Middle East Monitor – 1 ottobre 2016
E’ passato un anno da quando è iniziata la rivolta anticoloniale condotta da giovani palestinesi, caratterizzata da proteste e attacchi contro le forze israeliane ed i coloni nei Territori Palestinesi Occupati (TPO), insieme alla brutale violenza ed alle misure punitive delle autorità israeliane.
La cronologia non è definita; verso il primo ottobre 2015 la violenza dei palestinesi contro l’occupazione è andata gradualmente aumentando, con alti e bassi, per un anno. Qualcuno l’ha definita l'”Intifada di Gerusalemme”. Altri l’hanno descritta come “meno di un’Intifada e più di una esplosione di protesta popolare.”
Secondo un articolo di Quds News Network pubblicato questa settimana, 246 palestinesi sono stati uccisi durante lo scorso anno, e altri 18.500 sono stati feriti. Altre fonti parlano di 230 vittime (l’agenzia “Ma’an News”) o “più di 225” (Amnesty International).
La maggior parte dei palestinesi è stata uccisa mentre stava compiendo attacchi, o presunti attacchi; in luglio, per esempio, la Mezzaluna rossa palestinese ha affermato che 139 degli allora 218 morti in totale erano assalitori o presunti tali (poco meno dei 2/3).
Tuttavia, come l’Associated Press [agenzia di stampa USA. Ndtr.] ha affermato all’inizio di questo mese: “I palestinesi hanno spesso accusato gli israeliani di utilizzo eccessivo della forza contro aggressori e detto in molti casi che i supposti assalitori non lo erano neppure.” Questa fondamentale informazione è, purtroppo, raramente presente in molti articoli delle agenzie di notizie.
Sicuramente un certo numero di palestinesi – in genere giovani adulti – ha condotto attacchi durante lo scorso anno, la maggior parte dei quali ha preso di mira le forze militari israeliane di occupazione o coloni nei TPO. Alcuni di questi aggressori sono stati uccisi quando non rappresentavano più un pericolo.
Ma le forze israeliane – anche durante incidenti in cui i soldati hanno cambiato per varie volte la loro versione dei fatti – hanno ucciso anche palestinesi falsamente etichettati come aggressori, così come palestinesi a cui hanno sparato in irruzioni per arrestarli o durante la repressione di manifestazioni.
E’ significativo notare che, persino secondo le autorità israeliane, il numero di palestinesi uccisi in un contesto esclusivamente di proteste e incursioni durante lo scorso anno (71) è il doppio del numero totale di israeliani uccisi da palestinesi (33, più due persone straniere).
I palestinesi uccisi dalle forze armate israeliane sono di rado “umanizzati” in Occidente. Nei media, la loro morte merita – al massimo – un paio di righe che includono sempre la versione dei fatti del portavoce dell’esercito israeliano (e spesso solo la sua versione). E poi tutti passano ad altro.
Ecco allora un’istantanea dei costi umani del regime di apartheid israeliano e alcune delle storie di questi palestinesi che hanno perso la vita nell’ anno trascorso.
‘Abd al-Rahman Obeidallah, 13 anni. Ucciso il 5 ottobre 2015
Obeidallah è stato colpito a morte da un soldato israeliano nel campo di rifugiati di Aida, a nord di Betlemme. Era in piedi e stava osservando gli scontri tra gli abitanti e le forze di occupazione a circa 70 metri di distanza, quando è stato raggiunto da un proiettile letale al petto. Obeidallah era uno di cinque figli, e il suo fratello diciassettenne Mohammed lo ha descritto come il suo “miglior amico”. Secondo sua madre Dalal, il ragazzino aveva “sempre sognato di andare a trovare” una zia di Gerusalemme, ma, ha aggiunto, ” ci viene negato visitare Gerusalemme”. L’esercito israeliano in seguito ha sostenuto che l’uccisione di Obeidallah non era stata “intenzionale”. Un’inchiesta penale sulla sparatoria è stata aperta dall’Avvocatura Generale dell’Esercito Israeliano (AGE) , ma dopo un anno non ci sono notizie di una conclusione.
Shadi Dawla, 24 anni. Ucciso il 9 ottobre 2015.
Shadi è stato ucciso quando le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro manifestanti palestinesi che lanciavano pietre verso le torri di guardia dell’esercito lungo la recinzione di confine a est di Gaza City. Quel giorno 6 palestinesi sono stati uccisi e 145 feriti, quando soldati israeliani ben protetti hanno falciato manifestanti disarmati con proiettili letali. Shadi lavorava con suo padre come elettricista, e secondo il suo fratello minore stava pensando di sposarsi. “(Shadi) non era solo mio fratello”, ha detto, “era un buon amico. Stavamo sempre insieme. Parlavamo sempre tra di noi e ci chiedevamo consigli a vicenda.” Più di 20 palestinesi, compreso un bambino di 10 anni, sono stati uccisi lo scorso anno dall’esercito israeliano nelle proteste contro la barriera a Gaza. Nessuna inchiesta israeliana è stata aperta su nessuna di queste morti.
