Una “rivoluzione stradale”: i coloni fanno pressione su Israele perché espanda le infrastrutture della Cisgiordania

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Meron Rapoport

27 agosto 2020 – + 972 Magazine

L’Alta Corte israeliana ha stabilito che la strada 935 “danneggerebbe in misura sproporzionata” le proprietà palestinesi. Ciò non impedisce al governo di riprenderne la costruzione.

Il ministero dei Trasporti israeliano ha recentemente intrapreso il progetto di una nuova strada per i coloni allo scopo di accorciare la distanza tra Ramallah ovest nella Cisgiordania occupata e Gerusalemme.

Secondo i coloni della zona, la strada 935 consentirà la creazione di un blocco con 100.000 coloni ebrei in una “posizione strategica” a nord di Gerusalemme. In realtà la strada rinchiuderà tra blocchi di insediamenti israeliani l’intera area urbana di Ramallah, che ha una popolazione di 200.000 palestinesi.

La strada dovrebbe passare attraverso terreni privati palestinesi a ovest di Ramallah, anche se l’Alta Corte israeliana aveva precedentemente stabilito che la sua costruzione avrebbe arrecato “danni sproporzionati” alle proprietà palestinesi.

La strada 935 dovrebbe collegare il cosiddetto “raccordo a ferro di cavallo”, vicino all’insediamento coloniale di Dolev e al villaggio palestinese di Deir Ibzi’, alla strada 443 nei dintorni del villaggio di Beit Ur a-Fauqa e della colonia di Beit Horon. Il suo percorso è particolarmente critico, poiché dovrebbe intersecarsi con la strada principale che collega Ramallah alle zone occidentali della Cisgiordania. Inoltre, passerebbe anche attraverso aree che, secondo una mappa contenuta nel piano per il Medio Oriente del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, sarebbero situate nei territori che dovrebbero diventare parte del futuro Stato palestinese.

Per cui, se la strada venisse realizzata, lo “Stato” palestinese proposto nel piano, che risulta già piccolo e diviso, si restringerà e si frammenterà ulteriormente.

La strada dovrebbe favorire i coloni nel blocco degli insediamenti di Dolev-Talmonim. Oggi circa 10.000 coloni vivono in questa sorta di enclave, che separa le città palestinesi di Ramallah e Beitunia dalle zone occidentali della Cisgiordania.

All’inizio della Seconda Intifada un posto di controllo venne spostato dall’ingresso di Talmonim ad una strada principale utilizzata anche dagli abitanti palestinesi dell’area, bloccando così l’accesso a decine di migliaia di dunam [unità di misura terriera adottata a partire dall’età ottomana: un dunum = 0,1 ettaro, ndtr.] di terra palestinese privata tra gli insediamenti coloniali rispettivamente di Dolev, Nahliel e Halamish, a circa 10 miglia a nord.

Secondo Dror Etkes di Kerem Navot, una ONG israeliana che monitora l’organizzazione degli insediamenti coloniali nei territori occupati, i proprietari terrieri palestinesi possono visitare la loro terra solo pochi giorni all’anno previo accordo e scortati dall’esercito.

In effetti, mentre guidavo la scorsa settimana lungo un tratto di 10 chilometri di questa strada, non ho visto una sola macchina palestinese. Gli ulivi e gli alberi da frutto lungo la strada apparivano chiaramente trascurati rispetto agli oliveti ben curati vicini ai villaggi palestinesi.

Fino alla prima Intifada, alla fine degli anni ’80, i coloni che vivevano nella zona si recavano a Gerusalemme via Ramallah e Beitunia, circa 20 minuti di auto.

Dopo l’Intifada, e ancor di più dopo gli accordi di Oslo e la designazione di Beitunia e Ramallah come facenti parte dell’Area A (sotto il pieno controllo dell’Autorità Palestinese), i coloni dell’area di Dolev-Talmonim che vogliono raggiungere Gerusalemme devono viaggiare verso ovest fino all’incrocio di Shilat prima di prendere la strada 443, un viaggio che, senza traffico, può richiedere più di un’ora.

La terra resta in abbandono

Già a metà degli anni ’90 i coloni della zona iniziarono a fare pressioni per una tangenziale che li collegasse direttamente alla strada 443 e abbreviasse il viaggio verso Gerusalemme di oltre mezz’ora.

