Il difficile rapporto del sionismo con l’antisemitismo

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Alice Rothchild

19 novembre 2019 – Mondoweiss

Sono cresciuta con un profondo amore per Israele, il piccolo grintoso Paese della redenzione, risorto dalle ceneri, che ama i kibbutz, che non avrebbe potuto fare cose sbagliate, che lotta per la sopravvivenza in un mare di arabi che lo odiano e di odiatori di ebrei. Ho imparato che gli ebrei sono un popolo dedito alla preghiera e allo studio della Torah e che questa identità ci ha permesso di sopravvivere durante secoli di antisemitismo in Europa. Se non ero in grado di dedicarmi alla religiosità del mio nonno pio, con i filatteri [lacci di cuoio che vengono arrotolati alle braccia durante la preghiera, ndtr.] e tutto il resto, capivo che come popolo noi eravamo profondamente impegnati a risanare il mondo e a lavorare per la giustizia sociale, un impegno altrettanto virtuoso e intrinsecamente ebraico. Dopotutto noi eravamo buoni per natura, o, come spiegava mia madre, gli ebrei hanno la responsabilità di essere stati scelti per svolgere un ruolo inequivocabilmente positivo in questo mondo.

Con il passare degli anni, questa mitologia si è schiantata contro la dura realtà. Una delle contraddizioni più difficili che ora mi trovo ad affrontare è comprendere il perverso rapporto tra sionismo e antisemitismo. Mi era stata venduta la storiella che il sionismo politico si era sviluppato come risposta all’antisemitismo e come un moderno movimento di liberazione nell’arretrato Medio Oriente. Ma nel 1897, quando è nato il sionismo moderno, esso adottò il cliché dell’ebreo della diaspora come un pallido, flaccido, giovane studente di una scuola religiosa, un parassita, un eterno straniero, uno sfigato. Che il sionismo abbia accolto l’idea che questo rammollito individuo malaticcio (colpevolizzato lui stesso per l’antisemitismo) dovesse essere arianizzato nell’ebreo contadino/guerriero abbronzato e muscoloso che coltiva il terreno in Galilea, è un risultato agghiacciante. L’evoluzione degli ebrei da popolo che viveva secondo la Torah e i suoi precetti in una razza biologica con caratteristiche distintive (l’ebreo del denaro, del ghetto, l’ebreo di carnagione scura e con il naso adunco) riflette le peggiori menzogne di antisemiti, fascisti europei e suprematisti bianchi.

Questa storia è complicata dal fatto che gli ebrei europei erano relegati a svolgere un numero limitato e disprezzato di professioni e dal risentimento sociale nei confronti di una classe di usurai e venditori ambulanti/commercianti “parassitari”e “improduttivi”. Mentre il capitalismo moderno si sviluppava, persino i sionisti socialisti temevano che ci fosse una sorta di anomalia economica nel popolo ebraico che portava all’antisemitismo e che avrebbe potuto essere curata solo dal lavoro della terra in Palestina.

Non dovrebbe quindi sorprendere che il fondatore del sionismo moderno, Theodore Herzl, abbia visto gli antisemiti come “amici e alleati” del suo movimento”. Sionisti e antisemiti condividevano lo stesso obiettivo: gli uni volevano che tutti gli ebrei emigrassero in Palestina per fondarvi uno Stato-Nazione ebraico etnicamente puro, gli altri volevano liberarsi di tutti i loro connazionali ebrei. L’emigrazione era in effetti una magnifica soluzione all’eterna questione ebraica. Come ha scritto il professor Joseph Massad [docente palestinese alla Columbia University, ndtr.]:

Nel suo pamphlet fondativo (Herzl) avrebbe dichiarato che ‘i governi di tutti i Paesi colpiti dall’antisemitismo saranno profondamente interessati nell’aiutarci ad ottenere (la) sovranità che vogliamo’, e quindi che ‘non solo i poveri ebrei’ avrebbero contribuito a un fondo per l’emigrazione degli ebrei europei, ‘ma anche i cristiani che vogliono liberarsi di loro’.”

