Rapporto OCHA del periodo 30 marzo 12 aprile 2021

Il 6 aprile, a Bir Nabala (Gerusalemme), ad un posto di blocco istituito per un’operazione di ricerca-arresto, le forze israeliane hanno sparato contro un’auto, uccidendo il guidatore palestinese 45enne e ferendo la moglie.

Secondo le autorità israeliane, dopo l’alt, l’auto avrebbe accelerato improvvisamente in un apparente tentativo di travolgere i soldati. Secondo la donna ferita, suo marito, nel procedere, stava seguendo le istruzioni del soldato.

In Cisgiordania, complessivamente, le forze israeliane hanno ferito cinquantadue palestinesi [seguono dettagli]. Ventitré sono rimasti feriti nel corso di quattro operazioni di ricerca-arresto condotte a Silwan (Gerusalemme Est), nei Campi profughi di Al ‘Arrub (Hebron) e Aqbat Jaber (Gerico) e nella città di Nablus. Ventidue sono rimasti feriti nei villaggi di Kafr Qaddum (Qalqiliya) e Beit Dajan (Nablus), in due proteste settimanali contro l’attività di insediamento colonico. Due 13enni sono rimasti feriti nella città di Hebron, in due distinti episodi; uno di loro ha perso un occhio, colpito da un proiettile di gomma durante scontri in cui non era coinvolto. Due palestinesi sono rimasti feriti a Sabastiya (Nablus), in scontri seguiti ad una visita di israeliani a siti archeologici locali e un altro a Nablus, durante una visita di israeliani alla Tomba di Giuseppe. Un anziano è rimasto ferito nel villaggio di Bani Na’im (Hebron), durante scontri scoppiati nel corso della confisca di una tenda da parte delle forze israeliane. Un altro palestinese è rimasto ferito nell’area di Gerusalemme mentre tentava di attraversare una breccia nella Barriera. Del totale dei feriti, 29 sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno, 12 sono stati colpiti da proiettili di gomma, cinque sono stati colpiti con proiettili veri e sei sono stati aggrediti fisicamente o spruzzati con sostanze irritanti.

Le forze di polizia israeliane hanno aggredito fisicamente nove attivisti (fra loro anche un membro del parlamento israeliano) che stavano manifestando contro lo sfratto di famiglie palestinesi dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est. Il capo della polizia del distretto di Gerusalemme ha ordinato la chiamata a rapporto degli agenti coinvolti, mentre, a quanto riportato, il parlamentare ferito ha presentato una denuncia al Ministero della Giustizia.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 154 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 167 palestinesi. Il governatorato di Ramallah ha registrato il maggior numero di operazioni (43), seguito da quello di Gerusalemme (27) e di Hebron (23).

In aree di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale e in mare, le forze israeliane hanno aperto il fuoco d’avvertimento in almeno 14 occasioni, a quanto riferito, per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]: non sono stati segnalati feriti.

In Area C ed a Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi edilizi, sono state demolite o sequestrate 20 strutture di proprietà palestinese, sfollando 13 persone e incidendo sui mezzi di sussistenza di altre 90 [seguono dettagli]. Dieci strutture sono state demolite in otto Comunità dell’Area C; in un caso, nell’area Dhahrat an Nada di Betlemme, sono state sfollate sette persone. A Susiya (Hebron), le autorità israeliane hanno sequestrato una tenda fornita come assistenza umanitaria. A Gerusalemme Est, nel quartiere di Jabal al Mukkabir, una famiglia di sei persone è stata costretta a demolire la propria casa mentre, ad Al ‘Isawiya, sono state demolite sei strutture di sussistenza. Le autorità israeliane hanno inoltre emesso sei ordini di arresto dei lavori contro almeno 32 strutture palestinesi (residenziali e agricole) e contro una strada a Khirbet ar Ras al Ahmar (Tubas).

Coloni israeliani, noti o ritenuti tali, hanno ferito sette palestinesi, di cui due ragazzi, ed hanno danneggiato alberi di proprietà palestinese [seguono dettagli]. I ragazzi sono stati aggrediti fisicamente in due episodi separati accaduti nell’area H2 di Hebron. Gli altri cinque sono stati colpiti con pietre o aggrediti fisicamente mentre lavoravano la loro terra: quattro [dei 5] ad An Nabi Salih (Ramallah) e uno a Jalud (Nablus). Palestinesi hanno riferito che a Qusra (Nablus) sono stati sradicati circa 100 alberelli di olivo. Nella zona H2 di Hebron una casa è stata danneggiata da una bottiglia incendiaria e a Kifl Haris (Salfit) sono stati danneggiati contatori dell’acqua. A Qaryut (Nablus) e Al Bqai’a (Hebron) coloni hanno devastato con bulldozer terreni privati palestinesi. A Deir Jarir (Ramallah), coloni hanno aggredito fisicamente e ferito un attivista israeliano che stava fornendo presenza protettiva a pastori palestinesi.

Palestinesi, noti o ritenuti tali, hanno aggredito fisicamente e ferito due israeliani; inoltre, lanciando pietre e altri oggetti, hanno danneggiato otto veicoli israeliani, che transitavano su strade della Cisgiordania. Gli episodi sono stati riferiti da fonti israeliane.

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Rapporto OCHA del periodo 16 – 29 marzo 2021

Il 19 marzo, durante una protesta settimanale svolta vicino al villaggio di Beit Dajan (Nablus), un palestinese di 45 anni, che stava lanciando pietre contro le forze israeliane, è stato colpito con arma da fuoco ed ucciso.

A quanto riferito, i soldati coinvolti sarebbero stati chiamati a rapporto. Con questa uccisione sale a tre il numero di palestinesi uccisi dalle forze israeliane in Cisgiordania dall’inizio dell’anno. Nei pressi di Beit Dajan, dieci persone sono rimaste ferite nel corso di proteste che, da sei mesi, si svolgono ogni venerdì contro la costruzione di un nuovo avamposto colonico su un terreno di proprietà del villaggio.

In Cisgiordania, oltre ai dieci di cui sopra, altri 53 palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane: quarantatré in scontri occorsi nel quartiere Kafr ‘Aqab di Gerusalemme Est; cinque a Beit Ummar (Hebron) e Bir Nabala (Gerusalemme), in due operazioni di ricerca-arresto; quattro a Kafr Qaddum (Qalqiliya), nelle proteste settimanali contro l’espansione degli insediamenti; uno nell’area di Tulkarm, mentre cercava di entrare in Israele attraverso una delle brecce nella Barriera. Dei [63]feriti complessivi, 40 sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, 16 sono stati colpiti da proiettili di gomma e sette sono stati aggrediti fisicamente o colpiti da candelotti lacrimogeni. Inoltre, a Gerico, un pastore palestinese è rimasto ferito dall’esplosione di un residuato bellico che stava maneggiando.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 128 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 115 palestinesi, compresi cinque minori. Il governatorato di Ramallah ha registrato il maggior numero di operazioni (27), seguito da Tulkarm (21) ed Hebron (18). A Beit Kahil (Hebron), in una sola un’operazione sono stati arrestati 21 palestinesi.

L’ingresso dei palestinesi nell’Area [residenziale chiusa] H2 della città di Hebron è risultato rallentato per lunghi periodi a causa della reintroduzione, da parte delle forze israeliane, di pesanti restrizioni al checkpoint di accesso al quartiere Tel Rumeida. Al checkpoint, le forze israeliane hanno imposto ai residenti palestinesi di passare attraverso i metal detector; tale disposizione non era più in uso da diversi anni.

In Area C e in Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi edilizi, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 26 strutture di proprietà palestinese, sfollando 34 persone, di cui 15 minori, e creando ripercussioni su circa 40 [seguono dettagli]. Il 17 marzo, in quattro Comunità dell’Area C, sono state prese di mira ventidue strutture, comprese otto tende sequestrate a Khirbet Tana (Nablus), sfollando 18 persone. Nella Comunità beduina di An Nuwei’ma Al Fauqa (Gerico), sono state demolite 11 case disabitate: 21 persone ne sono state colpite. A Gerusalemme Est sono state demolite quattro strutture, di cui tre ad opera dei proprietari: dodici le persone sfollate.

