i raid in Cisgiordania, nelle città e nei campi profughi, specialmente nel nord, durante l’operazione ‘Spezzare l’Onda’, quando sono sorti gruppi locali di resistenza. Nel 2022 tre gruppi armati locali a Tulkarem si sono uniti sotto il nome di ‘Brigata Tulkarem’.

Il gruppo ha affrontato le forze di assalto israeliane in scontri a fuoco urbani. Il campo profughi di Nur Shams è stato preso particolarmente di mira dall’esercito israeliano, costituendo una triangolazione di conflitti armati con le forze israeliane insieme a Jenin e Nablus.

Dall’inizio dell’anno 40 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane a Tulkarem, segnando il più alto numero di vittime in qualunque città della Cisgiordania occupata fino a questo momento. Con l’ultima invasione israeliana di Tulkarem il numero di palestinesi uccisi dalle forze israeliane o dai coloni in Cisgiordania è salito a 168 da gennaio e a 487 da ottobre 2023.

Qassam Muaddi è il redattore per la Palestina di Mondoweiss

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)

 




Studiosi promuovono il boicottaggio della Columbia University mentre le proteste si espandono a tutti gli Stati Uniti

Azad Essa

22 aprile 2024 – Middle East Eye

Le proteste si estendono ad almeno dieci delle principali università mentre il trattamento riservato agli studenti filo-palestinesi suscita una crescente condanna da parte degli accademici

Accademici e studiosi hanno promesso di boicottare la Columbia University per le sue politiche repressive contro gli studenti impegnati nella protesta, con immagini scioccanti che hanno determinato l’estendersi del movimento studentesco per la Palestina in tutto il territorio degli Stati Uniti.

Nelle ultime 24 ore si sono moltiplicati gli accampamenti studenteschi all’interno dei college – soprattutto sulla costa orientale – e si prevede che altri ne sorgeranno nei prossimi giorni. Middle East Eye è a conoscenza di almeno altre due università che ne stanno progettando di simili senza che ancora ne sia stata data notizia.

Accampamenti in cui gli studenti chiedono il disinvestimento dalle società coinvolte nelloccupazione israeliana della terra palestinese e nel genocidio” a Gaza sono spuntati presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT), la Tufts e la Emerson a Boston, la New York University e la New School di New York City, la Vanderbilt a Nashville, Tennessee la Yale University nel Connecticut, la Berkeley in California, l’Università del Michigan, la Washington University di St. Louis e l’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill.

In una dichiarazione inviata a Middle East Eye gli studenti della Tufts University affermano di aver allestito, insieme agli studenti dell’Emerson e del MIT, accampamenti nei loro campus “come parte di un crescente movimento studentesco nazionale per il disinvestimento dal genocidio e dall’apartheid”.

“La nostra presenza nel campus, in particolare negli spazi dell’accampamento solidale con Gaza, è dedicata alla costruzione di una coalizione e di un’importante organizzazione solidale che promuova la nostra campagna per il disinvestimento istituzionale. Impegnarsi attraverso le manifestazioni nelle tendopoli è incoraggiato in tutti i modi, ma qualsiasi sforzo in questi spazi deve essere centrato su Gaza e le condizioni materiali dei palestinesi e deve sfruttare le nostre energie e prerogative per disinvestire dai loro oppressori,” hanno detto a MEE gli studenti della Tufts University di Boston.

La Coalizione per la Liberazione della Palestina alla Tufts, composta da diversi gruppi, tra cui i Tufts Students for Justice in Palestine, ha affermato che le manifestazioni continueranno.

Fino a quando le nostre istituzioni non renderanno pubblici i loro investimenti e disinvestiranno da tutte le società che aiutano e incoraggiano il genocidio in Palestina, continueremo ad organizzarci per interrompere l’ordinaria amministrazione”.

La Tufts, il MIT e la Emerson al momento non hanno risposto alla richiesta di commento di MEE.

Mentre le proteste si diffondono in molti campus in tutto il Paese diversi accademici e organizzazioni hanno rilasciato dichiarazioni che prendono le distanze dalla Columbia University sulla sua decisione di chiamare la polizia nel campus per arrestare gli studenti, nonché sulle sospensioni di massa degli studenti per essersi rifiutati di porre fine alle loro proteste per Palestina.

Giovedì almeno 108 studenti della Columbia sono stati arrestati dopo che la rettrice dell’università, Nemat Minouche Shafik, ha chiamato il dipartimento di polizia di New York chiedendo loro di entrare nel campus e smantellare un accampamento allestito il giorno prima sul prato principale.

Da allora circa 85 studenti della Columbia University e del Barnard College sono stati sospesi per aver preso parte alle azioni dirette. Allo stesso modo, allUniversità di Yale 47 studenti sono stati arrestati lunedì mattina, ora locale, per essersi rifiutati di smantellare il loro campo.

La protesta iniziata alla Columbia University nelle prime ore del 17 aprile, che comprendeva poco più di 100 studenti, dopo gli arresti si è trasformata in un movimento di centinaia di persone. Gli studenti si sono recati spontaneamente sui prati e hanno immediatamente allestito un nuovo campo.

Gli organizzatori hanno riferito a MEE che diversi studenti che inizialmente non avevano preso parte allaccampamento si sono sentiti obbligati ad unirsi al movimento disgustati dagli amministratori delluniversità.

“L’università qui si è assolutamente data la zappa sui piedi. Quando è sorto il primo accampamento ho cercato di stare lontano dai guai. Mi sono seduta lontano sui gradini e osservavo”, ha detto a MEE una studentessa ebrea della Columbia.

“Quando sono iniziati gli arresti ho visto i miei amici trascinati via… trattati in modo così orribile da quei giganteschi agenti di polizia, ed è stato così crudele. È stato molto sconvolgente.”

Afferma di essersi sentita obbligata, come molti altri, a mettere da parte le paure e apprensioni e a unirsi all’allestimento spontaneo di un successivo accampamento sui prati.

“Comprendiamo che la liberazione palestinese non è antitetica alla liberazione ebraica”, aggiunge la studentessa.

