Paura e ansia mentre Gaza sotto assedio conferma i primi 2 casi di coronavirus

Disinfestazione al mercato di Gaza City Adel Hana/The Associated Press
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Farah Najjar e Maram Humaid

22 marzo 2020 – Al Jazeera

Le autorità dell’enclave costiera hanno chiuso ristoranti e caffè, mentre sono state sospese anche le preghiere del venerdì.

Funzionari palestinesi hanno annunciato i primi due casi di COVID-19, la malattia causata dal nuovo coronavirus, nella Striscia di Gaza assediata.

Il vice ministro della Sanità Youssef Abulreesh ha dichiarato sabato scorso che i due pazienti palestinesi sono tornati dal Pakistan attraverso il varco di Rafah tra Gaza e il vicino Egitto.

Durante una conferenza stampa Abulreesh ha detto che la coppia mostrava i sintomi della malattia, che comprendono tosse secca e febbre alta.

Ha aggiunto che al loro arrivo i due sono stati messi in quarantena e che ora si trovano in un ospedale da campo nella città di confine di Rafah, nella parte meridionale della Striscia di Gaza.

Abulreesh ha esortato i quasi due milioni di residenti di Gaza a prendere misure precauzionali e a mettere in atto il distanziamento sociale rimanendo a casa, nel tentativo di arrestare la potenziale diffusione del virus.

Le autorità di Gaza, che è governata dall’organizzazione di Hamas, hanno deciso di chiudere i ristoranti, i caffè e le sale di ricevimento dell’enclave. Anche le preghiere del venerdì nelle moschee sono state sospese fino a nuovo avviso.

Nel frattempo il Coordinamento delle attività governative nei territori (COGAT), un’unità militare israeliana responsabile per le questioni civili nei territori occupati, ha annunciato che domenica, tutti i punti di accesso verso Israele da Gaza e dalla Cisgiordania occupata sono stati chiusi.

“I commercianti, i lavoratori e gli altri titolari di permesso non potranno entrare attraverso i valichi fino a nuovo avviso”, ha detto il COGAT sulla sua pagina Twitter, aggiungendo che alcune eccezioni possono applicarsi a infermieri e operatori sanitari, nonché in caso di situazioni sanitarie eccezionali.

I palestinesi sostengono che i permessi di accesso sono difficili da ottenere, anche per coloro che hanno un motivo sanitario o umanitario, poiché ogni domanda è accompagnata da un lungo processo burocratico, di solito con il pretesto del nulla osta da parte della sicurezza.

‘Abbiamo molta paura’

Il 15 marzo le autorità di Gaza hanno introdotto misure per collocare gli abitanti in arrivo nei centri di quarantena.

Ad oggi, secondo un rapporto pubblicato sabato dal ministero della salute dell’Autorità Nazionale Palestinese, ci sono 20 strutture apposite nel sud di Gaza, tra cui scuole, hotel e strutture mediche, che ospitano più di 1.200 persone.

I centri per la quarantena si trovano a Rafah, Deir al-Balah e nella città meridionale di Khan Younis. Secondo il rapporto, almeno altri 2.000 rimpatriati si sono auto-isolati nelle proprie case, prima che venissero implementate, la scorsa settimana, le procedure di quarantena obbligatoria.

Um Mohammed Khalil è tra coloro che sono stati messi in quarantena a Rafah.

La 49 enne, tornata da una breve visita in Egitto la scorsa settimana, era tra le 50 persone trasportate in autobus in una scuola con “bassi standard di igiene”, dove le camere singole condivise da sette persone.

Khalil racconta ad Al Jazeera che la notizia dei primi due casi positivi ha suscitato paura e ansia tra coloro che si trovano in quarantena nella scuola.

“Avevamo paura che tra noi ci fossero persone affette dal contagio”, afferma, “motivo per cui, soprattutto, abbiamo chiesto un miglioramento delle condizioni di quarantena”.

” Da questa mattina le nostre famiglie sono in contatto con noi e anche loro sono seriamente preoccupate. Gaza ha subito molte guerre e crisi, ma come può sostenere questa pandemia?” dice. “Abbiamo molta paura”.

Gaza sotto assedio

Il sistema sanitario di Gaza è in rovina e i suoi abitanti, martoriati dalla guerra, sono particolarmente vulnerabili poiché hanno vissuto sotto un assedio israelo-egiziano per quasi 13 anni.

Il blocco aereo, terrestre e marittimo ha limitato l’ingresso di risorse essenziali come attrezzature sanitarie, medicinali e materiali da costruzione.

Dal 2007 Gaza ha subito tre attacchi israeliani che hanno provocato la distruzione di infrastrutture civili, tra cui strutture sanitarie e una centrale elettrica.

Le case, gli uffici e gli ospedali di Gaza ricevono una media di 4-6 ore di elettricità al giorno.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha avvertito che il sistema sanitario di Gaza non sarebbe in grado di affrontare un’epidemia, dato che gli ospedali della Striscia sono sovraffollati e con risorse insufficienti.

Ayman al-Halabi, un medico dei laboratori gestiti dal ministero della Salute di Gaza, fa parte di un team di medici responsabili dei test sui campioni in arrivo.

“La routine di due settimane fa”, dice al-Halabi ad Al Jazeera, “consisteva nella raccolta dei campioni dai rimpatriati al confine di Rafah, sottoposti a un test basato sulla reazione a catena della polimerasi (PCR), il test di scelta utilizzato per diagnosticare COVID-19”.

Al Halabi aggiunge che attualmente vengono sottoposte al test altre centinaia di campioni di persone che potrebbero essere venute a contatto con i primi due pazienti.

Riferendosi alle limitate risorse di Gaza, al-Halabi dichiara: “Affrontare questa pandemia sarà estremamente impegnativo.

Se stanno avendo difficoltà i Paesi più grandi e potenti, in che modo Gaza dovrebbe farcela?”

‘La fine del mondo’

Secondo i dati raccolti dalla Johns Hopkins University, negli Stati Uniti, a livello mondiale sono risultate positive alla malattia altamente infettiva oltre 300.000 persone. Più di 13.000 persone sono morte a causa del virus, mentre circa 92.000 sono guarite.

Con l’incombente minaccia di un focolaio, molti sostengono che il virus potrebbe essere l’ultima goccia per gli esausti abitanti di Gaza.

Amira al-Dremly sapeva che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che il virus raggiungesse Gaza.

Ma la notizia che sabato due persone sono risultate positive è stato percepita come “la fine del mondo”, afferma al-Dremly ad Al Jazeera.

“La più grande paura”, sostiene la 34enne “è che le risorse disponibili a Gaza non bastino ad opporre una resistenza temporanea [nei confronti della diffusione del virus]”.

“Ho molta paura per i miei figli. Sto prendendo misure per educarli sulla sterilizzazione e li ho ammoniti a non uscire di casa”, dice questa madre di quattro figli.

“Ma gli effetti psicologici sono pesanti, la mia famiglia e tutti intorno a me sono molto disorientati da questa notizia”, aggiunge.

Gaza, una delle aree più densamente popolate del mondo, ospita alcuni dei più grandi campi profughi palestinesi e al-Dremly fa notare che il distanziamento sociale è qualcosa che è “più facile a dirsi che a farsi”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)