Coloni israeliani, noti o ritenuti tali, hanno ferito due palestinesi e danneggiato alcune centinaia di alberi di proprietà palestinese. Entrambi i palestinesi feriti sono stati aggrediti fisicamente, uno vicino alla Comunità di Susiya (Hebron) e l’altro vicino ad Al Khader (Betlemme), mentre lavorava la propria terra. Residenti nei villaggi di Jalud, Khirbet Sarra e Tell in Nablus, e Ras Karkar e Deir Nidham in Ramallah, hanno riferito che erano stati vandalizzati circa 300 alberi e alberelli [citati sopra]. A Beit Iksa (Gerusalemme) e Kafr ad Dik (Salfit), persone note come coloni, o ritenuti tali, hanno vandalizzato una casa, tre strutture agricole e tre veicoli. Ancora coloni, nella zona di Al Baq’a (Hebron), hanno iniziato a devastare con bulldozer terra privata palestinese. Nei pressi di Tubas coloni hanno bloccato una sorgente, impedendone l’accesso ai pastori palestinesi. A Tuqu’ e Kisan (Betlemme) coloni hanno eretto tende su terreni appartenenti a residenti dei villaggi. A Kisan, alla fine, hanno rimosso le tende, e a Tuqu’ le autorità israeliane hanno ordinato loro di rimuoverle entro il 4 aprile.

Autori, ritenuti palestinesi, hanno colpito con pietre veicoli israeliani in viaggio su strade della Cisgiordania: secondo fonti israeliane dieci veicoli hanno subito danni.

In aree di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale o al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco d’avvertimento in almeno 17 occasioni, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]; non sono stati registrati feriti. In due occasioni, le forze israeliane hanno spianato il terreno vicino alla recinzione, all’interno di Gaza; non sono stati segnalati feriti.

Da Gaza è stato lanciato un razzo verso il sud di Israele; a quanto riferito sarebbe caduto in un’area aperta senza provocare feriti o danni. Israele ha compiuto alcuni attacchi aerei che, viene riferito, hanno colpito siti militari a Gaza, causando danni.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Rapporto OCHA del periodo 2 – 15 marzo 2021

Il 7 marzo, a Gaza, al largo della costa di Khan Younis, in una barca palestinese si è verificata un’esplosione che ha provocato la morte di tre pescatori, due fratelli e un loro cugino.

La causa è stata inizialmente attribuita al malfunzionamento di un razzo durante una prova effettuata da gruppi armati palestinesi, che hanno però negato tale ipotesi. A seguito di un’indagine, il Ministero dell’Interno di Gaza ha ipotizzato che i pescatori avessero tirato su con le loro reti un drone israeliano, caduto in mare e contenente esplosivo. Le autorità israeliane hanno negato qualsiasi coinvolgimento nell’episodio.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno ferito sessantadue palestinesi, inclusi nove minori [seguono dettagli]. Quarantuno di loro sono rimasti feriti in scontri verificatisi in cinque villaggi del governatorato di Nablus: da parte palestinese si è ricorso principalmente al lancio di pietre e da parte delle forze israeliane al lancio di lacrimogeni e proiettili di gomma. Sedici persone sono rimaste ferite in altri scontri scoppiati durante quattro operazioni di ricerca-arresto condotte nella città di Al Bireh (Ramallah) e nei Campi profughi di Ad Duheisha (Betlemme), Al Fawwar (Hebron) e Al Am’ari (Ramallah). I rimanenti feriti si sono avuti nei governatorati di Betlemme, Qalqiliya e Gerusalemme, in scontri con lancio di bottiglie incendiarie contro veicoli israeliani, durante una protesta settimanale e durante scontri ad hoc. Complessivamente, 35 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, nove sono stati colpiti da proiettili veri, 12 da proiettili di gomma e sei sono stati aggrediti fisicamente. Infine, un pastore palestinese è rimasto ferito per l’esplosione di un residuato bellico che stava maneggiando.

L’8 marzo, a Tubas, nel corso di una operazione di ricerca-arresto, due palestinesi e un soldato israeliano sono rimasti feriti; secondo fonti israeliane, uno dei palestinesi sarebbe stato colpito e arrestato nel corso dell’operazione mentre cercava di accoltellare un soldato. Sempre secondo fonti israeliane, in un altro episodio verificatosi lo stesso giorno, una donna palestinese è stata arrestata in un insediamento avamposto, prossimo al villaggio di Ras Karkar (Ramallah), per aver tentato di accoltellare una colona.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 193 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 172 palestinesi, inclusi 15 minori. Il governatorato di Ramallah ha registrato il maggior numero di operazioni (48), seguito dai governatorati di Hebron (37) e Gerusalemme (35).

In aree di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale e in mare, le forze israeliane hanno aperto il fuoco d’avvertimento in almeno 29 occasioni, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]: due pescatori sono stati feriti, mentre la loro barca ha subito danni. In altre tre occasioni, le forze israeliane [sono entrate in Gaza e] hanno spianato terreni adiacenti alla recinzione. Non sono stati segnalati feriti.

In Area C e Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 26 strutture di proprietà palestinese, sfollando 42 persone, di cui 24 minori, e colpendone in altro modo circa 120 [seguono dettagli]. Diciassette delle strutture interessate e tutti gli sfollamenti sono stati registrati in Area C. Due edifici sono stati demoliti nel villaggio di Ein Shibli (Nablus), sfollando 17 persone, sulla base di “Ordini militari 1797” che consentono la demolizione entro 96 ore dall’emissione di un ordine di rimozione”. I restanti sfollamenti derivano dalla demolizione di quattro case nelle Comunità di At Tuwani e Khallet Athaba a Hebron, e a Beit Jala a Betlemme. Il sostentamento di 20 persone è stato colpito dallo smantellamento di una bancarella per la vendita di ortaggi vicino alla città di Qalqiliya; altre 16 persone sono state colpite dalla demolizione di due case disabitate e dalla confisca di un container metallico a Isteih (Gerico). Due delle nove strutture prese di mira a Gerusalemme Est sono state demolite dal proprietario.

Nel governatorato di Hebron, coloni israeliani, o individui ritenuti tali, hanno ferito sei palestinesi e danneggiato proprietà palestinesi, compresi veicoli e alberi. Quattro dei feriti sono stati aggrediti fisicamente in tre diversi episodi [seguono dettagli]. Due ragazzi, di 13 e 14 anni, sono rimasti feriti in due distinti episodi avvenuti rispettivamente nell’Area H2 della città di Hebron e nella zona di Bir al ‘Idd; in quest’ultimo caso, l’asino che il ragazzo stava cavalcando è stato accoltellato. Un uomo e una donna sono stati aggrediti con mazze vicino al Mantikat Shi’b al Butum: l’uomo ha riportato gravi ferite alla testa. I restanti due feriti erano pastori, aggrediti con pietre e coltelli vicino a Bani Na’im (Hebron); tre delle loro pecore sono state ferite. In diverse altre occasioni a Hebron (Saadet Tha’lah) e Betlemme (Kisan), coloni israeliani hanno scacciato i pastori dalla zona. Almeno 42 alberi e alberelli sono stati sradicati nei villaggi di At Tuwani (Hebron) e Kafr Qaddum (Qalqiliya); inoltre, in quest’ultima località, nel corso dell’episodio citato, sono stati rubati attrezzi agricoli. Palestinesi hanno riferito che, a Yanun (Nablus), coloni hanno pascolato il loro bestiame su terreni appartenenti a palestinesi del villaggio, danneggiando ulivi, mentre a Ein Samiya (Ramallah), hanno aggredito agricoltori che lavoravano la loro terra, danneggiando un trattore. Secondo fonti palestinesi, nei villaggi di Jalud e Huwwara (Nablus) e Kafr ad Dik e Bruqin (Salfit), coloni israeliani hanno danneggiato almeno cinque veicoli, una casa e una struttura agricola.

Il 10 marzo, nel governatorato di Hebron, nei pressi dell’insediamento avamposto di Havat Maon, cinque ragazzi palestinesi di età intorno ai 10 anni, mentre raccoglievano erbe selvatiche, sono stati fermati da coloni. Sono stati poi portati dai soldati alla stazione di polizia di Kiryat Arba, a quanto riferito perché sospettati di aver tentato di rubare dei pappagalli. Sono stati rilasciati in giornata.

