Perché bisogna leggere Lobbing for Zionism on Both Sides of the Atlantic (Lobbing a favore del sionismo su entrambe le sponde dell’Atlantico), il nuovo libro di Ilan Pappe sulla lobby israeliana

Antony Blinken al congresso della lobby americana AIPAC nel giugno 2023. Foto: Chip Somodevilla /AFP
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Peter Oborne

24 giugno 2024, MiddleEastEye

Nessuno è più qualificato a sfidare l’ortodossia ufficiale che soffoca qualsiasi discussione sull’argomento

Non è stata ancora pubblicata una recensione del nuovo, eccellente e appassionato libro del professor Ilan Pappe sulla lobby sionista. Questo silenzio non è una sorpresa. Anche un breve cenno sulla lobby rischia di scatenare accuse di antisemitismo e può distruggere una carriera.

Il mese scorso Faiza Shaheen è stata scaricata senza una parola come candidata laburista per i seggi londinesi di Chingford e Woodford Green. “Qualcuno si è lamentato per il suo like ad un tweet che si riferiva alla ‘lobby israeliana’ – ampiamente considerato uno stereotipo antisemita”, ha riferito Rachel Cunliffe, redattrice politica associata del New Statesman [rivista politica e culturale progressista britannica, ndt.]

In un’ormai famigerata apparizione a Newsnight [programma della BBC di notizie nazionali e internazionali, ndt.] in seguito alla sua defenestrazione, Shaheen in lacrime si è scusata per aver messo un like al tweet e ha ammesso che si trattasse di uno stereotipo.

Non aveva altra scelta. La Commissione per l’Uguaglianza e i Diritti Umani (EHRC) [ente pubblico britannico responsabile dell’applicazione delle leggi sull’uguaglianza e sulla non discriminazione, ndt.], l’ente regolatore statutario, concorda. Nel 2020 ha citato l’affermazione secondo cui dietro le denunce di antisemitismo ci fosse la “lobby israeliana” come prova di illegale persecuzione antisemita.

Pappe è entrato in un territorio pericoloso. Pochi sono più qualificati di lui a sfidare l’ortodossia ufficiale secondo cui è vietato discutere della lobby israeliana. Nessuno è più agguerrito nella battaglia.

Forse il più eminente dei “nuovi storici” che hanno raccontato la storia della fondazione di Israele, Pappe è stato denunciato alla Knesset dopo la pubblicazione nel 2006 del suo controverso libro La pulizia etnica della Palestina [ed. ital. Fazi 2008]. Il ministro israeliano dell’Istruzione ha invitato l’Università di Haifa a licenziarlo, e uno dei più diffusi giornali israeliani lo ha raffigurato al centro di un bersaglio accanto a cui un editorialista aveva scritto: “Non sto dicendo di uccidere questa persona, ma non mi sorprenderei se qualcuno lo facesse”.

Dopo una serie di minacce di morte, Pappe lasciò Israele e fu fortunato a trovare rifugio all’Università di Exeter. 

Colpire politici e giornalisti

Il famoso editore francese Fayard ha recentemente interrotto la distribuzione di La pulizia etnica della Palestina. Al suo arrivo negli Stati Uniti il mese scorso Pappe, che resta cittadino israeliano, è stato interrogato per due ore dagli agenti federali. Alla fine è stato fatto entrare, ma solo dopo che il contenuto del suo telefono era stato copiato. Questo genere di molestia, ha notato in seguito Pappe, non è nulla in confronto a ciò che i palestinesi affrontano quotidianamente.

Ha scritto un libro che deve essere letto e riletto da chiunque voglia comprendere il contesto internazionale della guerra a Gaza. Il libro descrive come la lobby israeliana abbia preso di mira sia politici che giornalisti.

Due politici britannici hanno perso il posto agli uffici esteri a causa delle pressioni della lobby per le loro simpatie filo-palestinesi: Alan Duncan nel 2016 e Christopher Mayhew nel 1964. Anche George Brown, ex ministro degli Esteri laburista, fu preso di mira negli anni ’60.

La lobby ha perseguitato giornalisti come Jeremy Bowen, costretto a sopportare una lunga indagine della BBC; l’ex corrispondente del Guardian da Gerusalemme Suzanne Goldenberg; l’ex redattore del Guardian Alan Rusbridger e il giornalista televisivo Jonathan Dimbleby. Il governo israeliano si è ripetutamente lamentato con la BBC che la corrispondente estera Orla Guerin fosse “antisemita” e mostrasse di “identificarsi totalmente con gli obiettivi e i metodi dei gruppi terroristici palestinesi”, addirittura collegando i suoi servizi dal Medio Oriente all’aumento dell’antisemitismo in Gran Bretagna – accuse tanto grottesche quanto false.

Altri nomi sono presenti in questa lunga lista.

