Israele fa marcire il cibo di Gaza

Le melanzane invendute che marciscono sulla pianta. Foto di Abdallah al-Naami
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Abdallah al-Naami

20 luglio 2021 The Electronic Intifada

Suhaila al-Louh soffre alla vista del suo vivaio. “Ogni volta che ci vado muore una parte di me,” dice.

Durante gli attacchi di maggio contro Gaza Israele ha ripetutamente bombardato il suo vivaio – situato vicino alla città di Beit Lahiya. Le piantine di pomodori, cetrioli, peperoni e patate piantate da Suhaila e dalla sua squadra sono andate distrutte, così come le serre e l’impianto di irrigazione.

I bombardamenti hanno inoltre riportato alla memoria ricordi estremamente dolorosi. Israele uccise Khader, il marito di Suhaila, nel luglio 2014, quando colpì Gaza con un altro massiccio attacco.

Il mantenimento di otto familiari di Suhaila dipende dal modesto reddito derivante dalle sue coltivazioni.

Dopo che Israele ha bombardato il suo vivaio la prima volta a maggio, Suhaila è andata a controllare con i figli e le nuore. “Abbiamo provato a recuperare qualcosa che non fosse stato danneggiato,” dice. “Ma non siamo riusciti a trovare niente.”

“Ho 60 anni,” aggiunge. “Ho investito tutto quel che potevo per sviluppare l’attività. E in un battibaleno tutto è andato distrutto.”

Anche se quasi tutte le immagini arrivate da Gaza al resto del mondo si concentravano sulle aree urbane prese di mira da Israele, non si deve trascurare la triste situazione degli agricoltori.

Condizioni assurde

Un recente rapporto dell’Unione Europea, la Banca Mondiale e le Nazioni Unite stima che le aziende agricole e le imprese dipendenti dall’agricoltura abbiano subito danni che ammontano fino a 45 milioni di dollari [38,23 milioni di euro].

Il ministero dell’Agricoltura di Gaza ha pubblicato cifre ben più elevate. Secondo i suoi calcoli il settore agricolo ha subito oltre 200 milioni di dollari [170 milioni di euro] di perdite, fra quelle dirette e indirette.

Oltre a bombardare le aziende agricole, Israele ha impedito il trasporto delle derrate alimentari da Gaza alla Cisgiordania occupata.

Le restrizioni imposte a maggio non sono state tolte che a giugno inoltrato.

E questa revoca era soggetta a condizioni assurde.

Israele ha insistito che si togliessero i gambi dai pomodori. In caso contrario non avrebbero potuto passare per Kerem Shalom, il valico sotto controllo israeliano da cui entra ed esce la merce per Gaza.

La clausola di Israele – che imponeva costi aggiuntivi ai coltivatori di pomodori e riduceva la durata dei loro prodotti – in seguito è stata tolta. Israele ha però minacciato di reintrodurla in agosto.

Ahmad al-Astal dirige un’azienda agricola di 50 acri nella zona di Khan Younis, nella parte meridionale di Gaza.

Di solito vende la sua produzione di patate, pomodori, melanzane e peperoni in Cisgiordania.

Tuttavia recentemente Israele gli ha impedito per diverse settimane di trasportare qualsiasi prodotto fuori di Gaza.

“I nostri magazzini sono pieni di ortaggi che stanno marcendo,” ha detto. “Abbiamo interrotto la raccolta delle colture ed ora non si vede altro che mucchi di ortaggi marci dappertutto.”

“Nessuna scelta”

Vendere i suoi prodotti all’interno di Gaza non era economicamente sostenibile. A causa delle restrizioni imposte da Israele sui trasporti, c’era un eccesso di produzione a Gaza.

Di conseguenza i prezzi nei mercati locali sono crollati.

“Prendere i prodotti del raccolto e trasportarli al mercato mi costa di più di quanto finirei col guadagnare vendendoli al mercato,” dice Ahmad. “Così non posso fare altro che lasciare il raccolto in deposito, sperando di riuscire a tornare a venderlo fuori di Gaza entro breve.”

Ahmad ha dovuto ridurre il personale da 70 ad appena sette.

Ali al-Astal, uno dei suoi collaboratori, dice: “Normalmente qui si vedrebbero in giro per le serre i lavoratori che curano le piante e raccolgono i prodotti. Ma ora il nostro lavoro consiste solamente nell’eliminare gli ortaggi marci.”

Le restrizioni imposte da Israele hanno avuto un effetto rilevante sui pescatori di Gaza e sul settore dell’acquacoltura.

Yasser al-Haaj è il proprietario dell’azienda ittica al-Bahhar.

Dice che ogni mese circa 30 tonnellate di pesce vengono trasportate da Gaza in Cisgiordania.

Si calcola che oltre 18.000 pesci siano morti nelle aziende ittiche di Gaza a causa delle restrizioni israeliane.

Gli ultimi mesi sono stati disastrosi per al-Haaj.

Non soltanto i pannelli solari e le vasche della sua azienda ittica sono stati danneggiati nel corso degli attacchi israeliani, ma Yasser non è neppure riuscito a vendere in Cisgiordania, un mercato vitale per lui.

“I mercati di Gaza non possono assorbire la nostra produzione,” dice. “Quando si sono fermate le esportazioni, non abbiamo potuto vendere i pesci, così li abbiamo dovuti tenere nelle vasche. Al momento ogni vasca ha circa tre volte la quantità di pesci che è in grado di contenere. E i pesci hanno incominciato a morire. Le nostre perdite aumentano di giorno in giorno.”

Abdallah al-Naami è un giornalista e fotografo che vive a Gaza.

traduzione dall’inglese di Stefania Fusero