Boicottaggio accademico e culturale

L’aver preso di mira gli studenti, gli attacchi alla libertà accademica e il controllo della libertà di parola all’università da parte degli amministratori hanno attirato la condanna anche di diversi accademici e studiosi con legami con la Columbia.

Lunedì i docenti della Columbia e del Barnard College hanno organizzato uno sciopero a sostegno degli studenti.

Sempre lunedì l’accademico Marc Lamont Hill, docente onorario alla CUNY [università della città di New York, ndt.], ha detto che si ritirerà dalla conferenza programmata alla Columbia a causa della repressione in corso all’università.

“Quest’anno avrei dovuto tenere alla Columbia University il seminario in onore di Mamie Phipps Clark e Kenneth B Clark [due psicologi afroamericani famosi per i loro studi negli anni ’40 sugli effetti della segregazione razziale sui bambini, ndt.].

“Alla luce dell’attuale repressione e criminalizzazione degli studenti da parte dell’università, nonché dell’attuale boicottaggio accademico dell’istituzione, ho annullato la mia presenza e non accetterò il relativo premio di 10.000 dollari. Esorto la Columbia University a soddisfare ciascuna delle richieste ragionevoli e di saldi principi sul boicottaggio”, ha aggiunto Hill.

Ore prima, il Corso di laurea in Inglese aveva annunciato un completo boicottaggio accademico della Columbia e del Barnard College “fino a quando non reintegreranno gli studenti sospesi e risponderanno alle loro richieste: trasparenza, disinvestimento, liberazione”.

Molti altri hanno rilasciato pubblicamente dichiarazioni di cessazione dei legami con la prestigiosa università.

Martedì l’organizzazione antisionista Jewish Voice for Peace (JVP), ha affermato che lUniversità della Columbia e il Barnard College hanno creato un clima di repressione e danno per gli studenti che protestavano pacificamente per la fine del genocidio” israeliano a Gaza contro i palestinesi.

Mentre diversi sostenitori e commentatori filoisraeliani, così come la Casa Bianca, hanno rilasciato dichiarazioni in cui esprimevano preoccupazione per lantisemitismo nei campus, JVP ha chiarito che a essere presi di mira dagli amministratori sono stati gli studenti ebrei che difendevano la Palestina.

“Gli studenti hanno subito attacchi alla loro sicurezza fisica mentre si trovavano nel campus, hanno subito la pubblica diffusione nei media di informazioni personali e sono esposti a discorsi di odio da parte di docenti e personale”, rileva JVP, aggiungendo: “La Columbia University ha creato con forza un ambiente ostile per gli studenti palestinesi o per coloro che sostengono la libertà dei palestinesi. Inoltre, gli interventi dell’amministrazione hanno reso il campus molto meno sicuro per gli studenti ebrei”.

L’organizzazione sottolinea che degli 85 studenti sospesi per aver preso parte all’accampamento della Columbia 15 erano ebrei.

[traduzione dall’inglese di Aldo Lotta]




Netanyahu promette di combattere le sanzioni USA contro un’unità dell’IDF accusata di violazioni in Cisgiordania

Peter Beaumont da Gerusalemme

22 aprile 2024 – The Guardian

Le sanzioni previste riguardano la legge Leahy e sono contro il battaglione Netzah Yehuda, accusato di violazioni dei diritti umani contro i palestinesi.

Benjamin Netanyahu ha affermato che lotterà contro ogni tentativo di imporre sanzioni contro unità dell’esercito israeliano dopo notizie secondo cui un battaglione delle Forze di Difesa Israeliane [l’esercito israeliano, ndt.] sta per subire sanzioni USA per come tratta i palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Sabato il sito di notizie statunitense Axios ha informato che funzionari del dipartimento di Stato USA hanno confermato che stanno per imporre sanzioni contro il battaglione Netzah Yehuda dell’IDF, che è stato accusato di gravi violazioni dei diritti umani contro i palestinesi. Domenica il giornale israeliano Haaretz ha scritto che gli USA stanno prendendo in considerazione iniziative simili anche contro altre unità della polizia e dell’esercito.

La mossa particolarmente significativa, che rappresenterebbe la prima volta che un governo statunitense prende di mira un’unità dell’IDF, giunge mentre il congresso USA ha approvato 26 miliardi di nuovi aiuti d’emergenza a Israele.

Se qualcuno pensa di poter imporre sanzioni contro un’unità dell’IDF, io mi opporrò con tutte le mie forze,” ha affermato il primo ministro israeliano in un comunicato. “Nelle scorse settimane ho lavorato contro le sanzioni a cittadini israeliani, anche nelle mie conversazioni con l’amministrazione americana,” ha scritto Netanyahu su X.

Nel momento in cui i nostri soldati stanno combattendo mostruosi terroristi l’intenzione di emanare sanzioni contro un’unità dell’IDF è il colmo dell’assurdità e di bassezza morale,” ha aggiunto.

L’IDF ha sostenuto di non essere al corrente di sanzioni in atto contro una sua unità ed ha aggiunto: “Se verrà presa una decisione in materia essa sarà presa in esame.”

Le sanzioni, che sarebbero imposte in base alla legge Leahy del 1997, vieterebbero il trasferimento di aiuti militari statunitensi all’unità e impedirebbero ai soldati e agli ufficiali di partecipare all’addestramento con l’esercito statunitense o a programmi che ricevano finanziamenti USA.

Secondo fonti ufficiali del ministero della Sanità di Gaza sabato notte bombardamenti israeliani sulla città meridionale di Rafah nella Striscia hanno ucciso 22 persone, tra cui 18 minori.

In base ai dati dell’ospedale la maggioranza sembra essere stata vittima del secondo di due attacchi aerei, che ha ucciso 17 minorenni e due donne della stessa famiglia estesa.
Mohammed al-Beheiri ha affermato che sua figlia Rasha e i suoi sei figli, di età compresa tra i 18 mesi e i 16 anni, sono stati tra le vittime. La seconda moglie del marito e i suoi tre figli sono ancora sotto le macerie, ha detto al-Beheiri.