Questa solidarietà politica relativa alla classe, al fatto di essere bianchi, era una forma di odio per se stessi, facendo proprio il razzismo istituzionalizzato dell’epoca? Si trattava di un matrimonio di convenienza, ripugnante ma necessario, o di una strategia a lungo termine?

Scavando più a fondo, non fui così sorpresa nell’apprendere che Herzl, assimilato e laico, scelse di non far circoncidere suo figlio, che inizialmente prese in considerazione l’idea che una conversione di massa al cattolicesimo sarebbe stata una buona soluzione per la questione ebraica e che festeggiava il Natale con niente di meno che un albero di Natale. Si dice che abbia affermato: “Nella mia mente si è fatta strada un’eccellente idea: attirare antisemiti radicali e farli diventare distruttori della ricchezza ebraica.” L’attivista israeliano per la pace Uri Avnery ha descritto gli scritti di Herzl come caratterizzati “a tratti da un forte odore di antisemitismo.”

Leon Rosselson, un cantautore inglese e autore di libri per l’infanzia, ha scritto in un saggio su Medium [sito web di sinistra che pubblica articoli di politica e cultura, ndtr.]:

Nel suo libro ‘Lo Stato ebraico’, pubblicato nel 1896, egli (Herzl) spiega perché: ‘La questione ebraica esiste ovunque viva un numero significativo di ebrei. Dove (l’antisemitismo) non esisteva, vi è stato portato dagli ebrei nel corso delle loro migrazioni. Ovviamente noi ci spostiamo nei posti in cui non siamo perseguitati e lì la nostra presenza provoca persecuzioni… Gli sfortunati ebrei stanno portando ora i semi dell’antisemitismo in Inghilterra, li hanno già portati in America.’

In un capitolo successivo sostiene che la causa immediata dell’antisemitismo è ‘la nostra eccessiva produzione di intelletti mediocri, che non possono trovare uno sbocco verso il basso o verso l’alto – cioè, nessuno sbocco sano in nessuna direzione. Quando scendiamo, diventiamo un proletariato rivoluzionario, gli impiegati subalterni di ogni partito rivoluzionario; al contempo, quando andiamo in alto si eleva pure il nostro terribile potere economico.’”

Quando Herzl prese in considerazione la lingua del nuovo Stato, scrisse dello yiddish [un misto di tedesco, lingue slave ed ebraico, con molte varianti locali, parlato dagli ebrei dell’Europa centro-orientale, ndtr.]: “Dobbiamo smettere si utilizzare quei miserabili dialetti stentati, quei linguaggi del ghetto che ancora utilizziamo, perché quelle erano le lingue clandestine dei prigionieri.” Aveva lo stesso disprezzo nei confronti della religione ebraica: “Dovremmo tenere i nostri rabbini all’interno dei loro templi …Non devono interferire nell’amministrazione dello Stato…”, e immaginò uno Stato senza feste ebraiche o simboli ebraici. C’è sicuramente un forte sentimento di odio per se stessi in queste affermazioni.

Un’altra schiacciante prova è la considerazione del 1912 di Chaim Weizman, in seguito presidente dell’Organizzazione Sionista Mondiale e primo presidente di Israele: “Ogni Paese può assorbire solo un numero ridotto di ebrei se non vuole avere problemi di stomaco. La Germania ha già troppi ebrei.”

O la dichiarazione nel 1922 di Ben-Gurion, il padre fondatore e primo premier di Israele: “Non siamo studenti di una scuola religiosa che discutono le delicate questioni su come migliorare se stessi. Siamo conquistatori della terra di fronte a un muro di ferro e noi dobbiamo sfondarlo.” Egli notò che gli ebrei della diaspora “non hanno radici. Sono cosmopoliti senza radici – non ci può essere niente di peggio.” Ben-Gurion era un noto elitista e razzista. Descrisse gli ebrei della diaspora come “polvere umana, le cui particelle cercano di aggrapparsi le une alle altre,” e chiamò i mizrahim (ebrei dei Paesi arabi e/o musulmani), arretrati e primitivi, con caratteristiche orientaliste che avrebbero minacciato il nascente Stato di Israele. Descrivendo gli immigrati yemeniti scrisse:

(La cultura yemenita) è arretrata di duemila anni, forse persino di più, rispetto a noi. Manca dei più fondamentali e principali concetti della civilizzazione (distinta dalla cultura). Il loro atteggiamento verso le donne e i bambini è primitivo. La loro condizione fisica è misera. Per migliaia di anni hanno vissuto in una delle terre più arretrate e impoverite, sotto il dominio ancora più arretrato di un qualunque regime feudale e teocratico. Il passaggio da là a Israele è stato una profonda rivoluzione umana, non superficiale, una rivoluzione politica. Tutti i loro valori umani devono essere cambiati da cima a fondo.”