In quattro episodi, autori ritenuti palestinesi, hanno colpito con pietre e ferito quattro israeliani: due vicino agli insediamenti di Rimonim (Gerusalemme) e Gush Etzion (Betlemme), un autista entrato accidentalmente ad Al Isawiya (Gerusalemme Est) e un altro all’ingresso del villaggio di Bidiya (Salfit). Secondo fonti israeliane, venticinque veicoli israeliani che transitavano sulle strade della Cisgiordania, sono stati danneggiati da pietre.

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

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Vaccinare i palestinesi solo se è funzionale a Israele

Maureen Clare Murphy

12 marzo 2021 – The Electronic Intifada

Come direbbero i ragazzini, Il COGAT [Coordinatore delle attività governative nei territori: unità del ministero della difesa israeliano che coordina le questioni civili tra il governo di Israele, le forze di difesa israeliane, le organizzazioni internazionali, i diplomatici e l’Autorità Nazionale Palestinese, ndtr.] ricomincia con le sue stronzate.

All’inizio di questa settimana l’ente militare israeliano ha twittato foto di lavoratori palestinesi mentre vengono vaccinati contro il COVID-19 ai posti di blocco in Cisgiordania.

Il COGAT, famigerato per la sua propaganda mediocre e strumentale, ha affermato che l’iniziativa sui vaccini “è un passo importante per assicurare la salute pubblica e la stabilità economica”.

“Fatevi vaccinare!” ha implorato il COGAT, il quale troppo spesso ritarda o nega ai palestinesi i permessi di viaggio per accedere alle cure mediche.

Tuttavia la stragrande maggioranza dei palestinesi che vivono sotto l’occupazione militare israeliana, anche se lo volesse, non potrebbe essere vaccinata.

Mentre Israele si vanta della sua campagna di vaccinazione di tutti i suoi cittadini, ha rifiutato di fornire il vaccino ai palestinesi che vivono sotto occupazione, in base a quanto previsto dalla Quarta Convenzione di Ginevra.

Vaccinare i palestinesi a vantaggio di Israele

Israele ha recentemente iniziato a fornire vaccini a circa 130.000 palestinesi che lavorano nelle sue fabbriche, nei suoi cantieri e nelle sue colonie, il lavoro sottopagato e sfruttato da cui dipende l’economia israeliana.

Ma Israele non fornirà vaccini ai restanti oltre 5 milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Come ha detto un palestinese alla Reuters “ Anche i lavoratori palestinesi che [gli israeliani] hanno vaccinato, lo hanno fatto a vantaggio della comunità israeliana, non in funzione del benessere dei lavoratori”.

 

Omar Shakir, direttore del programma di Human Rights Watch [organizzazione non governativa internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani, ndtr.] ha osservato che “vaccinare solo quei palestinesi che entrano in contatto con israeliani rafforza [l’idea] che per le autorità israeliane la vita palestinese conti solo nella misura in cui influisca sulla vita ebraica”.

Nel frattempo le unità di terapia intensiva degli ospedali di alcune aree della Cisgiordania stanno attualmente operando al 100% della capacità, poiché nelle comunità palestinesi del territorio i casi di COVID-19 sono in aumento.

Nelle ultime due settimane le città palestinesi hanno introdotto blocchi totali per controllare la crescita del numero delle infezioni da COVID-19, proprio mentre il vicino Israele ha iniziato a revocare le restrizioni procede con una delle campagne di vaccinazione più veloci al mondo”, ha riferito la Reuters.

Apartheid sanitario

La disparità nell’accesso ai vaccini COVID-19 è un chiaro esempio del regime israeliano di apartheid imposto dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo.

“Il regime israeliano mette in campo leggi, pratiche e violenze di Stato progettate per cementare la supremazia di un gruppo – gli ebrei – su un altro – i palestinesi”, ha affermato l’associazione per i diritti umani B’Tselem [organizzazione israeliana non governativa che documenta le violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, ndtr.] in un recente studio.

La distribuzione del vaccino è una dimostrazione scioccante di come gli strateghi israeliani si muovano in modo di volta in volta differente riguardo ai gruppi sottoposti alle sue norme inique.

Mentre i palestinesi con cittadinanza o residenza israeliana hanno diritto a ricevere i vaccini da Israele, i palestinesi in possesso di documenti di identità della Cisgiordania sono stati cacciati dai siti di vaccinazione gestiti da Israele.

L’apartheid sanitario nei territori sotto il controllo di Israele non è una novità.

Physicians for Human Rights-Israel [Medici per i diritti umani: ONG no profit con sede negli Stati Uniti che utilizza medicina e scienza per documentare le gravi violazioni dei diritti umani in tutto il mondo, ndtr.] ha affermato che le disparità nelle condizioni della salute tra israeliani e palestinesi derivano direttamente dall’occupazione.

Uno studio del 2015 dell’organizzazione ha rilevato che l’aspettativa di vita dei palestinesi nella Cisgiordania occupata e a Gaza è di circa 10 anni inferiore a quella in Israele.

Lo stesso studio ha rilevato che la mortalità infantile e la mortalità materna erano quattro volte superiori in Cisgiordania e Gaza rispetto a Israele.

Nello stesso anno, uno studio dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, ha individuato nell’assedio da parte di Israele una delle ragioni dell’aumento a Gaza, per la prima volta in 50 anni, del tasso di mortalità infantile.

Le organizzazioni palestinesi per i diritti umani affermano che il regime dell’apartheid israeliano “ha portato per decenni alla frammentazione e al deterioramento del sistema sanitario” della Cisgiordania e di Gaza.

Ciò ha “negato ai palestinesi il diritto al soddisfacimento di standard ottimali di salute fisica e mentale”.

Vaccini al posto di blocco

La salute dei palestinesi è profondamente intrecciata con l’occupazione israeliana. Il COGAT lo dimostra inconsapevolmente nei suoi tweet sui lavoratori palestinesi che ricevono le vaccinazioni ai posti di blocco militari, che chiama eufemisticamente “punti di passaggio“.

Qualsiasi vaccino che i palestinesi ricevano, sia da Israele che da qualunque altro organismo, dovrebbe passare attraverso i posti di blocco israeliani.

Israele ha rallentato il primo trasferimento di dosi di vaccino agli operatori sanitari a Gaza poiché alcuni parlamentari hanno cercato di condizionare la spedizione a concessioni politiche da parte di Hamas.

Lo ha fatto mentre trasferiva vaccini in altri Paesi in cambio del loro sostegno politico:

giovedì i palestinesi di Gaza hanno ricevuto 40.000 dosi del vaccino russo Sputnik V.

Secondo quanto riferito, le dosi costituivano una donazione da parte degli Emirati Arabi Uniti, assicurata da Muhammad Dahlan, l’ex capo dell’intelligence dell’Autorità Nazionale Palestinese diventato signore della guerra e rivale del leader dell’ANP Mahmoud Abbas all’interno della fazione di Fatah.

Dahlan ha condotto una breve e sanguinosa guerra civile a Gaza dopo la vittoria di Hamas nelle elezioni legislative palestinesi del 2006. Le sue forze sono state sconfitte e Dahlan ora vive in esilio nello Stato del Golfo ricco di petrolio.

Secondo la Reuters, Dahlan ha dichiarato che metà della spedizione di vaccini a Gaza sarebbe stata assegnata ai palestinesi in Cisgiordania.

I pochissimi vaccini che sono arrivati ​​in Cisgiordania non sono stati distribuiti equamente dall’Autorità Nazionale Palestinese che, secondo quanto riferito, li ha assegnati alle élite del partito di Fatah, agli organi di informazione allineati e ai loro familiari.

Resta da vedere se Israele consentirà il trasferimento delle dosi da Gaza alla Cisgiordania, o se il COGAT scoprirà in esso una utilità propagandistica.