Venerdì il segretario di Stato USA Antony Blinken ha affermato di aver preso “decisioni” riguardo alle denunce secondo cui Israele ha violato la legge Leahy, che vieta la fornitura di assistenza militare a polizia o forze di sicurezza che commettano gravi violazioni dei diritti umani.

Dalla promulgazione della legge l’aiuto USA è stato bloccato a centinaia di unità in tutto il mondo accusate di violazioni dei diritti.

Il dipartimento di Stato ha indagato un certo numero di unità della sicurezza israeliana, anche della polizia e dell’esercito, per presunte violazioni, mentre importanti funzionari israeliani affermano di aver fatto pressione contro l’imposizione di qualsiasi sanzione.

Il battaglione Netzah Yehuda, che fa parte della brigata Kfir, è stato originariamente creato nel 1999 per soddisfare le convinzioni religiose di reclute delle comunità ultraortodosse e nazional-religiose, comprese quelle delle colonie estremiste, e storicamente è stato principalmente schierato in Cisgiordania.

Soldati dell’unità sono stati accusati della morte del settantottenne cittadino statunitense Omar Assad, morto di infarto nel 2022 dopo essere stato arrestato, legato, imbavagliato e poi abbandonato da membri dell’unità. È stato uno dei numerosi incidenti gravi che hanno incluso accuse di torture e maltrattamenti.

Quel caso ha suscitato l’attenzione da parte del dipartimento di Stato che ha chiesto un’inchiesta penale.

In seguito dalla Cisgiordania l’unità è stata schierata al nord di Israele e anche a Gaza.

Secondo ProPublica [organizzazione USA no profit che si occupa di giornalismo investigativo, ndt.] della scorsa settimana il dipartimento di Stato ha ricevuto a dicembre un dossier sulle violazioni della legge Leahy.

Le notizie secondo cui un battaglione dell’IDF sta per affrontare imminenti sanzioni ha provocato una dura risposta da altre importanti personalità israeliane.

Il battaglione Netza Yehuda è una parte inseparabile delle Forze di Difesa Israeliane,” ha affermato Benny Gantz, importante membro del gabinetto di guerra di Netanyahu ed ex capo di stato maggiore dell’esercito israeliano.

È soggetto alla legge militare ed è responsabile di operare in pieno accordo con le leggi internazionali. Lo Stato di Israele ha un sistema giudiziario forte e indipendente che valuta meticolosamente ogni denuncia di violazione o deviazione dagli ordini e dal codice di condotta dell’IDF, e continuerà a farlo.”

Tuttavia organizzazioni per i diritti umani hanno a lungo sostenuto che il sistema investigativo dell’IDF non indaga in modo corretto né persegue le violazioni dei diritti umani commesse dai soldati.

Il citato piano per imporre sanzioni contro l’unità è venuto alla luce tra crescenti campagne per sanzioni internazionali contro israeliani coinvolti in violenze contro palestinesi nella Cisgiordania occupata, che hanno portato a nuovi annunci che prendono di mira individui e organizzazioni quasi ogni mese.

Venerdì gli USA e l’UE hanno annunciato separatamente nuove sanzioni contro gruppi e ong israeliani di estrema destra legati alle violenze dei coloni, così come a noti personaggi, tra cui Bentzi Gopstein, politico molto legato al ministro di estrema destra della Sicurezza Nazionale israeliano Itamar Ben Gvir.

Il complesso e contraddittorio balletto di aiuti e sanzioni a Israele, estremamente evidente in questa settimana e durante l’attacco dell’Iran contro Israele una settimana fa, sembra inteso a dimostrare che, mentre i suoi alleati appoggeranno quella che viene vista come la difesa di Israele, essi sono determinati a punire la crescente violenza estremista contro la Cisgiordania.

In particolare l’amministrazione Biden è sembrata più propensa a condannare le azioni e politiche israeliane in Cisgiordania che a Gaza, dove Israele sta combattendo Hamas in un conflitto durato sei mesi che ha cacciato più dell’85% della popolazione della striscia costiera e ha ucciso 34.000 palestinesi, molti dei quali civili.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Tel Aviv-Giaffa, la fortezza del pluralismo, sta iniziando a crollare

Odeh Bisharat

22 aprile 2024 – Haaretz

Ron Huldai, il sindaco di Tel Aviv-Giaffa, ha arruolato nella sua coalizione nel consiglio comunale Chaim Goren, un “sionista religioso.” Ma la storia non finisce qui: non sarebbe mai successo senza il supporto di tre consiglieri comunali del partito Meretz [storico partito della sinistra sionista, ndt.]. La decisione avrà conseguenze disastrose, non solo per gli abitanti di Tel Aviv, ma per tutti noi. 

Prima di tutto dobbiamo chiarire che la partecipazione di un partito che crede nella supremazia ebraica danneggerà l’immagine liberale e cosmopolita della città. È come prendersi un pugno in faccia: perdi sangue dal naso, hai la vista annebbiata e ti gira la testa. Certo il nome “Tel Aviv-Giaffa” resta, ma lo spirito ha lasciato la città. 

Sorprendentemente il virus fascista non ha conquistato la città con la forza, come fanno gli invasori stranieri, non è neppure entrato di soppiatto come un ladro. Il portone principale era spalancato per far entrare i razzisti. Esther Hayut, ex presidentessa della Corte Suprema, una volta disse “la fortezza non è caduta.” Si riferiva alla corte stessa e aveva completamente ragione perché la fortezza non è caduta ma è stata silenziosamente occupata anni prima del tentativo del colpo di stato giudiziario. E adesso succede anche a Tel Aviv.

Ricordo un’intervista radiofonica nel maggio 2021 con Huldai in cui attaccava i garinim hatorani’im (gruppi di ebrei ortodossi trasferitesi nei quartieri arabi di città miste ebraiche-arabe) dicendo che Tel Aviv aveva [già] una grande maggioranza ebraica. Questi gruppi venivano per convincere gli ebrei a essere ebrei? Aveva anche difeso gli abitanti arabi della città in un momento in cui crescevano le provocazioni contro di loro. Cosa dirà ora il sindaco agli ebrei e agli arabi? La rovina si espande senza che nessuno lo noti. 