La loro richiesta fu accolta e, per spianare la strada, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, circa 60 ettari di terra palestinese furono espropriati a Deir Ibzi’, Ein Arik e Beitunia. Furono iniziati i lavori su un tratto di strada lungo circa un chilometro e mezzo vicino a Deir Ibzi’, ma con l’intensificarsi della violenza durante la Seconda Intifada – la parte meridionale del percorso avrebbe dovuto passare molto vicino alla città palestinese di Beitunia – i lavori vennero bloccati.

Nel 2007, sotto la guida di Adi Mintz, un residente di Dolev ed ex membro anziano del Consiglio di Yesha – il braccio politico e lobbistico degli insediamenti coloniali della Cisgiordania – alcuni coloni ebrei della zona presentarono una petizione all’Alta Corte israeliana perché venisse completata la costruzione della strada.

Nella petizione i coloni affermavano di essere stati “discriminati” rispetto ai palestinesi della zona, per i quali, nell’ambito della costruzione del muro di separazione nell’area, Israele aveva aperto una rete alternativa di strade “di sicurezza”, che collegano i palestinesi a Ramallah. I coloni inoltre sostenevano che, poiché il viaggio in auto verso Gerusalemme può richiedere al mattino fino a due ore a causa del traffico, ciò riduce il valore delle loro proprietà e “vengono violati i loro diritti di proprietà“.

Lo Stato si oppose alla petizione, sostenendo che dal punto di vista della sicurezza sarebbe stato molto difficile proteggere la strada, che avrebbe attraversato un’area palestinese densamente popolata. Lo Stato affermò anche che la realizzazione della strada avrebbe comportato problemi sia di pianificazione che archeologici, poiché avrebbe attraversato due importanti siti archeologici risalenti al periodo del Secondo Tempio (516 a.C.-70 d.C.).

Lo Stato sostenne inoltre che la realizzazione della strada “comporta l’espropriazione di terreni privati [palestinesi] in un modo che danneggia in misura sproporzionata le loro proprietà“.

Infine, nel 2009 tre giudici dell’Alta Corte israeliana respinsero la petizione evitando di interferire con la decisione dello Stato di non realizzare la strada. Il giudice Asher Grunis dichiarò nella sua decisione che “il danno causato ai palestinesi sarebbe particolarmente grave poiché si presume che, una volta realizzata, la strada verrebbe utilizzata dai residenti israeliani”.

Nel 2012, l’Alta Corte si rivolse all’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din, che rappresentava i palestinesi le cui terre erano state espropriate e, con una decisione insolita, decise di revocare l’esproprio e restituire la terra ai legittimi proprietari.

Eppure i primi tratti della strada, che erano già stati realizzati sul loro terreno, non vennero ricoperti. Nel corso di un’ispezione dell’area fatta la scorsa settimana è emerso che i contadini palestinesi non sono tornati a coltivare quegli appezzamenti. I coloni utilizzano la strada sterrata già tracciata per raggiungere la sorgente di Ein Bubin.

I coloni non si sono arresi e hanno continuato a chiedere la creazione di una strada che li connetta all’autostrada 443 e abbrevi il loro viaggio verso Gerusalemme e Tel Aviv.

Nel febbraio 2018, nel corso di una riunione della sottocommissione della Knesset per la Giudea e la Samaria, Mintz ha affermato che gli accordi di Oslo avrebbero “imprigionato” i coloni nell’area di Gush Dolev-Talmonim e che recarsi al lavoro la mattina sarebbe diventato un “incubo indescrivibile”, costringendoli ad alzarsi ancora prima.

“Annessione nella pratica”

Negli ultimi mesi, il Ministero dei Trasporti e della Sicurezza Stradale ha deciso di porre fine a quell’incubo. Secondo Mintz, egli sarebbe riuscito a convincere il governo a riprendere il progetto. “Siamo in fasi avanzate di progettazione”, ha detto Mintz. “Questa è la mia creatura.”

L’attuale lunghezza del percorso proposto è di sole quattro miglia, ma un’ispezione svolta la scorsa settimana nell’area ne ha rivelato le difficoltà. La strada dovrebbe attraversare almeno tre crinali piuttosto ripidi, così come la strada principale tra Ramallah e le aree della Cisgiordania tra Ein Arik e Dir Ibzi’. Intanto esperti nel settore ambientale hanno espresso preoccupazione per i gravi danni all’ambiente circostante.