Nur Hassan, 26 anni. Uccisa l’11 ottobre 2015.
Nur Hassan,all’epoca incinta di 5 mesi, è stata uccisa insieme alla sua figlia di tre anni Rahaf in un attacco aereo israeliano contro la sua casa nel quartiere di a-Zeitun della Striscia di Gaza. La casa è stata colpita in pieno e completamente distrutta. Il bombardamento, avvenuto in piena notte mentre la famiglia dormiva, è stato descritto dall’esercito israeliano come un attacco contro un “luogo di produzione di armi”. La casa di Hassan si trovava in una zona agricola, circondata da oliveti e frutteti, con cui la famiglia si guadagnava da vivere. In un video ampiamente diffuso, il padre sopravvissuto, Yihya, sorregge il corpo di Rahaf dicendo ripetutamente: “Svegliati, figlia mia.” Anche Mohammed, il secondo figlio, di cinque anni, è sopravvissuto al bombardamento. Non c’è stata nessuna inchiesta israeliana.
Dania Ershied, 17 anni. Uccisa il 25 ottobre 2015.
Ershied è stata uccisa ad un checkpoint davanti alla moschea di Ibrahim di Hebron, in quello che secondo le autorità israeliane era stato un tentativo di accoltellamento da parte di una “terrorista”. Tuttavia resoconti di testimoni oculari riportati da gruppi per i diritti umani lo smentiscono. Durante una seconda indagine, ufficiali della polizia di frontiera avrebbero iniziato a gridarle di far vedere il suo coltello. Secondo Amnesty International, “colpi di avvertimento sono stati sparati ai suoi piedi, spingendola a retrocedere e ad alzare le mani. Ha gridato alla polizia di non avere nessun coltello ed aveva ancora le mani in alto quando la polizia ha di nuovo aperto il fuoco, colpendola sei o sette volte.” Dania era studentessa della Scuola Superiore Femminile Al-Rayyan di Hebron, ed è stata uccisa con la sua uniforme scolastica. Non c’è nessuna inchiesta sulla sua morte.
Ra’ed Jaradat, 22 anni. Ucciso il 26 ottobre 2015.
Jaradat è stato ucciso dopo aver attaccato le forze di occupazione israeliane fuori dal villaggio di Beit Einun, nei pressi di Hebron. Ha accoltellato un soldato prima di essere colpito più volte, anche dopo che era steso a terra immobile. Jaradat era uno studente di contabilità all’università Al-Quds, ed era originario del villaggio di Sair, un altro villaggio della zona di Hebron. Dopo l’uccisione di Dania Ersheid (vedi sopra), Jaradat ha scritto su Facebook: “Immagina se fosse tua sorella!” Suo padre affranto ha detto ai giornalisti: “Noi viviamo bene, mio figlio non aveva bisogno di niente. Ma l’unica cosa che manca nelle vite di questi giovani è la libertà.”
Tharwat al-Sharawi, 72 anni. Uccisa il 6 novembre 2015.
Al-Sharawi è stata uccisa dalle forze di occupazione israeliane mentre si stava avvicinando a un distributore di Hebron. L’esercito israeliano sostiene che questa madre di sei figli aveva tentato un attacco con la macchina. Eppure un video dell’incidente rivela che l’auto stava andando abbastanza piano da permettere ai soldati di spostarsi tranquillamente dalla sua direzione prima di aprire il fuoco sul veicolo mentre stava entrando nello spiazzo della stazione di servizio. Gli spari, continuati ben dopo che aveva superato i soldati, hanno ferito anche un dipendente della stazione di servizio. Il figlio di Al-Sharawi ha detto che la madre stava andando a pranzo a casa di sua sorella. Secondo Amnesty International l’uso di una violenza omicida da parte delle forze israeliane sarebbe stato illegale anche se la signora anziana stesse ponendo in pratica un attacco. Tuttavia la procura generale militare ha deciso di non aprire nessuna indagine penale.
Abdullah Shalaldah, 28 anni. Ucciso il 12 novembre 2015.
Abdullah Shalaldah è stato ucciso in una stanza di ospedale dalle forze di occupazione israeliane mascherate da civili palestinesi (di cui uno su una sedia a rotelle che fingeva di essere incinta). I soldati sono entrati in una stanza del terzo piano dell’ospedale con l’intenzione di arrestare il paziente, Azzam Shalaldah. Appena hanno fatto irruzione nella stanza, hanno sparato per tre volte alla testa ed alla parte superiore del corpo del cugino del paziente, Abdullah. L’esercito israeliano ha sostenuto che aveva aggredito i soldati, ma alcuni testimoni hanno detto che era disarmato ed è stato ucciso mentre usciva dal bagno dove era andato a lavarsi per pregare. A Sair migliaia di persone hanno partecipato al funerale di Shalaldah. Non c’è nessuna inchiesta israeliana sulla sua morte.
Lafi Awad, 22 anni. Ucciso il 13 novembre 2015.