Poi un colpo veramente doloroso è stato assestato quando il Meretz ha aggiunto un tocco tragico al collasso della città e della collaborazione ebraico-araba. Si rivolge agli arabi come alleati, ma in pratica mantiene una collaborazione con un partito razzista che vede gli arabi come inferiori e idealmente vorrebbe liberarsene. A chi dovremmo credere, al Meretz che parla di collaborazione o al Meretz che si allea con gli odiatori degli arabi?

Perché lo chiamo un colpo? Perché ci sono arabi che ci dicono che sì, i valori dichiarati dal Meretz, fratellanza, pace e uguaglianza, ci ispirano, ma alla fine loro e tutti gli altri, sinistra, destra, liberali e fascisti, si raccolgono sotto la bandiera esclusionista del nazionalismo. Si può capire, anche se con una certa difficoltà, che la gente si unisca quando un disastro minaccia tutti, ma in questo caso si stanno unendo con un atto volontario per dare generosamente una fetta di potere ai fascisti. È triste: il messaggio per gli arabi è che in un momento cruciale noi vi abbandoneremo.

Questa è un’annosa tradizione della sinistra sionista. Nel 1948, il partito Mapam, madre spirituale di Meretz, parlava di “fratellanza delle nazioni” e fu sconvolto dall’espulsione di massa degli arabi. Ma non fece quasi nulla e quando arrivò il momento di distribuire il bottino fu il primo della fila. Gli enormi patrimoni dei kibbutz dicono tutta la verità.

Il Meretz è visto da molti arabi come un movimento con cui si può dialogare, anche se è sionista, il suo sionismo è diverso, è un sionismo con cui si può convivere. Oggi quella fiducia è stata distrutta, non solo riguardo al Meretz stesso, ma in generale ai movimenti ebraici-arabi. Gli arabi diranno a quelli di noi che credono alla collaborazione che siamo degli ingenui e che quando arriverà il momento della verità loro ci abbandoneranno.

La decisione autolesionista del Meretz a Tel Aviv è triste, ma in nessun modo renderà “disilluse” me e tante brave persone, non opteremo per l’isolamento e l’odio dell’altro. Non siamo una foglia che fluttua nel vento, siamo un olivo con radici profondamente radicate nella terra. Ciò vale per gli arabi come per gli ebrei che hanno fatto un lungo viaggio insieme. È importante guardare all’onta per quello che è e gridare forte: non nel nostro nome.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Quasi 200 corpi trovati in una fossa comune nell’ospedale Khan Younis di Gaza

Redazione Al Jazeera

21 aprile 2024 – Al Jazeera

Le autorità palestinesi affermano che 180 corpi sono stati recuperati dal complesso ospedaliero Nasser mentre Israele continua gli attacchi mortali a Gaza.

Al Jazeera ha appreso che le squadre della protezione civile palestinese hanno scoperto una fossa comune all’interno del complesso ospedaliero Nasser a Khan Younis, a Gaza, con 180 corpi recuperati finora, mentre Israele continua il bombardamento dell’enclave costiera devastata da più di sei mesi.

La scoperta di sabato, che prosegue durante la domenica, arriva dopo che l’esercito israeliano ha ritirato le sue truppe dalla città meridionale il 7 aprile. Gran parte di Khan Younis è ora in rovina.

Domenica Hani Mahmoud di Al Jazeera riporta da Khan Younis che: “Nel cortile dell’ospedale membri della protezione civile e paramedici hanno recuperato 180 corpi, tra cui donne anziane, bambini e giovani uomini, sepolti in questa fossa comune dall’esercito israeliano”.

In una dichiarazione di sabato scorso i servizi di emergenza palestinesi hanno affermato: “Le nostre squadre continueranno le loro operazioni di ricerca e recupero dei restanti martiri nei prossimi giorni poiché ce ne sono ancora molti”.

Le identità delle persone sepolte nella fossa comune dai militari devono ancora essere determinate, e non è chiaro quando siano morte durante l’assalto israeliano.

All’inizio di questa settimana una fossa comune è stata scoperta presso l’ospedale al-Shifa dopo un assedio durato due settimane. Era una delle numerose fosse comuni trovate ad al-Shifa, la più grande struttura medica nell’enclave costiera.

Secondo i funzionari sanitari locali la guerra di Israele a Gaza ha ucciso più di 34.000 palestinesi, ha devastato le due città più grandi di Gaza e ha lasciato una scia di distruzione in tutto il territorio.

Almeno due terzi delle vittime sono minori e donne. Si dice anche che il bilancio reale sia probabilmente più alto poiché molti corpi sono rimasti bloccati sotto le macerie lasciate dagli attacchi aerei o si trovano in aree irraggiungibili per le squadre mediche.

Israele ha lanciato la sua guerra a Gaza dopo che combattenti di Hamas e altri gruppi palestinesi hanno effettuato un attacco all’interno di Israele il 7 ottobre uccidendo circa 1.139 persone e facendone prigioniere più di 200.

Israele uccide 18 minori a Rafah

Nel frattempo sono in corso attacchi israeliani nell’enclave costiera, anche nella città di Rafah, nel sud di Gaza, dove i raid notturni hanno ucciso 22 persone, tra cui 18 minori, hanno dichiarato domenica funzionari sanitari.

Secondo il vicino ospedale kuwaitiano, che ha ricevuto i corpi, il primo attacco, avvenuto domenica mattina presto, ha ucciso un uomo, sua moglie e il loro bambino di tre anni. La donna era incinta e i medici sono riusciti a salvare il bambino, ha riferito l’ospedale.

Israele ha effettuato raid aerei quasi giornalieri su Rafah dove più della metà della popolazione di Gaza, composta da 2,3 milioni di abitanti, ha cercato rifugio dai combattimenti in altre zone.

Secondo i registri ospedalieri il secondo attacco ha ucciso 17 minori e due donne tutti appartenenti alla stessa famiglia. La notte prima un attacco aereo a Rafah aveva ucciso nove persone, tra cui sei minori.