E così i palestinesi che vivono sotto l’occupazione militare continueranno ad aspettare mentre la loro salute viene gestita da Israele, da Dahlan e dall’Autorità Nazionale Palestinese in termini di battaglia politica e mentre i Paesi terzi stanno a guardare senza far nulla.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Questo è nostro – e anche questo: la politica coloniale di Israele in Cisgiordania

Marzo 2021 B’Tselem

sommario del rapporto congiunto con Kerem Navot[associazione della società civile israeliana che dal 2012 analizza la politica territoriale di Israele in Cisgiordania, ndtr]

 

Lo Stato di Israele sta imponendo un regime di supremazia ebraica nell’intera zona fra il fiume Giordano ed il Mar Mediterraneo. Il fatto che la Cisgiordania non sia stata formalmente annessa non impedisce ad Israele di trattarla come se fosse un proprio territorio, soprattutto se pensiamo alle ingenti risorse investite nello sviluppo delle colonie e nella costruzione delle infrastrutture necessarie ai residenti. Questa politica ha permesso la creazione di più di 280 colonie e avamposti abitati da oltre 440.000 cittadini israeliani (esclusa Gerusalemme Est). Grazie a questa politica sono stati rubati, sia con mezzi ufficiali sia non ufficiali, oltre due milioni di dunam (200.000 ettari) di terre palestinesi; la Cisgiordania è attraversata in lungo e in largo da strade che collegano le colonie fra di loro e con il territorio sovrano di Israele, ad ovest della Linea Verde [il confine tra Israele e i territori occupati, ndtr.] e l’intera area è disseminata di zone industriali israeliane. Nel corso dei decenni tutto questo ha trasformato la geografia della Cisgiordania tanto da renderla irriconoscibile.

 Questo rapporto, che tratta dei meccanismi finanziari, legali e di pianificazione utilizzati dalle autorità israeliane da oltre cinquant’anni al fine di permettere la creazione, l’espansione e il mantenimento delle colonie, si concentra su due aspetti chiave. In primo luogo, gli sforzi intrapresi da diverse autorità statali per incoraggiare gli ebrei a trasferirsi nelle colonie e a sviluppare imprese economiche dentro e intorno ad esse. Lo Stato offre moltissimi benefici ed incentivi ai coloni e alle colonie tramite canali ufficiali ma anche non ufficiali – ampiamente esaminati nella relazione. I più significativi sono i sussidi per l’alloggio, che consentono di comprare case nelle colonie a quelle famiglie che non hanno capitali o fonti di reddito sufficienti. Questi sussidi spiegano in parte la rapida crescita della popolazione nelle grandi colonie ultra-ortodosse in Cisgiordania – Modi’in Illit and Beitar Illit. Oltre a ciò, agli abitanti di circa trenta colonie, alcune delle quali ricche, vengono offerte significative agevolazioni fiscali fino a 200.000 shekel, corrispondenti a circa € 50.600.

Alle zone industriali in Cisgiordania vengono offerti ulteriori benefici e incentivi, che comprendono imposte scontate sui terreni agricoli e sussidi per l’occupazione. Questi stimolano in modo significativo la crescita del numero di fabbriche in zona. Israele incoraggia inoltre gli ebrei a stabilire nuovi avamposti, che funzionano come aziende agricole e consentono l’acquisizione di pascoli e terreni agricoli palestinesi su vasta scala. Nel corso dell’ultimo decennio si sono create quaranta aziende agricole di questo tipo, che hanno di fatto incorporato decine di migliaia di dunam (un dunam equivale a 1000 mq).

 In secondo luogo, il rapporto analizza l’impatto territoriale dei due blocchi di colonie che attraversano la Cisgiordania. Un blocco, costruito a sud di Betlemme, si estende dagli agglomerati urbani di Beitar Illit and Efra ad ovest e gli insediamenti appartenenti al consiglio regionale di Gush Etzion, che circondano Betlemme ed i villaggi intorno, fino alla colonia di  Nokdim e dintorni ai margini del deserto della Giudea, ad est. L’altro blocco è situato nel centro della Cisgiordania e consiste delle colonie di Ariel, Rehelim, Eli, Ma’ale Levona, Shilo, nonchè degli avamposti costruiti intorno ad esse. Anche questo blocco attraversa la Cisgiordania, fino a raggiungere le colline che si affacciano sulla valle del Giordano.

Israele non risparmia alcuno sforzo per aumentare la popolazione di questi due blocchi e per estenderne l’impronta geografica. Ciò viene perseguito progettando nuove zone abitative, costruendo infrastrutture e preparando progetti e terreni per edifici e aree residenziali futuri. Nell’ultimo decennio queste iniziative hanno già portato ad una crescita demografica accelerata in entrambi i blocchi. Si prevede che la popolazione di Efrat raddoppierà o addirittura triplicherà nei prossimi decenni, che quella di Beitar Illit crescerà di 20.000 coloni e quella di Ariel di circa 8.000.

 L’impatto di questi due blocchi va ben oltre la superficie effettivamente coperta (che si estende su circa 20.000 dunam) ed il numero degli abitanti (un totale di circa 121.000 coloni). È la loro stessa esistenza a pregiudicare qualsiasi possibilità di sviluppo sostenibile per i palestinesi nella zona, oltre a colpire direttamente i mezzi di sostentamento e il futuro di decine di migliaia di palestinesi in numerose comunità

    Il blocco a sud di Betlemme si estende dalla Linea Verde ad ovest fino ai margini del deserto della Giudea ad est, quasi al confine municipale meridionale di Gerusalemme – incluse le parti della Cisgiordania annesse poche settimane dopo l’occupazione – e si estende a sud fino al campo profughi di al-‘Arrub. Le colonie ed avamposti di questo blocco interrompono lo spazio palestinese in quanto tagliano fuori la zona di Betlemme da quella di Gerusalemme a nord e da Hebron e dintorni a sud. Inoltre frammentano la stessa area di Betlemme, in quanto trasformano i villaggi in aree isolate, impediscono il futuro sviluppo della città e controllano la Route 60 – la maggiore arteria di traffico che attraversa la Cisgiordania da nord a sud e mette in collegamento Gerusalemme, Betlemme e la Cisgiordania meridionale.
  Il blocco centrale taglia in due la Cisgiordania da ovest ad est, interrompendo la contiguità di una serie di comunità palestinesi. Le colonie di Eli e Shilo con gli avamposti intorno ad esse sono state edificate in una delle aree più fertili e popolose della Cisgiordania, che sono state utilizzate da generazioni come aree rurali palestinesi, in cui gli abitanti affidavano alla coltivazione intensiva della terra il proprio sostentamento. I coloni di questa zona hanno gradualmente e accanitamente spogliato i palestinesi di migliaia di dunam di terreni fertili, privandoli così dei loro mezzi di sopravvivenza.

In seguito alla creazione di questi due blocchi di insediamenti, i palestinesi hanno perduto l’accesso a migliaia di dunam di terre fertili, sia direttamente (in aree dichiarate “terreno demaniale” o chiuse su ordine militare) oppure in conseguenza dell’effetto dissuasivo della violenza dei coloni che ha il sostegno dello Stato e impedisce a molti palestinesi di tentare di entrare nelle proprie terre. Intorno alle colonie di Tekoa and Nokdim, i palestinesi hanno perso l’accesso ad almeno 10.000 dunam, mentre nei dintorni di Shilo, Eli e avamposti connessi, gli è precluso l’accesso ad almeno 26.500 dunam.

Questo rapporto dovrebbe essere letto contestualmente al documento di sintesi pubblicato recentemente da B’Tselem, il quale afferma che il regime israeliano, impegnato a promuovere e perpetuare la supremazia ebraica nell’intera area fra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, è un regime di apartheid. La linea politica del regime volta alla ebreizzazione dell’area non è circoscritta ai due blocchi di insediamenti discussi in questo rapporto, ma viene implementata su tutto il territorio in base alla logica che la terra sia una risorsa che deve andare a beneficio primario della popolazione ebraica. Ne consegue che la terra viene usata per sviluppare ed ampliare le colonie ebraiche esistenti e costruirne di nuove, mentre i palestinesi vengono espropriati e rinchiusi in piccole affollate enclave. Questa politica della terra è praticata all’interno del territorio sovrano di Israele dal 1948, e dal 1967 si applica ai palestinesi nei territori occupati.

 

i coloni aggrediscono i raccoglitori di olive a huwarah, distretto di nablus. fotogramma da video. video: muhammad fawzi, 7 ottobre 2020.

 

Il rapporto è l’ennesima dimostrazione che, anche se il progetto dell’annessione de jure della Cisgiordania può esser stato accantonato, questo si rivela in pratica irrilevante. Le costruzioni e gli interventi infrastrutturali effettuati recentemente in Cisgiordania non raggiungevano da decenni una simile portata. Questo sviluppo su larga scala è inteso a facilitare un’ulteriore significativa impennata nel numero dei coloni residenti in Cisgiordania, che secondo le previsioni dei leader delle colonie arriverà in poco tempo a un milione.