Awad è stato ucciso durante una manifestazione presso il “Muro di separazione” a Budrud. Dopo le preghiere del venerdì, gli abitanti hanno marciato verso il “Muro”, costruito sulla terra del villaggio, dove le forze israeliane li stavano aspettando. Dopo qualche ora di scontri, un gruppo più ridotto di giovani si è avvicinato al “Muro”, solo per essere preso in un imboscata dai soldati. Awad è stato agguantato e aggredito, ma ha cercato di liberarsi. Quando si è messo a scappare, un soldato israeliano gli ha sparato alle spalle. Altri soldati israeliani hanno impedito di portarlo al più presto in ospedale. L’esercito israeliano ha sostenuto che un “rivoltoso” aveva cercato di impadronirsi dell’arma di un soldato. Lafi era uno di otto figli. Nel 2013 era stato arrestato e detenuto per 17 mesi per aver aiutato a distruggere una videocamera di sorveglianza dell’odiato “Muro”. Nessuna indagine penale è stata aperta sulla sua uccisione.
Mohammed Abu Khalaf, 20 anni. Ucciso il 19 febbraio 2016
Abu Khalaf, di Kafr Aqab, nella Gerusalemme est occupata, è stato colpito ed ucciso dalle forze israeliane fuori dalla Porta di Damasco, dopo aver accoltellato e ferito due poliziotti di frontiera. In una ripresa video girata da una troupe di Al Jazeera che si trovava per caso sul posto, le forze israeliane hanno sparato a lungo su Abu Khalaf anche dopo che era steso al suolo immobile. Le autorità israeliane hanno trattenuto il corpo di Mohammed per 200 giorni, restituendolo alla famiglia per il funerale solo il 6 settembre 2016. “Oggi la sofferenza per una ferita inguaribile è stata riaperta quando abbiamo ricevuto il suo corpo e lo abbiamo sepolto,” ha detto ai giornalisti sua madre Rula. Le autorità israeliane hanno in seguito deciso che nessuna imputazione sarebbe stata presentata contro i poliziotti coinvolti.
Anwar Al-Salaymeh, 22 anni. Ucciso il 13 luglio 2016.
Al-Salaymeh è stato colpito a morte dalle forze di occupazione israeliane mentre stava viaggiando con i suoi amici a a-Ram, in Cisgiordania. L’esercito israeliano ha affermato che i soldati hanno solo aperto il fuoco per impedire un tentativo di investimento con l’auto. I passeggeri sopravvissuti, tuttavia, hanno affermato che si stavano dirigendo verso una panetteria e non sapevano della presenza di forze israeliane nella zona, una versione dei fatti confermata da prove raccolte dall’associazione per i diritti umani B’Tselem. Al-Salaymeh, che si era sposato tre mesi prima della morte, stava andando a prendere dei biscotti per la moglie incinta quando è stato ucciso. Secondo suo padre, Al-Salaymeh “era stato di grande aiuto per la famiglia – e per questo aveva lasciato la scuola superiore e si era messo a lavorare.” Non c’è stata nessuna indagine sulla sua morte.
Muhyee al-Din Tabakhi, 10 anni. Ucciso il 19 luglio 2016.
Tabakhi è stato colpito da una cosiddetta granata “spugna nera” [proiettili ricoperti di materiale spugnoso nero, usati contro le manifestazioni e considerati non letali. Ndtr.], sparata da membri della polizia di frontiera a a-Ram, nella Gerusalemme est occupata. E’ morto poco dopo in ospedale. Scontri tra i giovani del luogo e le forze israeliane nella zona sono frequenti a causa di lavori in corso sul “Muro di separazione”. Poco prima che Tabakhi venisse colpito, alcuni giovani avevano lanciato pietre contro una jeep della polizia di frontiera, inducendo un poliziotto a scendere dal veicolo e a inseguirli. Il bambino di 10 anni è stato colpito al petto da una distanza di circa 30 metri. Anche un adulto che era intervenuto in soccorso è stato colpito ad una mano. Un portavoce della polizia israeliana ha semplicemente notato che non era stato usato nessun “proiettile letale”.
Muhammad Abu Hashhash, 19 anni. Ucciso il 16 agosto 2016.
Abu Hashhash è stato ucciso dalle forze di occupazione israeliane durante una brutale incursione durata un giorno nel campo di rifugiati di al- Fawwar, nei pressi di Hebron. E’ stato colpito alla schiena nel momento in cui stava uscendo dalla porta di casa da un cecchino israeliano nascosto in una casa palestinese a circa 30-40 metri di distanza. I soldati israeliani avevano fatto un piccolo buco nel muro della casa, attraverso il quale il ragazzo è stato ucciso. Abu Hashhash era un appassionato giocatore di pallone in un campo di circa 9.500 abitanti. Durante quella stessa incursione, le forze israeliane hanno ferito almeno 52 altri abitanti. anche con munizioni letali. Nel momento in cui sto scrivendo, non ci sono notizie di un’inchiesta dell’esercito israeliano sulla sua morte.
(traduzione di Amedeo Rossi)