Hani Mahmoud di Al Jazeera in un reportage da Rafah ha detto che le minacce di un’imminente invasione di terra a Rafah stanno “crescendo”.

“Intere famiglie vengono prese di mira direttamente all’interno delle case residenziali in cui si rifugiano”, ha detto.

“Qualsiasi senso di sicurezza e protezione è andato in frantumi per le persone già traumatizzate dalla fuga da un luogo all’altro”.

Israele si è anche impegnato ad espandere la sua offensiva di terra nella città al confine con l’Egitto, nonostante le richieste internazionali di moderazione, anche da parte degli Stati Uniti.

Tuttavia mentre spingono per la fine delle ostilità della guerra che si protrae da sei mesi gli Stati Uniti continuano le forniture di armi a Israele. Sabato la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, con un ampio sostegno bipartisan, ha approvato un pacchetto legislativo da 95 miliardi di dollari che fornisce assistenza in materia di sicurezza a Ucraina, Israele e Taiwan.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Il padiglione israeliano alla Biennale di Venezia non aprirà finché non verrà raggiunto un cessate il fuoco, affermano un’artista israeliana e le curatrici

Naama Riba e Rachel Fink

16 aprile 2024 – Haaretz

Nel contesto di appelli per l’esclusione di Israele dall’evento artistico internazionale e timori di atti di vandalismo, l’artista Ruth Patir e le curatrici della sua esposizione hanno chiesto il cessate il fuoco a Gaza e un accordo per la liberazione degli ostaggi e hanno affermato che “il padiglione israeliano aprirà quando queste cose verranno raggiunte.” A quanto pare il governo israeliano non sarebbe stato informato di questa protesta.

Il padiglione israeliano alla Biennale di Venezia, che avrebbe dovuto aprire alla fine della settimana, rimarrà chiuso al pubblico “finché non verranno raggiunti un cessate il fuoco e un accordo per la liberazione degli ostaggi” tra Israele ed Hamas, secondo un comunicato dell’artista israeliana Ruth Patir e delle curatrici della mostra, Mira Lapidot e Tamar Margalit.

I tre lavori di videoarte dell’artista Ruth Patir che compongono l’esposizione (M)otherland saranno riprodotti nel padiglione e i passanti potranno vederli attraverso i vetri delle finestre.

Il padiglione è curato da Mira Lapidot, curatrice del Museo d’Arte di Tel Aviv, e Tamar Margalit, curatrice del Centro di Arte Contemporanea. Lapidot ha detto ad Haaretz che sono “molto orgogliose della mostra. Abbiamo discusso fino all’ultimo minuto su cosa fare.”

Lapidot ha spiegato le due ragioni che hanno portato alla decisione di non aprire il padiglione, affermando: “L’arte ha bisogno di un cuore aperto, che ora non esiste, quindi è meglio rimanere chiusi. Ma, cosa più importante, come esseri umani, donne e cittadine, non possiamo stare qui mentre niente cambia nella situazione degli ostaggi. Fino all’ultimo minuto abbiamo pensato che stavamo dirigendoci verso una direzione diversa e che c’è un accordo sul tavolo.”

“Abbiamo messo un cartello affermando che apriremo il padiglione quando sarà raggiunto un cessate il fuoco e un accordo per gli ostaggi, e speriamo che ciò avvenga durante i sette mesi della Biennale,” ha continuato. Margalit, la seconda curatrice, ha detto al New York Times che il governo israeliano non è stato informato in anticipo della protesta dall’artista e dalle curatrici. Il ministero della Cultura ha scelto l’artista ed è il principale finanziatore dell’esposizione.

Lapidot ha sottolineato che il padiglione non verrà completamente chiuso. “A differenza di quello russo, questo non verrà chiuso. Rimarrà illuminato e pronto ad aprire. I video verranno proiettati.”

La decisione di non aprire il padiglione giunge contestualmente ad appelli per il boicottaggio di Israele e la sua esclusione dalla Biennale di Venezia da parte di un’organizzazione di artisti e attivisti, ANGA, che sta per “Art Not Genocide Alliance”[Alleanza per l’Arte e non per il Genocidio]. La petizione dell’ANGA è stata firmata da decine di migliaia di persone. La Biennale in febbraio ha risposto alla lettera con un comunicato ufficiale in cui afferma che ogni Paese riconosciuto dal governo italiano è invitato ad esporre alla mostra internazionale e che appelli o petizioni per escludere la partecipazione di un Paese non saranno accolti.

Nell’esibizione generale della Biennale curata da Adriano Pedrosa verranno esposti i lavori di vari artisti palestinesi, alcuni direttamente legati alla guerra a Gaza. Inoltre uno degli eventi collaterali della Biennale, South West Bank [Sud della Cisgiordania], è stato iniziato da un collettivo di artisti palestinesi che mostreranno il proprio lavoro. Nel Centro della Cultura Europea a Palazzo Mora verrà esposta anche una mostra del Museo Americano Palestinese.

L’esposizione nel padiglione israeliano ruota attorno alla fertilità. Patir, che ha meno di 40 anni, ha creato una serie di video riguardo all’argomento da un punto di vista personale e israeliano. Quando aveva 35 anni ha scoperto di essere portatrice (come la curatrice Lapidot) del gene BRCA2 che, se muta, aumenta notevolmente le possibilità di sviluppare un cancro al seno o alle ovaie.

A causa del discutibile privilegio di essere portatrice del gene, Patir, che non è sposata e non ha figli, ha ottenuto dallo Stato una cura gratuita per la preservazione della fertilità.

Il video artistico presentato nell’esposizione mostra l’artista mentre attraversa l’umiliante mondo della medicina istituzionale dominata dai maschi. I video si basano sulla sua auto-documentazione durante tre sedute di congelamento degli ovuli, mentre parla con ginecologi e medici, tecnici, membri della famiglia e con il suo compagno dell’epoca.