Mintz comunque afferma che la strada “non è né complicata né costosa”, e ritiene che il progetto sarà completato entro quattro anni. Tuttavia si è rifiutato di entrare nei dettagli su quanto costerà esattamente la strada. Nella riunione della sottocommissione della Knesset Mintz ha detto che c’è anche la possibilità di realizzare un “ponte e un tunnel” che ridurranno notevolmente i tempi di percorrenza.

Sembra che il Ministero dei Trasporti non abbia ancora trovato soluzioni per i problemi topografici, l’espropriazione della terra e le disposizioni sul traffico per i palestinesi.

Mintz non fa mistero del fatto che il suo obiettivo è utilizzare la strada per sviluppare l’area, che attualmente è scarsamente abitata da coloni, in particolare se paragonata ad altre zone intorno a Gerusalemme. “Qui c’è spazio per 100.000 persone, è territorio dello Stato”, ha detto.

Secondo Mintz esisterebbe già un piano regolatore per 15.000 famiglie. “Questa strada è fondamentale perché la nostra posizione è strategica. Siamo l’immagine speculare di Gush Etzion (blocco di insediamenti coloniali). Proprio come Gush Etzion si collega al corridoio di Gerusalemme dal sud (della Cisgiordania), noi saremo in grado di connetterci all’area di Gerusalemme da nord.”

Se l’idea di Mintz si avverasse, il progetto della destra israeliana di una “Grande Gerusalemme” inizierebbe dall’insediamento coloniale di Nahliel, a circa nove miglia a nord-ovest della città, e finirebbe con la colonia di Efrat, nove miglia a sud-ovest di Gerusalemme.

Mintz non è preoccupato dal fatto che la strada dovrebbe passare all’interno di aree destinate, secondo il piano di Trump, a far parte di uno Stato palestinese. Crede che l’accordo con gli Emirati Arabi Uniti abbia reso irrilevante il “piano del secolo” e in ogni caso, ha aggiunto, “i funzionari israeliani hanno presentato agli americani una mappa in base alla quale la questione è stata risolta”, il che implica che l’area in cui passerebbe la strada rimarrà sotto controllo israeliano.

Mintz ha affermato che anche i palestinesi “godranno” delle strade, poiché potranno raggiungere i villaggi vicini alla strada 443. Tuttavia i palestinesi di Ein Arik hanno detto che realizzare una strada proprio sulla loro terra porterebbe a una dura resistenza. “Morirò sulla mia terra”, ha detto un abitante del villaggio.

Etkes, di Kerem Navot, vede la decisione di attuare il piano come parte di un più ampio progetto infrastrutturale inteso a favorire i coloni israeliani nella Cisgiordania occupata come non abbiamo più visto dai tempi degli accordi di Oslo a metà anni 90.

Secondo Etkes, “questi progetti infrastrutturali sono destinati a servire come la base su cui Israele intende insediare centinaia di migliaia di cittadini ebrei nei prossimi decenni. La vera storia dell’apartheid israeliano in Cisgiordania non è l’annessione formale, che non si è concretizzata nonostante le promesse, ma l’annessione nella pratica, che è continuata per 53 anni e ora sta battendo ogni record”.

Il Consiglio regionale di Mateh Binyamin [che governa 46 colonie e avamposti israeliani nella Cisgiordania centro-settentrionale, ndtr.] ha dichiarato a +972 che il piano fa parte della “rivoluzione stradale” che ha promosso per “sviluppare l’intera regione e compensare gli anni in cui lo Stato ha trascurato la pianificazione stradale a Binyamin, Giudea e Samaria [cioè in Cisgiordania, ndtr.] in generale.” Le strade favoriranno “tutti gli abitanti della zona, inclusi gli arabi, e ridurranno notevolmente i tempi di percorrenza”, ha aggiunto il consiglio.

In una dichiarazione rilasciata a +972, il ministero dei Trasporti ha affermato che “la decisione relativa alla strada 935 è stata presa nel corso di un incontro con il consiglio regionale di Mateh Binyamin, con l’obiettivo di fornire una soluzione sul piano dei trasporti al problema dei collegamenti delle comunità di Talmon e Beit Horon. La strada è attualmente nella fase di progettazione iniziale”.

Meron Rapoport è un redattore di Local Call [versione in ebraico di +972, ndtr.]

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)