Vladimir (Ze’ev) Jabotinsky, il fondatore del sionismo revisionista, precursore dell’odierno partito Likud, fu persino più sincero riguardo alla propria appartenenza reazionaria. Appoggiò il nocciolo del colonialismo di insediamento e militaristico del sionismo, parlò apertamente della necessità di combattere contro la popolazione indigena palestinese e chiese agli ebrei di mobilitarsi per “guerra, rivolta e sacrificio.”

Nel 1923 scrisse la Bibbia del revisionismo, un articolo, “Il muro di ferro (noi e gli arabi)”:

Ogni popolazione nativa al mondo resiste contro il colonialismo finché ha anche la minima speranza di riuscire a liberarsi del pericolo di essere colonizzata. Questo è ciò che gli arabi in Palestina stanno facendo, e quello che continueranno a fare finché rimarrà una sola scintilla di speranza di riuscire ad impedire la trasformazione della ‘Palestina’ in ‘Terra di Israele’… La colonizzazione sionista deve terminare oppure andare avanti senza riguardi nei confronti della popolazione nativa. Ciò significa che può proseguire e svilupparsi solo sotto la protezione di un potere che sia indipendente dalla popolazione nativa –dietro un muro di ferro, che la popolazione nativa non possa oltrepassare.”

Allo stesso tempo il suo antisemitismo era profondo:

Il nostro punto di partenza è prendere il tipico yid [ebreo in senso spregiativo, ndtr.] di oggi e immaginare il suo esatto opposto… Poiché lo yid è brutto, sporco, manca di dignità, noi dobbiamo dotare l’immagine idealizzata dell’ebreo di una beltà virile. Lo yid è calpestato e si spaventa facilmente, e di conseguenza l’ebreo deve essere orgoglioso e indipendente. Lo yid è disprezzato da tutti e quindi l’ebreo deve affascinare tutti. Lo yid ha accettato di essere sottomesso e quindi l’ebreo deve imparare a comandare. Lo yid vuole celare la propria identità agli estranei e quindi l’ebreo deve guardare il mondo diritto negli occhi e dichiarare: ‘Sono ebreo!’”.

Jabotinsky si innamorò dell’ideologia di Benito Mussolini che lo lodò come un “fascista ebreo” e fu contento non solo di lavorare con i nazisti, ma anche di sposarne l’ideologia totalitaria. Fondò la Nuova Organizzazione Sionista e il suo rappresentante in Palestina pubblicò il suo Yomen shel Fascisti (Diario di un fascista) sul suo giornale. Von Weisl, direttore finanziario dell’OSM, disse a un giornale che “egli (Jabotinsky) era personalmente un sostenitore del fascismo e si rallegrò per la vittoria dell’Italia fascista in Abissinia come un trionfo delle razze bianche contro i neri.” Mussolini consentì al movimento giovanile del sionismo revisionista di destra, il Betar, di avere uno squadrone nella sua accademia navale.

Quando Mussolini decise di unire le proprie forze con Hitler, espulse gli ebrei dal partito [fascista, ndtr.]. I revisionisti risposero:

Per anni abbiamo messo in guardia gli ebrei dall’insultare il regime fascista in Italia. Siamo franchi prima di accusare altri delle recenti leggi antiebraiche in Italia: perché non accusiamo prima i nostri stessi gruppi radicali di essere responsabili di quello che sta accadendo?”