 Questi massicci investimenti rafforzano ulteriormente la stretta di Israele sulla Cisgiordania a dimostrazione dei progetti a lungo termine del regime. Uno di questi consiste nel suggellare la posizione di milioni di palestinesi quali soggetti privi di diritti e di protezione, a cui è negata qualsiasi possibilità di decidere del proprio futuro e che vengono costretti a vivere in enclave separate, in declino, senza alcuna possibilità di sviluppo economico. Spogliati di sempre più terre, sono costretti a guardare mentre si costruiscono quartieri e infrastrutture per i cittadini ebrei. Sono passati due decenni dall’inizio del XXI secolo e Israele sembra più che mai deciso a proseguire nel mantenimento e rafforzamento nell’intera area di un regime di apartheid sotto il suo controllo per i prossimi decenni.

 

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)

 

 




‘Giudice, giuria e occupante’, un nuovo rapporto denuncia il sistema di apartheid dei tribunali militari israeliani

8 marzo 2021 – Middle East Monitor

Un nuovo rapporto di War on Want [Lotta contro la povertà, n.d.tr], l’organizzazione benefica britannica, ha ulteriormente evidenziato il sistema giudiziario dualistico e razzista facendo un’analisi dettagliata del sistema dei tribunali militari gestito dallo Stato sionista nella Cisgiordania occupata.

Sotto il titolo ‘Giudice, giuria e occupante’, l’ente benefico contro la povertà con sede a Londra, rivela come il sistema israeliano dei tribunali militari supporti l’occupazione illegale in Cisgiordania applicando alla popolazione palestinese leggi repressive, soffocando il dissenso, reprimendo la resistenza all’occupazione e rafforzando il suo dominio militare.

Il documento afferma che per i palestinesi nella Cisgiordania occupata ci sono due sistemi legali che operano in parallelo, spiegando che c’è una ” legge palestinese e una legge militare israeliana, quest’ultima codificata attraverso migliaia di ordinanze militari “.

“Le ordinanze militari israeliani sono emesse dall’esercito e hanno la prevalenza rispetto alle leggi palestinesi. Le ordinanze militari israeliane impongono l’illegale occupazione israeliana e non vanno a beneficio della società palestinese. Le ordinanze militari israeliane fungono da apparato di repressione, come documentato e denunciato da esperti di diritti umani palestinesi, israeliani e internazionali,” ha detto la scorsa settimana War on Want alla presentazione del suo rapporto.

”Giudice, giuria e occupante” smaschera il mito diffuso che con gli accordi di Oslo nel 1993 ai palestinesi sia stato concesso l’autogoverno. Svela come i palestinesi non abbiano mezzi per sfuggire al razzista sistema giudiziario militare israeliano, che ha creato una realtà “separata e iniqua”. Per esempio, gli occupanti israeliani arrestati in Cisgiordania sono giudicati da tribunali civili in Israele, mentre i palestinesi sono processati in tribunali militari.

Tale trattamento così discriminatorio fra le due popolazioni è recentemente stato bollato da B’Tselem come apartheid in un documento storico. Secondo il gruppo israeliano per i diritti umani, lo Stato sionista è colpevole di “far avanzare e perpetuare la supremazia di un gruppo – gli ebrei – su un altro – i palestinesi.”

Israele considera i palestinesi una minaccia alla sicurezza fin dalla culla, afferma il rapporto. Dal 1967, per esempio, Israele ha dichiarato illegali più di 411 organizzazioni palestinesi, inclusi tutti i principali partiti politici. I civili palestinesi sono stati perseguiti per “appartenenza e attività in un’associazione illegale”, uno strumento chiave per la repressione israeliana dell’attivismo contro l’occupazione.

Considerare i palestinesi come una minaccia alla sicurezza fin dalla nascita delegittima ogni opposizione all’occupazione illegale e giustifica la criminalizzazione di ogni sua forma. Secondo il rapporto “la rete complessa di leggi militari imposte sulla popolazione della Palestina occupata è concepita per ridurre fisicamente lo spazio dove vivono i palestinesi, per creare traumi psicologici e minare la loro possibilità di agire collettivamente come popolo.”

Questo rapporto esamina il funzionamento dei tribunali militari israeliani così come le istituzioni a loro connesse, le prigioni e i centri di detenzione in Cisgiordania e in Israele, dove sono detenuti i palestinesi in attesa di giudizio e che scontano le loro sentenze. Riguarda anche specificamente il modo in cui questo sistema di tribunali e prigioni mantenga ed estenda l’occupazione illegale israeliana in Cisgiordania e l’impatto sulle vite dei palestinesi nella loro patria storica.

Esortando le persone a unirsi alla lotta di War on Want contro “colonialismo, occupazione e apartheid” il rapporto rivela come il sistema militare israeliano abbia un impatto di vasta portata e profondamente discriminatorio sui palestinesi.

Dal 1967, quando è cominciata l’occupazione, oltre 800.000 civili palestinesi sarebbero passati dai tribunali militari israeliani. Questo sistema e la profonda ingiustizia che impone sui palestinesi devono finire, afferma War on Want.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Rapporto OCHA del periodo 16 febbraio – 1 marzo 2021

In Cisgiordania sono stati feriti diciassette palestinesi e cinque agenti della polizia di frontiera israeliana

[seguono dettagli]. Tra i palestinesi, un sedicenne è stato colpito dalle forze israeliane con proiettili veri; secondo quanto riferito, il ragazzo camminava vicino alla Barriera, nel villaggio di Saffa (Ramallah). Altri sette palestinesi sono rimasti feriti durante proteste: contro la realizzazione di un insediamento colonico avamposto [cioè, non autorizzato dal Governo israeliano] su terra del villaggio di Beit Dajan (Nablus) e contro l’espansione colonica a Kafr Qaddum (Qalqiliya). Due palestinesi sono rimasti feriti negli scontri scoppiati durante due operazioni di ricerca-arresto condotte nel Campo profughi di Ad Duheisha (Betlemme) e nel villaggio di Abu Shukheidim (Ramallah). Cinque agenti della polizia di frontiera israeliana sono rimasti feriti da pietre nel corso di un loro intervento ad Al ‘Isawiya (Gerusalemme Est). Ad Huwwara (Nablus) e An Nuwei’ma (Gerico), tre palestinesi, tra cui un anziano e un minore, sono stati aggrediti fisicamente dalle forze israeliane. Nel complesso, quattro dei feriti sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno, quattro sono stati colpiti da proiettili di gomma, tre sono stati aggrediti fisicamente e due sono stati colpiti con proiettili veri. I restanti quattro sono rimasti feriti vicino al villaggio di Ein Yabrud (Ramallah): la loro auto si è schiantata nel corso di un inseguimento ad opera di una jeep militare israeliana.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 184 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 158 palestinesi. Il governatorato di Gerusalemme ha registrato il maggior numero di operazioni (60), per la maggior parte in Gerusalemme Est.

In Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana o al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento in almeno 29 occasioni, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]. In altre due occasioni, sempre vicino alla recinzione, le forze israeliane [sono entrate nella Striscia ed] hanno svolto operazioni di spianatura del terreno. In un episodio separato, a est di Gaza City, due palestinesi sono rimasti feriti dall’esplosione di un residuato bellico che stavano maneggiando.

Citando la mancanza di permessi edilizi sono state demolite o sequestrate 35 strutture di proprietà palestinese, sfollando 98 persone, di cui 53 minori, e creando ripercussioni su circa 60 [seguono dettagli]. Il 22 febbraio, a Humsa – Al Bqai’a, le autorità israeliane hanno confiscato altre 18 strutture (sia residenziali che per animali) la maggior parte delle quali erano state fornite come risposta umanitaria a precedenti demolizioni e confische; dieci famiglie, comprendenti oltre 60 persone, di cui 36 minori, sono state nuovamente sfollate. Sempre in Area C, ad Al Khadr (Betlemme), una famiglia di sette persone è stata sfollata per la demolizione della loro casa, mentre a Hijra (Hebron) il sostentamento di quattro famiglie è stato compromesso dallo smantellamento delle loro bancarelle per la vendita di ortaggi. Ad Al ‘Isawiya e Ras al’ Amud (Gerusalemme Est), vent’otto persone sono state sfollate a causa della demolizione di tre case da parte delle autorità israeliane (o demolite dagli stessi proprietari, in ottemperanza agli ordini delle autorità).

