Asa Winstanley
26 ottobre 2019 – Middle East Monitor
Questo mese la Chiesa di Nelson Mandela, la Chiesa metodista dell’Africa meridionale, ha aderito al movimento palestinese per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS).
Durante un recente convegno a Città del Capo la Chiesa ha denunciato “i continui soprusi e l’oppressione del popolo palestinese da parte di Israele e lo storico ruolo profetico giocato dalla Chiesa e dalla comunità internazionale nel combattere l’apartheid e ogni forma di discriminazione e ingiustizia.” La chiesa ha comunità anche in Namibia, Botswana, Lesotho, Swaziland e
Dando l’annuncio della clamorosa decisione, il BDS sudafricano ha evidenziato i rapporti storici della Chiesa metodista del Paese con il suo gigante della lotta di liberazione e primo presidente democraticamente eletto: Nelson Mandela.
Mandela fu allevato da una madre cristiana profondamente religiosa e durante la sua gioventù frequentò una serie di scuole metodiste.
Nella sua autobiografia del 1994, “Lungo cammino verso la libertà” [Feltrinelli, 1994], Mandela ha raccontato la natura contraddittoria del fatto di essere cresciuto, come nel suo caso, con un’educazione colonialista rivolta ai “nativi”.
“Il nostro modello era l’inglese istruito,” racconta, “aspiravamo a diventare un ‘inglese nero’, come venivamo a volte chiamati con derisione. Ci veniva detto – e lo credevamo – che le migliori idee, il miglior governo e gli uomini migliori erano inglesi.”
Ma, come molte tradizioni legate agli imperi coloniali, l’eredità metodista nell’Africa meridionale conteneva in sé molte tendenze diverse, a volte contraddittorie.
Oltre che segnate da impulsi colonialisti, le chiese sudafricane erano anche luoghi di riunione per la lotta di liberazione.
A questo proposito la figura più famosa è, ovviamente, l’arcivescovo Desmond Tutu. Il più grande veterano della Chiesa anglicana contro l’apartheid è anche un fervente critico dell’apartheid israeliano, che ha descritto come persino peggiore di quello sudafricano, contro gli indigeni palestinesi.
Ma anche la Chiesa metodista ha avuto le sue figure progressiste, e si è a lungo opposta all’apartheid.
Seth Mokitimi, uno degli insegnanti di Mandela, in seguito diventò il primo presidente nero di un’importante congregazione sudafricana – una mossa che nel 1964, al culmine del regime di apartheid, richiese coraggio.
Le convinzioni religiose di Mandela lo accompagnarono oltre la sua l’infanzia. Nelle sue memorie racconta anche di essere stato “indottrinato” (un termine significativamente religioso) al comunismo dal “mio primo amico bianco”, Nat Bregman.
Quando Mandela aveva da poco superato i vent’anni, lui e Bregman lavoravano insieme a Johannesburg in uno studio legale diretto da un ebreo progressista che simpatizzava per l’African National Congress (ANC), (il cui braccio armato ovviamente Mandela contribuì in seguito a fondare).
Com’è noto, per tutta la sua vita, e soprattutto durante la Guerra Fredda, Mandela negò di essere un comunista, anche nel “processo per tradimento” a cui venne sottoposto negli anni ’60.
Ma dopo la sua morte nel 2013 sia l’ANC che il Partito comunista sudafricano confermarono (o rivelarono, a seconda del punto di vista) che effettivamente egli ne era stato membro. Infatti il partito dichiarò: “Mandela non era solo iscritto all’allora clandestino Partito comunista sudafricano, ma era anche membro del Comitato centrale del nostro partito.”
Comunque sia, nel “Lungo cammino per la liberta” Mandela scrisse che l’insistenza di Bregman perché entrasse nel partito all’epoca non lo convinse e che una delle ragioni fu la sua fede cristiana: “Ero anche molto religioso, e l’avversione del partito per la religione mi dissuase.”
L’adesione della Chiesa di Mandela al movimento BDS è quindi estremamente significativa. È il riconoscimento di come il movimento BDS sia esplicitamente modellato sul movimento per il boicottaggio contro l’apartheid sudafricano. Oltre a ciò, dimostra ancora una volta il ruolo guida che gli attivisti sudafricani stanno giocando nel movimento mondiale per la giustizia in Palestina. Quando vedono l’apartheid lo riconoscono.
La politica della Chiesa metodista dell’Africa meridionale sul boicottaggio di Israele è particolarmente positiva. Dà indicazione ai metodisti di boicottare “ogni attività che favorisca l’economia israeliana,” come ha spiegato il BDS sudafricano.
La Chiesa ha anche promosso un “boicottaggio di tutti gli operatori e viaggi turistici israeliani per i pellegrini” e invita i cristiani che visitano la Terra Santa a “cercare invece deliberatamente viaggi turistici che offrano una prospettiva palestinese alternativa.”
Queste sono misure concrete basate sui principi che possono avere un impatto su Israele. Lento ma sicuro, il BDS si sta imponendo.
Ora Israele destina una quantità imprecisata di milioni di dollari per lottare contro il BDS – un segno che questa strategia è efficace.
Dobbiamo imitare le politiche delle Chiese sudafricane a favore del BDS e adoperarci in questo senso in Occidente.
Amandla! Awethu! [Potere! Al popolo!, slogan del movimento sudafricano contro l’apartheid, ndtr.]
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.
(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)