Abusi e torture nel centro per gli interrogatori di Shikma

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Rapporto congiunto di HaMoked e B’Tselem, dicembre 2015

Privazione del sonno, a volte per più giorni di seguito; rimanere legati mani e piedi ad una sedia con limitazione dei movimenti per ore ed ore; essere sottoposti a grida, insulti, minacce, sputi e umiliazioni; esposizione a freddo o caldo estremi; cibo scarso e di cattiva qualità; negazione della possibilità di farsi una doccia o cambiarsi i vestiti per giorni e persino per settimane; detenzione in celle piccole e puzzolenti, di solito in isolamento, per molti giorni.

Ho passato 20 giorni in isolamento totale. Psicologicamente essere solo è come vivere in un gabinetto. Se ti succede qualcosa non lo saprà nessuno. Potresti morire e lo scoprirebbero dopo qualche giorno. Potresti morire in un gabinetto e nessuno lo saprebbe. Sei gettato in un angolo e dimenticato, puoi picchiare alla porta e per quanto baccano tu possa fare non riceverai nessun aiuto. Nessuno ti parla e nessuno ti vede, salvo quando ti portano il cibo. E anche allora non ti parlano. Mettono giù il cibo e se ne vanno. A volte una guardia nerboruta arriva e picchia forte con un bastone, forse per verificare se sei ancora vivo, senza dire niente. […] Perdi persino la voglia di stare in piedi. Al lavoro ero abituato a muovermi, mi risulta difficile stare fermo. Là dentro non hai spazio per muoverti e ti passa la voglia di fare qualunque cosa.

Brano tratto dalla testimonianza di Mazen Abu ‘Arish, un geometra ventiduenne di Beit Ula.

Queste sono alcune delle caratteristiche standard degli interrogatori nel centro per gli interrogatori gestito dall’Agenzia Israeliana per la Sicurezza (ISA) presso la prigione Shikma di Ashkelon, nel sud di Israele. Questo rapporto, basato su deposizioni scritte e testimonianze fornite da 116 palestinesi arrestati per ragioni di sicurezza e interrogati a Shikma dall’agosto 2013 al marzo 2014, descrive le condizioni in cui i detenuti sono tenuti ed interrogati. Praticamente ogni detenuto è stato sottoposto a qualcuna o a tutte queste misure; circa un terzo di loro è stato picchiato o maltrattato da soldati o poliziotti nel corso dell’arresto; almeno 14 di loro sono stati torturati durante l’interrogatorio dall’Autorità Nazionale Palestinese poco prima di essere arrestati dalle forze di sicurezza israeliane.

Le condizioni nella struttura di Shikma sono parte integrante degli interrogatori che vi si svolgono: servono ad indebolire la mente ed il corpo, accompagnando l’effettivo interrogatorio nella stanza degli interrogatori. La combinazione delle condizioni sia dentro che fuori questa stanza costituiscono abusi e trattamenti inumani e degradanti, a volte rappresentano persino delle torture. Sono stati utilizzati sistematicamente contro i palestinesi interrogati a Shikma, una pratica che viola le leggi internazionali, le sentenze dell’Alta Corte di Giustizia Israeliana (HCJ) e i basilari standard morali.

La sedia è piccola e bassa, con una spalliera corta. Tre gambe sono alte uguali e la quarta è più corta. E’ difficile, perché se tu ti addormenti o ti stanchi e cadi sul lato corto, le manette che ti legano alla sedia dietro la schiena ti tirano e fanno terribilmente male alle braccia e alle mani. C’era un’altra sedia, della stessa misura ed altezza ma con le due gambe posteriori più corte. Quando ci stai seduto ti fa stare all’indietro ma chi ti interroga ti grida di stare dritto. Per farlo devi piegarti in avanti. Ti fanno male le mani e la schiena. Il dolore delle braccia e delle mani, e soprattutto del braccio sinistro, è diventato insopportabile.

Brano tratto dalla testimonianza di L.H., fiorista di vent’anni di Hebron, interrogato giorno e notte per 22 giorni.

Nel 1999 l’HCJ israeliana ha proibito l’uso della tortura, di abusi o pratiche degradanti da parte dell’ISA. Nei sedici anni da quella sentenza migliaia di palestinesi sono stati interrogati, molti dei quali con metodi assolutamente proibiti. Questo rapporto prende in esame la situazione in uno specifico centro di interrogatorio durante un ridotto periodo di tempo. Mostra che i sistemi di interrogatori violenti da parte dell’ISA persistono – appoggiati dalle autorità statali, dall’HCJ all’ufficio della Procura Generale a quella militare e al Servizio Penitenziario israeliano (IPS). Il contenuto di ogni memoria scritta, una dopo l’altra e di ogni testimonianza, una dopo l’altra dipingono un quadro estremamente sinistro di quanto succede lungo il percorso verso il centro Shikma e nel braccio destinato agli interrogatori.

Mi sono sentito completamente e assolutamente umiliato. Mi gridavano che sono un asino, una bestia. Dicevano: “Sei spazzatura, un tipo da poco, non vali niente.” Dicevano parolacce riferite alla mia sorellina, che ha una paresi cerebrale, ed hanno ferito il suo onore. Sapevano che mia sorella è paralizzata. L’hanno insultata. Dicevano che fa schifo. Questo è durato per tutti i nove giorni di interrogatorio.

