Pensiero critico sul boicottaggio culturale

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Marguerite Dabaie

The Electronic Intifada, 11 Dicembre 2017

Assuming Boycott: Resistance, Agency, and Cultural Production edited by Kareem Estefan, Carin Kuoni and Laura Raicovich, OR Books (2017)

Assuming Boycott è una raccolta di saggi che derivano da presentazioni e seminari di diversi scrittori, studiosi e artisti che fanno attivismo usando boicottaggi culturali come un mezzo per (generare) il cambiamento. Tutti gli autori hanno partecipato o fatto esperienza di simili boicottaggi.

Il libro è diviso in quattro capitoli. Il primo contiene saggi che analizzano criticamente il boicottaggio culturale del Sud Africa durante l’apartheid. A questo segue un capitolo sul movimento a guida palestinese di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS).

Il terzo capitolo mette in discussione le dinamiche di potere dietro ai movimenti di boicottaggio chiedendosi se le diseguaglianze all’interno di questi movimenti determinino chi parla per chi. Il capitolo finale analizza i boicottaggi in base alla distanza – “geografica, politica, culturale, anche temporale”.

Nell’insieme Assuming Boycott prende in considerazione i passi che sono stati compiuti per iniziare i boicottaggi, e le ragioni dietro di essi, nonché i loro effetti, positivi e negativi.

Come suggerisce il titolo del libro, la raccolta comincia dall’assunto, come sostenuto nell’introduzione di uno dei curatori del libro, Kareem Estefan, che “l’arte non trascende le condizioni politiche in cui viene esibita, e che gli artisti stanno assumendo sempre più l’atteggiamento di chiedere che la loro arte sia esposta e circoli in accordo con la loro etica e la loro solidarietà.”

Il libro ha lo scopo di esporre i lati postivi e negativi dei movimento di boicottaggio, ma i curatori, giudicando dall’introduzione, sono decisamente a favore dell’utilizzo dei boicottaggi culturali come mezzo per [generare] il cambiamento.

Estefan argomenta che “le azioni di boicottaggio sono spesso inizi piuttosto che chiusure, che spesso generano discussioni critiche e produttive invece di chiudere il dialogo.”

    1. Ricordando l’apartheid

Cominciare il libro con il caso sudafricano è un’introduzione efficace sui movimenti di boicottaggio poiché – chiaramente – il paese è in una situazione di post-apartheid. Tuttavia, come sostenuto nell’introduzione a questa sezione, “c’è il pericolo che il boicottaggio del Sudafrica possa divenire storicamente chiuso in sé, ricordato solo come un evento concluso e passato.”

I saggi qui analizzano molteplici aspetti della resistenza culturale all’apartheid, inclusi quelli svolti tramite le arti visive, la musica, lo sport (con una nota sul fatto che il BDS finora non si è avvalso dei boicottaggi sportivi).

Sean Jacobs, professore associato di “Relazioni internazionali” alla ‘The New School’ a New York City, sostiene in “The Legacy of the Cultural Boycott Against South Africa” che il boicottaggio all’inizio ebbe successo – con artisti americani ed europei che si rifiutavano di andare in Sud Africa a esibirsi – a causa delle eventuali sanzioni internazionali che costringevano i sud-africani bianchi a smettere di considerarsi come “avamposto della civiltà occidentale.”

Hlonipha Mokoena, professoressa associata e ricercatrice a Witwatersrand, Johannensburg, tratta il boicottaggio nell’industria della musica in “Kwaito: The Revolution Was Not Televised; It Announced Itself In Song”, e nota: “C’era confusione su chi o cosa veniva boicottato.”

Mokoena sostiene che non c’era un’idea unica di cosa fosse esattamente il boicottaggio, e che ad alcuni artisti sudafricani – anche se erano contro l’apartheid – veniva impedito di esibirsi oltremare.

La consapevolezza di cosa ha funzionato o no in Sudafrica costituisce lo sfondo per il capitolo successivo sul movimento BDS. Joshua Simon, curatore dei musei di Bat Yam, situati in Israele, descrive il BDS come un mezzo efficace per contestare il neoliberismo su scala internazionale.

Simon sostiene, in Neoliberal Politics, Protective Edge, and BDS, che mettere in difficoltà investitori presenti e potenziali potrebbe “causare la crescita del debito estero, minando il valore del credito israeliano e incrementando fortemente gli interessi che [Israele] paga per il proprio debito.” Inoltre, egli aggiunge che “le sanzioni toccano la sovranità neoliberista dove fa più male.”

    1. Co-Resistenza

Ariella Azoulay – professoressa di studi dei media, editrice e regista di film documentari – sostiene, nel suo saggio “We, Palestinians and Jewish Israelis: The Right Not to Be a Perpetrator”, che l’appello al boicottaggio di Israele è positivo per gli ebrei israeliani in quanto dà loro modo di non essere “cittadini-colpevoli”, una cosa di cui essi sono privati per il fatto di vivere su terra palestinese.