Secondo Lenni Brenner, autore di “Il sionismo nell’epoca dei dittatori”, nel marzo 1933 Jabotinsky invocò un boicottaggio contro i nazisti e di conseguenza i revisionisti assassinarono il sionista laburista che aveva negoziato l’accordo “Ha’Avara” [vedi più sotto, ndtr.]. Ma i rapporti tra i revisionisti e i nazisti rimasero intricati.

Nel 1939, una settimana prima che Hitler invadesse la Polonia, Jabotinsky insistette che “non c’è la benché minima possibilità di una guerra.” Progettò di invadere la Palestina, facendo approdare una nave piena di militanti del “Betar” su una spiaggia di Tel Aviv mentre l’Irgun occupava la sede del governo a Gerusalemme e all’estero veniva proclamato un governo ebreo provvisorio. Dopo la sua cattura o morte, avrebbe operato come un governo in esilio.

L’Irgun, l’organizzazione paramilitare sionista attiva nella Palestina mandataria, venne ispirata e guidata da Jabotinsky fino alla sua morte nel 1940. Dopo la guerra, venne trovato il seguente documento nell’ambasciata tedesca in Turchia: “Proposta dell’Organizzazione Militare Nazionale (Irgun Zvai Leumi) riguardante la soluzione della questione ebraica in Europa e la partecipazione dell’OMN nella guerra dalla parte della Germania”. Vi si legge:

La Fondazione dello storico Stato ebraico su basi nazionaliste e totalitarie e vincolato da un trattato con il Reich tedesco sarebbe nell’interesse di una consolidata e rafforzata futura posizione di potere tedesca in Medio Oriente.

A partire da queste considerazioni, l’OMN in Palestina, in base alla condizione summenzionata che le aspirazioni nazionali del movimento per la libertà israelita vengano riconosciute da parte del Reich tedesco, offre di partecipare attivamente alla guerra dalla parte della Germania.”

Mentre gli ebrei, sia all’interno che fuori dalla Germania, comprendevano i gravissimi pericoli posti dall’ascesa dei nazisti al potere, alcuni sionisti videro ciò come un’opportunità di promuovere il proprio obiettivo di colonizzare la Palestina. Nonostante un boicottaggio internazionale contro la Germania nazista, nel 1933 i sionisti laburisti firmarono l’accordo di trasferimento “Ha’avara”, che in ultima analisi diede come risultato il salvataggio di 20.000 ebrei. La Germania nazista accettò di compensare questi ebrei tedeschi che se ne andarono in Palestina dopo aver liquidato le loro proprietà esportando nel Paese prodotti tedeschi dello stesso valore. Gli emigranti poi ricevettero parte dei proventi della vendita di questi prodotti. Ciò portò alla fine del boicottaggio della Germania e a un notevole aiuto finanziario per la sua economia che era ancora impantanata nelle riparazioni in seguito alla Prima Guerra Mondiale ed alla Grande Depressione. Come ha scritto Leon Rosselson:

Tra il 1933 e il 1939 il 60% di tutto il capitale investito nella Palestina ebraica proveniva dal denaro degli ebrei tedeschi attraverso l’accordo di trasferimento. Quindi durante gli anni ’30 il nazismo fu una manna per il sionismo.

Nel 1935 la Federazione Sionista Tedesca fu l’unica forza politica che appoggiò le leggi naziste di Norimberga nel Paese e fu l’unico partito a cui venne ancora concesso di pubblicare il proprio quotidiano, il “Rundschau” [La Rassegna], fin dopo la “Notte dei Cristalli” [in cui vennero aggrediti negozi, sedi di associazioni, sinagoghe e molti ebrei vennero feriti o uccisi, ndtr.] nel 1938.”

Le leggi di Norimberga tolsero la cittadinanza agli ebrei tedeschi e proibirono loro di sposarsi o avere rapporti sessuali con chiunque avesse sangue “tedesco o connesso”. La legge emarginò gli ebrei e li privò di buona parte dei loro diritti politici. Un ebreo venne definito come chiunque avesse tre o quattro nonni ebrei, indipendentemente dall’autoidentificazione di quella persona.