Brano tratto dalla testimonianza di Imad Abu Khalaf, 21 anni, commesso in una panetteria di Hebron.

I detenuti intervistati descrivono ripetutamente il comportamento illecito delle autorità. Le descrizioni assomigliano in modo impressionante a testimonianze rese in precedenza da detenuti in altri centri per gli interrogatori. Prese insieme, sembra che questo comportamento costituisca una prassi ufficiale per gli interrogatori. Messa in atto in modo sistematico, questa politica include violenze e umiliazioni durante l’arresto e l’interrogatorio; condizioni inumane di detenzione che obbligano i detenuti a sopportare sovraffollamento e sporcizia; l’isolamento dei detenuti, sottoposti a deprivazioni sensoriali, motorie e sociali estreme; cibo scarso e di cattiva qualità; esposizione a caldo e freddo estremi; rimanere a lungo legati ad una sedia durante l’interrogatorio, a volte in posizioni eccessivamente penose; prolungate privazioni del sonno; minacce, insulti, grida e derisioni – e in qualche caso persino violenza diretta da parte di chi interrogava.

Sono stato interrogato senza sosta per tre o quattro giorni incessantemente e senza neanche essere messo in una cella. Per tutto il tempo le mie mani erano legate dietro la schiena salvo quando mangiavo o andavo al bagno. La cosa peggiore era che non potevo dormire. Appena mi assopivo, chi mi interrogava gridava forte nelle mie orecchie e mi svegliava. Quelli che mi interrogavano si davano i turni. Questo è durato a lungo. Dopo quattro giorni mi hanno lasciato riposare per due ore al giorno e mi interrogavano il resto del tempo. E’ continuato per dieci giorni. Ricordo di essere rimasto quasi incosciente durante i lunghi interrogatori. E’ stato terribile. Ero praticamente svenuto per la mancanza di sonno e loro continuavano ad interrogarmi.

Brano tratto dalla testimonianza di Husni Najar, ventiquattrenne di Hebron.

Ognuna di queste misure è crudele, inumana e degradante, un effetto aggravato quando viene messo in atto congiuntamente o per prolungati periodi di tempo. In qualche caso l’uso di questi metodi rappresenta una forma di tortura – in violazione delle leggi internazionali, delle sentenze dell’HCJ e delle leggi israeliane.

Oltre ad utilizzare direttamente metodi crudeli, inumani e degradanti, le autorità investigative israeliane partecipano indirettamente alle torture utilizzando consciamente informazioni ottenute attraverso l’uso della tortura – di solito molto grave – da parte di coloro che conducono gli interrogatori per l’Autorità Nazionale Palestinese a danno degli stessi detenuti.

Il sistema degli interrogatori basato su questi metodi, sia per l’interrogatorio in sé che per le condizioni in cui le persone arrestate sono tenute in custodia, è deciso dallo Stato e non si tratta del risultato dell’iniziativa di un singolo investigatore o guardia carceraria. Queste azioni non sono messe in atto da cosiddette “mele marce”, né si tratta di eccezioni che devono essere portate davanti alla giustizia. Il trattamento crudele, inumano e degradante dei detenuti palestinesi è insito nelle prassi di interrogatorio messe in atto dall’ISA, che sono imposte dall’alto e non da chi interroga in concreto.

Mentre il sistema è gestito dall’ISA, una vasta rete di partner collabora per facilitarlo. L’IPS crea le condizioni carcerarie adeguate al piano di interrogatorio destinato a piegare lo spirito del detenuto; i professionisti della salute fisica e psichica dell’IPS approvano l’interrogatorio dei palestinesi che arrivano alla struttura – anche nei casi di problemi di salute – e riconsegnano persino i detenuti a chi li deve interrogare dopo che li hanno curati per i danni fisici e psicologici che hanno subito durante gli interrogatori; soldati e poliziotti commettono abusi sui detenuti mentre li trasportano all’ISA, con i loro comandanti che fanno finta di niente e il procuratore generale militare o civile che non li processa né li rende responsabili delle loro azioni; i giudici militari, in modo praticamente automatico, firmano le istanze di detenzione provvisoria e di fatto avvallano i continui abusi e le condizioni inumane; l’ufficio della procura e il procuratore generale hanno quindi fornito agli interrogatori dell’ISA un’immunità totale; i giudici dell’HCJ respingono sistematicamente le richieste che intendono contrastare la negazione dei diritti dei detenuti ad incontrarsi con i loro difensori. Sono tutti parte, in un modo o nell’altro, sotto vari aspetti del trattamento crudele, inumano, degradante e violento a cui sono sottoposti i detenuti palestinesi nel centro Shikma ed altrove. Le autorità superiori israeliane che permettono l’esistenza di questo sistema illegale di interrogatori sono responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani delle persone che vengono interrogate e dei danni fisici e mentali inflitti a questi individui.

Dobbiamo ancora una volta ripetere la richiesta di quello che dovrebbe essere scontato: Israele deve immediatamente interrompere l’uso di trattamenti crudeli, inumani e degradanti, così come gli abusi e le torture ai detenuti, sia durante gli interrogatori che a causa delle condizioni in cui sono tenuti in custodia. Inoltre Israele deve attenersi al divieto di tortura e abusi anche nell’ambito della sua collaborazione in materia di sicurezza con l’Autorità Nazionale Palestinese.

(traduzione di Amedeo Rossi)