Nei video è interpretata da una figurina archeologica che muove il proprio corpo in risposta ai movimenti di Patir attraverso sensori (l’artista non compare nei video e si può sentire solo la sua voce).

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Una corte israeliana ordina l’allontanamento di famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah

Redazione di Middle East Eye

15 aprile 2024 – Middle East Eye

Le tre famiglie hanno vissuto nelle loro case a Gerusalemme Est per 56 anni e dal 2009 hanno combattuto contro i tentativi di sgombero

L’agenzia di notizie Wafa ha riferito che un tribunale israeliano ha ordinato lo sgombero forzato di tre famiglie palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme Est occupata.

Le autorità hanno dato tempo alle famiglie, composte da 20 persone, fino a metà luglio per abbandonare le loro case.

Secondo uno dei proprietari delle case, Saleh Diab, la corte del distretto di Gerusalemme ha avuto a maggio 2023 una udienza relativa al caso, in cui il giudice ha appreso che la corte suprema israeliana aveva deciso di congelare gli sgomberi di 28 famiglie palestinesi a Sheikh Jarrah.

Diab ha raccontato all’agenzia Wafa che il giudice ha riaperto il caso sotto la pressione del gruppo di coloni The Nahalat Shimon. Il gruppo è stato attivo nel perseguire gli ordini di sgombero emessi dai tribunali israeliani contro le famiglie palestinesi.

Secondo Diab, le tre famiglie hanno vissuto nelle case per 56 anni e hanno combattuto contro gli ordini di sgombero dal 2009.

Da quando Israele ha occupato Gerusalemme Est con la guerra del 1967, organizzazioni di coloni hanno reclamato la proprietà della terra a Sheikh Jarrah ed hanno intentato con successo molteplici cause per sfollare i palestinesi dal quartiere. I coloni affermano che famiglie ebree hanno vissuto nella zona prima del 1917 e che le proprietà appartengono a loro.

Più di 500 palestinesi che vivono in 28 case a Sheikh Jarrah stanno affrontando ordini di sgombero dei tribunali.

Il quartiere è diventato un significativo luogo di tensione dopo che Israele ha provato nel maggio 2021 ad espellere dall’area famiglie palestinesi per lasciare spazio ai coloni israeliani.

La violenza ha provocato proteste diffuse nella Cisgiordania occupata e una campagna militare di grandi dimensioni contro Gaza.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




A Berlino la polizia fa irruzione nella sede della conferenza mentre cresce in Germania la repressione dell’attivismo filo-palestinese

Abir Kopty

13 aprile 2024 MONDOWEISS

La polizia berlinese fa irruzione nell’edificio del Congresso per la Palestina e, tagliata l’elettricità, vieta poi l’evento di tre giorni. Gli organizzatori dicono che cresce di giorno in giorno la reazione autoritaria e antidemocratica della Germania all’attivismo filo-palestinese.

Venerdì 12 aprile con un’iniziativa prevedibile, ma comunque scioccante la polizia di Berlino ha fatto irruzione e interrotto il “Congresso per la Palestina” che stava iniziando. Il Congresso doveva essere un evento di tre giorni con ospiti da tutto il mondo fra cui, tra molti altri, Ghassan Abu-Sittah, [chirurgo palestinese, per 43 giorni a Gaza con MSF, rettore dell’università di Glasgow,cfr. qui ,ndt], Salman Abu Sitta, Noura Erakat e Ali Abunimah.

La conferenza voluta da organizzazioni palestinesi, ebraiche e internazionali per discutere il genocidio a Gaza e i crimini israeliani contro i palestinesi e fungere da tribunale nei confronti di Israele e della Germania, uno dei suoi maggiori sostenitori e fornitore di armi. 

Il fatto di essere riusciti ad essere qui e tenere questa conferenza è in sé stesso un atto di resistenza,” ha detto la giornalista palestinese Hebh Jamal nel suo discorso di apertura. 

Jamal non sapeva che il suo discorso sarebbe stato l’unico di quelli in programma per i successivi tre giorni.

 Intimidazioni governative

Jamal si riferiva alla tesa atmosfera pubblica che aveva preceduto il Congresso. Per settimane, da quando era stato annunciato l’evento, le autorità tedesche, la polizia e i media avevano lavorato per impedire che si svolgesse. 

I media tedeschi l’hanno definito, fra l’altro un “Congresso di odiatori di Israele,” una conferenza di “apologeti del terrorismo”, conducendo una campagna diffamatoria contro gli oratori. I politici hanno invocato un divieto di ingresso nel paese agli oratori della conferenza e il senato di Berlino è arrivato molto vicino a vietarla. 

In ogni caso il governo ha preso molte decisioni nelle settimane precedenti il Congresso per far pressione sugli organizzatori e per intimidirli. Case di attivisti coinvolti nella conferenza sono state perquisite ed è stato vietato un evento di raccolta fondi per il Congresso. Inoltre, secondo gli organizzatori, due sedi che dovevano ospitare l’evento l’hanno annullato per la pressione e le minacce della polizia e le autorità di Berlino hanno bloccato il conto bancario di Jewish Voice, uno degli organizzatori del Congresso, dove si dovevano raccogliere tutti i contributi. 

Il giorno di apertura della conferenza la polizia ha dispiegato 2500 poliziotti nelle vicinanze della sede e dentro la sala. 

Su 800 che avevano prenotato in anticipo i propri biglietti la polizia ha autorizzato solo 250 partecipanti. E come se questo non fosse bastato è stato vietato l’ingresso in Germania al dottor Ghassan Abu-Sittah che è stato rimpatriato nel Regno Unito. Quella sera avrebbe dovuto raccontare al Congresso ciò di cui era stato testimone a Gaza.

 Quando l’evento stava cominciando la polizia ha fatto entrare oltre una ventina di giornalisti ostili e antipalestinesi che avevano guidato la campagna di istigazione contro la conferenza anche se non erano stati accreditati dagli organizzatori del Congresso. Ha avuto le caratteristiche di un’imboscata: per giunta quei 25 erano stati inclusi nella lista ufficiale e quindi è stato impedito l’ingresso a 25 partecipanti registrati. 