Coloni israeliani noti, o ritenuti tali, hanno ferito un ragazzo palestinese di 17 anni ed hanno danneggiato proprietà palestinesi, compresi veicoli e alberi. Il ragazzo è stato colpito da pietre e ferito a Sheikh Jarrah (Gerusalemme Est), secondo quanto riferito, da israeliani riunitisi per le celebrazioni [della festività] di Purim. Nello stesso contesto, diverse auto palestinesi che viaggiavano vicino alla Città Vecchia di Gerusalemme e vicino all’insediamento di Yitzhar (Nablus), sono state colpite da pietre e danneggiate. Sempre durante le celebrazioni di Purim, coloni israeliani hanno cercato di fare irruzione in case palestinesi nella Città Vecchia di Hebron. A Ramallah, in tre diversi episodi, sono stati vandalizzate diverse auto palestinesi parcheggiate vicino all’insediamento colonico di Shilo, e due camion a Ein Samiya e Kafr Malik. Fonti palestinesi riferiscono altri quattro episodi, avvenuti in Nablus ed attribuiti a coloni: ad Asira al Qibliya alcune case sono state colpite da pietre ed è stato danneggiato un serbatoio d’acqua; a Burin sono state vandalizzate recinzioni di terreno agricolo; a Jalud sono state rubate sette pecore; a Beit Dajan e Qaryut sono stati sradicati alberelli di olivo. A Ein al Hilwe (Tubas), un pastore ha riferito che un veicolo, presumibilmente guidato da coloni, ha ucciso cinque delle sue pecore. Palestinesi hanno riferito alcuni episodi: ad Al Baqa’a (Hebron), coloni israeliani hanno cercato di impossessarsi di terra palestinese, hanno attaccato pastori a Kisan e un negoziante a Husan (entrambi villaggi di Betlemme), rubando del denaro.

Nella Città Vecchia di Hebron, autori ritenuti palestinesi hanno ferito un ragazzo israeliano di 15 anni. Secondo fonti israeliane, diciotto veicoli israeliani che viaggiavano sulle strade della Cisgiordania sono stati colpiti da pietre e danneggiati.

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L’apartheid vaccinale di Israele

Amira Hass

 

1 marzo 2021 – Haaretz

I ceppi del COVID non terranno in considerazione le bugie di Israele secondo cui esso “non è responsabile” della salute dei palestinesi.

La domanda scomoda ogni giorno è: “Sei stata vaccinata?” La risposta imbarazzata è “sì.” A chiedere sono vicini e amici palestinesi, conoscenti e intervistati, residenti in Cisgiordania (esclusa Gerusalemme Est) e nella Striscia di Gaza. Non lo fanno con l’intenzione di mettermi in imbarazzo, né tanto meno di farmi vergognare. Esprimono un interesse umano e amichevole. Di solito alla mia risposta replicano: “É fantastico.” Il disagio e l’imbarazzo derivano dal fatto che noi, cittadini di Israele, veniamo vaccinati e loro no. 

Anche se possiamo vantarci di essere primi al mondo per la vaccinazione di cittadini e residenti, resta il fatto che Israele ha escluso dalla vaccinazione circa 4,5 milioni di palestinesi, sebbene essi vivano tutti sotto il suo controllo. Il governo continua a dichiarare di non essere responsabile della loro salute. Allora va ricordato: ciascuno di quei 4,5 milioni è iscritto nel registro della popolazione palestinese controllata da Israele.

 

Che cosa si intende per controllo? È Israele a decidere chi è nel registro. Se il certificato di nascita di qualche neonato palestinese non viene convalidato da Israele, quel neonato non viene registrato. Non è sufficiente la certificazione del Ministero degli Interni palestinese per fare avere la carta di identità ad una sedicenne di Gaza, Hebron o Barta’a. Ci vuole il consenso di Israele. I funzionari del Ministero degli Interni israeliano che lavorano per l’Amministrazione Civile devono confermare i dettagli della carta di identità, che altrimenti viene considerata “contraffatta.”

 

Per favore, ditemi quale altro Paese del mondo sia “non responsabile” della salute di quelle stesse persone che ha l’autorità di riconoscere come “esistenti” oppure no.

E questo si aggiunge alle altre questioni relative ai palestinesi su cui è Israele a decidere: la quantità di acqua che consumano, le restrizioni al loro diritto di muoversi, l’entità del loro sviluppo economico, le università palestinesi in cui hanno diritto a studiare, l’estensione della terra che possono coltivare.

 

L’elenco dei settori in cui si esplica il dominio di Israele sui palestinesi “che non possono beneficiare dei nostri vaccini” è più lungo di quanto non si possa illustrare esaurientemente in questo articolo.

Eppure, come prevedibile, la vaccinazione dell’apartheid non fa scalpore in Israele. Le considerazioni morali per noi non valgono.

 

Vi siete imbattuti in qualche appello di docenti di filosofia di università israeliane che chiedano al Primo Ministro Benjamin Netanyahu di vaccinare senza alcuna discriminazione l’intera popolazione che risiede in questo Paese fra il Mare Mediterraneo e il fiume Giordano? Avete sentito dei rabbini in Israele chiedere al governo, in nome della loro autorità spirituale, di fare in modo che l’efficace campagna di vaccinazione non trascuri nessuno?

Queste sono domande retoriche. Grazie a gruppi per i diritti umani, si è aperta un’unica crepa in quell’insensibilità: vaccineremo i palestinesi che lavorano in Israele. 

 

Per noi le considerazioni legali valgono solo se sono a nostro vantaggio, e a patto che l’unica interpretazione legale sia Ginevra-à-la-carte. [Geneva-Shmeneva nel testo di Hass – l’aggiunta del prefisso “shm” in yiddish trasforma il termine in modo da sminuirlo e/o ridicolizzarlo, ndtr]. Vale a dire che Israele non è una potenza occupante e che quindi non è vincolato dalle Convenzioni di Ginevra per quanto concerne i suoi obblighi di potenza occupante.

Anche se le organizzazioni internazionali hanno decretato l’opposto.  Quando ci viene bene, decidiamo che gli Accordi di Oslo sono vincolanti: per esempio, la clausola che l’Autorità Nazionale Palestinese è responsabile della salute degli abitanti.

Ma se ci conviene, storciamo il naso davanti al fatto che gli Accordi di Oslo avrebbero dovuti essere validi solo per cinque anni, e davanti alla clausola che vieta alle parti di stabilire fatti sul terreno in modo tale da avere un impatto sulla fase permanente.

 

L’utilitarismo sanitario ormai è l’unica cosa che sta a cuore all’ebreo medio in Israele, come dimostra la tardiva consapevolezza che i lavoratori palestinesi devono essere vaccinati. La scorsa settimana ONE – movimento internazionale di lotta alla povertà – ha affrontato il problema dell’iniqua distribuzione mondiale dei vaccini, con le Nazioni ricche che si accaparrano circa un miliardo di dosi in più del necessario, mentre quelli poveri non sono in grado di acquistarli.

“Ogni nuova infezione rappresenta una possibilità di mutazione” ha rammentato ONE nella sua dichiarazione. “Ci sono già oltre 4.000 varianti di Covid-19 e alcune varianti – come quelle sud-africana e inglese – si stanno dimostrando più contagiose di altre.

Ogni nuovo ceppo del virus presenta un aumento del rischio che la malattia evolva al punto da rendere inefficaci gli attuali vaccini, strumenti diagnostici e trattamenti. I leader delle Nazioni ricche non renderanno alcun servizio né ai loro cittadini né al resto del mondo accumulando vaccini.”

Se questo vale per gli USA e la Francia nei confronti di Messico e Marocco, vale sicuramente anche per Israele e i palestinesi.

 

Non sono soltanto i palestinesi che lavorano in Israele o nelle colonie a vivere gomito a gomito con la società israeliana. I palestinesi che vengono nei centri commerciali in Cisgiordania e i coloni che frequentano attività commerciali palestinesi nell’Area C [sotto il totale controllo israeliano, ndtr], quali negozi di alimentari, officine meccaniche, chioschi di falafel; i soldati che fanno irruzione tutte le sere nelle case dei palestinesi, li arrestano, li picchiano e li ammanettano, si avvicinano alle loro facce per urlare contro di loro; gli agenti del Servizio di Sicurezza Shin Bet che respirano la stessa aria viziata delle persone che torturano per poi tornare a casa e passare del tempo nel parco vicino con i figli; i palestinesi di Gerusalemme hanno parenti e amici in Cisgiordania, nonché soci e imprese dove si incontrano; i commercianti palestinesi si vedono con quelli israeliani; i palestinesi con cittadinanza israeliana non hanno smesso di andare a trovare i fratelli e le sorelle in Cisgiordania.