Nel 1933 la Federazione Sionista Tedesca, la “Zionistische Vereinigung fur Deutschland”, scrisse un appello ai nazisti:

Ci sia consentito di presentare la nostra opinione, che, secondo noi, rende possibile una soluzione in linea con i principi del nuovo Stato Tedesco di Risveglio Nazionale… perché anche noi siamo contrari ai matrimoni misti e siamo per il mantenimento della purezza del gruppo ebraico…Per questi scopi concreti il sionismo spera di essere in grado di conquistarsi la collaborazione persino di un governo fondamentalmente ostile agli ebrei… La propaganda per il boicottaggio, come viene attualmente portata avanti contro la Germania in molti modi, è essenzialmente non sionista, perché il sionismo non vuole combattere, ma convincere e costruire.”

Un’altra prova relativa ai rapporti dei nazisti con gli ebrei e ai loro piani di deportazione (prima della loro decisione del 1942 di procedere con lo sterminio totale) venne scritta dal capo delle SS, Reinhard Heydrich. Nel 1935 egli pubblicò una dichiarazione su una rivista delle SS. Francis Nicosia lo ha citato nel suo libro “The Third Reich and the Palestine Question” [Il Terzo Reich e la questione palestinese]:

Il nazional-socialismo non ha intenzione di attaccare il popolo ebraico in nessun modo. Al contrario, il riconoscimento dell’ebraismo come comunità razziale fondata sul sangue e non sulla religione, porta il governo tedesco a garantire la separazione razziale di questa comunità senza alcuna limitazione. Il governo si trova totalmente d’accordo con il grande movimento spirituale all’interno dello stesso ebraismo, il cosiddetto sionismo, con il suo riconoscimento della solidarietà dell’ebraismo in tutto il mondo e con il rifiuto di qualunque idea di assimilazione. Su queste basi la Germania intraprende misure che in futuro giocheranno sicuramente un ruolo significativo per la gestione del problema ebraico in tutto il mondo.” 

Cosa interessante, nel 1937 Adolf Eichmann, insieme al suo supervisore del servizio di intelligence del partito nazista, viaggiò nella Palestina mandataria travestito da giornalista tedesco per studiare la fattibilità della deportazione degli ebrei tedeschi nella regione e le funzioni delle organizzazioni sioniste all’interno della Palestina. Eichmann si incontrò segretamente anche con Feivel Polkes, un rappresentante dell’Haganah [principale gruppo paramilitare sionista affiliato alla fazione socialista, ndtr.] (che divenne l’esercito israeliano) per discutere il suo progetto. È importante ricordare che ad Eichmann interessava deportare gli ebrei nel modo più efficiente possibile, non appoggiare lo sviluppo di un forte Stato ebraico che potesse minacciare la fortuna economica della Germania nazista.

Nella sua recensione sul New York Times di “In Memory’s Kitchen: A Legacy From the Women of Terezin” [Nella cucina della memoria: un lascito delle donne di Terezin] Lore Dickstein cita il ricordo di una sopravvissuta a Terezin che incontrò Eichmann: “Anny Stern fu una delle fortunate. Nel 1939, dopo mesi di problemi con la burocrazia nazista, con l’esercito occupante tedesco alle calcagna, scappò dalla Cecoslovacchia con il figlioletto ed emigrò in Palestina. Al tempo della partenza di Anny, la politica nazista incoraggiava l’emigrazione. ‘Sei una sionista?’ le chiese Adolph Eichmann, lo specialista hitleriano di questioni ebraiche. ‘Jawohl [Sì in tedesco, ndtr.],’ rispose lei. ‘Bene’ egli disse, ‘anch’io sono un sionista. Voglio che ogni ebreo se ne vada in Palestina.’”

Informando sul processo Eichmann nel 1963 da Gerusalemme, Hannah Arendt scrisse che Eichmann si vantò del suo apprezzamento per il sionismo:

I primi contatti personali di Eichmann con funzionari ebrei, tutti ben noti sionisti di lunga data, sono stati totalmente soddisfacenti. La ragione per cui venne così affascinato dalla ‘questione ebraica’, ha spiegato, era il suo stesso ‘idealismo’: questi ebrei, a differenza degli assimilazionisti, che aveva sempre disprezzato, e degli ebrei ortodossi, che lo annoiavano, erano ‘idealisti’, come lui.”