Negli Stati Uniti è William Fulbright, il più longevo presidente della Commissione per le Relazioni Estere del Senato, il primo e più sconvolgente esempio. La tremenda storia della sua rovina nel 1974 è ben raccontata nel libro: “I soldi della lobby israeliana furono versati nelle casse elettorali del suo rivale, il governatore dell’Arkansas Dale Bumpers… Fino ad oggi la strada verso il Campidoglio è disseminata di candidati, appartenenti all’élite della politica americana, le cui carriere sono state analogamente stroncate”, scrive Pappe.

Il crimine di Fulbright è stato quello di sostenere che “invece di riarmare Israele, potremmo avere subito la pace in Medio Oriente se solo dicessimo a Tel Aviv di ritirarsi dietro i confini del 1967 e garantirli”.

“Niente li può toccare”

Questo spietato trattamento contro singole persone distingue la lobby filo-israeliana da altre lobby sia straniere che corporative. Michael Mates, ex membro del Comitato parlamentare per l’Intelligence e la Sicurezza, una volta mi disse (in una citazione ripresa nel libro di Pappe) che “nel nostro corpo politico la lobby filo-israeliana è la lobby politica più potente. Non c’è niente che li possa toccare”.

Pappe va molto indietro nella storia per tratteggiare le origini della mobilitazione per il ritorno del popolo ebraico in Palestina. La storia inizia due secoli fa con i cristiani evangelici, il che potrebbe spiegare l’utilizzo da parte di Pappe del termine “lobby sionista” piuttosto che del termine standard “lobby filo-israeliana”.

Tanto nel lontano passato come oggi questo tipo di sostegno a Israele è mosso dall’antisemitismo. Nel 1840 lo studioso delle religioni George Bush, un diretto antenato dei due presidenti degli Stati Uniti, invocò la rinascita di uno stato ebraico in Palestina, esprimendo la speranza che al popolo ebraico sarebbero stati offerti “gli stessi incentivi e attrattive per trasferirsi in Siria che ora li incoraggiano a emigrare in questo paese”.

Quei primi sostenitori cristiani di una Palestina ebraica, come i successivi sionisti cristiani, erano ignari della presenza palestinese in quella che vedevano come la Terra Santa. Per loro la Palestina era la stessa dei tempi di Gesù. Nelle parole di Pappe, ” fu in seguito immaginata come parte organica dell’Europa medievale, con la gente vestita di abiti medievali che vagava per una campagna europea”.

In Gran Bretagna Edwin Montagu, uno dei primi ebrei praticanti a partecipare ad un gabinetto britannico, descrisse il sionismo come un “credo politico problematico” – una frase che lo farebbe espellere dal partito laburista di Keir Starmer e mettere alla gogna dai media.

Montagu considerava antisemita la Dichiarazione Balfour e avvertiva che “quando agli ebrei verrà detto che la Palestina è la loro patria ogni paese cercherà immediatamente di sbarazzarsi dei suoi cittadini ebrei e in Palestina ci sarà una popolazione che caccerà i suoi attuali abitanti”.

Salvaguardare la legittimità di Israele

Dopo la fondazione di Israele, il compito principale della lobby è diventato quello di salvaguardare la legittimità dello Stato israeliano. Pappe dimostra che il partito laburista ne è stato un sostenitore più forte e affidabile rispetto ai conservatori, e mette in rilievo il ruolo di Poale Zion [movimento di lavoratori ebrei marxisti-sionisti fondato in varie città della Polonia, dell’Europa e dell’Impero russo all’inizio del XX secolo, ndt.], antecedente all’odierno Movimento Operaio Ebraico [importante parte del Partito Laburista, ndt.], che originariamente cercò di conciliare marxismo e sionismo e convinse i sindacati e i laburisti che Israele era un progetto socialista.

Pappe scrive che Poale Zion divenne “parte di una lobby intesa ad frenare qualsiasi potenziale orientamento anti-israeliano nel Partito laburista in Gran Bretagna e a rafforzare il rapporto tra il Partito laburista e i suoi elettori ebrei filo-israeliani”.

Secondo Pappe l’ex primo ministro Harold Wilson, che guidò il partito laburista dal 1963 al 1976, era “filo-israeliano fino al midollo”. Pappe ipotizza che l’ammirazione di Wilson per Israele, come quella di David Lloyd George nella generazione precedente, fosse il prodotto di un’educazione protestante dissidente. Il politico Roy Jenkins (1920-2003) disse che il libro di Wilson The Chariot of Israel era “uno dei trattati più profondamente sionisti mai scritti da un non ebreo”.

Alec Douglas-Home (1903-1995), ministro degli Esteri nel governo di Edward Heath succeduto all’amministrazione Wilson dopo le elezioni generali del 1970, era più amichevole con i palestinesi. Vecchio aristocratico di Eton, Douglas-Home è oggi liquidato come un inetto vecchio bacucco, un’aberrazione nella Gran Bretagna del dopoguerra.