Azoulay afferma che, anche se gli israeliani si rifiutano di servire nell’esercito, e viene imposto loro un periodo in carcere di conseguenza, essi rientreranno per forza di cose dentro all’oppressione quotidiana dei palestinesi una volta che vengono rilasciati.

Anche l’artista Yazan Khalili arriva a questa conclusione in “The Utopian Confict”: “Invece di boicottare Israele a sostegno dei soli palestinesi, non si potrebbe svolgere il boicottaggio anche a sostegno dell’emancipazione dei soggetti ebrei dallo Stato di Israele?”

Il BDS – scrive la professoressa di studi giuridici e avvocatessa per i diritti umani Noura Erekat in “The Case for BDS and the Path to Co-Resistance” – non può essere basato sulla collaborazione tra palestinesi ed israeliani, ma deve essere fondato [piuttosto] sulla resistenza contro Israele, perché “gli israeliani non sono vicini, e nemmeno occupanti, ma dominatori coloniali e beneficiari della rapina tutt’ora in corso nei confronti dei palestinesi.”

E’ vero che la maggior parte del libro si concentra sui boicottaggi culturali, ma ci sono anche alcuni saggi che si focalizzano sui boicottaggi accademici. L’enfasi qui è posta, per esempio, sull’idea che le università che aderiscono ai principi del BDS devono “divenire luoghi di co-resistenza e non, come spesso viene sostenuto, luoghi di divisione.”

Ciò è articolato in una conversazione intitolata “Extending Co-Resistance” [Estendere la Co-Resistenza] tra Eyal Weizman, direttore del Centre for Research Architecture a Goldsmith, Università di Londra, e il co-curatore del libro Kareem Estefan.

Weizman fa notare che il fatto che gli Stati Uniti e diversi Stati europei abbiano denunciato il BDS (in alcuni casi lo hanno criminalizzato) è un segnale che questi paesi hanno rinunciato all’idea di risolvere il conflitto.

Dopotutto, egli sostiene, i principi del movimento BDS dovrebbero essere incontestabili. Tuttavia, agli occhi di molti governi occidentali oggi tendenti alla destra, Israele sembra “un pioniere nella gestione dei rifugiati indesiderati, dei poveri e di coloro che sono espropriati di tutto” nel suo trattamento dei palestinesi, il che fa sembrare il movimento BDS basato sui diritti umani antitetico rispetto agli interessi di questi governi.

Consiglio sensato

Tania Bruguera, un’artista che ha assistito alla repressione della libertà di espressione cubana, ha descritto quanto ha appreso in quel periodo in “The Shifting Grounds of Censorship and Freedom of Expression”. Tra queste cose c’è la sua motivazione a creare arte pubblica, “in quanto gli artisti cubani… non sono abituati a vedere la sfera pubblica come un’opzione.” Gli artisti, sostiene, devono prendersi la responsabilità di andare “agli avamposti di una lotta e di raccontare storie per controbilanciare la propaganda ufficiale e lottare contro lo status quo.”

L’artista Naeem Mohaiemen partecipa con la sua esperienza di contestazione delle condizioni di lavoro dei lavoratori migranti durante la costruzione del Guggenheim sull’isola di Saadiyat, ad Abu Dhabi. La critica presentata come un’installazione artistica è ampiamente accettata, sostiene in “The Loneliness of the Long-Distance Campaign.” Tuttavia, quando gli artisti negoziano o protestano di fatto con gli amministratori, questo viene visto come atto di ribellione.

La raccolta di saggi fornisce una guida su come sostenere un boicottaggio accademico e, attraverso le sue caute parole, offre buoni consigli sulle sfide attuali e potenziali che minacciano di impedire i movimenti di boicottaggio.

Gli artisti potrebbero trovare il libro particolarmente utile dato che diversi artisti hanno condiviso i loro personali aneddoti e consigli per l’impegno nei boicottaggi culturali.

Tuttavia, forse a causa dell’ampio numero di scrittori e dei loro diversi punti di vista, la raccolta può sembrare disorganica. Questo è particolarmente evidente nell’ultimo capitolo, dove i saggi non sono coesi.

Nonostante questo, Assuming Boycott riporta attentamente (vari) racconti sul boicottaggio in un momento in cui i governi occidentali stanno penalizzando le persone per il fatto di esercitare il loro diritto a resistere. Per coloro che desiderano sapere di più sui movimenti di boicottaggio è una lettura molto utile.

Marguerite Dabaie è un’illustratrice palestinese-americana e una vignettista che vive a Brooklyn, New York. Il suo lavoro può essere visto su www.mdabaie.com.

(Traduzione di Tamara Taher)