Dopo la fondazione dello Stato di Israele nel 1948, Albert Einstein scrisse una lettera al New York Times riguardo alla visita negli USA di Menachem Begin, leader dell’“Irgun”, capo del partito della destra nazionalista “Herut” (che si trasformò nel Likud) e in seguito sesto premier israeliano:

Tra i più inquietanti fenomeni del nostro tempo c’è l’emergere nello Stato di Israele creato recentemente del “partito della Libertà” (Tnuat HaHerut), un partito politico affine ai partiti nazisti e fascisti nella sua organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nel richiamo sociale … Ha predicato un insieme di ultranazionalismo, misticismo religioso e superiorità razziale… è imperativo che la verità sul signor Begin e sul suo movimento sia resa nota in questo Paese.”

Amy Kaplan, nel suo importante libro del 2018 “Il nostro Israele americano”, ha notato che dopo la fine della guerra persino i non ebrei pensavano che i bambini di razza ebraica dell’Europa orientale fossero stati magicamente trasformati, anglicizzati, dall’esperienza di essere nati in Palestina. Bartley Crum era un cattolico progressista, avvocato per i diritti civili nato a San Francisco che faceva parte della Commissione Anglo-Americana incaricata di decidere il futuro di persone sfollate che languivano nei campi di raccolta dopo la guerra. Kaplan ha notato:

Crum scoprì una prova di questa trasformazione degli ebrei dell’Europa orientale in uno ‘strano fenomeno’ che rendeva i loro figli cresciuti in Palestina non solo più forti per il fatto di aver lavorato la terra, ma anche più bianchi e più occidentali dei loro genitori: ‘Molti dei bambini ebrei che ho visto erano biondi e con gli occhi azzurri, una mutazione di massa che, mi è stato detto, dev’essere ancora adeguatamente spiegata. È ancora più significativa perché la maggioranza degli ebrei di Palestina è originaria dell’Europa orientale, tradizionalmente con capelli e occhi scuri. Si potrebbe quasi affermare che in Palestina sia stato creato un nuovo popolo ebraico: in stragrande maggioranza una spanna più alto dei padri, persone robuste, più un ritorno ai contadini e pescatori dei giorni di Cristo che prodotto dei figli e delle figlie delle città dell’Europa centro-orientale.” [p. 31].

Un altro membro della Commissione Anglo-Americana, James McDonald, visitò una sinagoga a Gerusalemme e:

“…egli venne “ancora una volta colpito dalla varietà di volti dei ragazzi. ‘Se non avessi saputo dove mi trovavo, o non avessi sentito parole in ebraico, avrei giurato che la maggior parte di loro fosse irlandese, scandinava o scozzese, o comunque della normale mescolanza del Middle West americano. Solo qui e là c’era un volto anche lontanamente somigliante al ‘tipo ebreo’.’ Concluse che i giovani ebrei di Israele non avevano un ‘tipo razziale’ particolare.’” [p.32].

Nel 1951 Kenneth Bilby, giornalista, notò, osservando i bambini di un kibbutz:

Erano persino ben fatti, robusti, i capelli schiariti dal sole. Avrei sfidato un qualunque antropologo a mescolare questi bambini con una folla di giovani britannici, americani, tedeschi e scandinavi e poi separare gli ebrei.’ Li vedeva come diventati diversi ‘dai loro cugini semiti del mondo arabo’. Agli occhi di questi visitatori, mentre gli ebrei europei diventavano più bianchi e più civilizzati, gli arabi tra i quali si erano insediati apparivano più scuri e più primitivi.” [32].

In Israele c’è sempre stata una gerarchia razziale fondata sulla supremazia bianca ed etnocentrica. Gli ashkenaziti [lett. tedeschi, ebrei di origine europea, ndtr.] hanno discriminato i mizrahi [orientali, originari dei Paesi arabi o musulmani, ndtr.] e gli ebrei di colore, e i palestinesi hanno affrontato l’intolleranza più estrema, seguiti solo di recente dai richiedenti asilo africani.