Dopo l’inizio della conferenza tutti erano sollevati perché nonostante tutto “ce l’abbiamo fatta,” per quanto tesi e insicuri si sentissero gli astanti per la pesante presenza della polizia e dei membri dei media ostili che si aggiravano filmandoli. C’era una piccola sensazione di vittoria dopo i precedenti sei mesi, massacranti e spaventosi, in un paese che non considera legittime le sofferenze e la rabbia della propria comunità palestinese. 

Tuttavia questo momento di piccola vittoria non è durato a lungo. 

La polizia tedesca per quella giornata aveva una missione: interrompere l’evento. Stava solo aspettando il momento giusto. Se non ci fosse stato un momento giusto, l’avrebbero creato. 

La polizia fa irruzione e taglia la corrente

L’oratore che doveva venire dopo la giornalista Heba Jamal era il famoso studioso e scrittore palestinese Salman Abu Sitta che stava partecipando da remoto con un video preregistrato. 

Improvvisamente, a due minuti dall’inizio del video, decine di poliziotti hanno invaso il centro della sala davanti allo schermo e al palcoscenico interrompendo lo streaming. 

Mentre la polizia occupava il palcoscenico del Congresso per la Palestina per bloccare l’evento uno degli organizzatori ha urlato: “SI stanno rendendo ridicoli, lasciateli fare!”. Tutti hanno annuito. 

All’inizio i poliziotti hanno affermato che Abu Sitta aveva detto qualcosa che avrebbe incitato a violenza o odio. Quando gli organizzatori hanno chiesto di citare la frase hanno detto che dovevano controllare. Non lo sapevano.

Dopo di ciò hanno affermato che a Salman Abu Sitta era vietato svolgere “attività politica” in Germania. Per loro questo intervento da remoto era considerata una violazione. Ma Nadja Samour, l’avvocata dell’evento, ha spiegato che la polizia aveva controllato la lista dei partecipanti quella mattina e non aveva segnalato nulla a proposito di Abu Sitta. Gli organizzatori hanno offerto di non proiettare il resto del discorso di Abu Sitta, ma di andare avanti con gli altri oratori. 

La polizia voleva anche impedire la trasmissione in diretta dell’evento per un ipotetico timore che un oratore dicesse qualcosa che potesse includere l’incitamento. Quando gli organizzatori si sono schierati contro tale ipotetica assunzione la polizia ha fatto irruzione nel locale dei quadri elettrici e ha interrotto l’erogazione. La polizia ha poi deciso di vietare l’intero evento per i tre giorni e ha ordinato a tutti di evacuare il locale. 

Mentre la gente cominciava ad andarsene dalla sala la polizia ha eseguito parecchi arresti di attivisti fra cui due ebrei. Sì in Germania c’è un solo tipo di ebreo considerato legittimo: quello che non ha problemi con il genocidio commesso da Israele.  

Secondo Samour la polizia ha detto agli organizzatori che l’ordine di porre fine alla conferenza era arrivato dai “vertici” (“ganz oben”). Ha detto che non erano in grado di confermarlo ma che c’era chiaramente stata un’interruzione delle comunicazioni tra la polizia federale e quella di Berlino. Non è chiaro da dove, come e quando la decisione sia stata comunicata alla polizia sul posto. 

Crescente autoritarismo

Con un’ostentazione che riflette la posizione della maggior parte dei politici tedeschi il ministro degli interni Nancy Faeser ha accolto positivamente la chiusura del Congresso dicendo: “È un’ottima cosa che la polizia di Berlino abbia duramente represso il cosiddetto Congresso per la Palestina. Teniamo attentamente d’occhio gli ambienti islamisti.”

Qui in Germania islamofobia e opinioni antipalestinesi hanno caratterizzato il discorso pubblico sulla Palestina prima del 7 ottobre e sono solo peggiorati. La repressione e il giro di vite della polizia sono eventi normali e non arbitrari. 

Mentre gli organizzatori hanno promesso di impugnare la decisione in tribunale, hanno sottolineato che tali tattiche di repressione mirano a logorare il movimento. 

Sappiamo che il mondo ci sta guardando e che vede che la Germania, con il passare di ogni singolo giorno, sta mostrando sempre di più tendenze autoritarie antidemocratiche”, dicono gli organizzatori del Congresso.

Tante sono le energie consumate, sprecate e assorbite da questa repressione ma la cosa più importante è continuare a parlare del genocidio,” ha detto Wieland Hoban, presidente di Jewish Voice for Just Peace in the Middle East [Voce Ebraica per una Giusta Pace in Medio Oriente] e co-organizzatore del Congresso. 

Siamo fieri di essere qui oggi, questa è già una vittoria e non ci fermeranno,” ha continuato la co-organizzatrice Karin de Rigo del gruppo DIEM25 [movimento paneuropeo e progressista per democratizzare l’UE].

Per rispondere agli scioccanti eventi sabato 13 aprile, il giorno dopo dell’irruzione e della sua cancellazione da parte della polizia, gli organizzatori del Congresso hanno tenuto una conferenza stampa.

Hanno chiarito che il bando emesso dalla polizia si applica anche a qualsiasi evento alternativo organizzato per offrire una sede agli oratori, online o in presenza. 

Quello che è successo ieri dovrebbe fare il giro del mondo, la Germania dovrebbe essere svergognata e accusata,” ha detto il regista e attivista Dror Dayan alla conferenza stampa, invocando inoltre un boicottaggio culturale e accademico della Germania.

Gli organizzatori hanno puntualizzato di non aver ancora ricevuto alcun ordine scritto contenente le restrizioni date loro a voce dalla polizia. 

Il comportamento della polizia nelle settimane precedenti l’evento e durante l’evento stesso non è un comportamento da polizia, si comporta così solo la mafia,” hanno concluso gli organizzatori.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Diversi palestinesi feriti in seguito ai nuovi attacchi dei coloni in Cisgiordania

Fayha Shalash , Ramallah

13 aprile 2024 – Middle East Eye

Gli attacchi sono avvenuti il giorno dopo che centinaia di coloni hanno devastato il villaggio di al-Mughayyir, uccidendo un palestinese e ferendone altri 25.