 

Non esiste una separazione ermetica fra le due popolazioni, né può esistere.

Le subdole mutazioni del virus non tengono in considerazione le bugie di Israele secondo cui esso “non è responsabile” della salute dei palestinesi.

   

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)

 




I palestinesi condannano la mossa di Israele di inviare vaccini all’estero

Linah Alsaafin

25 febbraio 2021 – Al Jazeera

Il ministro degli esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese denuncia l’invio di vaccini da parte di Israele agli alleati stranieri come “ricatto politico”.

L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha condannato in quanto “iniziativa immorale” l’impegno da parte di Israele di inviare vaccini contro il coronavirus a Paesi lontani ignorando i cinque milioni di palestinesi che vivono a pochi chilometri di distanza sotto la sua occupazione militare.

Giovedì l’Honduras ha ricevuto da Israele la prima spedizione di vaccini contro il COVID-19, dopo che i media israeliani avevano riferito all’inizio di questa settimana l’intenzione del governo di inviare vaccini al Paese centroamericano, oltre che a Guatemala, Ungheria e Repubblica Ceca.

Il Guatemala ha seguito la discutibile decisione degli Stati Uniti di trasferire lo scorso anno la propria ambasciata a Gerusalemme, mentre l’Honduras ha promesso di fare lo stesso.

L’Ungheria ha aperto a Gerusalemme un ufficio per le missioni commerciali e anche la Repubblica Ceca si è impegnata ad aprire uffici diplomatici in quella città.

Il ministro degli Affari Esteri dell’ANP, Riyad al-Malki, ha detto che la decisione di Israele di fornire vaccini ad alcuni Paesi in cambio di concessioni politiche è una forma di “ricatto politico e un’iniziativa immorale”.

Giovedì in un’intervista all’emittente radio Voice of Palestine [stazione radio con sede a Ramallah, filiale della Palestinian Broadcasting Corporation sotto il controllo dell’ANP, ndtr.] al-Malki ha detto che la decisione “conferma l’assenza di principi morali e di valori” da parte di Israele.

Condurremo una campagna internazionale per combattere un tale sfruttamento dei bisogni umanitari di questi Paesi”, ha affermato.

I casi di coronavirus nella Gerusalemme Est occupata, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza sono arrivati a più di 203.000. Almeno 2.261 persone sono morte a causa del virus e mercoledì la ministra della Salute dell’Autorità Nazionale Palestinese Mai al-Kaila ha affermato che il numero di casi di coronavirus è in forte aumento.

“Il numero di test positivi ha superato il 20% nella Cisgiordania occupata e il 9% nella Striscia di Gaza”, ha detto a una stazione radio locale.

Al-Kaila ha aggiunto che il tasso di ospedalizzazione nella Cisgiordania occupata è dell’80%, il più alto dall’inizio della pandemia.

Il potere persuasivo del vaccino

Yara Asi, una ricercatrice presso l’Università della Florida centrale, esperta di salute e sviluppo negli Stati colpiti da conflitti, ha denunciato il potere persuasivo del vaccino israeliano.

L’uso della promessa del farmaco salvavita per fare pressione sui Paesi in via di sviluppo perché spostino ambasciate o prendano altre complesse decisioni politiche è cinismo politico ad altissimo livello“, ha detto ad Al Jazeera.

“Queste operazioni consentono inoltre a Israele di fornire alcuni vaccini ai palestinesi sotto l’egida della ‘generosità‘, offuscando ulteriormente i loro doveri legali in qualità di potenza occupante e trattando la Palestina come se fosse solo un altro Paese povero che ha bisogno di aiuto, e non un territorio in cui Israele esercita un controllo economico e politico quasi totale”.

In base alla Quarta Convenzione di Ginevra Israele, in quanto potenza occupante, deve garantire “l’adozione e l’applicazione delle misure di profilassi e prevenzione necessarie per combattere la diffusione di malattie contagiose ed epidemie”.

Funzionari delle Nazioni Unite e organizzazioni a favore dei diritti umani hanno affermato che Israele è una potenza occupante responsabile del benessere dei palestinesi. Israele ha sostenuto di non avere tali obblighi sulla base degli accordi di pace ad interim degli anni ’90.

[Israele] in poco meno di due mesi ha già fornito dosi di vaccino a più della metà dei suoi 9,3 milioni di abitanti, divenendo leader mondiale nella campagna di vaccinazione delle popolazioni. Tuttavia, nonostante abbia annunciato il mese scorso che avrebbe consegnato 5.000 dosi di vaccino all’Autorità Nazionale Palestinese, finora ne sono state ricevute solo 2.000.

Inoltre, dopo che in un primo tempo Israele ha bloccato una spedizione del vaccino russo destinato alla Striscia di Gaza, l’enclave costiera sotto assedio ha ricevuto la scorsa settimana 1.000 vaccini Sputnik a doppia somministrazione.

[Gaza] ha ricevuto separatamente dagli Emirati Arabi Uniti 22.000 vaccini Sputnik, ma gli operatori sanitari di Gaza hanno affermato di aver bisogno di 2,6 milioni di dosi per vaccinare tutte le persone di età superiore ai 16 anni.

“La selezione da parte di Israele dei Paesi da aiutare se vi vede un vantaggio politico è qualcosa di completamente diverso”, dice Asi.

“Fare ciò mentre i palestinesi anziani e ad alto rischio che vivono letteralmente a qualche chilometro di distanza aspettano i vaccini che per la maggior parte dei palestinesi non arriveranno nè nell’arco dei prossimi mesi nè addirittura nel 2021 rappresenta un disprezzo palese per i cinque milioni di persone che vivono sotto l’occupazione israeliana da più di 50 anni.”

Il senatore americano Bernie Sanders ha condannato l’iniziativa di Israele di inviare vaccini ad altri Paesi politicamente allineati prima di distribuirli ai palestinesi.

“In quanto potenza occupante Israele è responsabile della salute di tutte le persone sotto il suo controllo”, ha twittato mercoledì Sanders. “È vergognoso che [il primo ministro israeliano] Netanyahu utilizzi vaccini di scorta per ricompensare i suoi alleati stranieri mentre tanti palestinesi nei territori occupati stanno ancora aspettando.

“Non politicamente vantaggioso”

Sono state sollevate obiezioni anche all’interno del governo israeliano, ma le questioni sono incentrate sugli aspetti tecnici piuttosto che sull’obbligo di dare la priorità alla vaccinazione dei palestinesi sotto l’occupazione israeliana.

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, il ministro della Difesa Benny Gantz avrebbe chiesto al primo ministro Benjamin Netanyahu di interrompere immediatamente il processo di invio di vaccini contro il coronavirus in Paesi stranieri e di consultare il consiglio di sicurezza prima di prendere tali decisioni.

“I vaccini sono di proprietà dello Stato di Israele e quando hai sostenuto che ‘sono state raccolte dosi di vaccino inutilizzate’, mentre la maggior parte della popolazione di Israele non è stata ancora vaccinata con la seconda dose, hai detto il falso”, ha sostenuto Gantz in una lettera a Netanyahu, al consigliere per la sicurezza nazionale e al procuratore generale.

Netanyahu, che il 23 marzo è in lizza per la rielezione, ha messo in gioco il suo successo politico sulla riuscita della campagna di vaccinazione in Israele.

Asi sottolinea che il programma COVAX sostenuto dalle Nazioni Unite – progettato per fornire i vaccini ai Paesi più poveri contemporaneamente ai Paesi ricchi – è fondamentale per porre fine a questa pandemia, ma agisce su un piano di “equità e di non discriminazione”.

“In sostanza il messaggio è che fornire vaccini ai palestinesi non è politicamente abbastanza vantaggioso da costituire una priorità“, spiega.