Anche dei leader religiosi reazionari hanno sposato atteggiamenti razzisti. Un primo esempio di ciò è il rabbino Ovadia Yosef, il leader spirituale del partito Shas [partito religioso degli ebrei ultraortodossi mizrahi, ndtr.], che ha equiparato gli arabi a “serpenti” ed ha chiesto il loro “annientamento”. Questo tipo di atteggiamenti è stato prevalente nei movimenti di colonizzazione più di destra come “Gush Emunim”, Tehiya, Unione Nazionale e Mafdal, che rappresentano un messianismo ebraico mischiato a odio e disprezzo per i nativi palestinesi.

Quindi, perché è importante esplorare questa storia complicata e scomoda? Sosterrei che, in primo luogo, in questa epoca in cui l’epiteto di antisemita è scagliato abbastanza a casaccio contro chiunque abbia atteggiamenti critici verso Israele, dobbiamo essere onesti sulle basi fondative del sionismo e sui suoi rapporti con il vero antisemitismo. Risulta che i primi sionisti, sia della sinistra socialista che della destra fascista, avevano atteggiamenti che erano chiaramente antisemiti. Questo può essere stato cinico e amorale, ma penso che vada ben oltre un matrimonio di convenienza.

Se capiamo le radici della dirigenza israeliana possiamo comprendere meglio gli atteggiamenti e le politiche dei successivi governi israeliani che ci hanno portato fino all’attuale regime. Mentre l’Irgun rimase minoritario e non prese il controllo fino al 1977 con Menachem Begin, seguito da Yitzhak Shamir, esso era una forza potente nella Palestina prima del 1948 [anno della nascita di Israele, ndtr.], assassinando dirigenti inglesi e negoziatori internazionali come il conte Bernadotte [inviato svedese dell’ONU per mediare il conflitto tra sionisti ed arabi, ndtr.] e infliggendo attacchi terroristici ai nativi palestinesi, come nel caso del massacro di Deir Yassin.

Anche l’Haganah e il Palmach [le due principali milizie sioniste, della fazione socialista, ndtr.] (che in seguito diventarono il fulcro dell’esercito israeliano) erano gruppi paramilitari attivi nella Palestina prima del 1948. Penso alla famosa citazione di Moshe Dayan che si unì all’Haganah all’età di 14 anni e divenne un celebre leader militare e politico:

Siamo una generazione di coloni e senza l’elmetto di ferro e la canna del fucile non saremmo stati in grado né di piantare un albero né di costruire una casa… Non si abbia paura di vedere l’odio che ha accompagnato e consumato le vite di centinaia di migliaia di arabi che ci circondano, aspettando il momento in cui le loro mani riusciranno a raggiungere il nostro sangue.” (dal libro di Ronen Bergman “Rise and Kill First” [Alzati e uccidi per primo], pp. 128-129).

Questa è la voce combattiva dell’ebreo nuovo, l’ebreo rinato nella lotta per colonizzare e creare Israele dalla Palestina. Non è una voce interessata al negoziato, alla tolleranza, alla democrazia o al rispetto della narrazione o origine altrui. La storia politica ha creato le norme sociali e culturali che vediamo oggi. Gli Usa stanno affrontando una discussione nazionale sulle contraddizioni tra la nostra mitologia, il sogno americano di giustizia, uguaglianza e libertà per tutti, e il fatto che i nostri eroi nazionali erano proprietari di schiavi e in realtà avevano progetti solo per i proprietari terrieri bianchi. Le loro esperienze di vita e i loro atteggiamenti furono alla base delle norme culturali che hanno caratterizzato gli aspetti più vergognosi della storia degli USA: distruggere i popoli nativi, schiavizzare africani, essere proprietari dei loro figli, Jim Crow [leggi non scritte del Sud segregazionista, ndtr.], emarginare, fare discriminazioni nelle opportunità per trovare lavoro con la legge sui veterani di guerra, leggi contro i matrimoni misti, nazionalismo bianco, il costante fanatismo e il razzismo istituzionali che sono ancora un grave ostacolo nel XXI secolo. Questo tipo di discorso onesto e penoso è fondamentale se vogliamo far prendere una direzione più positiva alla nostra cosiddetta democrazia. Suggerirei che gli israeliani dovrebbero discutere dell’origine della loro Nazione, e per lo più non lo fanno. Ciò non lascia ben sperare.