Sabato coloni israeliani hanno attaccato dei villaggi nella Cisgiordania occupata, ferendo diversi palestinesi e dando fuoco a case e automobili, con la totale protezione dell’esercito israeliano.

L’attacco è avvenuto il giorno dopo che centinaia di coloni, molti dei quali armati, hanno devastato il villaggio di al-Mughayyir, a nordest di Ramallah, dopo che venerdì un adolescente israeliano era scomparso da una vicina colonia.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sabato ha detto che il ragazzo israeliano scomparso è stato trovato morto in Cisgiordania.

Barakat Dawabsha, un abitante di Duma, a sud di Nablus, ha detto a Middle East Eye che più di 500 coloni armati hanno attaccato il villaggio dai lati nord, ovest e sud.

Ha detto che parecchie persone sono state ferite da proiettili veri e decine di case e veicoli sono stati bruciati. I coloni hanno anche assalito le persone con bastoni e pietre, causando ulteriori traumi. Dawabsha afferma: “L’esercito israeliano protegge i coloni. Ho visto con i miei occhi un soldato dare fuoco ad un veicolo. La situazione è molto difficile e le persone cercano di proteggere le loro case e proprietà con i loro corpi”.

La Mezzaluna Rossa palestinese ha detto che i soldati israeliani hanno impedito alle sue squadre di entrare nel villaggio per curare i feriti. Alla fine un’ambulanza è stata lasciata entrare dopo tre ore.

Secondo Dawabsha decine di palestinesi abitanti del villaggio non hanno potuto ritornare alle loro case da venerdì sera a causa delle chiusure imposte dall’esercito israeliano in diversi villaggi a sud di Nablus e a nord di Ramallah per condurre le ricerche del colono scomparso.

Decine di veicoli e autobus pieni di coloni stanno ancora arrivando agli ingressi di Duma per partecipare al feroce attacco.

Secondo la Wafa [agenzia stampa ufficiale dell’Autorità Palestinese, ndt.]

da sabato mattina i coloni israeliani hanno attaccato anche le cittadine di Silwad, Turmus Aya, Sinjil e Deir Dibwan.

Il più terribile attacco negli ultimi anni’

Centinaia di coloni spalleggiati da soldati venerdì pomeriggio hanno attaccato al-Mughayyir, sparando agli abitanti e bruciando proprietà palestinesi. Secondo la Mezzaluna Rossa Palestinese, un palestinese, identificato come il 26enne Jihad Abu Alia, è stato ucciso e altri 25 sono stati feriti, inclusi otto con pallottole vere.

Kazem al-Hajj, uno degli attivisti che si oppongono alle colonie israeliane nel villaggio, ha detto a Middle East Eye che l’attacco è stato “il più terribile degli ultimi anni.”

Appena gli abitanti del villaggio hanno sentito dell’attacco dei coloni hanno cercato di contrastarli dirigendosi verso la zona a nord. Jihad Abu Alia era uno di loro, ma è stato colpito alla testa dai proiettili dei coloni ed è caduto immediatamente a terra”, dice Hajj.

Abu Alia è morto dissanguato perché i soldati israeliani hanno impedito alle ambulanze di raggiungere il ferito.

Durante l’assalto i coloni hanno dato fuoco a più di 40 strutture palestinesi e a 50 veicoli ad al-Mughayyr, provocando incendi anche nei terreni agricoli vicini.

La scena era terribile, nuvole di fumo riempivano il villaggio e il suono delle ambulanze non cessava in mezzo alle intense e continue sparatorie”, dice Hajj.

I coloni provenivano dall’avamposto Mallahi, creato negli ultimi due anni sopra il campo dell’esercito israeliano Jabeit, originariamente costruito su terra palestinese a nord di Ramallah.

Hajj ha detto che il villaggio ha subito attacchi quotidiani da parte dei coloni “che perseguivano una politica di insediamento pastorizio per controllare i terreni del villaggio”, con la palese protezione dei soldati israeliani.

In isolamento

Diverse ore dopo l’inizio dell’attacco l’esercito israeliano si è ritirato dal villaggio, ma è rimasto ai suoi ingressi imponendo una chiusura totale e installando posti di blocco.

Le forze israeliane hanno anche devastato parecchi villaggi palestinesi vicini e hanno condotto operazioni di ricerca con il sostegno di un elicottero.

Durante la notte cinque palestinesi sono stati feriti in un altro attacco dei coloni nel villaggio di Abu Falah vicino a Ramallah, come riferito dall’agenzia stampa ufficiale palestinese Wafa.

Il giornalista Mohammed Turkman ha detto che i soldati hanno deliberatamente attaccato i giornalisti mentre documentavano l’attacco dei coloni a al-Mughayyir.

Uno dei soldati mi ha preso di mira e un altro mi ha sparato direttamente. Fortunatamente il proiettile è finito vicino a me, ma avrei potuto essere uno dei feriti”, ha detto Turkman a MEE.

Turkman ha detto che il vasto attacco è stato condotto dai coloni da un lato e dai soldati dall’altro, mentre veniva totalmente impedito alle ambulanze di avvicinarsi.

I giornalisti non hanno potuto lasciare il villaggio dopo che l’esercito israeliano si è ritirato e ha isolato al-Mughayyir e sono stati costretti a rimanere a casa di Hajj.

Due auto bruciate durante il pogrom dei coloni al villaggio al-Mughayyir. Foto Mohammed Turkman

Non è la prima volta che abbiamo subito aggressioni durante il nostro lavoro. Durante ogni reportage i soldati cercano di attaccarci, soprattutto se intorno ci sono dei coloni”, dice Turkman.

Al-Mughayyr è rimasto isolato sabato e le forze israeliane hanno impedito che il corpo di Abu Alia fosse portato nel villaggio per il funerale, costringendo a rimandarlo fino a quando l’esercito non rimuoverà i posti di blocco.

(Traduzione dall’inglese di cristiana Cavagna)