“E Netanyahu ha scommesso sul fatto che, a solo un mese di distanza da difficili elezioni, vale la pena resistere alla condanna internazionale che Israele sta ricevendo per aver ignorato i palestinesi a vantaggio dei propri interessi politici”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Rapporto OCHA del periodo 2 – 15 febbraio 2021

Il 5 febbraio, vicino al villaggio di Ras Karkar (Ramallah, nei pressi di un insediamento colonico avamposto [cioè, non autorizzato dal Governo israeliano] di nuova costruzione, un colono israeliano ha sparato, uccidendo un palestinese 34enne che, secondo fonti militari israeliane, aveva cercato di entrare in una casa dell’avamposto. Successivi scontri a Ras Karkar, villaggio di provenienza dell’uomo, hanno provocato il ferimento di un palestinese e di un soldato israeliano. A Nuba (Hebron), un altro palestinese 25enne è rimasto ucciso dall’esplosione di un ordigno rinvenuto nei pressi della sua casa.

In vari scontri avvenuti in Cisgiordania, sono rimasti feriti settantuno palestinesi e quattro soldati israeliani [seguono dettagli]. Trenta dei palestinesi feriti sono stati curati per aver inalato gas lacrimogeno durante una protesta svolta il 12 febbraio ad Humsa – Al Bqai’a, contro demolizioni e confische. Altri ventisette palestinesi sono rimasti feriti durante proteste: contro la realizzazione di tre insediamenti colonici avamposti su terra palestinese in Kafr Malik, Deir Jarir, Ras at Tin, Al Mughayyir (in Ramallah); contro la realizzazione di un altro [insediamento avamposto] su terreni palestinesi in Beit Dajan (Nablus); contro l’espansione degli insediamenti colonici a Kafr Qaddum (Qalqiliya). Sette palestinesi sono rimasti feriti negli scontri scoppiati durante operazioni di ricerca-arresto condotte nei Campi profughi di Ad Duheisha (Betlemme) e di Jenin, e nel villaggio di Jaba (sempre a Jenin). Altri tre sono rimasti feriti nell’area di Jenin mentre, a quanto riferito, tentavano di entrare in Israele attraverso varchi nella Barriera. Due [palestinesi] sono rimasti feriti ad Al Lubban ash Sharqiya (Nablus), in seguito all’intervento delle forze israeliane richiamate da scontri tra palestinesi e coloni; altri due, vicino al villaggio di Silwad (Ramallah), in circostanze non ancora chiare. Cinquantuno dei feriti sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, dieci sono stati colpiti da proiettili di gomma, sei sono stati colpiti da proiettili di armi da fuoco ed i restanti sono stati aggrediti fisicamente o colpiti da bombolette lacrimogene. Quattro soldati israeliani sono rimasti feriti a Beituniya (Ramallah), durante un’operazione di ricerca-arresto.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 186 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 172 palestinesi. I governatorati di Gerusalemme, Ramallah ed Hebron sono stati i più coinvolti (in media 28 operazioni ciascuno). In uno degli episodi, accaduto a Hebron, forze israeliane hanno fatto irruzione nel municipio arrestando i dipendenti al lavoro per il turno di notte; sarebbero stati rotti mobili e porte.

A Gaza, vicino alla recinzione israeliana del suo perimetro o in mare, al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento in almeno 28 occasioni, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]. In altre tre occasioni, sempre vicino alla recinzione, le forze israeliane hanno svolto operazioni di spianatura del terreno.

Dopo una chiusura di oltre due mesi, il 1° febbraio, il valico egiziano di Rafah, al confine con Gaza, è stato aperto per quattro giorni consecutivi, in entrambe le direzioni. Il 9 febbraio, le autorità egiziane hanno annunciato che il valico rimarrà aperto in entrambe le direzioni, a tempo indeterminato. Dall’inizio di febbraio sono state registrate 6.373 uscite [da Gaza] e 3.520 ingressi.

Citando la mancanza di permessi di costruzione, sono state demolite o sequestrate 89 strutture di proprietà palestinese, sfollando 146 persone, di cui 83 minori, e creando ripercussioni su almeno 330 [seguono dettagli]. Il 3 e l’8 febbraio, nella Comunità Humsa – Al Bqai’a nella Valle del Giordano, le autorità israeliane hanno demolito 37 strutture, la maggior parte delle quali erano state donate. In ciascuno dei due episodi sono state sfollate sessanta persone, inclusi 35 minori. Questa Comunità, dislocata prevalentemente in un’area destinata all’addestramento militare israeliano, negli ultimi mesi ha subito molteplici demolizioni di massa. Una dichiarazione delle Nazioni Unite, rilasciata il 5 febbraio, ha denunciato che la pressione esercitata sulla Comunità per indurla ad abbandonare il luogo, costituisce un reale rischio di trasferimento forzato. A sud di Hebron, nelle Comunità di Ar Rakeez, Umm al Kheir e Khirbet at Tawamin, sono state sequestrate sette strutture, comprese latrine mobili, compromettendo le condizioni di vita e il sostentamento di 80 persone. Inoltre, ad Al Jalama (Jenin), i mezzi di sussistenza di circa 70 persone sono stati colpiti dalla demolizione di 13 bancarelle adibite alla vendita di bevande. A Gerusalemme Est, sono state demolite sette strutture, di cui quattro ad opera degli stessi proprietari per evitare costi aggiuntivi; una famiglia di quattro persone è stata sfollata.

Inoltre, nel villaggio di Tura al Gharbiya (Jenin), le autorità israeliane hanno demolito, a scopo punitivo, una casa, sfollando 11 persone, tra cui quattro minori. La casa apparteneva alla famiglia di un palestinese accusato di aver ucciso, a dicembre [2020], una donna israeliana. L’anno scorso, con le stesse motivazioni, sono state demolite sette strutture.

Secondo il Ministero dell’Agricoltura palestinese, le autorità israeliane hanno sradicato 1.000 alberelli vicino alla città di Tubas. Erano stati piantati in risposta allo sradicamento di migliaia di alberi, avvenuto il mese scorso nella stessa area, sulla base del fatto che la terra è stata dichiarata [da Israele] “Terra di Stato”.

Coloni israeliani, o persone ritenute tali, hanno ferito quattro palestinesi, compreso un minore, ed hanno danneggiato proprietà palestinesi, compresi alberi [seguono dettagli]. Tre palestinesi sono stati aggrediti fisicamente nel villaggio di Al Lubban ash Sharqiya (Nablus), in due separati scontri con coloni israeliani, mentre un 13enne è stato aggredito fisicamente nell’area di Hebron controllata da Israele (H2). Nel villaggio di Susiya (Hebron), un volontario straniero è stato colpito con pietre e ferito e, nel villaggio di As Samu, altri volontari stranieri e locali sono stati attaccati e derubati da persone ritenute coloni. Secondo fonti palestinesi, oltre 130 ulivi e alberelli sono stati sradicati o abbattuti nelle comunità di Khirbet Sarra (Nablus), Bruqin e Kafr ad Dik (Salfit), in At Tuwani e Bir al ‘Idd (Hebron) e in Al Janiya (Ramallah). A Bruqin sono stati rubati circa 180 pali da recinzione. Inoltre, a Beit Dajan è stata danneggiata una struttura agricola e a Qusra (entrambi a Nablus) è stato dato alle fiamme un veicolo. Un altro veicolo che transitava vicino all’insediamento di Bet El (Ramallah) è stato colpito con pietre e danneggiato. A Qawawis, un pastore ha riferito della morte di sette sue pecore a causa di una sostanza velenosa che egli ritiene sia stata spruzzata da coloni del vicino insediamento di Mitzpe Yair, i quali, egli dice, lo hanno ripetutamente attaccato mentre pascolava le sue pecore. In un altro episodio avvenuto nella zona di Ein ar Rashrash (Ramallah), un pastore ha riferito che un veicolo, verosimilmente guidato da coloni, aveva investito ed ucciso due delle sue pecore. Secondo quanto riferito, a Gerusalemme Est, autori ritenuti coloni israeliani avrebbero danneggiato una telecamera di sorveglianza e una serratura nella chiesa ortodossa rumena.

Secondo fonti israeliane, due israeliani, una ragazza di 14 anni e una donna, in viaggio sulle strade della Cisgiordania, sono stati feriti da autori ritenuti palestinesi. A quanto riferito, trenta veicoli israeliani sono stati danneggiati, prevalentemente colpiti da pietre.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 16 febbraio, nella Comunità beduina di Humsa – Al Bqai’a, nella valle del Giordano settentrionale, le forze israeliane hanno confiscato cinque tende di sostentamento finanziate da donatori [correlato ad altri eventi descritti nel 6° paragrafo di questo Rapporto].