Il ceppo della politica di Jabotinsky, repressivo, antidemocratico e in certo modo profondamente odiatore di se stesso ed escludente, è una forma di maschilismo nazionalista tossico. È anche un’ideologia fondante del moderno sionismo, un misto di mentalità da bunker, islamofobia e darwinismo sociale. Questo tipo di politica fornisce un contesto storico al razzismo degli ebrei ashkenaziti nei confronti degli ebrei di colore, dei mizrahi, dei palestinesi e dei richiedenti asilo africani. Questo tipo di politica rende possibili un’occupazione aggressiva e de-umanizzante e un movimento di colonizzazione, in cui la volontà di uccidere, ferire e incarcerare palestinesi e i loro figli è vista come indispensabile, senza rimorsi, per la sopravvivenza, in cui aggredire “l’altro” come se fosse uno scarafaggio e subumano è tollerato e applaudito dai dirigenti politici, in cui bombardare periodicamente e strangolare due milioni di gazawi, creare una impossibile catastrofe umanitaria è solo parte di “falciare il prato” . 

Quest’ultima espressione si riferisce alla cinica strategia militare israeliana vista nelle ultime tre guerre contro Gaza e nella Seconda Guerra del Libano, che comporta ripetute operazioni su larga scala, ma limitate, così come attacchi più ridotti intesi a schiacciare l’avversario, demolendo la dirigenza e le infrastrutture e costruendo deterrenza. Questa guerra di logoramento non ha un chiaro punto finale, è in sé una politica estera caratterizzata dall’uso di una forza estrema per indebolire Hamas ed Hezbollah, con un rischio minimo per i soldati israeliani, ma senza l’eliminazione totale del nemico, necessaria per controllare attori ancora più estremisti nella regione.

Proprio come ora so che l’espulsione e l’occupazione che iniziarono nel 1967 e continuano fino ai giorni nostri sono la continuazione di un processo che iniziò molto prima del 1948 – la Nakba, o catastrofe, è in corso -, le politiche fascistoidi del governo israeliano sono radicate nella storia della creazione dello Stato. Allo stesso modo l’abbraccio tra gli israeliani e i cristiano-sionisti (i cui progetti per gli ebrei sono la conversione o una morte atroce) dopo il 1967 rispecchia i rapporti amichevoli che i sionisti hanno avuto con i dirigenti antisemiti in Germania e in Italia. E in modo simile lo stretto legame di Israele con i cristiano-sionisti e con regimi oppressivi, dal Sudafrica bianco all’Arabia Saudita, così come la passione di Israele per il nostro presidente-padrone e antisemita, è parte dello stesso vecchio modello di unire le forze con governi razzisti e autoritari.

Come si è detto spesso, se non conosciamo la nostra storia siamo destinati e condannati a ripeterla.

Alice Rothchild è dottoressa, scrittrice e regista che dal 1997 ha concentrato il proprio interesse sui diritti umani e sulla giustizia sociale nel conflitto israelo/palestinese. Ha fatto la ginecologa per circa 40 anni. Fino alla pensione ha lavorato come assistente universitaria in ostetricia e ginecologia nella facoltà di medicina di Harvard. Scrive e tiene conferenze ad ampio raggio ed è l’autrice di “Broken Promises, Broken Dreams: Stories of Jewish and Palestinian Trauma and Resilience” [Promesse non mantenute, sogni infranti: storie di traumi e restitenza di ebrei e palestinesi], “On the Brink: Israel and Palestine on the Eve of the 2014 Gaza Invasion” [Sull’orlo: Israele e Palestina al tempo dell’invasione di Gaza nel 2014], e di “Condition Critical: Life and Death in Israel/Palestine” [Una condizione critica: vita e morte in Israele/Palestina]. Ha diretto un documentario, “Voices Across the Divide” [Voci al di là delle divisioni] ed è attiva in “Jewish Voice for Peace” [Voce ebraica per la pace, gruppo USA di ebrei antisionisti, ndtr.].

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)