Sheikh Jarrah microcosmo della Palestina

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Sheikh Jarrah è un microcosmo della questione palestinese

Jamal Kanj

21 maggio 2021 – Middle East Monitor

I racconti sulla diaspora palestinese coprono una vasta casistica. Sheikh Jarrah è la storia delle famiglie palestinesi in un quartiere di Gerusalemme Est sotto l’occupazione israeliana.

Invece la mia diaspora parte da una famiglia di pastori di pecore e agricoltori della Galilea cacciati nel 1948 in un campo profughi del nord del Libano a cui fu impedito di tornare alle loro case. Per un caso fortunato, sono finito a vivere negli Stati Uniti e sono diventato un ingegnere civile iscritto [all’ordine] nello Stato della California.

Con l’esperienza di essere cresciuto come un rifugiato apolide, posso ben comprendere la disgrazia che la minaccia di espulsione fa pesare sulle famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah.

La lotta per il quartiere di Sheikh Jarrah è un microcosmo della questione palestinese. Mentre la guerra e la paura furono i principali strumenti israeliani per scacciare i miei genitori e più di 700.000 palestinesi dalle loro città e villaggi nel 1948, le attuali politiche israeliane usano trucchi legali per cambiare la composizione demografica delle comunità palestinesi, come nel caso di Sheikh Jarrah.

Sheikh Jarrah, situata a poco più di un chilometro a nord della Città Vecchia, prende il nome  dal medico del Saladino: Jarrah in arabo significa chirurgo. La comunità, originariamente costruita intorno alla tomba del chirurgo risalente al XIII° secolo, crebbe sino diventare tra le prime e più ricche comunità di cristiani e musulmani palestinesi al di fuori delle mura della Città Vecchia. Dopo la guerra del 1948, Sheikh Jarrah si espanse con l’arrivo di rifugiati palestinesi espulsi dal quartiere  Talbiya nella Gerusalemme occidentale occupata e da altre località.

Dal momento dell’occupazione di Gerusalemme Est nel 1967, diversi governi israeliani e amministrazioni comunali hanno usato pressioni, tribunali e violenza per sradicare i nativi di Gerusalemme  dalle  loro  case.

Un esempio calzante: nel 2001 coloni ebrei israeliani occuparono con la forza una parte della casa della famiglia Al-Kurd, sostenendo che durante l’era dell’Impero Ottomano la terra era di proprietà di  ebrei.  Invece di rimuovere gli intrusi, i tribunali israeliani assegnarono la casa a coloni ebrei. Gli Al- Kurd  divennero inquilini – nella loro stessa casa – e fu loro ordinato di pagare l’affitto agli intrusi.  Quando il  proprietario della casa si rifiutò di pagare l’affitto ai coloni estremisti, i tribunali israeliani dichiararono che la famiglia era insolvente e la costrinsero a lasciare quella che per 52 anni era stata la sua casa.

Muhammad Al- Kurd, il capo della famiglia, morì meno di due settimane dopo essere stato espulso  dalla sua casa per la seconda volta. La prima era stata nel 1948 dalla città di Haifa e la seconda fu, appunto, nel 2008.  Sua moglie, Fawzieh Al- Kurd, sconvolta, all’epoca cinquantaseienne, si piazzò  in una tenda fuori della sua casa per protestare contro questa espulsione.

Gli Al- Kurd non furono i primi palestinesi a perdere la loro casa a Sheikh Jarrah e non saranno gli ultimi. Nel 2002, Israele ha espulso con la forza 43 palestinesi dalle loro case per lasciarle a coloni  israeliani. Nell’agosto 2009, anche le famiglie palestinesi Al- Hanoun e Al- Ghaw hanno perso le loro case cedute a coloni estremisti. Nel 2017, la famiglia Shamasneh ha incontrato un destino analogo.

Oggi 500 palestinesi di Sheikh Jarrah sono a rischio di espropriazione a causa dell’ingiunzione di sgombrare le loro case da parte di un tribunale israeliano di primo grado. Poiché i palestinesi  hanno  poche o nessuna possibilità nel sistema legale israeliano,  la protesta pubblica  è l’unica  risorsa  rimasta loro per pubblicizzare l’ingiustizia e impedire al governo israeliano di privarli di nuovo della loro casa.

Le decisioni del tribunale israeliano sulle proprietà immobiliari a Sheikh Jarrah rendono evidente lo sfacciato carattere discriminatorio delle leggi nei confronti dei non ebrei nello Stato di Israele.  Ad esempio, la contestata pretesa dei coloni alla proprietà dei terreni non è basata sul diritto  di  qualsiasi individuo a esigere la sua legittima eredità, ma piuttosto su una pretesa di carattere religioso basata su un atto di proprietà fasullo vecchio di centocinquant’anni.

Quegli stessi tribunali, però, non riconoscono gli stessi diritti alle famiglie Al- Kurd, Al- Hanoun, Al- Ghaw e Shamasneh o agli altri 500 palestinesi a Sheikh Jarrah che sono in possesso di atti di proprietà di terreni e case a Gerusalemme Ovest e Haifa. In Israele solo gli ebrei possono reclamare le proprietà. I palestinesi, musulmani e cristiani, che vivono a Gerusalemme est sono considerati  “proprietari assenteisti” giuridicamente impossibilitati a rivendicare le case da cui sono stati sfrattati con la forza 70 anni prima.

Quando gli è stata posta una domanda sulle leggi che permettono agli ebrei, ma non ai palestinesi, di reclamare le proprietà, l’attuale vice-sindaco di Gerusalemme, Fleur Hassan-Nahoum, ha risposto: “Questa è una Nazione ebraica”. Come riportato dal New York Times all’inizio di questo mese, ha  aggiunto, “È ovvio che vi siano leggi che qualcuno può ritenere a favore degli ebrei: siamo uno Stato ebraico, costituito appositamente per proteggere il popolo ebraico.”

Il vice sindaco di Gerusalemme ha involontariamente rivelato il razzismo istituzionale su cui si basa il sistema gerarchico di Israele che favorisce un gruppo a scapito di tutti gli altri.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale del Middle East Monitor.

 

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)

 

 

 

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