Oggi le sue opinioni susciterebbero un cenno di approvazione da parte della Palestine Solidarity Campaign [organizzazione di attivisti dal 2004, “la più grande organizzazione europea per i diritti dei palestinesi” (Guardian), ndt.]. Secondo Pappe “fu l’unico ministro degli Esteri britannico a discutere apertamente del diritto al ritorno dei profughi palestinesi espulsi da Israele nel 1948” e, cosa ancora più notevole, “l’unico ministro degli Esteri britannico a sfidare la disonesta mediazione degli americani”.

Subito dopo la guerra del 1967, Douglas-Home insistette, con il sostegno di Heath, che la Gran Bretagna non poteva più ignorare le “aspirazioni politiche degli arabi palestinesi”. Al governo, fece infuriare Israele consentendo all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di aprire un ufficio a Londra.

Pappe afferma che Douglas-Home è stato l’unico politico britannico di alto livello, con l’importante eccezione dell’alcolista George Brown, a interpretare la risoluzione 242 delle Nazioni Unite come richiesta di ritiro incondizionato di Israele entro i confini del 5 giugno 1967. Durante la guerra del 1973, il governo Heath si rifiutò di consegnare armi a Israele – anche se, come nota Pappe, ciò era dovuto principalmente al timore di un embargo petrolifero arabo.

Gli anni di Corbyn

La prospettiva storica di Pappe mette la leadership di Jeremy Corbyn nel Partito Laburista sotto una nuova luce. “Le opinioni di Corbyn sulla Palestina erano praticamente identiche a quelle espresse dalla maggior parte dei diplomatici e politici britannici di alto livello sin dal 1967; come loro sosteneva la soluzione dei due Stati e riconosceva l’Autorità Palestinese”, scrive Pappe. In questo era più tradizionalista della Campagna di Solidarietà con la Palestina, che sosteneva la soluzione di uno Stato unico.

Alla luce di ciò Pappe ragionevolmente si chiede: “Perché la lobby lo ha visto come una minaccia”? E risponde: “Sospettavano, giustamente, che credesse sinceramente in una giusta soluzione a due Stati e che non avrebbe accettato le scuse di Israele per ostacolarla”.

In un passaggio che fa riflettere aggiunge: “Christopher Mayhew, George Brown e Jeremy Corbyn avevano molto in comune. Erano in posizioni di potere che potevano influenzare la politica britannica nei confronti di Israele. Erano tutti totalmente fedeli alla politica ufficiale britannica di sostegno dei due Stati come soluzione del ‘conflitto’. Nessuno di loro negava il diritto di Israele all’esistenza, nessuno di loro ha fatto alcuna osservazione antisemita in tutta la vita e non erano antisemiti in nessun senso della parola”.

Pappe ha parole dure anche nei confronti dell’inchiesta dell’EHRC sull’antisemitismo laburista. “In un mondo più ragionevole, o forse tra molti anni”, scrive, “se alla gente fosse chiesto che cosa un’importante istituzione per i diritti umani indagherebbe in relazione a Israele e Palestina, risponderebbe la violazione dei diritti umani dei palestinesi … [in questo rapporto] non vi era alcuna discussione seria su ciò che costituisce antisemitismo, né veniva fatto alcun tentativo di distinguere tra antisemitismo e antisionismo e critica a Israele”.

In una breve conclusione scritta dopo gli orrori del 7 ottobre Pappe scrive: “Molte persone nel XXI secolo non possono continuare ad accettare un progetto di colonizzazione che richiede un’occupazione militare e delle leggi discriminatorie per sostenersi. C’è un limite in cui la lobby non può più sostenere questa realtà brutale e continuare a essere vista come un’entità morale agli occhi del resto del mondo. Credo e spero che questo limite verrà raggiunto nel corso della nostra vita”.

Questo tempestivo libro di uno dei migliori storici dell’Israele contemporaneo merita di diventare oggetto di un urgente dibattito contemporaneo. Finora è stato ignorato in un ambiente politico e mediatico che, come illustra il recente caso di Faiza Shaheen, ha imposto un sistema di omertà intorno a qualsiasi discussione sulla lobby israeliana.

Lobbing for Zionism on Both Sides of the Atlantic è pubblicato da Oneworld.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Peter Oborne ha vinto il premio per il miglior commento/blog sia nel 2022 che nel 2017 ed è stato nominato Freelance dell’anno nel 2016 ai Drum Online Media Awards per gli articoli che ha scritto per Middle East Eye. È stato anche nominato editorialista dell’anno dei British Press Awards nel 2013. Si è dimesso da capo editorialista politico del Daily Telegraph nel 2015. Il suo ultimo libro è The Fate of Abraham: Why the West is Wrong about Islam, pubblicato a maggio da Simon & Schuster. Fra i suoi libri precedenti The Triumph of the Political Class, The Rise of Political Lying, Why the West is Wrong about Nuclear Iran e The Assault on Truth: Boris Johnson, Donald Trump and the Emergence of a New Moral Barbarism.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)